NAVAZZOTTI, Orazio
NAVAZZOTTI, Orazio. – Nacque da Guglielmo a Casale Monferrato o a Villanova Monferrato, tra il 1560 e il 1564; l’incertezza deriva dal fatto che esistono due atti di morte, avvenuta il 9 marzo 1624, il primo dei quali lo dichiara sessantenne (Casale Monferrato, Parrocchia di S. Ilario, Libro dei morti), il secondo sessantaquatrenne (Ibid., Cattedrale, Liber Sacrestiae et defunctorum; entrambi i documenti in Horatio Navazzotti..., 2004, p. XXIV).
Non si hanno notizie precise sulla formazione, che dovette essere affine a quella dell’aristocrazia di Casale Monferrato, di norma indirizzata all’Università di Pavia per completare gli studi. Si mostrò presto a suo agio nella vita letteraria casalese, sicuramente anche grazie al contatto con Stefano Guazzo, che nel 1587 gli indirizzò due lettere, nelle quali si poneva nei suoi confronti nelle vesti di maestro. Il 18 marzo lo consolò della morte del padre (Guazzo, 1590, p. 181) e nel novembre gli fece alcune osservazioni su di una canzone inviatagli da Navazzotti, incoraggiandolo a scrivere versi e a discuterne anche con Annibale Magnocavalli, membro dell’Accademia degli Illustrati (ibid., p. 276). È probabile che con la protezione di Guazzo, per lungo tempo animatore della vita culturale casalese, Navazzotti sia stato ammesso in questa Accademia, risorta nel 1561 e molto attiva dopo la presa del potere da parte di Vincenzo I Gonzaga (1587), interessato a creare un clima di maggiore serenità nel Monferrato, dopo la ruvida gestione di Guglielmo Gonzaga.
A Guazzo si deve un primo ritratto biografico di Navazzotti, nell’antologia La Ghirlanda della contessa Angela Bianca Beccaria (Genova, G. Bartoli, 1595), allestita tra il 1591 e il 1593. Commentando un madrigale di Navazzotti dedicato alla nobildonna, lo celebra come giovane poeta di grande avvenire, noto non solo a Casale, ma anche a Pavia, dato che «si trasferisce spesso alla riva del Tesino, ove con somma lode se ne viene a presentare, quasi gemme indiane, molti suoi leggiadri componimenti all’Accademia de’ Desiosi, nella quale è stato degnamente ricevuto» (p. 267).
Agli anni precedenti risalivano infatti le prime due opere di Navazzotti edite a stampa, l’Idralea (Torino, Er. N. Bevilacqua, 1585) e le Cento donne di Casale Monferrato (Pavia, G. Bartoli, 1591).
La favola, come recita il sottotitolo, dell’Idralea è articolata in tre canti in ottava rima e celebra le virtù delle acque termali di Acqui, generate dalla trasformazione della giovane cacciatrice Idralea in fonte, dapprima velenosa, per la punizione inflittale da Plutone, poiché la giovane aveva ucciso un serpente caro al dio, poi resa benefica per l’intervento di Proserpina e, soprattutto, per il pianto del pastore Merio, che alla notizia della morte della giovane di cui era innamorato si trasforma in un corso d’acqua che va a fondersi con la fonte. L’operetta, nella quale Navazzotti esibisce memorie classiche (Ovidio su tutti) e volgari, specie il Boccaccio del Ninfale fiesolano, ha anche un evidente fine encomiastico, come testimoniano le lodi, presenti nel canto terzo, di Guido Avellani, giureconsulto originario di Acqui, presidente del Senato del Monferrato, e del vescovo di Acqui, Pietro Fauno di Costachiara.
