RIMINALDI, Orazio
Pittore, nato a Pisa nel 1580, morto ivi di pestilenza il 10 dicembre 1630. Ebbe una prima educazione pittorica a Pisa presso Ranieri Alberghetti, modestissimo pittore locale, e la sviluppò in seguito presso Aurelio Lomi. A Roma, dove si recò giovanissimo, guardò dapprima al Domenichino, tanto da far dire che apparve nato per emularlo", e "che si rese grande sul far carraccesco ne' contorni e ne' panni". Ma non è sotto questo aspetto che conosciamo il R., nelle rarissime opere certe che di lui ci rimangono. La sua vera educazione artistica la compì a Roma, ma proseguendo gli nsegnamenti del Lomi sulla caravaggesca dei Gentileschi e di Bartolomeo Manfredi.
A Roma si acquistò una rapida rinomanza dipingendo storie sacre e alcune grandi tele con le storie di Argo, di Angelica e Medoro, di Orfeo ed Euridice, ecc. Quivi compì anche altre opere, egualmente disperse; uno stendardo per Assisi, una storia di San Eugenio inviata a Parigi, il Martirio di tre santi per Avignone, ecc.
In questi anni il R. ebbe anche l'incarico di decorare la cappella di S. Gennaro di Napoli, e una chiamata alla corte di Francia. Ma invece, circa il 1625, ritornò a Pisa dove rimase fino alla morte, dipingendo grandi tele per le chiese, tutte perdute, e altre minori per privati.
Nella scarsa produzione pittorica rimasta del R. che ci rimane alcune opere meglio significative permettono di considerarlo non solo come il più grande pittore pisano del Seicento, dopo il Gentileschi, ma anche come un personale e forte interprete del caravaggismo in Toscana: il Martirio di S. CecuM, di recente restituito dalla gaileria Pitti a S. Caterina di Pisa, tanto vicino nelle forme lisce e raffinate al Gentileschi (specialmente nella figura della santa; molto scurita dal tempo, come altre opere del R.); l'Amore artefice, di Pitti, la cui figura audacemente squadernata e mossa non è determinata soltanto dalla luce caravaggesca, ma si compiace anche di un certo riberismo pittorico, per un vibrante studio del particolare; il forte autoritratto degli Uffizî, ben impostato di sghembo e ardito nell'espressione, che ricorda stranamente, per il lume artificiale, alcune opere del lucchese Paolini e l'ultima sua opera, la decorazione della cupola del duomo di Pisa (1627-1630), figurante l'Assunzione della Vergine, grandiosa nella composizione e vivace nel colore succoso, sebbene presenti maggiore speditezza il suo bozzetto del Museo civico di Pisa.
Il fratello di Orazio, Gerolamo R., fu anch'egli pittore, sebbene mediocrissimo. Di lui non si sa altro che dimorò in Roma dopo il 1633, e che diede compimento alla decorazione della cupola del duomo di Pisa (in alcune figure secondarie e nei fregi) negli anni 1631-1632.
Bibl.: F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno, IV, Firenze 1846, pagine 576-78; L. Lanzi, Storia pittorica d'It., I, Bassano 1809, p. 257; A. Da Morrona, Pisa illustrata nelle arti del disegno, Livorno 1812, I, pag. 266; II, pp. 444, 513; L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte da documenti, Pisa 1897, pagine 406 e seg.; Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVIII, Lipsia 1934.