ORANTE
Il termine designa una figura, maschile o femminile, solitamente in veduta frontale, con le braccia alzate all'altezza all'incirca delle spalle, in un gesto che si deve interpretare sicuramente come manifestazione della preghiera.
1. - La figura dell'o. è dapprima apparsa in tutta la sua evidenza nell'arte cristiana, e a lungo si è ritenuto che fosse simbolo esclusivamente cristiano, cui si sono date interpretazioni diverse (l'anima, Maria, Ecclesia). L'osservazione dell'esistenza di una figura non dissimile al di fuori della sfera dell'arte cristiana, non conduceva a uno studio comparativo sistematico sino a quello del Neuss, e all'altro, recentissimo, di Th. Klauser.
Separate alcune rappresentazioni più antiche che sono state erroneamente definite come "o.": il Fanciullo in preghiera dei Musei di Berlino, un bronzo del IV sec. a. C., che in realtà raffigura un giovanetto che alza con le due mani la fascia del vincitore, o l'altro bronzetto, sempre nei Musei di Berlino, del V sec. a. C., che rappresenta una giovinetta che doveva in origine sostenere qualcosa, con le sue braccia alzate, infine prescindendo da una figura nota in Etruria (bronzetto nel British Museum), con un o. ammantato di un tipo che non si ritroverà in seguito, risulta ora possibile seguire uno svolgimento abbastanza coerente, che ci porta dalla scultura ellenistica sino ai monumenti cristiani.
La cosiddetta Livia nella sala dei busti dei Musei Vaticani (n. ii), stante, velata, con il mantello che passa orizzontale dall'uno all'altro braccio, è un esempio del I sec. d. C. che ripete infatti un tipo creato nel IV sec. a. C., con la statua di Artemisia ad Alicarnasso. Accanto a questa figura di o. ammantata, nota in un'altra scultura del British Museum che si riferisce stilisticamente alla stessa cerchia del Mausoleo - e la notizia, di Plinio, che Euphranor, Boedas e Sthennis avevano rappresentato figure di uomini e di donne adorantes (Nat. hist., xxxiv, 73; 78; 90) ci conferma l'invenzione di questa particolare iconografia in età ellenistica -, è noto un secondo tipo di figura femminile di o., questa volta non ammantata, bensì col peplo, un costume dunque più intimo, che presenta l'o. in una sfera quasi privata (tra i non scarsi esempî si ricordano gli stucchi della cosiddetta basilica pitagorica di Porta Maggiore: figure di o. stanti accanto ai tavoli delle offerte).
Il senso di tali immagini può essere meglio compreso esaminando quella classe di monumenti, per loro natura emblematici e programmatici, in cui lo stesso schema è replicato più volte: le monete. In una serie abbastanza numerosa, che va da Traiano fino a Massimiano Erculeo, portandoci dunque per un buon tratto dentro un periodo in cui già sono noti monumenti cristiani con la stessa rappresentazione, appare una figura femminile nel gesto inconfondibile dell'o., anche se più sciolto che nelle raffigurazioni succcessive (la testa, per esempio, anziché frontale è generalmente volta a sinistra ecc.). Le leggende che ricorrono in questi casi indicano pietas, pietas publica, pietas augusta, o augustae, augustorum anche vota publica, quest'ultima una leggenda che non si allontana molto dalla cerchia cui si rivolgono le altre. La pietas qui celebrata, la cui manifestazione è spesso resa attuale, oltre che dal gesto dell'o., dalla presenza di un'ara, non è la pietas dell'Augusto, o dell'Augusta, verso la dinastia, del sovrano verso la patria, verso i cittadini, verso le nuove province, vale a dire la pietas erga homines, che è difatti diversamente espressa e proclamata (v. pietas), ma l'altro aspetto, della medesima virtù, che è quello rivolto adversus deos. Lo stesso sentimento ispira certamente gli stucchi della basilica pitagorica ed era espresso con grandezza dalla statua di Artemisia nel mausoleo. In altri casi, nella scultura romana, le statue dell'o. possono apparire come personificazioni della stessa Pietas, e non stupisce ritrovarvi intenti ritrattistici, in un momento in cui non ripugnava ai membri della famiglia imperiale di far rappresentare se stessi come personificazioni terrene di virtù divinizzate o di dèi.