Tutta interna al mondo dell’aristocrazia casalese e delle accademie – in questo caso quella dei Desiosi – è la raccolta di 41 sonetti e 59 madrigali Lecento donne di Casale in Monferrato, dedicata a Laura Gonzaga Martinengo. Composta, come dichiara l’Avviso a chi legge, a imitazione della formula inaugurata con le Cento donne cantate di Muzio Manfredi (Parma, S. Viotti, 1580), con il quale Navazzotti intreccia uno scambio di sonetti editi in appendice, l’opera avrebbe dovuto essere seguita, stando a quanto si legge ancora nell’Avviso, da un libro di Cento madrigali, per dare spazio alle donne escluse dalla prima raccolta. Il libro è da leggere anche in chiave socio-politica, poiché celebra, per via lirica, i fasti di una aristocrazia e di un milieu culturale bisognoso di una legittimazione, nell’obbligato bifrontismo cui erano destinati tra la corte torinese e quella gonzagesco-mantovana. Sul piano letterario, la raccolta mostra uno stile scaltrito, palesando una certa eterogeneità tematica, all’interno della quale Navazzotti accosta a scelte canoniche – a esempio i frequenti giochi sull’interpretatio nominis – la propensione verso soluzioni di gusto manierista, evidente soprattutto nella misura più congeniale del madrigale. A completare il volume sono posti sonetti di sodali casalesi (Berardino Grossi, Carlo Natta, Girolamo Rasi, Ottavio Magnocavalli, Prospero Cataneo e Traiano Guiscardi).
Ricoprì probabilmente cariche nell’amministrazione di Casale, ma non ci sono dati sicuri in merito. Ebbe relazioni strette con Camillo Castiglione, governatore generale del Monferrato dal 1582 fino alla morte, nel 1598. Il 22 aprile 1589 inviò una lettera al figlio di Camillo, Baldassarre, per manifestare il suo rammarico per la recente partenza dei due da Casale, allegando due sonetti, editi nelle Rime di diversi illustri poeti curata da Girolamo Borgogni (Venezia, Compagnia minima, 1599). Ulteriore documento è una lettera dell’ottobre 1591 in cui Antonio Beffa Negrini, che dichiara di averlo conosciuto per tramite di Camillo Castiglione, lo loda per le Le cento donne e per la menzione che si fa di lui nelle Lettere di Guazzo. Con Beffa Negrini diede avvio dai primi anni Novanta a un fitto carteggio in vista della pubblicazione degli Elogi della famiglia Castiglione; Camillo si propose a Beffa Negrini come promotore e finanziatore della stampa dell’opera, da eseguirsi a Trino o a Casale, e poi allestì un vero e proprio comitato di redazione, di cui fecero parte Annibale Magnocavalli e Navazzotti in veste di autori e revisori.
Il lavoro si protrasse per qualche anno e giunse, sia pure solo allo stadio di prova, alla stampa. Alcuni fogli «stampati in Casale» furono mostrati da Beffa Negrini ad Angelo Grillo, pure chiamato a collaborare all’impresa (Grillo, 1613, p. 446). L’operazione poi non si concluse per la morte del suo ispiratore, Camillo Castiglione (Navazzotti ne dà notizia a Beffa Negrini per lettera il 14 gennaio 1598). Gli Elogi historici di alcuni personaggi della famiglia Castigliona andarono a stampa, a nome di Beffa Negrini, a Mantova per i tipi di Franceco Osanna, solamente nel 1606, dopo la morte dell’autore (1602). Alla famiglia Castiglione Navazzotti dedicò anche componimenti occasionali, come la Canzone... fatta nel parto dell’illustrissima signora contessa Girolama Salvago-Castiglione (Casale, B. Grasso, 1596, oggi apparentemente perduta), con la quale si celebrava la nascita di Francesco, figlio di Baldassarre, futuro marchese di Conzano.
Tra l’estate del 1595 e l’inverno successivo risale, stando al carteggio intercorso con Beffa Negrini, un tentativo da parte di Navazzotti di essere accolto nell’Accademia parmense degli Innominati tramite l’amico. Dalla medesima fonte si ha inoltre notizia di una serie di problemi legali che coinvolsero Navazzotti verso il 1595 e che probabilmente si protrassero nel tempo, se ancora nel 1617 i documenti del Senato di Monferrato registrano una lite in corso con tale Sebastiano Albertello.
