orare
Voce dotta che si riscontra solo nella Commedia. Presenta tuttavia una certa varietà di significati e di costrutti. Scarsa la frequenza della corrispondente parola latina nelle opere latine.
In If XIX 114 che altro è da voi a l'idolatre, / se non ch'elli uno, e voi ne orate cento?, o. vale " adorare ", significato insolito, a dir vero, ma che aveva nel Medioevo il latino orare (v. Du Cange). Appunto per questo il Petrocchi (Introduzione 180-181) ritiene accettabile la forma n'aorate (per la caduta della d pretonica, come in ‛ adombrare ').
All'uso classico, invece, risale Pg XI 26 Così a sé e noi buona ramogna / quell'ombre orando, andavan sotto 'l pondo. O., infatti, costruito qui transitivamente, ha valore di " chiedere " e ricorda in modo particolare il virgiliano ‛ orare pacem ' (Aen. X 80, XI 110-111, 414), continuato, del resto, da D. stesso in Ep V 1 Dantes... orat pacem, e XIII 1 Dantes... vitam orat per tempora diuturna felicem. E allo stile virgiliano fa capo anche Pd XXXI 91 Cosi orai. Difatti questa formula conclusiva, sia per la sua collocazione all'inizio del verso, sia per la sua funzione logica e sintattica, ricalca palesemente il ‛ talibus orabat ' di Aen. IV 437, VI 124, X 96.
Nelle altre tre occorrenze o. ha il significato tecnico-religioso di " pregare " e riflette pertanto il latino ecclesiastico orare, comune a tutta la tradizione cristiana. Da notare che D., il quale nella Commedia adopera generalmente il popolare ‛ pregare ', ha avuto, nei tre passi in discorso, motivi speciali per preferire la forma latineggiante. Infatti, in Pg XIII 50 udia gridar: ‛ Maria, òra per noi ', l'invocazione degl'invidiosi è il ricalco letterale del latino " ora pro nobis ", abituale nell'uso liturgico. La visione, poi, del martirio di Stefano, il quale de li occhi facea sempre al ciel porte, / orando a l'alto Sire, in tanta guerra, / che perdonasse a' suoi persecutori (Pg XV 112), dipende, come le altre due visioni che la precedono nel testo, da una fonte latina (cfr. Act. Ap. 7). La costruzione di o. con la preposizione ‛ a ', piuttosto rara nella lingua antica, è del latino ecclesiastico e medievale, e ne fa fede D. stesso in Mn II III 16 si verum est testimonium nostri Poetae in ultimo, ubi Turnum victum introducit orantem suppliciter ad Aeneam (cfr. anche If IV 38 non adorar debitamente a Dio). Infine, in Pd XXXII 147 orando grazia conven che s'impetri, il dotto o. si confà meglio tanto alla solennità della scena come alla figura ieratica di Bernardo, e corrisponde stilisticamente ai due sostantivi orator (XXXIII 41) e orazione (XXXII 151).