VECCHI, Orazio Tiberio
VECCHI, Orazio Tiberio. ‒ Nato a Modena da Giovanni e da Isabetta Garuti, fu battezzato il 6 dicembre 1550 nella parrocchiale di S. Giovanni Evangelista.
Allo stesso fonte vennero presentati anche i fratelli Laura (16 aprile 1545), Annibale (24 novembre 1547), Girolamo (8 luglio 1555) e Giacomo (15 gennaio 1559); di altri (Ludovico, Ercole e Lavinia) sono irreperiti gli atti battesimali (Roncaglia, 1956, p. 368). Il padre, nato nel 1519 da un calzolaio di origini bolognesi, era un mercante di poca fortuna, dedito ad attività finanziarie, sebbene non figurasse nelle matricole dei banchieri collegiati della città. A metà degli anni Cinquanta aveva iniziato a trattare affari per conto di Girolamo Argenta, munizioniere, poi salinaro e massaro ducale.
Poco si sa dell’infanzia ed educazione di Orazio. È appurata la precoce frequentazione non già del monastero benedettino di S. Pietro, adombrata da alcuni biografi e invece avvenuta più tardi allorché egli andò ad abitare lì appresso, quanto piuttosto del convento servita di S. Salvatore, dimora di fra Salvatore Essenga, il quale educò alla musica il confratello fra Arcangelo Cattania, Orazio e altri ancora. Nel 1566 il ragazzo, a conferma dei suoi progressi e della stima del maestro, vide pubblicato il suo madrigale Volgi, cor lasso, i pensier nostri altrove, versi di Luigi Cassola, nel Primo libro di madrigali a quatro voci di Essenga (Venezia, Gardano). Caddero in quello stesso anno la sospensione di una causa a carico del padre e la morte della madre, sepolta il 9 settembre nella tomba di famiglia nella chiesa del Carmine.
Nel dicembre del 1570 Essenga subentrò a Cattania alla testa della cappella del duomo di Siena, e il 1° febbraio seguente fece reclutare Vecchi come tenore. Ritornato quindi sotto le ali del maestro, l’allievo poté riprendere lo studio della composizione, esercitarsi nell’arte del canto, imparare il mestiere della concertazione. A suggello del soggiorno toscano entrambi pubblicarono alcuni madrigali nella collettanea Il quinto libro delle Muse (Venezia, Gardano, 1575): Orazio si cimentò nell’intonazione del sonetto Amor m’ha posto come scoglio a l’onda di Francesco Beccuti e di alcuni versi da una canzone di Luigi Tansillo. In realtà, se l’incarico senese di Essenga si concluse il 31 maggio 1575 – il frate tornò poi a Modena entro l’aprile del 1576 (Colombini, in Theatro dell’udito, 2010, p. 33) –, quello di Vecchi era cessato il 30 aprile 1574 (D’Accone, 1997, p. 748), forse a causa di un urgente rientro in famiglia, colpita da accadimenti sfavorevoli. Nel 1572 era infatti iniziato il dissesto finanziario di Giovanni, il quale dovette chiedere al duca Alfonso II d’Este diversi salvacondotti per tutelarsi da creditori che ne reclamavano l’arresto.
Qualche tempo dopo, Orazio raggiunse a Brescia il conte modenese Baldassarre Rangoni, poeta e condottiero di ventura che dal 1577 presidiava la città flagellata dalla peste. Probabilmente il viaggio datò non a quell’anno bensì alla primavera seguente, quando la crisi epidemica poteva dirsi superata. Lo lascia intendere un capitolo in rima composto da Rangoni il 26 maggio 1578, laddove il nobiluomo, dichiarandosi ammiratore di Vecchi, della sua indole cortese unita a perizia musicale e a una vena poetica capace «in rime [di] superar Pietro Aretino», lamenta che Orazio sia partito da Brescia per Bergamo e ne invoca il sollecito ritorno (Tiraboschi, 1786).