Il 28 dicembre 1598 fu chiamato a Rocca Vignola per un «commissariato» affidatogli «dal magistrato della sanità» (Arch. di Stato di Mantova, Castiglione, cass. 3, c. 317r). Il 25 novembre 1599 sposò Vittoria Pillosio. Nel 1606 diede alle stampe, ad Asti, la canzone Alla Serenissima Repubblica di Venezia (riedita l’anno successivo a Bologna e a Milano), sporadico intervento civile in occasione della questione dell’Interdetto inflitto a Venezia, a sostegno della posizione pontificia. Opera più ambiziosa furono i Gioimenti boscherecci (Torino, A. Disserolio, 1608), volume composto per celebrare il matrimonio tra Francesco Gonzaga e Margherita di Savoia, un evento di strategica importanza nella partita tra le due famiglie per il dominio del Monferrino, salutato da Navazzotti con una articolata coreografia di testi pastorali (l’edizione è completata da un sonetto ad Amedeo Dal Pozzo, colonnello delle milizie dei Savoia, cui è indirizzata anche la prefatoria, e da un sonetto di Antonio Collecchi all’autore). Il volume offre anche qualche indizio sugli uffici che Navazzotti svolgeva in quegli anni per conto dei Gonzaga: nella prefatoria accenna agli interessi scientifici cui da qualche tempo si era applicato (nel sonetto proemiale afferma di essere stato «tolto a le cure d’Archimede» per celebrare degnamente le nozze), attirandosi l’invidia, per ragioni non chiare, dei cortigiani del Gonzaga. Tali interessi sono attestati dal rapporto intrecciato con l’ingegnere dei Gonzaga Gabriele Bertazzoli, noto per le sue opere idrauliche, così come pure in qualità di allestitore di macchine sceniche per le feste gonzaghesche. A lui Navazzotti inviò un resoconto dei festeggiamenti tenutisi a Casale Monferrato nell’estate del 1612 per l’elezione dell’imperatore Mattia d’Asburgo, uno dei pochi testi in prosa di Navazzotti andato a stampa (Casale, P. Goffi, 1612), dal quale sembra possibile dedurre che egli fosse organizzatore e regista della cerimonia. Per celebrare le realizzazioni sceniche e ingegneristiche di Bertazzoli compose alcuni sonetti, uno inserito nella Breve descrittione della battaglia navale... fatti il dì 31 maggio 1608 sul lago di Mantova... (Mantova, Er. Osanna, 1608), e un altro allegato al Discorso del sig. Gabriele Bertazzolo, sopra il nuovo sostegno, che a sua proposta si fa appresso la chiusa di Governolo (ibid. 1609). Una brusca interruzione dell’attività letteraria di Navazzotti fu segnata dalla morte di Francesco Gonzaga nel 1612, che diede il via a una serie di crescenti ostilità tra Savoia e Gonzaga per la successione del Monferrato, culminate in un aperto conflitto.
Poco si conosce dei suoi ultimi anni di vita. Morì a Casale Monferrato il 9 marzo 1624 e fu sepolto nell’abbazia di S. Maurizio di Conzano.
La quasi totalità delle opere di Navazzotti andate a stampa sono riproposte in Horatio Navazzotti poeta (1560/64-1624), a cura di D. Maestri, Villanova Monferrato 2004; edizione anastatica de Le cento donne, a cura di I. Grignolio, Casale Monferrato 1985. Si segnalano inoltre tre sonetti indirizzati a Federico Borromeo, uno nel ms. G.264 inf., c. 358r, gli altri due nel ms. H.41 inf., cc. 92r-94r della Biblioteca Ambrosiana di Milano. Il carteggio con Beffa Negrini e con i conti Castiglione si trova presso l’Archivio di Stato di Mantova, Castiglione, cass. 3 e 4, ad nomen.
