SAMACCHINI, Orazio
– Nacque a Bologna il 20 dicembre 1532 (Malvasia, 1678, p. 211).
Oscuri sono i primi anni della sua attività, non potendosi reperire notizie certe anteriori al 1561; tuttavia, egli stesso affermò nel 1571 di aver avuto, già venti anni prima, «esperienza nella pittura, ma anco nella fattura de’ legnami, indoratura et simili cose» (Cirillo - Godi, 1982, p. 38; Cirillo - Godi, 1995, p. 134); si suppone quindi che nel 1551 egli potesse aver lavorato fuori Bologna, anche in veste di scultore del legno (Cirillo, 2002, p. 120). Già negli anni Cinquanta sarebbe stato tuttavia un pittore apprezzato, se a lui si deve un progetto per il soffitto di una residenza romana di papa Giulio III (ibid.).
La precoce infatuazione per l’arte di Giorgio Vasari potrebbe esser sortita da un alunnato presso Prospero Fontana, che secondo Jürgen Winkelmann (1986a, p. 632) sarebbe l’artista che più l’avrebbe influenzato; anche Ercole Procaccini dovette avere un ruolo nella sua formazione (Lomazzo, 1590; Cirillo - Godi, 1982, pp. 7 s.). Nell’orbita di Fontana, Samacchini potrebbe aver partecipato alle decorazioni di palazzo Poggi, dove nella sala dei manoscritti si è ravvisato l’intervento di Samacchini nel medaglione con le Nozze di Davide, a una data non lontana dal 1555 (Winkelmann, 1986a, p. 633); ma sull’attribuzione la critica non è unanime (Cirillo - Godi, 1995, p. 185 nota 27).
Certamente anteriore al 1560 era una perduta Ultima Cena in S. Francesco a Bologna, «opera molto lodevole» a detta di Lamo (1560, 1844), e della fine degli anni Cinquanta sarebbe la Lapidazione di s. Stefano in S. Giovanni in Monte a Bologna (Winkelmann, 1986a, p. 634), acerba nella composizione e goffa nella resa delle figure, con riferimenti a Girolamo da Treviso, che non hanno riscontro nella restante produzione dell’autore.
Negli anni Cinquanta, Samacchini operò per la committenza Sanvitale, dipingendo nel palazzo acquistato a Parma da quella famiglia un ciclo di affreschi con Storie di Giulio Cesare (Cirillo - Godi, 1982, pp. 15 s.; L’Occaso, in corso di stampa).
Nel 1561 era a San Secondo, nei pressi di Parma (Cirillo - Godi, 1995, p. 133), e in ogni caso entro quell’anno si pone la decorazione della sala di Circe nella Rocca dei Rossi, curiosa declinazione di soggetti già trattati da Pellegrino Tibaldi in palazzo Poggi a Bologna, rielaborati da Samacchini con «una nuova espressività, calcolata e aulica» (p. 139).
La scena con Circe che trasforma i compagni di Ulisse coniuga l’interesse per Tibaldi con l’attenzione per Vasari; nella sala di Adone, Samacchini propose la sua versione del quadraturismo tibaldesco, e nella scena della Morte di Adone, quadro riportato steso al centro della volta come un velario (p. 136), omaggia la precedente versione del tema di Giulio Romano.
Forse spetta al maestro Procaccini l’aver introdotto Samacchini presso Troilo Rossi a San Secondo (Chiusa, 2005, p. 134).
Nel 1563 Samacchini era a Roma, ivi protetto dal cardinale Rodolfo Pio da Carpi e impegnato nei lavori nella sala regia, dove Vasari ricorda di sua mano «una storia che è bonissima» (Vasari, 1568, VI, 1987, p. 150), per la quale ricevette pagamenti ancora nel 1564.