Risalgono al 1579 due suoi madrigali a sei voci (Italia bella, alta nudrice d’Arno e La mia candida ninfa un dì vid’io) inclusi nell’epitalamico Trionfo di musica (Venezia, Scotto) per le nozze di Francesco I de’ Medici e Bianca Capello. Alla sera di Natale dello stesso anno risale la sua prima sortita a oggi nota sulla scena musicale di Modena, ossia la progettazione e direzione di «un concerto in duomo [...] deviso in 5 chori [...]. La chiesa era tanto piena che più non si poteva capere persone» (A. Sudenti, Giornale di Modena, 1577-1590, sub data). Durante la Pasqua 1581 Vecchi replicò analoga iniziativa nel duomo di Salò, dove diresse un «honorificum concertum musicae [...] quod maximam devotionem populo reddebat» (Orazio Vecchi, 1950, p. 45). In quella chiesa ebbe immediatamente l’incarico di maestro di cappella, rinnovato il 29 luglio 1582 per un triennio e con un aumento salariale annuo da 25 a 50 scudi d’oro. Nel documento di rinnovo si apprende ch’egli era divenuto sacerdote (è citato con il titolo di reverendo), ma l’atto di ordinazione è irreperito.
Frattanto erano giunte da Modena gravi notizie: il padre, ormai cieco, viveva in povertà, e Annibale, ricercato per duplice omicidio, era stato arrestato il 20 giugno 1581, poi condannato alla pena capitale. In suo soccorso il musicista scrisse nel febbraio del 1582 un’accorata supplica al duca Alfonso, ottenendo il rinvio del patibolo; ma il 9 marzo 1584 Annibale morì di stenti in carcere e fu sepolto nel Carmine.
Dalla fine dell’ottavo decennio Vecchi avviò la pubblicazione dei propri libri di musica per i tipi di Angelo Gardano in Venezia (che fu poi lo stampatore di tutte le prime edizioni vecchiane). Fece mettere a catalogo tre libri di Canzonette a quattro voci, genere di cui fu pioniere, dedicandoli ai conti veronesi Mario Bevilacqua, illustre mecenate, accademico filarmonico (1580 o forse prima, giacché risultano «ristampate»), e Camillo Pellegrini, podestà di Bologna (1580), nonché ai fratelli veneziani Camillo e Tommaso Rubini, animatori di un ridotto letterario-musicale (1585). Diede alle stampe il primo libro di Madrigali a sei voci (1583) che, con i buoni uffici di Claudio Merulo, ebbe per dedicatario il duca Albrycht Radziwiłł, marescalco del re di Polonia. Fornì inoltre l’abituale contributo di pezzi sciolti a edizioni collettive, in particolare a tre raccolte madrigalistiche allestite per la cantante Laura Peperara, una manoscritta nella Biblioteca dell’Accademia filarmonica di Verona, le altre due stampate da Vittorio Baldini in Ferrara per le di lei nozze con il conte Annibale Turco (Il lauro secco, 1582, e Il lauro verde, 1583).
Con decorrenza dal 16 febbraio 1583 Vecchi era stato nominato maestro di cappella nel duomo di Modena, tuttavia rientrò in patria e prese servizio dopo un anno, quando divennero pressanti sia le molestie di alcuni detrattori di Salò, sia gli appelli del genitore. Nel marzo del 1584 chiese agli amministratori comunali un sussidio per «sostentare il suo povero et infermo padre [...] e porgere a tutta la città [...] quell’utile [...] che per lui si possi maggiore» (Orazio Vecchi, 1950, pp. 24 s.). Essi accondiscesero erogandogli 10 lire al mese, a condizione di risiedere stabilmente in città «et insegnare la virtù della musica a chi vorrà impararla» (p. 47). In breve, sommando la carica che teneva in duomo a quella di civico precettore, era divenuto il musicista residente di maggior prestigio.