In un clima assai più modesto, la stessa pietas erga deos è espressa in monumenti funerarî. L'ara sepolcrale di C. Poppeo lanuario, già nel Museo Chiaramonti, ora nella Galleria Lapidaria dei Musei Vaticani (circa 50 d. C.), reca sulla fronte opposta all'iscrizione la figura di Ianuario, stante, con il capo velato, nell'atto dell'o. (è la prima figura maschile di o. che appare nella serie cronologica); su una faccia laterale è raffigurata la vedova, tra due grandi ceri, che reca offerte per un sacrificio - l'ara e altre offerte sono accanto alla figura stante del marito - infine sulla rimanente faccia appare Giunone Lucina, verso cui probabilmente il sacrificio è rivolto. La rappresentazione che si svolge sulle tre facce dell'ara, non è dunque relativa al culto dei morti, ma a un atto di culto compiuto dal defunto quando era ancora in vita. La pietas dei defunti è il tema anche di un sarcofago del III sec. nel Belvedere dei Musei Vaticani: il defunto e la moglie stanno ciascuno a una estremità del sarcofago, al centro del quale è la porta socchiusa della tomba. Anche in ambiente egiziano sono note alcune stele funerarie con una figura stante nell'atto di o., inquadrata dalla cornice della cappella sepolcrale; ha accanto gli sciacalli, sacri ad Anubis (Brooklyn, museo; Ny Carlsberg, Gliptoteca; Alessandria d'Egitto, Museo Greco-romano; un'altra, inedita, in una collezione privata romana).
Specialmente le monete e i più modesti monumenti funerarî sono un'efficace dimostrazione della diffusione del motivo dell'o., che non poteva certamente sfuggire ai cristiani, al cui repertorio doveva passare insieme ad altri schemi coniati dall'arte "pagana". Così su un gruppo di sarcofagi, non tutti evidentemente cristiani, si trovano l'uno accanto all'altro il Buon Pastore (v.) e l'o.: il primo, simbolo della philanthropia, l'altro, come si è visto, della pietas religiosa.
L'amore degli uomini, aveva avvertito Sesto, è il fondamento della venerazione di dio: κρητὶς ϑεοσεβείας ϕιλανϑρωπία.
I due concetti e i loro simboli venivano così ad integrarsi.
2. - Il tipo iconografico dell'o. passava ai cristiani senza nessun mutamento formale: la differenza, che è da alcuni segnalata, nel modo di rivolgere le palme verso l'alto o verso lo spettatore, non sembra un segno distintivo, poiché entrambi gli atteggiamenti sono documentati, per esempio, nel sarcofago pagano del Belvedere e una discreta varietà di pose si riscontra anche negli affreschi delle catacombe. È significativo, in questo momento di trapasso, un gruppo di cinque sarcofagi: nella chiesa di Brignoles, dalla Gayole; nel Museo Lateranense (n. 181), dalla via Salaria nel palazzo già Rondanini, ora Sanseverino sul Corso a Roma, e poi in Santa Maria Antiqua, sempre a Roma, e nel museo di Velletri. Soltanto questi ultimi due sono sicuramente cristiani; gli altri, compreso quello della Gayole, in cui è cospicua, accanto a simboli così vicini a cristianizzarsi, come il Buon Pastore e il Pescatore, la presenza del disco di Sol - ed è forse una divinità, Hades, probabilmente, la figura sulla destra erroneamente scambiata con quella di un filosofo peraltro assai simile a un'altra in un affresco cristiano nelle catacombe di Vigna Massimo (Wilpert, tav. 212) appartengono invece a quel genere "filosofico" del III sec. (v. filosofi), cui attingeranno i cristiani. Malgrado ciò, tutti e cinque i sarcofagi riprendono senza esitazione uno schema generale che può essere semplificato sostanzialmente come rappresentazione di una scena di lettura e di discussione filosofica che si accompagna alla raffigurazione dell'o. e del Buon Pastore. La lezione è evidentemente soprattutto una lezione di etica, da cui usciranno rafforzate le virtù impersonate dall'o. e dal Buon Pastore. Nel caso dei due sarcofagi cristiani, la introduzione nello schema generale, inalterato, di scene bibliche, viene poi a chiarire il senso preciso della lezione così impartita e riverbera quindi una luce cristiana sulle stesse virtù che ne ricevono alimento.