Fonti e Bibl.: S. Guazzo, Lettere..., Venezia 1590, pp. 181, 276; A. Grillo, Lettere, Venezia 1613, p. 446; T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, I, Torino, 1841, pp. 179s.; F. Valerani, Le accademie di Casale, in Rivista di storia, arte ed archeologia della provincia di Alessandria, XXXI (1908), pp. 378, 380, 542-547; A. Blythe Raviola, Il Monferrato gonzaghesco. Istituzioni ed élites di un micro-stato (1536-1708), Firenze 2003, p. 362; Id., Servitori bifronti. La nobiltà del Monferrato fra Casale, Mantova e Torino, in L’affermarsi della corte sabauda. Dinastie, poteri, élites in Piemonte e Savoia fra Tardo Medioevo e prima età moderna, a cura di P. Bianchi - L.C. Gentile, Torino 2006, pp. 489, 492. Franco Tomasi
NAVÒ, Curzio Troiano. – Nacque a Venezia da Troiano di Giovanni Maria; il nome della madre è ignoto. Sconosciuta è anche la data di nascita, mentre il luogo si ricava dall’epistola dedicatoria ad Alvise Zorzi, a firma dello stesso Navò, che precede l’edizione dei Capitoli di Pietro Aretino (Venezia, C.T. Navò, 1540). Inoltre, un privilegio di stampa del 17 dicembre 1558 lo definisce «mercante da libri venitiano» (Brown, n. 387).
La famiglia era originaria di Navono nel Bresciano: il toponimo, per troncamento, avrebbe dato origine al cognome (Marciani, 1971, p. 50).
Troiano, la cui attività nella gestione della tipografia familiare è inestricabilmente connessa con quella di Curzio Troiano e degli altri due figli Scipione e Fabio Lelio, risulta attivo a Venezia come libraio già verso la fine del terzo decennio del XVI secolo, quando sottoscrisse come testimone due atti notarili datati 14 gennaio e 16 aprile 1528 (more veneto 1529). Dieci anni dopo, il 30 aprile 1538, il nobile Alvise Venier nella sua condizione di decima dichiarò che in una sua casa sita nella parrocchia di S. Maria Formosa, nel solaio, «maestro Troian librer paga de fito ducati 9» (Arch. di Stato di Venezia, Dieci Savi, b. 94, n. 221). A quella data era già operante anche la bottega «al segno del Leone», sita nelle Mercerie, al ponte dei Bareteri, nella parrocchia di S. Salvador, gestita direttamente da «Curzio e fratelli», i quali sin dall’anno precedente risultano impegnati nella pubblicazione di raccolte di versi e di commedie.
Quali fossero i rapporti professionali tra i membri della famiglia non è stato chiarito. Non è dato sapere, per esempio, a chi spettassero le scelte editoriali o quali ruoli svolgessero precisamente Scipione e Fabio Lelio, il cui nome risulta solo in alcune stampe del 1537: il Dialogo contra i poeti, i Sonetti in diversi sugetti et a diverse persone scritti e la Caccia di amore, tutte opere di Francesco Berni, pubblicate le prime due a Ferrara «per Scipion et fratelli» e la terza a Roma «per Fabio romano», in cui si è voluto identificare Fabio Lelio. Si può azzardare una sorta di supremazia di Curzio Troiano, il quale da solo o con la dicitura «e fratelli» firmò tutte le edizioni prodotte e al quale vennero indirizzati quasi tutti i privilegi di stampa, mentre il padre sembra agisse in modo più defilato, anche se rilevante.
I motivi di questa doppia gestione, ufficiale quella di Curzio Troiano, non apparente quella di Troiano, potrebbero essere ricercati in una certa spregiudicatezza di quest’ultimo nello svolgere la professione, che trova conferma in una serie di testimonianze e di processi che subì nel corso degli anni. Comparve più volte dinanzi alla magistratura degli Esecutori contro la bestemmia e subì anche il carcere. In particolare, fu processato nel settembre 1546 per aver stampato i sonetti di Berni e nel settembre 1552 per aver pubblicato, in collaborazione con Giovita Rapicio, il Tractatus astrologicus di Luca Gaurico senza licenza e con l’aggravante di avere dato la falsa notizia nel frontespizio della concessione di un privilegio. Più grave fu la testimonianza rilasciata da Antonio Ceruti a Roma dinanzi al tribunale dell’Inquisizione, durante il processo a Niccolò Franco, il 13 gennaio 1570, secondo la quale alla fine degli anni Quaranta Troiano avrebbe stampato a Venezia libri luterani e li avrebbe trasportati e distribuiti a Mantova. A parte gli atti di processi, a ribadire la mancanza di scrupoli di Troiano interviene la notizia che Antonfrancesco Doni si era proposto di scrivere una satirica Vita di Troiano di Navo stampatore per vendicarsi del fatto che aveva dato alle stampe un’edizione delle Canace di Sperone Speroni, scorretta e non autorizzata dall’autore, con le false note tipografiche «Firenze, per Anton Francesco Doni, 1546». Dello scritto non si hanno però notizie. Neppure Curzio Troiano, peraltro, brillò per onestà e rettitudine, visto che, almeno nel 1536, risulta svolgesse attività spionistica, con tanto di messaggi in cifra, a favore di un non meglio identificato cardinale della Curia romana (Marciani, 1971, p. 54).