La permanenza si rivelò nondimeno effimera poiché, in occasione della nomina a vescovo di Reggio del conterraneo e amico Giulio Masetti (7 ottobre 1585), egli avviò trattative per divenire maestro di cappella nel duomo reggiano, che fruiva di un salario piuttosto sostanzioso. Abbandonata Modena, dal 1° gennaio 1586 iniziò nella nuova sede una condotta triennale, allietata dall’amicizia con il compositore Gaspare Pratoneri detto Spirito da Reggio. Si dimise però con larghissimo anticipo per trasferirsi in dicembre a Correggio e accettare un canonicato nella collegiata di S. Quirino, che gli garantì libertà, quiete e piena autonomia finanziaria (con una rendita annua di 150 scudi aurei, più del doppio di quelli intascati a Reggio). Imponendo pochi obblighi liturgici, quel beneficio consentiva ampi margini di tempo per attività personali che Vecchi volle riservare soltanto al comporre e pubblicare. Non a caso, egli amò dipingersi pacificato in un capitolo autobiografico in terza rima (Come suol chi alla patria fa ritorno; ed. in Orazio Vecchi, 1550-1605: poetica musicale, a cura di A. Torelli - P. Torelli, Modena 1969, pp. 89-101), steso nel dicembre del 1587, l’indomani delle feste a Sassuolo per il matrimonio di Marco Pio di Savoia e Clelia Farnese, alle quali partecipò componendo la Battaglia d’amor e dispetto a dieci voci (poi inclusa nella sua Selva di varia ricreatione, 1590) e il dialogo a otto Sù, sù, Clori e Damone (confluito nella collettanea Dialoghi musicali de diversi eccellentissimi autori, Venezia, Gardano, 1590). Ma nel 1592 ‒ in quest’anno perirono sia il padre (30 maggio) sia Masetti (12 settembre) ‒ Vecchi, pur promosso al grado di canonico arcidiacono, iniziò a considerare l’eventualità di un rientro a Modena per motivi di salute. Il 30 settembre fece testamento (il terzo in poco tempo), nominando eredi i fratelli Ludovico e Girolamo, nonché sub conditione Laura e Lavinia; lasciava invece libri, musiche manoscritte e a stampa, dipinti e ritratti di diversi musicisti all’ex allievo modenese Geminiano Capilupi.
Ritornò definitivamente nella città natale ai primi del 1593, pur conservando a Correggio la titolarità di canonico (senza rendita) fino al 29 aprile 1595. Nel lungo soggiorno correggese aveva tenuto fede ai propri intenti d’autore, da un lato proseguendo la partecipazione a edizioni collettive, dall’altro componendo e pubblicando a profusione libri propri.
Erano così usciti il primo libro di Canzonette a sei voci (1587, dedicate a Marcantonio Gonzaga, primicerio di S. Andrea a Mantova), le Lamentationes a quattro voci (1587, consacrate a Sisto Visdomini, vescovo di Modena), il primo libro di Madrigali a cinque voci (1589, con dedicatoria del 20 novembre a Vincenzo I Gonzaga, duca di Mantova, che il 12 dicembre gli fece donare 50 ducati in segno di gratitudine; Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 410B, reg. 43, c. 47v), il quarto libro di Canzonette a quattro (1590, con dedica al conte Camillo da Correggio), i Motecta a quattro, cinque, sei e otto (1590, dedicati a Guglielmo V di Wittelsbach, duca di Baviera) e la Selva di varia ricreatione, da tre a dieci voci (1590, con dedica ai tedeschi Jakob e Johann Fugger, mercanti e banchieri, noti committenti musicali). Non mancò infine di concorrere, con Ludovico Balbi, maestro di cappella al Santo di Padova, alla revisione del Graduale romanum, avviata a suo tempo da Andrea Gabrieli e della quale si conoscono dieci esemplari a stampa (1591), compreso quello dell’archivio capitolare di S. Quirino.
Nell’aprile del 1593 riottenne a Modena gli stessi favori di nove anni addietro, dal Comune le solite 10 lire mensili e dal duomo la carica di maestro di cappella, destando però lo scontento dell’interinale Fabio Ricchetti, che nel tempo gli indirizzò varie sgarberie e un epilogo conciliativo (cfr. Spaccini, 1993, pp. 30, 53, 375, 531). In città il sacerdote assurse a ruoli di primo piano anche nell’ambito del culto e della devozione. Nel maggio del 1595 si iscrisse alla Confraternita di S. Pietro martire e si aggregò a quella di S. Geminiano per un pellegrinaggio alla Madonna di Loreto, del quale tenne e pubblicò un interessante diario, accludendovi, probabilmente di sua invenzione, due appendici poetiche in italiano, ovvero una parafrasi del Te Deum e diciotto terzine in rima intercalate dal testo latino del Salve regina (Breve compendio del peregrinaggio di Loreto, Modena, Gadaldino, 1595).
