RUCELLAI, Orazio. –
Nacque da Luigi, affermato mercante fiorentino che operava prevalentemente sulla piazza di Roma, e da Dianora di Pandolfo Della Casa nel 1521.
Come nel caso del fratello Annibale, Orazio fu educato sotto la guida dello zio, monsignor Giovanni Della Casa, e con l’aiuto di personalità di grande spessore culturale, come Carlo Gualteruzzi e Girolamo Quirini. Intorno al 1530 era a Napoli e conobbe Torquato Tasso, che lo menzionò nel dialogo Gonzaga. Pare che negli anni Trenta il padre, ostile al regime mediceo instauratosi dopo la caduta della Repubblica fiorentina, lo avesse inviato in Francia. Nel 1547-48 era a Venezia, dove completò la sua formazione. Alla morte del padre, nel 1549, ne ereditò le attività finanziarie e mercantili a Roma e Firenze, ma continuò a operare sotto la tutela di Della Casa. In questa fase si mosse soprattutto tra Roma, Firenze e Venezia, città nella quale si trovava nel 1554.
Tendenzialmente ostile al principato di Cosimo I, lasciò l’Italia e, nel 1564, si trasferì in Francia. Qui fu accolto con favore dalla reggente Caterina de’ Medici, che manteneva a corte un consistente numero di fuoriusciti ed emigrati fiorentini, in particolare delle famiglie Gondi e Strozzi. Legatosi alle altre case mercantili toscane attive in Francia (Sardini, Bonvisi, Cenami, Diacceto), svolse per diversi anni il ruolo di consigliere finanziario di Caterina de’ Medici, ottenendo cospicue partecipazioni nella gestione degli appalti. Svolse inoltre, nel 1574, una missione diplomatica in Spagna e Portogallo, per conto della Corona francese.
Anche se non è – allo stato – possibile ricostruire con esattezza tutte le operazioni finanziarie a cui si dedicò, queste dovettero essere piuttosto consistenti. Oltre ad appaltare la gabella del sale e alcune privative, come quella dell’allume, finanziò la monarchia francese nella crisi di liquidità che si determinò a partire dagli anni Sessanta del Cinquecento, a causa delle guerre contro gli ugonotti, e nel corso degli anni Settanta assunse un ruolo finanziario preponderante. Nel 1571, in associazione con Scipione Sardini, fornì a tassi usurari a Carlo IX 1.200.000 livres in cambio di rendite dell’Hotel de Ville, una sorta di titoli del debito pubblico garantiti sulle rendite di Parigi. Nel 1576 fece da intermediario per un prestito di 40.000 scudi alla S. Sede.
Con il tempo, i suoi rapporti con la corte medicea migliorarono, tanto che, nel dicembre del 1578, sostenne l’ambasciatore Sinolfo Saracini, che aveva organizzato l’assassinio in Francia del fuoriuscito Bernardo Girolami. A evidenziare un buon rapporto con i Medici stanno pure le attività edilizie intraprese da Rucellai a Firenze tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del Cinquecento. Tra queste, la più significativa è la costruzione di un palazzo gentilizio nella zona del canto dei Tornaquinci, probabilmente su progetto di Bartolomeo Ammannati. Rucellai non abitò tuttavia molto il palazzo, preferendo vivere in Francia, e già negli anni Novanta del Cinquecento esso risulta affittato.
Nel 1579 sposò Camilla di Agnolo Guicciardini, che gli diede cinque figli maschi, di cui solo due, Ferdinando e l’abate Luigi, raggiunsero la maggiore età, e quattro femmine. Ciò portò, nella generazione successiva, all’estinzione di questo ramo della famiglia, con il matrimonio di Virginia, unica figlia di Rucellai ad avere eredi, con Giovanni Battista Ricasoli. Poco dopo il matrimonio, Orazio fece ritorno in Francia e affidò la cura dei suoi interessi fiorentini a Giovanni Pandolfini.
Nel corso degli anni Ottanta la sua posizione in Francia dovette farsi meno solida. La marea montante dell’antitalianismo ostacolò la sua attività finanziaria e creò grossi rischi per la sua stessa vita. Nel 1581 subì forti attacchi nel corso di una causa contro Luigi Gonzaga Nevers e dovette abbandonare l’appalto del sale. Continuò tuttavia a elargire grossi prestiti a Enrico III di Francia, ottenendo – nel 1584 e nel 1585 – in pegno alcuni gioielli della Corona. Nel 1587 i suoi crediti ammontavano a oltre 86.000 scudi, che non furono mai rimborsati. Solo nel 1607, quando era ormai morto, si addivenne a una transazione e la famiglia poté riavere 100.000 scudi dei 300.000 che vantava come credito.
Nel 1587, quando si aprì un’inchiesta sugli appalti, Rucellai lasciò la Francia e tornò in Italia, recando con sé una fortuna che i contemporanei descrissero come favolosa. Nel nuovo contesto politico apertosi a Firenze con la repentina morte di Francesco I e il passaggio del granducato a Ferdinando I, poté acquistare un ruolo di rilievo alla corte medicea, abbandonando le tradizioni repubblicane della sua famiglia, e assunse l’incarico di maggiordomo maggiore del granduca.
Ferdinando I decise di valersi dei talenti e dell’influenza di Rucellai in diverse delicate vicende politiche. Nel 1587-88 quest’ultimo avviò a risoluzione la spinosa questione della proprietà di palazzo Madama, a Roma, contesa tra Caterina de’ Medici e Ferdinando I, in senso favorevole agli interessi del granduca, che ricevette l’edificio in donazione dalla Corona francese.