Ufficialmente la bottega fu gestita da Curzio Troiano insieme con i fratelli, che sottoscrissero tutte le edizioni, tra il 1537 e il 1542. Dall’anno successivo e sino al 1566, la ragione sociale cambiò e sui frontespizi comparve la sottoscrizione a firma del solo Curzio Troiano. Il perché di questa modifica rimane oscuro. Quel che sappiamo è che alla data del 1540 Fabio Lelio era deceduto, mentre di Scipione non si hanno ulteriori notizie. La presenza di Troiano nell’azienda restò intatta negli anni. Il 22 marzo 1540 il Senato gli concesse il privilegio «de stampare libri di musica in quel modo et forma nova ch’esso ha ritrovato» (Brown, n. 131), una vera e propria privativa, della quale peraltro non è attestato che i Navò si siano serviti. Il 22 agosto 1558 Troiano risulta dirigere, o almeno collaborare alla gestione della bottega «al segno della Prudenza» – di cui il titolare Giovanni Bariletto aveva sposato in seconde nozze una sua figlia – e in parecchi documenti datati al quinquennio 1558-63 è definito «libraro alla Prudentia»; tuttavia, in un atto notarile del 6 settembre 1561 è nuovamente citato come libraio all’insegna «del Lion», quasi portasse avanti contemporaneamente la gestione di due differenti botteghe. È possibile che ciò fosse una conseguenza del trasferimento di Curzio Troiano a Ragusa, secondo la ricostruzione di Marciani (1971) avvenuto a partire dal 1559 ma che potrebbe risalire già all’anno precedente, dal momento che nei privilegi del Senato veneziano a lui concessi a partire dal 17 dicembre 1558 non è più definito libraio, bensì «mercante da libri».
Nella città dalmata Curzio Troiano si dedicò al commercio librario, prese moglie e risiedette stabilmente, diradando le sue andate a Venezia; non interruppe del tutto l’attività editoriale, che però risulta sempre più marginale rispetto a quella commerciale. A Ragusa è citato in documenti del biennio 1559-60, allorché risulta in rapporto d’affari con l’anconetano Ciriaco Gualteruccio per alcune compravendite di libri; in documenti del 1581 per una procura ricevuta dal veneziano Maffeo Taddei per la riscossione di alcuni suoi crediti e ancora nel 1583 e 1584 per una controversia legata alla vendita di un terreno con abitazione di sua proprietà, a Gravosa, nei pressi della città.
A Venezia, intanto, Troiano continuava a svolgere la professione quasi nell’anonimato, senza momenti degni di nota, se si fa eccezione per la sua elezione nell’organo esecutivo della neonata Arte de’ libreri, stampadori e ligadori il 1° aprile 1571, segno di una riconosciuta autorità in ambiente professionale. L’11 giugno 1567 diede procura a Curzio Troiano per il recupero delle spese sostenute per le migliorie alla casa e bottega affittategli da Marco Antonio Giustinian. Nel 1578, dopo la morte del genero Bariletto, si trovò a dover tutelare gli interessi della figlia rimasta vedova e intimò al libraio Marco Desiderati di prelevare una partita di libri in serbo lasciati per lui da Curzio Troiano.
Per la stampa delle loro proposte editoriali i Navò si servirono anche dei torchi di altre tipografie, tra le quali si distinguono quelle di Venturino Ruffinelli (1538-40, 1543-45), Francesco Bindoni e Maffeo Pasini (1541), Giovanni Farri (1542-43), Giovanni Padovano (1550), Bartolomeo Cesano (1552), Comin da Trino (1559, 1561).