Sempre nel 1595 volle difendere il fratello Girolamo dalle molestie di un amante della moglie: ne ricavò una misteriosa stilettata notturna e noie legali per avere in un secondo tempo affrontato a mano armata e ferito a sua volta il molestatore durante una rissa in casa di Girolamo (Spaccini, 1993, pp. 7, 9).
Inquietudini familiari a parte, arrideva al musicista una fulgida stagione creativa, ch’egli concretizzò nei primi mesi del 1597 con un viaggio a Venezia per definire con Gardano varie questioni editoriali e pubblicare quattro libri nuovi di alta ispirazione: un libro di trentaquattro Canzonette a tre voci (sedici delle quali composte da Capilupi), abbinate alla relativa intavolatura liutistica (realizzata dall’ex allievo) e dedicate a Paolo Calori, già podestà di Reggio; ventiquattro mottetti (due dei quali di Capilupi) da cinque a otto voci editi nel Sacrarum cantionum [...] liber secundus e omaggiati alla Congregazione cassinese di S. Giustina in Padova; il Convito musicale, da tre a otto voci, dedicatario l’arciduca Ferdinando II d’Austria; infine, L’Amfiparnaso comedia harmonica a cinque voci, con dedicatoria a don Alessandro d’Este e un importante avviso ai lettori circa «questo accoppiamento di comedia e di musica non più stato fatto, ch’io mi sappia, da altri, e forse non imaginato».
Tra marzo e maggio del 1600 Vecchi fu a Roma, al seguito di Alessandro d’Este elevato l’anno prima alla porpora cardinalizia. Nella circostanza il musicista fu invano cercato a Modena da alcuni viaggiatori danesi, che desideravano conoscerlo, acquistare sue composizioni e significargli la fama di cui godeva anche in Danimarca: si presentò invece Capilupi, che agli scandinavi donò musiche proprie e non del maestro (Spaccini, 1993, p. 346), rivelando così di nutrire verso di lui un rapporto competitivo. Orazio rientrò da Roma il 31 maggio insieme al conte Alfonso Fontanelli, letterato, musicista, agente estense e maggiordomo del cardinale (il 28 avevano assistito a Firenze alla prima recita dell’Euridice di Ottavio Rinuccini e Jacopo Peri): tra il polifonista e il nobiluomo nacque un rapporto di stima e amicizia che indusse Fontanelli ad affidargli la cura della ristampa del suo Primo libro de’ madrigali (Venezia 1603).
Nel frattempo la fama di Vecchi si era diffusa in Europa grazie a numerose ristampe di opere sue, promosse anche da editori di Norimberga e di Anversa. Ne fanno fede, per esempio, il citato intento dei viaggiatori danesi e il desiderio dell’imperatore Rodolfo II, trasmesso al duca Cesare dall’ambasciatore estense a Vienna il 17 maggio 1604, di nominare il musicista al vertice della cappella cesarea. Ma questi, ormai stanco e debole di salute, declinò l’augusto invito e preferì procedere nelle cariche modenesi e vigilare la pubblicazione di due nuovi libri apparsi nello stesso anno, 1604: gli Hymni a quattro voci, indirizzati a Wolf Dietrich von Raitenau, arcivescovo di Salisburgo, e Le veglie di Siena overo i varii humori della musica moderna, dedicate a Cristiano IV di Danimarca. La carica di maestro di cappella in duomo gli fu tuttavia revocata il 7 ottobre: lo surrogò Capilupi, ritenuto da tutta la città il malcelato e sleale promotore dell’avvicendamento. Che i loro rapporti si fossero guastati traspare da un codicillo testamentario del 27 giugno 1603, con il quale Vecchi annullò ogni precedente lascito a favore di Capilupi, devolvendo, nell’ultimo testamento (17 febbraio 1605), la sua biblioteca musicale al fido discepolo Paolo Bravusi (donò invece i dipinti e il restante della biblioteca a Pietro Giovanni Ingoni, figlio della defunta sorella Laura).
