OPTOELETTRONICA
(App. IV, II, p. 673)
L'o. si è inserita recentemente nel mondo della ricerca applicata, sulla scia degli sviluppi delle tecnologie laser, microottiche e microelettroniche avvenuti a partire dagli anni Sessanta. La crescente domanda di mezzi veloci per lo scambio di informazioni tra diverse comunità ha spinto infatti i ricercatori di tutto il mondo a mettere a punto tecniche più convenienti di quelle impiegate già da diversi decenni e basate per lo più su dispositivi elettronici, per l'elaborazione, e su materiali metallici (il rame, principalmente) per il trasporto delle informazioni. Ed è proprio nell'elaborazione e nel trasporto di informazioni, costituenti nel loro complesso il vasto settore delle telecomunicazioni, che l'o. ha trovato maggiore espressione, in particolare a partire dagli anni Ottanta. La forza traente del mercato delle telecomunicazioni ha generato comunque lo sviluppo di materiali e componenti optoelettronici adesso comuni in tutti i campi applicativi che in passato sono stati di pertinenza dell'elettromeccanica e dell'elettronica.
Come i sistemi elettronici risultano costituiti a partire da pochi elementi diversi, come transistori e diodi, così la moltitudine di sistemi optoelettronici esistenti utilizza un limitato numero di componenti di base: le sorgenti, i mezzi di trasmissione, i modulatori, i rivelatori. Sfruttando adeguatamente le possibilità di ognuno di questi componenti possono essere realizzate apparecchiature che nella maggior parte dei casi integrano o superano le prestazioni ottenibili con sistemi impieganti solo segnali elettrici.
Le sorgenti costituiscono i componenti più propriamente optoelettronici, avendo il compito di trasformare un segnale elettrico in segnale luminoso, usualmente a lunghezze d'onda comprese tra 0,5 e 1,5 μm. Sono tali i diodi elettroluminescenti (LED, Light Emitting Diodes) d'impiego molto comune nelle segnalazioni luminose e per la visualizzazione di cifre e numeri (fig. 1) e i diodi laser, sorgenti molto compatte di radiazione luminosa coerente e ad alta brillanza.
I primi diodi laser sono stati realizzati nel 1962, dopo due soli anni dalla invenzione del laser. Da allora hanno assunto un ruolo primario nei sistemi optoelettronici, essendo capaci di affiancare alle caratteristiche di alta brillanza un'elevata velocità di modulazione del segnale ottico (fino a parecchi GHz). Entrambe le caratteristiche rendono i diodi laser la sorgente ideale per le comunicazioni a grande distanza, dove l'alta brillanza compensa l'attenuazione introdotta dal mezzo di trasmissione e la possibilità di modulazione ad alta frequenza permette la trasmissione contemporanea di un gran numero di informazioni su uno stesso mezzo.
Ai mezzi di trasmissione è affidato il compito di trasportare i segnali luminosi lungo un percorso definito, minimizzando le perdite di energia elettromagnetica lungo il collegamento. Pur non trattandosi di componenti optoelettronici in senso stretto, poiché non sono interessati da segnali elettrici, tali mezzi costituiscono uno dei cardini dello sviluppo dell'o. ed entrano pertanto a pieno titolo a farne parte. Il mezzo trasmissivo primario è il cavo a fibra ottica, costituito da uno o più sottili fili in silice (SiO2 amorfo) del diametro di alcune decine di micron, all'interno dei quali si propaga il segnale ottico. La fibra ottica rappresenta, per un sistema optoelettronico, l'analogo dei fili in rame per un sistema funzionante con segnali elettrici. A parità di ingombro, un cavo a fibre ottiche consente la trasmissione di un numero di informazioni almeno mille volte maggiore, nell'unità di tempo, rispetto a un tradizionale cavo in rame. A parità di capacità trasmissive, risulta invece meno costoso, più leggero e di diametro ridotto.
La possibilità di utilizzare una fibra per convogliare segnali luminosi è legata al fenomeno della riflessione totale che può subire un'onda elettromagnetica al passaggio da un mezzo più denso a uno meno denso, ossia, in termini ottici, da un mezzo con indice di rifrazione maggiore n1 a uno con indice minore n2. La fig. 2 schematizza questa situazione: per angoli d'incidenza superiori al valore critico arcsen (n2/n1) l'onda elettromagnetica subisce una riflessione totale e la luce rimane quindi confinata all'interno della fibra, per tutta la sua lunghezza. Le fibre commerciali vengono realizzate con due zone coassiali di SiO2 a indice diverso, maggiore nella zona interna (ingl. core, "nucleo") e minore in quella esterna (ingl. cladding, "rivestimento"), come schematizzato in fig. 3. La differenza di indice viene ottenuta durante il processo di fabbricazione della fibra, per mezzo di piccole quantità di sostanze estranee, dette droganti, mescolate alla silice.