Tra gli anni 1537 e 1542 Curzio Troiano e fratelli sottoscrissero almeno 24 edizioni, quasi tutte omogenee nella forma e nei contenuti. Tra esse spiccano le raccolte di poeti burleschi (Berni, Giovanni Della Casa, Francesco Maria Molza, Giovanni Mauro d’Arcano) e quelle di autori contemporanei di fama, come Pietro Aretino, Dolce, Baldassarre Castiglione, Alessandro Piccolomini. Solo due le opere classiche: la VitadeidodiciCesari di Svetonio (1539) e il Delleguerrecivili deRomani di Appiano (frontespizio 1542, colophon 1543); significative un’edizione del Decamerone (1541), il Deoccultaphilosophia di Enrico Agrippa von Nettesheim (1541) e il Delapirotechnia del senese Vannuccio Biringucci (1540), il primo trattato di metallurgia pubblicato al mondo, uscito postumo a cura del ragusano Mario Caboga.
Tra il 1542 e il 1566, con la sottoscrizione del solo CurzioTroiano, uscirono almeno 37 titoli. Inizialmente, tra il 1542 e il 1546, si nota una certa varietà di contenuti. Il Dialogo piacevole di Dolce (1542) si apre con una epistola dedicatoria di Curzio Troiano, nella quale dichiara apertamente di avere eseguito la pubblicazione senza l’autorizzazione dell’autore; per il Dioscoridefattodigreco italiano di Sebastiano Fausto da Longiano (1542) ottenne dal Senato il privilegio ventennale, unitamente a quello per la traduzione di Tucidide, che però non fu mai stampata. Sempre di Fausto sono nel 1542 i trattati della Meteorologia e Degl’auguriiedele soperstitionidegl’antichi e nella sua traduzione fu pubblicata la Sfortiade fatta italiana di Giovanni Simonetta (1543, colophon 1544). Fra i testi editi si segnalano poi la Vita et gesti d’Ezzelino terzo da Romano di Pietro Gerardo (1543 e 1544), Le historie venetiane di Marco Antonio Sabellico (1544), il Dialogo dintorno alle partitioni oratorie di Cicerone (1545), Le bellissime e sententiose lettere di Falari (1545), la Retorica di Aristotele curata da Antonio Brucioli (1545), il Modo del sovenire a poveri (1545), prima edizione in lingua italiana, in odore di luteranesimo, dell’operetta dello spagnolo Ludovico Vives. Databile al 1542 è il primo libro delle Letere de diversi eccellentissimi signori a diversi huomini scritte, privo di note tipografiche, uno dei primi esempi di questo genere letterario. L’edizione, considerata frutto di attività piratesca da Trovato (1991, p. 213), è importante anche perché contiene, oltre all’epistola dedicatoria firmata da Curzio Troiano, anche due lettere del fratello Fabio Lelio allo stesso Curzio (cc. 82v-85v).
A partire dal 1549, nella produzione dei Navò sopravviene un orientamento più selezionato e qualificato. Pubblicarono in tre diverse occasioni il trattato Della geomantia (1549, 1552, 1556) di Pietro d’Abano (messo all’Indice a Roma nel 1559), fecero ristampare la Pirotechnia del Biringucci (1550, 1558) e stampare alcune opere del giurista Paolo di Castro (1550), il De occulta philosophia (1551) di Agrippa, il trattato di balistica di Niccolò Tartaglia La nova scientia (1551 e 1562); per i torchi di Bartolomeo Cesano editarono il Tractatus astrologicus di Luca Gaurico (1552), che costò a Troiano la condanna. Dal 1556 al 1566 diedero alle stampe, con le sole eccezioni della riedizione della Pirotechnia e del In mechanices quaestionaes Aristotetelis di Alessandro Piccolomini (1565), solo scritti di Tartaglia, che era molto legato a Troiano (il 10 dicembre 1557 lo nominò suo esecutore testamentario ed erede di parte dei suoi libri). Tra il 1556 e il 1560 fecero stampare da Comin da Trino l’editioprinceps, in folio, con il ritratto dell’autore, dell’ opera fondamentale del matematico bresciano: Laprima [- sesta] partedelgeneral trattatodinumerietmisure. Sempre di Tartaglia pubblicarono nel 1562 la Regolageneraledisolevareognifondatanaveetnavilii e i Quesitiet inventionidiverse, che contiene una copiosa raccolta di quesiti proposti da diversi matematici all’autore e da questi risolti. Nell’opera Troiano Navò figura come interlocutore in tutto il libro V, il che potrebbe far supporre una sua competenza in campo matematico e topografico. Nel 1565, infine, curati da Tartaglia, uscirono L’Opusculumdeponderositate del matematico tedesco del XIII secolo Jordanus Nemorarius, il Deinsidentibusaquae di Archimede e l’Euclidemegarensephilosopho.