Nel 1588 fu invece incaricato di recarsi in Francia per trattare il matrimonio tra Cristina di Lorena e Ferdinando de’ Medici. Il matrimonio costituiva in quella fase l’asse portante della politica medicea, non solo perché esistevano concreti rischi di un’estinzione della dinastia, ma anche perché Ferdinando intendeva utilizzare l’alleanza matrimoniale con una principessa dell’area francese per smarcarsi dal rapporto con la Spagna. Rucellai, che aveva gestito i primi contatti direttamente con Caterina de’ Medici, partì da Firenze nel settembre del 1588 con due compiti: condurre in porto le trattative matrimoniali e proporre al re di Francia di vendergli il marchesato di Saluzzo, un’area strategica del Piemonte che era passata alla Francia nel 1549. L’idea era quella di scomputare la dote dal prezzo di acquisto, che si proponeva di fissare in 8-900.000 scudi, ma la repentina invasione di Saluzzo da parte del duca di Savoia rendeva questa prospettiva piuttosto aleatoria. Giunto alla corte di Francia alla metà di ottobre del 1588, Rucellai riuscì a condurre in porto le faticose trattative per il matrimonio e ad avviare un dialogo con Enrico III di Francia per la cessione al granduca di qualche area della Francia meridionale. Poco prima del fidanzamento ufficiale e della partenza di Cristina di Lorena per la Francia, la situazione politica precipitò improvvisamente a seguito dell’assassinio, su mandato del re, dei capi del partito cattolico, il duca e il cardinale di Guisa. Nonostante la situazione di guerra civile, l’improvvisa morte – in gennaio – di Caterina de’ Medici e le difficoltà della Corona francese a onorare i suoi impegni finanziari con la Toscana, Rucellai riuscì a concludere le trattative e, il 25 febbraio 1589, lasciò la Francia insieme a Cristina di Lorena, nuova granduchessa di Toscana.
Dopo il 1589 visse prevalentemente a Roma, pur mantenendo una forte influenza nella corte medicea. In questa fase promosse la ristrutturazione del grande palazzo gentilizio in via del Corso che aveva acquistato nel 1583 dalla famiglia Jacobilli, incaricandone il suo architetto preferito, Bartolomeo Ammannati.
In particolare Rucellai fece accorpare secondo il gusto monumentale tardocinquecentesco diversi ambienti del preesistente palazzo, ne ampliò i volumi e fece realizzare da Jacopo Zucchi, pittore manierista allievo di Vasari, un grande ciclo decorativo dedicato a tematiche astrologiche e mitologiche nella galleria al piano nobile. Collocò inoltre nel palazzo un grande cavallo bronzeo, destinato a un monumento celebrativo di Enrico II che Caterina de’ Medici aveva commissionato nel 1560 a Daniele da Volterra e che non era stato terminato. Nel palazzo risiedettero, in affitto o come ospiti, diverse importanti personalità dell’epoca, come il cardinale Giovan Vincenzo Gonzaga, il duca Mario Sforza di Santa Fiora e il cardinale e diplomatico francese Jacques Davy Du Perron.
L’elezione al papato di Clemente VIII (1592) rafforzò ulteriormente la posizione di Rucellai. Il nuovo pontefice apparteneva infatti alla famiglia Aldobrandini, altro casato di fuoriusciti antimedicei e, come lo stesso Clemente VIII chiarì al rappresentante francese, il cardinale Arnaud d’Ossat (Lettres, a cura di A. de La Houssaye, 1708), considerava Rucellai «amico della sua casata» (I, p. 491).
Rucellai partecipò poi alle trattative per la riappacificazione tra Enrico IV di Francia e la S. Sede, tra il 1593 e il 1596, e per lo scioglimento del matrimonio tra lo stesso Enrico IV e Margherita di Valois. In questo frangente, egli assunse una posizione fortemente critica rispetto all’azione del legato pontificio, il cardinale Alessandro de’ Medici, accusato di eccessiva lentezza e condiscendenza nel rapporto con il sovrano francese. Anche sul piano finanziario ebbe un ruolo importante durante tutto il pontificato di Clemente VIII. Fu, tra l’altro, membro di una congregazione speciale creata nel 1594 allo scopo di reperire risorse per la guerra contro gli ottomani.
In età avanzata promosse la costruzione di una cappella gentilizia nella chiesa romana di S. Andrea della Valle, il cui cantiere era stato avviato dai teatini nel 1591. La cappella fu conclusa nel 1603, su disegno di Matteo Castelli e con decorazioni di Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio. Rucellai vi edificò, vivente, la propria tomba e vi fece trasferire quella di Giovanni Della Casa.
Morì a Roma nel settembre del 1605.
Fonti e Bibl.: A. d’Ossat, Lettres, a cura di A. de La Houssaye, I, Amsterdam 1708, pp. 491 s.; Negociations diplomatiques de la France avec la Toscane, a cura di L. Canestrini - A. Desjardins, IV, Paris 1872, pp. 873-885, V, 1875, pp. 32, 210, 325; Lettres de Catherine de Médicis, V, 1574-1577, a cura di H. De la Ferrière, Paris 1895, pp. 218, 235; Correspondance du nonce en France Anselmo Dandino, 1578-1581, a cura di I. Cloulas, Rome 1970, ad ind.; G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti, II, a cura di J. Hess - H. Rottge, Città del Vaticano 1975, pp. 274 s., 359; Correspondance du nonce en France Fabio Mirto Frangipani (1568-1572 et 1586-1587), a cura di A. Lynn Martin, Rome 1984, pp. 13, 137, 160.
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