Si è a lungo attribuita a Samacchini la scena con Ottone I che restituisce i territori della Chiesa a papa Agapito II (Smith, 1975; Winkelmann, 1986a, p. 631), ma correttamente Giuseppe Cirillo e Giovanni Godi (1995, p. 138) riferiscono quell’episodio al forlivese Livio Agresti, restituendo al bolognese – anche sulla scorta del bel disegno preparatorio rintracciato – la raffigurazione di Pietro d’Aragona che offre il suo regno a Innocenzo III.
Nel medesimo tempo Samacchini collaborò con Federico Zuccari, dipingendo nella casina di Pio IV, gomito a gomito con diversi maestri di diverse provenienze, proprio come nell’altra impresa vaticana (Vasari, 1568, V, 1984; Cirillo - Godi, 1982, p. 11).
La stessa materia un po’ algida, certamente in dialogo con il manierismo vasariano, informa le due tavolette a tema biblico degli Uffizi, di raffinata esecuzione; a esse Cirillo (2002, pp. 121 s.) accosta la Resurrezione del Kunsthistorisches Museum di Vienna, la quale presenta diversi elementi michelangioleschi, tra cui i soldati, derivati dal Serpente di bronzo della cappella Sistina.
Nella seconda metà degli anni Sessanta il pittore si divise tra Bologna, dove la sua presenza è attestata con una certa continuità, e Sala Baganza, presso Parma, dove dovette essere attivo per Giberto San Vitale, nella Rocca, non molto dopo il soggiorno romano del 1564 (Cirillo - Godi, 1995, pp. 139 e 145).
Alternò comunque la sua attività fuori Bologna con frequenti soggiorni in città: del 1564 circa dovrebbe essere la pala Tanari in S. Maria Maggiore (Danieli, 2002, p. 310). Tra la metà degli anni Sessanta e gli anni Settanta si colloca la massima parte della sua produzione, che lo vide impegnato nella creazione di pale d’altare e affreschi per la committenza ecclesiastica bolognese: la Crocifissione con il senatore Gozzadini nella chiesa dei Servi, per la quale ricevette un acconto nel 1568 (ibid.); la Trinità in gloria d’angeli per le Gesuate, non posteriore al 1570 (data dell’incisione d’apres di Domenico Tibaldi; Ciammitti, 2003); la Madonna col Bambino in gloria e i ss. Agostino e Maddalena di Saltram House a Plympton (Devonshire), proveniente dalla chiesa bolognese di S. Maria degli Angeli e forse dipinta entro il 1570 (ibid.); l’Annunciazione in S. Tommaso a Parma (Cirillo - Godi, 1982, pp. 40 s.).
Nello stesso 1569 in cui datava la Trasfigurazione nella chiesa del Corpus Domini, nella quale è stata notata una «svolta parmigianinesca» (Winkelmann, 1986a, p. 637), e l’Allegoria della Vigilanza e del Silenzio del palazzo comunale di Bologna (Cirillo - Godi, 1982, p. 12), Samacchini si impegnava con Lorenzo Sabatini, a Bologna, per l’autonomia della Corporazione dei Pittori (Winkelmann, 1986a, p. 631).
Nel 1570 firmò il contratto per la decorazione del duomo di Parma (ibid.), certamente tra le più importanti e prestigiose imprese decorative ad affresco realizzate fuori di Bologna. Samacchini fu chiamato a continuare l’opera di Girolamo Bedoli (morto lo stesso anno), con la decorazione di quattro vele e della calotta absidale del transetto nord. L’attività parmense fu probabilmente favorita dal maestro Ercole Procaccini (Cirillo, 2002, p. 120) ed ebbe inizio nel 1570.
Per quest’impresa, i pagamenti a Samacchini sono concentrati dal 1571 al 1572 (la volta) e dal 1576 al 1577 (il catino; Cirillo - Godi, 1982, pp. 44 s.). Nel catino absidale del transetto settentrionale il pittore affrescò Mosè che fa scaturire l’acqua dalla rupe, mentre nelle quattro vele della volta figure bibliche o di santi, ignudi, allegorie e cammei monocromi animano la ricca intelaiatura e, nelle differenze di scala e di resa cromatica, come in citazioni puntuali, manifestano ammirazione verso Michelangelo.