È tuttavia proprio in questa fase che si avverte qualche incertezza sul modo di interpretare il valore della scena di lettura e quindi il suo rapporto con le altre due figure: i tratti fisionomici della coppia dei defunti sono infatti attribuiti ora al filosofo-maestro e all'orante, ora al filosofo e alla sua ascoltatrice (nel sarcofago di Velletri la scena di lettura non impegna due figure, ma una sola, come se la defunta, ritratta nella figura dell'o., fosse giunta da sola all'apprendimento della pietas).
Infine in altri sarcofagi la stessa scena è smembrata, ridotta al solo personaggio del filosofo, oppure ripetuta in assenza o dell'o. o del Buon Pastore.
Tali perplessità nell'affrontare un tema tradizionale, ereditato da un ambito pre-cristiano, fanno sospettare che stesse già affacciandosi un modo diverso di intendere quelle figure, e specialmente quella dell'orante. Lo stesso concetto di pietas sta subendo, del resto, modifiche profonde. Una illustrazione efficace di ciò è la figura di o. nel "cubicolo della velatio" nelle catacombe di Priscilla (v. vol. ii, tavola a colori a p. 424) in cui la scena della velatio è appunto illuminante del nuovo ordine religioso. Meno pertinente sembra la frase di Tertulliano spesso invocata (sed aves... alarum crucem pro manibus extendunt, et dicunt aliquid, quod oratio videatur), che si ispira invece a un polemico desiderio di esaltare comunque la forma della croce, dovunque essa si trovi, senza intendere che l'atteggiamento dell'o. avesse alcuna rigida simbologia.
Tanto il Buon Pastore quanto l'o. appaiono solitamente nelle pitture delle catacombe sullo sfondo di un paesaggio idilliaco, che è stato spesso interpretato come rappresentazione del paradiso; ma W. Neuss ha dimostrato chiaramente come il pensiero che i defunti si trovassero già in paradiso non sfiorasse la mente dei primi cristiani. Continuano infatti gli intenti ritrattistici nella rappresentazione dell'o. (quando questa non gioca un ruolo generico, quasi decorativo): da ricordare, nel cimitero di Domitilla, l'o. Veneranda cui Santa Petronilla addita i libri della salvezza e in S. Gennaro l'o. "Bitalia" con i libri dei Vangeli - un'interessante rivalutazione del tema della lettura "filosofica".
Finalmente come o. si fa rappresentare lo stesso Costantino, secondo la notizia di Eusebio di Cesarea (De vita Gonst., iv, 15): con lo sguardo rivolto in alto e le braccia allargate nell'atteggiamento di uno che preghi. Si è cercato di interpretare l'iconografia suggerita dalle parole di Eusebio come uno schema derivato più dall'"apoteosi" (v.) che dalla pietas, ma dopo i precedenti del tipo della Livia del Vaticano, non si ha difficoltà nel dare credito alle parole di Eusebio. La rappresentazione di Costantino, restitutor pietatis, come o. inaugura un'iconografia imperiale "pietistica" che avrà un certo peso nell'arte bizantina (cfr. anche giustino e giustiniano ii).
3. - Oltreché riprodurre, talora, le fattezze dei defunti, gli o. cristiani ritraggono anche personaggi storici. Innanzi tutto come o. sono raffigurati alcuni personaggi biblici: Daniele, Susanna, Noè, Giona, i tre Fanciulli nella fornace: per l'appunto proprio coloro i cui nomi sono ripetuti nelle preghiere per i morti come esempî di liberazione per intervento divino. Come o. sono poi raffigurati alcuni martiri: S. Gennaro (nelle catacombe di Napoli), S. Cecilia, S. Agnese, S. Stefano e S. Lorenzo, poi S. Vitale, S. Demetrio, S. Eufemia. Nessuno degli apostoli è mai rappresentato come o., ma lo è invece Maria (vetri graffiti), unica tra i santi che non furono anche martiri, grazie al suo culto precoce.
