oraggio
È gallicismo derivante dal francese orage o dal provenzale auratge, etimologicamente collegati al tardo latino orago, " pioggia violenta ", " vento tempestoso ", attestato dal Regestum Ecclesiae parisiensis (" Conventum fuit inter ipsas partes, quod si contingeret infra dictum terminum praedictas granchias... per communem tempestatem, per oraginem, vel guerram in toto vel in parte destrui, etc. ": Du Cange). D. lo usa in Rime CIV 23 il nudo braccio, di dolor colonna, / sente l'oraggio che cade dal volto, dove vuole indicare l'abbondanza delle lagrime che sgorgano dagli occhi di Drittura, bagnandole il braccio.
Il termine ricorre anche ne L'Intelligenza 147 (" La luna inviluppata di buiore, / e 'l tempo non dimostra buoni oraggi "), dove però ha il significato di " vento ".
Nessun editore accetta più la variante lo raggio, " Io sguardo ", accolta in molte edizioni anteriori alla '21, ma ormai respinta anche in considerazione dell'analogia esistente tra il testo della canzone ed Ep VII 5 longa substiterunt suspiria lacrimarumque diluvia desierunt. La variante fu però difesa dallo Zingarelli (Dante, 1948³, 487 n. 29), il quale giudicò " immagine sconveniente nella sua esagerazione " quella della " tempesta che si rovescia sul braccio ". E si veda anche Barbi-Pernicone, ad locum.