Negli anni 1573-74 parrebbe porsi l’attività a Città di Castello per Paolo Vitelli, alla quale allude Carlo Cesare Malvasia (1678, p. 208): tra le Storie della famiglia Vitelli nel palazzo avito, la mano di Samacchini è stata identificata in cinque scene (Cirillo - Godi, 1982, p. 39; Winkelmann, 1986a, p. 641; Cirillo - Godi, 1995, p. 145).
Alla metà degli anni Settanta il pittore ottenne anche un’importante commissione a Cremona, in S. Abbondio, dove dipinse nella volta della chiesa affreschi normalmente datati dal 1575 al 1577, ma forse iniziati lievemente prima (Danieli, 2010, p. 11). In questo cantiere fu forse affiancato dal giovane Agostino Carracci (Cirillo - Godi, 1982, pp. 41-43, e 1995, p. 148). Tra virtuosismi illusionistici e complesse partiture architettoniche, questi affreschi, che coprono la seconda e la terza campata della chiesa, furono completati verso lo scorcio del secolo dal Malosso.
Vi è sostanziale corrispondenza formale tra questo ciclo e la Presentazione al Tempio per la cappella Magnani in S. Giacomo Maggiore a Bologna, che è del 1575 e che è fiancheggiata da affreschi. La tela testimonia, al pari degli affreschi parmensi, una «esaltazione parossistica della pura forma», che si fa sempre più monumentale e con tendenze stereometriche (Winkelmann, 1986a, p. 639). Dello stesso torno di tempo, ossia attorno al 1575, è la pala dei Ss. Naborre e Felice, una Incoronazione della Vergine con santi, ora nella Pinacoteca nazionale di Bologna (Danieli, 2006, p. 176).
Quest’ultima è opera paradigmatica dei suoi ultimi lavori, preparata da una ricca produzione grafica e caratterizzata da volumi squadrati e da un affollamento dello spazio che richiama la pittura centroitaliana, quasi che Samacchini fosse tentato di competere nuovamente con la tarda maniera vasariana; lo spazio naturalistico e l’ambientazione, mai rilevanti nella sua opera, sono qui confinati a un lembo di paesaggio schiacciato dal turgore delle anatomie e dalla artificiosità delle pose.
Nel 1576 gli fu commissionato il completamento di una pala, iniziata da Bernardino Gatti, il Sojaro, e destinata all’altare maggiore del duomo di Cremona; il dipinto, pur saldato a Orazio, dopo la morte di questi giunse nello studio di Tommaso Laureti a Ferrara (Cirillo - Godi, 1982, pp. 41-43).
Alcuni indizi ci portano a credere che Samacchini abbia avuto rapporti anche con Mantova, giacché da S. Orsola, ove si ritirò Margherita Gonzaga, proviene una teletta ora nel Museo di Palazzo Ducale (Bazzotti, 1988; L’Occaso, 2011); inoltre, nelle collezioni di quella famiglia si conservava un Cristo risorto (Luzio, 1913, p. 169), passato sul mercato antiquario (Christie’s, New York, 30 settembre 2005, lotto 22). Una diversa versione del medesimo Cristo risorto si conserva nel National Museum di Hatchlands Park (Surrey), in deposito dalla Cobbe Collection.
Alcune opere dell’artista furono tradotte in stampa da Domenico Tibaldi e Agostino Carracci (Bohn, 1995, 1996), che incisero talvolta anche il medesimo soggetto: per esempio, l’Annunciazione del maestro già in S. Maria degli Angeli e ora nel Museo civico forlivese, datata tra il 1572 e il 1575 (Sassu, 1999; Rossoni, 2003, p. 85).