Con l'attribuire a personaggi storici e venerati l'iconografia dell'o., l'accento viene a cadere, apparentemente, su altri aspetti del simbolo. Le figure rappresentate non sono di personaggi che, ricordando sulla fronte del sarcofago o sull'ara la pietas esercitata da vivi, sperano di pattuire un riconoscimento nell'aldilà; né si riferiscono alle virtù acquistate, o incrementate, grazie allo studio di un insegnamento morale; sono, al contrario, esempî certi di chi ha ottenuto la salvezza grazie alla propria pietas. La pietas ormai la fede cristiana - è il punto di partenza, non di arrivo (come era invece per le virtù dell'eusèbeia e della philanthropìa, che apparivano come un raggiungimento).
Ancora un'altra trasformazione. Una volta che in atteggiamento di o. sono rappresentate entità così potenti, come i martiri presso i cui corpi si desidera essere sepolti, o come la stessa Maria; santi verso cui si rivolge la preghiera dei fedeli e che, nelle orazioni e nella stessa iconografia, assumono un ruolo di intermediari, sembra inevitabile che l'atto di preghiera in cui sono raffigurati acquisti una funzione concreta e divenga il trasferimento su un piano più alto della preghiera che a loro rivolge il fedele. Tale concetto è evidente nel termine medievale di advocata nostra che accompagna le immagini della Madonna orante (cfr. maria, Haghiosoritissa). Ma perché un simile svolgimento avvenisse, occorreva che l'immagine dell'o. si distaccasse del tutto dal suo significato simbolico originario, per acquistare un valore concreto ed attuale.
Ciò poteva avvenire principalmente grazie a un mutamento che si svolgeva in una sfera che è al di là dello svolgimento interno dell' immagine dell'o., riguardando piuttosto in generale il maturarsi di un modo diverso di concepire l'immagine in sé. Tuttavia già nel IV sec. troviamo, in SS. Giovanni e Paolo, a Roma, un'impressionante rappresentazione di un o. - senza dubbio un martire - al di là di un velano - che accentua il valore religioso e intimo della rappresentazione - con ai piedi due fedeli in proskyne'sis, cioè anch'essi in preghiera. Né è forse improbabile che, a metà del V sec., fosse rappresentata come o. la Vergine nell'abside della chiesa delle Biacherne, cui Leone I, in prosky'nesis (la prima ripresa dell'iconografia pietistica inaugurata da Costantino), offriva il modello del santuario e chiedeva la protezione per sé e per i suoi (v. Leone I; Maria, Biacherniotissa). L'apparizione dell'o. nella pittura monumentale non era del resto cosa nuova (cupola del San Giorgio di Salonicco, mausoleo di Teodosio I; il tema iconografico è discusso da A. Grabar, Martyrium, il, p. los s.).
Vi sono poi altri indizî che accennano a un dissolvimento del valore simbolico dell'o. in favore di una interpretazione più funzionale o, se si vuole, più realistica. Nella rappresentazione, di fedeltà documentaria, dell'interno di San Pietro sulla cassetta di Samagher (già a Pola), i fedeli e le fedeli, disposti, in attitudine di o., correttamente sulla sinistra e sulla destra della navata, rispettivamente, non sono né ritratti né santi martiri ma semplicemente con la loro presenza stanno a significare che quello rappresentato è un luogo di preghiera e di devozione. Lo stesso scadimento dei significati simbolici più alti si osserva nella trasformazione decorativa dell'o. in molti affreschi catacombali, dove compare come puro schema di repertorio insieme al Buon Pastore, senonché mentre questo, uscito da un clima idilliaco e naturalistico divenuto inattuale, scomparirà, allo schema dell'o. sarà riservata una nuova vita grazie alla sua aderenza al gesto liturgico.
Infine si deve ricordare una figura di o. in un ambito inatteso e cioè nell'illustrazione virgiliana. Nel codice detto Virgilio Vaticano della Biblioteca Vaticana, Laocoonte, assalito dai serpenti, spalanca le braccia in gesto di orante. Non si può vedere una influenza cristiana in questa illustrazione attribuita al sec. V, benchè sia spontaneo vedere in questo monumento di stoica pietas pagana un estremo tributo alla religione morente. In realtà qui persiste ancora il ricordo di un'iconografia più antica, che rappresentava Laocoonte in preghiera (v. Laocoonte).