Morì a Modena il 19 febbraio 1605 e fu sepolto nel Carmine ove, nel 1607, gli venne innalzato un monumento firmato dallo scultore Francesco Pacchioni di Reggio, recante una solenne epigrafe dettata dall’erudito veneziano Alessandro Gatti, amico del defunto (cfr. Orazio Vecchi, 1950, p. 41). Incaricato di pubblicare le composizioni inedite del maestro, Bravusi attese alla stampa del Missarum senis et octonis vocibus liber primus (Venezia 1607) e dei Dialoghi a sette et otto voci (Venezia 1608).
Un ritratto di Vecchi, di mano di un anonimo emiliano di inizio Seicento, è nel Civico museo d’arte di Modena.
Benché la pubblicazione post mortem degli inediti poetici, autorizzata da Vecchi nel testamento del 1605, sia stata disattesa, sopravvive un manipolo di sue rime, che ne certificano la cultura e il talento letterario. Difficile dire se abbia composto anche le parole di questo o quel componimento poetico adespoto da lui intonato; ma la sua paternità è rivendicata se non altro nella dedicatoria del terzo libro di Canzonette a quattro voci («queste mie rime e questo canto»). Potrebbero poi essere suoi, in particolare, i versi di tono umoristico e popolaresco che per genere e stile ricalcano le rime del poeta dialettale bolognese Giulio Cesare Croce, con il quale fu in contatto. Nei madrigali beninteso, ma spesso anche nelle canzonette, Vecchi si attenne a scelte poetiche ‘alte’, vuoi del canone letterario consolidato (Petrarca, Sannazzaro, Bembo, Strozzi il Vecchio, Guarini, Tasso), vuoi della generazione a lui coeva (Livio Celiano alias Angelo Grillo, Cesare Rinaldi, Giovan Battista Marino), senza escludere i meno illustri Giovanni Guidiccioni, Andrea Calmo, Giuliano Gosellini, Orsola Bertolai, Girolamo Casone, Ludovico Paterno, Scipione Caetani, Cesare Simonetti e Francesco Elisei.
Come è stato osservato a proposito della produzione musicale profana, dapprima «Vecchi resta nel solco della tradizione, e tiene distinti forme, generi ed organici, pubblicandone raccolte separate ed omogenee [...]. Invece dal 1590 in poi egli elabora una nuova poetica della mescidanza» (Privitera, in Theatro dell’udito, 2010, p. 357), accostando e ibridando i parametri formali e strutturali antecedenti, talvolta in carnevalesca congerie, come nella Selva e nel Convito, talaltra sull’esile filo di una trama – intesa vuoi come intreccio comico, vuoi come campionario di tipi e temperamenti umani – che armonizza e giustifica la varietà delle musiche: è il caso dell’Amfiparnaso e delle Veglie di Siena. Il fine ultimo di tutto ciò ‒ lo teorizza e lo dichiara l’autore nelle dedicatorie e negli avvertimenti «ai lettori» delle opere maggiori ‒ mira a unire «lo stil serio col famigliare, il grave col faceto e col danzevole» (Selva, 1590), nonché a «variare et ischerzare in tutti i generi della musica», al fine di «giovare [...] col grave e dilettare [...] col ridicolo» (Le veglie, 1604). Si trattò di un insuperato connubio tra gli ultimi bagliori della polifonia dialogico-rappresentativa e la vitalità del teatro dei comici. La Selva ne offre un esempio vertiginoso nel quodlibet di «diversi linguaggi» a nove voci, un artificioso intarsio che intreccia un dialogo dello Zanni con il Magnifico, lo sproloquio del Tedesco, le canzoni della Bella Franceschina e della Girometta (attribuiti a Luca Marenzio) con un diverbio dello Scolare con il Pedante, una cicalata del Dottor Graziano e la nenia del Fatebenpervoi aggiunti da Vecchi. Non ha invece fondamento storico-stilistico la tesi, risalente già al Settecento, di chi in tale propensione istrionica, poi continuata dal bolognese Adriano Banchieri, e nella evocazione di un «teatro dell’udito» (cfr. la dedica delle Canzonette a tre voci del 1597) volle cogliere una premonizione del teatro d’opera (cfr. Orazio Vecchi, 1950).