All’artista spetta un ricco corpus di disegni (Catalogo..., 1870; Heaton-Sessions, 1954; Johnston, 1973; Di Giampaolo, 1974; Smith, 1975 e 1976; Béguin - Di Giampaolo, 1979; Di Giampaolo, 1984 e 1985; Winkelmann, 1986a, passim; Di Giampaolo, 1999; Ward Neilson, 1998; Faietti, 2002; L’Occaso, in corso di stampa), che fondono elementi di cultura tibaldesca e vasariana, con un esito di notevole vigore anche per l’uso massiccio del chiaroscuro.
Tra le opere perdute, se ne contano di carattere sacro, come l’Ultima Cena di S. Francesco, la Madonna col Bambino e la Gloria d’angeli della chiesa della Concezione, il Cristo risorto appare alla Madre di S. Nicolò; ma rimangono da rintracciare anche segmenti della produzione profana, come i Quattro poeti dell’antichità che si conservavano a Parma (Cirillo - Godi, 1982, p. 41).
Tra gli allievi del pittore si possono ricordare Giovan Battista Tinti, probabilmente Bartolomeo Cesi (Danieli, 2010, pp. 10 s.), Francesco Cavazzoni, Agostino Carracci.
Samacchini morì il 12 giugno 1577 a Bologna (Malvasia, 1678, p. 210). L’inventario steso alla sua morte elenca diversi dipinti e soprattutto «1500 disegni, carte stampate, ec.» (Gualandi, 1842, p. 179), a riprova del suo alto interesse per la grafica.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite (1550 e 1568), a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, V, Firenze 1984, pp. 562 s., VI, 1987, p. 150; P. Lamo, Graticola di Bologna (1560), Bologna 1844, pp. 25 s.; G.P. Lomazzo, Idea del tempio della pittura, Milano 1590, appresso Paolo Gottardo Pontio, p. 162; F. Cavazzoni, Scritti d’arte (1603), a cura di M. Pigozzi, Bologna 1999, ad ind.; A. Masini, Bologna perlustrata. Terza impressione notabilmente accresciuta, Bologna 1666, ad ind.; C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de pittori bolognesi, I, Bologna 1678, pp. 207-212; M. Gualandi, Memorie originali italiane risguardanti le belle arti, III, Bologna 1842, pp. 178 s.; Catalogo della raccolta di disegni autografi antichi e moderni donata dal Prof. Emilio Santarelli alla Reale Galleria di Firenze, Firenze 1870, p. 304; A. Luzio, La Galleria dei Gonzaga venduta all’Inghilterra nel 1627-28, Milano 1913, p. 169; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, IX, La pittura del Cinquecento, t. 6, Milano 1933, pp. 695-704; H. Bodmer, S. O., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIX, Leipzig 1935, pp. 371 s.; C. Heaton-Sessions, Drawings attributed to Correggio at the Metropolitan Museum of Art, in The art bulletin, 1954, n. 36, pp. 227 s.; C. Johnston, Mostra di disegni bolognesi dal XVI al XVIII secolo (catal.), Firenze 1973, pp. 24-28; M. Di Giampaolo, Disegni bolognesi dal XVI al XVIII secolo (1974), in Id., Scritti sul disegno italiano 1971-2008, a cura di C. Garofalo, Firenze 2010, pp. 363 e 366, note 10-14; G. Smith, A drawing by O. S. for his ‘Presentation in the Temple’ in S. Giacomo Maggiore, in Master drawings, XIII (1975), pp. 370-372; Id., A drawing for the Sala Regia, in The Burlington Magazine, 1976, n. 118, pp. 