Monumenti considerati. - Berlino, Musei: "Fanciullo in preghiera": S. Hafner, Bronzestatue eines Knabensiegers in Berlin, in Österr. Jahresh., xxxv, 1943, pp. 1-16. Ibid., fanciulla: G. Lippold, Handb. d. Arch., iii, I, 1950, p. 122, n. 4. British Museum, bronzetto etrusco: H. B. Walters, Br. Mus., Selected Bronzes, Londra 1915, tav. 37. Musei Vaticani, Livia: A. Heckler, Röm. weibl. Gewandstatuen, in Münchner archäol. Stud. dem Anaenken A. Furtwängler gewidmet, Monaco 1909, p. 134; G. Lippold, Kopien und Umbildungen, Monaco 1923; British Museum, Artemisia: J. H. Jongkees, New Statues by Bryaxis, in Journ. Hell. Stud., lxviii, 1948, pp. 29-31. Roma, Basilica "pitagorica" di Porta Maggiore: E. Strong-N. Jolliffe, in Journ. Hell. Stud., xliv, 1924, pp. 65-iii. Monete: v. la raccolta sistematica in Th. Klauser, op. cit. in bibl. Ara di Poppeo Ianuario ai Musei Vaticani: W. Altmann, Die röm. Grabaltäre der Kaiserzeit, Berlino 1905, p. 114, n. 8. Sarcofago nel Belvedere: W. Amelung, Kat. Vat., n. 2000, tav. 17. "O." egiziani di Brooklyn, Ny Carlsberg, Alessandria: W. E. Crum, Egyptian Orantes, in Proceedings of the Soc. Bibl. Archaeol., xxi, 1899, p. 251 ss. Sarcofago della Gayole: Th. Klauser, op. cit., in bibì. (v. ibid., anche per gli altri quattro sarcofagi a questo associati). Catacomba di Domitilla, affresco di Veneranda: J. Wilpert, Die Malereien der Katak. Roms, Friburgo i. Br. 1903, tav. 213. Affresco di "Bitalia" in San Gennaro a Napoli: A. Achelis, Die Katakomben von Neapel, Lipsia 1936, tav. 28. Vetri: C. R. Morey, The Gold-Glass Gollect. in the Vat. Library, Città del Vaticano 1959. Roma, SS. Giovanni e Paolo, affresco: A. Prandi, SS. Giovanni e Paolo, Roma 1958, fig. 35. Salonicco, S. Giorgio, mosaici: H. Torp, in Atti IX Gongr. Int. St. Biz., i, Atene 1955, p. 491 ss. (ivi bibl. prec.). Cassetta di Samagher, già a Pola: T. Buddensieg, Le coffret en ivoire de Pola, Saint-Pierre et le Latran, in Gahiers Archéologiques, x, 1959, pp. 157-195. Laocoonte come "O.": L. D. Ettlinger, Exemplum doloris, in De Artibus Opuscula XL, Essays in Honor of E. Panofsky, New York 1961, p. 121 ss.
Bibl.: L. v. Sybel, Christliche Antike, Marburgo 1906, p. 255 ss.; H. Leclercq, Manuel d'Archéol. chrét., I, Parigi 1907; O. Wulff, Altchristl. und byzant. Kunst, I, Berlino-Neubabelsberg 1914, p. 71; id., Bibliogr.-krit. Nachtrag (senza anno), p. 10; F. Cumont, Il sole vindice dei delitti e il simbolo delle mani alzate, in Mem. Pont. Accad. Rom. Arch., I, 2, 1924, p. 65 ss.; W. Neuss, Die Oranten in der altchristl. Kunst, in Festschr. P. Clemen, Bonn 1926, pp. 133-135 (ivi disamina di tutta la bibl. precedente); id., Die Kunst der alten Christen, Augusta 1926, p. 139; J. Wilpert, I sarcof. crist. antichi, II, Roma 1930, p. 332; H. Lother, Realismus und Symbolismus in der altchristl. Kunst, Tubinga 1931; F. Saxl, Pagan and Jewish Elements in Early Christian Sculpture (1944), in F. Saxl, Lectures, Londra 1946, p. 45 ss.; Th. Klauser, Studien zur Entstehungsgeschichte der christlichen Kunst, in Jahrbuch f. Antike u. Christentum, II, 1959, pp. 115-146; III, 1960, pp. 112-133.