Cantore e maestro di cappella per almeno quattro lustri, Vecchi si dedicò in modo durevole anche alla musica da chiesa, senza tuttavia eguagliare su questo terreno la fama conquistata in campo mondano. In estrema sintesi, le sue pagine a quattro voci presentano uno stile sobrio e limpido di posizionamento controriformista («musica [...] intelligibile e chiara a tutti», Lamentationes, 1587; «stylo quidem brevi, sed non obscuro, facili», Hymni, 1604), ottenuto mediante una scrittura omoritmico-declamatoria spesso organizzata con la tecnica del falsobordone. Nelle messe e specialmente nei mottetti, laddove l’organico si amplia fino a sei e sette parti, emerge un linguaggio più complesso e raffinato (costruito sul contrappunto e l’imitazione), che nei lavori a otto aderisce ai modelli bicorali di matrice veneziana.
Opere. Per il catalogo delle opere musicali, cfr. Martin, 2001, pp. 366-368, e Ackermann, 2006, coll. 1371 s. Circa un presunto ma fantomatico libro di mottetti a otto voci (Venezia, Gardano, 1579) e circa le composizioni sacre edite in stampe antologiche o tradite da fonti manoscritte, cfr. Tibaldi, 2005, pp. 180 nota 5, 185, 233-236. All’elenco delle opere poetiche citate in Ackermann, 2016, vanno aggiunti: due epitaffi tetrastici, un’ottava, un sonetto e un capitolo dedicati alla memoria di Pratoneri ed editi in P. Vasti, Raccolta di varie compositioni [...] in morte del sig. Spirito Pratoneri, Reggio, Bartoli, s.d. (ma 1595), pp. 1-8; e il sonetto encomiastico in A. Gatti, Madrigali, Venezia 1604.
Tra le edizioni moderne, oltre a quelle elencate in Martin, 2001, e in Ackermann, 2006, occorre segnalare: Madrigali a cinque voci [...] libro primo, a cura di M. Pollastri, Bologna 1997; Madrigali a sei voci [...] libro primo, a cura di M. Pollastri, Mantova 2005; Selva di varia ricreatione, a cura di G. Torre, Modena 2007; Breve compendio del peregrinaggio, a cura di M. Lucchi - M. Privitera - F. Taddei, Modena 2007.
Fonti e Bibl.: Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, ms. Classe II, 393: A. Sudenti, Giornale di Modena (1577-1590).
G. Tiraboschi, Biblioteca Modenese, VI, parte I, Modena 1786, pp. 205 s.; O. V. precursore del melodramma, a cura di E. Pancaldi - G. Roncaglia, Modena 1950; G. Roncaglia, Documenti inediti su O. V., la sua famiglia e l’allievo Geminiano Capilupi, in Collectanea historiae musicae, II, Firenze 1956, pp. 367-372; W. Kirkendale, La Franceschina, la Girometta e soci in un madrigale «a diversi linguaggi» di Luca Marenzio e O. V., in Il madrigale tra Cinque e Seicento, a cura di P. Fabbri, Bologna 1988, pp. 249-331; G.B. Spaccini, Cronaca di Modena: anni 1588-1602, a cura di A. Biondi - R. Bussi - C. Giovannini, Modena 1993, pp. 7, 9, 30, 53, 346, 375, 531; F.A. D’Accone, The civic muse. Music and musicians in Siena during the Middle Ages and the Renaissance, Chicago 1997, ad ind.; W.R. Martin, V., O., in The new Grove dictionary of music and musicians, XXVI, London-New York 2001, pp. 366-368; R. Tibaldi, Stile e struttura nei mottetti di O. V., in Polifonie. Storia e teoria della coralità, V (2005), 3, pp. 179-270; P. Ackermann, V., O.T., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XVI, Kassel 2006, coll. 1370-1374; Theatro dell’udito, theatro del mondo, a cura di M. Privitera, Modena 2010 (in partic. L. Colombini, O. V. a Siena, pp. 31-35; M. Privitera, Aperitivi, intingoletti, vivande di sostanza e licori: forme e stili nel “Convito musicale”, pp. 357-381); P. Schleuse, Singing games in early modern Italy. The music books of O. V., Bloomington (Ind.) 2015.