Non si ha una data certa circa la morte di Troiano, anteriore però al gennaio 1583 (more veneto 1584), quando per ben quattro volte nei registri dell’Arte sono nominati gli «heredi di Troyan Navo». Probabilmente a non molto dopo risale anche la morte di Curzio Troiano – non sappiamo se avvenuta a Venezia o a Ragusa – poiché dal 1585 al 1586 uscirono edizioni sottoscritte «Eredi di Troiano Navò» e dal 1591 «Sub signum leonis», che indicano un cambiamento della ragione sociale.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, bb. 217, n. 51; 218, n. 292; Atti, bb. 425, I, cc. 357r-359r; II, c. 212v, 244v-245r, 265r-266v; 3254, c. 92r; 5579, c. 44r; 377, c. 255r; 441, cc. 275v-276r; Dieci Savi sopra le decime a Rialto, b. 94, n. 221; Senato Terra, reg. 31, c. 13r; Esecutori contro la bestemmia, b. 56, I, c. 52r, 64r, 128r; Quattro ministri, Stride e clamori, reg. 138, c. 8v; Sant‘Uffizio, b. 156, f. Libri proibiti. Massime. Cataloghi 1545-1571, c. n.n.; Arti, b. 163, I, c. 36r, 37r, 38v, 41r; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Marc. it., cl. VII 2500-2502 (= 12077-12079): H.F. Brown, Privilegi veneziani per la stampa concessi dal 1527 al 1597, nn. 131, 134, 150, 163, 387, 393, 408 s., 417, 435, 727; Biblioteca del Civico Museo Correr, Cicogna,3044: Capitoli dell’Università delli stampatori, et librai, c. 16r; G. Fontanini, Bibliotecadell’eloquenzaitaliana...conle annotazionidelsignorApostoloZeno, I, Venezia 1773, pp. 468 s.; E.A. Cicogna, Delleinscrizioniveneziane, IV, Venezia 1834, pp. 82, 643; E. Pastorello, Tipografi, editori, librai a Venezia nel secolo XVI, Firenze 1924, pp. 56 s.; E. Chiorboli, Stampatoriignotieignorate edizionidelCinquecento,in LaBibliofilia, XXXVI (1934), pp.193-199; A. Mercati, IcostitutidiNiccolòFranco(1568-1570)dinanzi l’InquisizionediRoma,esistentinell’ArchiviosegretoVaticano, Città del Vaticano 1955, pp. 29, 168, 172; C. Marciani, TroianoNavòdi BresciaesuofiglioCurziolibrai-editoridelsecolo XVI, in La Bibliofilia, LXXIII (1971), pp. 49-60; E. Vaccaro, Le marche dei tipografi ed editori italiani del secolo XVI nella Biblioteca Angelica di Roma, Firenze 1983, pp. 307-309; G. Zappella, Le marche dei tipografi e degli editori italiani del Cinquecento, Milano 1986, I, p. 227; II, fig. 781-787; C. Di Filippo Bareggi, Ilmestierediscrivere, Roma 1988, pp. 248, 284, 289; F. Ascarelli - M. Menato, La tipografia del ’500 in Italia, Firenze 1989, pp. 371, 437; J.M. De Bujanda, Index de Rome 1557, 1559, 1564, Sherbrooke 1990, pp. 272, 281, 285, 299; P. Trovato, Conognidiligenza corretto.Lastampaelerevisionieditorialideitesti letterari italiani(1470-1570), Bologna 1991, pp. 69 s., 97 s., 210, 213-216, 219, 236; G. Nova, Stampatori, librai ed editori bresciani in Italia nel Cinquecento, Brescia 2000, p. 149.