102-106; S. Béguin - M. Di Giampaolo, Maestri emiliani del secondo Cinquecento, Firenze 1979, pp. 51 s.; G. Cirillo - G. Godi, Di O. S. e altri bolognesi a Parma, in Parma per l’arte, XIV (1982), 1, pp. 7-18, 30-46; M. Di Giampaolo, Un’aggiunta a O. S. disegnatore (1984), in Id., Scritti sul disegno italiano 1971-2008, a cura di C. Garofalo, Firenze 2010, pp. 194 s.; Id., Disegni di O. S. per il transetto nord del duomo di Parma (1985), ibid., pp. 196-199; J. Winkelmann, O. S., in Pittura bolognese del ’500, a cura di V. Fortunati Pierantonio, II, Bologna 1986a, pp. 631-682; Id., Vicende di un dipinto di O. S., in Paragone. Arte, XXXVII (1986b), 431-433, pp. 66-74; U. Bazzotti, Laureti e S.: due tele nel Palazzo Ducale di Mantova, in Paragone. Arte, XXXIX (1988), 459-463, pp. 75-80; B. Bohn, The illustrated Bartsch, XXXIX, Commentary, 1a parte, New York 1995, pp. 21, 27, 38-41, 43-47, 59, 104, 108, 2a parte, 1996, pp. 47, 51-55, 74; G. Cirillo - G. Godi, Le decorazioni, in M.C. Basteri et al., La Rocca dei Rossi a S. Secondo, Parma 1995, pp. 133-148; N. Ward Neilson, Scheda n. 15, in Figure. Disegni dal Cinquecento all’Ottocento nella Pinacoteca Nazionale di Bologna (catal., Bologna), a cura di M. Faietti - A. Zacchi, Milano 1998, p. 76; M. Di Giampaolo, Ancora sull’attività pittorica (e grafica) di O. S. (1999), in Id., Scritti sul disegno italiano 1971-2008, a cura di C. Garofalo, Firenze 2010, pp. 200-203; G. Sassu, Un’Annunciazione (quasi) inedita in S. Cristina a Bologna, in Il carrobbio, XXV (1999), pp. 65-74; C. Tellini Perina, Due inediti emiliani del Cinquecento, in Quaderni di Palazzo Te, n.s., 1999, n. 6, pp. 60-63; G. Cirillo, Fra Cremona e Bologna. Aspetti della pittura parmense nel Cinquecento, in Parma per l’arte, VIII (2002), 1, pp. 120-122; M. Danieli, Schede nn. 87-88, in Il Cinquecento a Bologna. Disegni dal Louvre e dipinti a confronto (catal., Bologna), a cura di M. Faietti, con la collaborazione di D. Cordellier, Milano 2002, pp. 296-305 e 308; M. Faietti, Schede nn. 82-84 e 86, ibid., pp. 310-313; L. Ciammitti, La chiesa di S. Maria degli Angeli, in I pittori degli angeli: dipinti del secondo Cinquecento per un monastero femminile a Bologna (catal.), a cura di L. Ciammitti, Bologna 2003, p. 11; E. Rossoni, Schede [senza numero], ibid., pp. 85-88; M.C. Chiusa, O. S. e il transetto nord, in Basilica cattedrale di Parma, II, Parma 2005, pp. 131-135; M. Danieli, Schede nn. 116-117 e 119, in Pinacoteca Nazionale di Bologna. Catalogo generale. 2. Da Raffaello ai Carracci, a cura di J. Bentini et al., Venezia 2006, pp. 172 s., 176; E. Rossoni, Scheda n. 118, ibid., pp. 173-176; M. Danieli, Proposte per Francesco Cavazzoni, in Artes, 2008-2009, n. 14, p. 137; Id., Il primo decennio di attività di Bartolomeo Cesi, in Paragone. Arte, LXI (2010), 91, pp. 7, 10 s.; S. L’Occaso, Museo di Palazzo ducale di Mantova. Catalogo dei dipinti, Mantova 2011, p. 215; Id., O. S.: il ciclo di Palazzo Sanvitale a Parma e i suoi disegni preparatori, in Parma per l’arte, XXIII (2017), in corso di stampa.