L'impiego delle fibre ottiche nelle telecomunicazioni è stato suggerito a metà degli anni Sessanta, quando però il forte assorbimento della luce nei materiali ottici allora disponibili precludeva ancora il loro impiego nelle trasmissioni (le perdite di segnale ottico provocate da una fibra vengono espresse in decibel per chilometro, dB/km. Una attenuazione di 3 dB/km, per es., implica il dimezzamento della potenza luminosa in transito nella fibra dopo un km). Nel 1970 è stato possibile fabbricare fibre da 20 dB/km (eguagliando le prestazioni dei cavi in rame), per arrivare intorno a 1 dB/km agli inizi degli anni Ottanta. Tenendo sotto rigido controllo la composizione e la purezza dei materiali impiegati è adesso possibile fabbricare cavi ottici con attenuazioni inferiori a 0,5 dB/km, utilizzabili per coprire direttamente distanze anche superiori a 100 km, senza amplificatori intermedi. Un particolare pregio delle fibre ottiche risiede nella loro completa immunità alle interferenze elettromagnetiche. Questo le rende particolarmente adatte a mantenere elevata la qualità dei segnali trasmessi anche in presenza di intensi disturbi di natura elettrica.
I modulatori intervengono sulla propagazione del segnale luminoso, alterandone intensità, direzione e fase a opera di un segnale elettrico. A questo scopo possono essere sfruttati diversi fenomeni fisici, classificati in base al tipo di sollecitazione impiegata per la modulazione. Comunemente impiegati sono i modulatori elettroottici, acustoottici e magnetoottici.
L'applicazione più significativa dei modulatori riguarda la commutazione dei segnali ottici, ovvero la possibilità d'interrompere un segnale luminoso o di variarne la direzione, funzione analoga a quella svolta da interruttori e deviatori elettrici. Un altro impiego dei modulatori è rappresentato dai visualizzatori a cristalli liquidi, dove un campo elettrico agisce punto per punto su uno strato liquido a ordinamento molecolare, alterandone localmente le caratteristiche ottiche di trasparenza, assorbimento o anisotropia, e in definitiva permettendo la rappresentazione di caratteri alfanumerici o la visualizzazione di immagini. Comunemente questi dispositivi vengono impiegati negli orologi da polso, nelle calcolatrici, nei calcolatori portatili, nei televisori tascabili.
I rivelatori hanno un ruolo opposto a quello delle sorgenti, essendo dedicati alla conversione di segnali luminosi in segnali elettrici. Sono rivelatori le celle fotovoltaiche, comunemente denominate celle solari, impiegate per la generazione di energia elettrica per l'alimentazione di apparecchiature portatili o poste in siti di difficile accesso. Sono rivelatori i fotodiodi impiegati per la ricezione di segnali luminosi nei comandi a distanza o per la misurazione dell'intensità della luce ambiente (esposimetri) per applicazioni in campo foto-cinematografico. Un ruolo più delicato è svolto dai rivelatori impiegati nei sistemi di telecomunicazione a grande distanza, ai quali sono richieste caratteristiche particolari di sensibilità e velocità. L'elevata sensibilità, ossia la capacità di generare un segnale elettrico che sia correlato solo al segnale ottico ricevuto e non ad altre forme di energia (calore, radiazioni) influenza direttamente la massima distanza copribile con un collegamento ottico senza amplificazioni intermedie. La velocità riguarda invece la capacità del rivelatore di generare un segnale elettrico che segua fedelmente la modulazione del segnale ottico. È quindi una caratteristica direttamente responsabile della massima quantità di informazioni che nell'unità di tempo possono essere trasferite attraverso un sistema ottico di comunicazione.
Per esemplificare le nuove potenzialità oggi disponibili, ci si può riferire allo scambio di informazioni (voce, immagini, dati) tra punti remoti. I collegamenti di questo tipo, per es. tra centrali telefoniche di città diverse, vengono realizzati tramite cavi a fibre ottiche. Una sorgente con LED o diodo laser provvede a convertire i segnali elettrici da trasmettere in un segnale ottico, e a immetterlo all'interno della fibra (fig. 4). Un rivelatore ripristina i segnali elettrici all'altra estremità del collegamento. L'elevata frequenza associata ai segnali ottici, intorno a 3·1014 Hz, consente in linea di principio la trasmissione di un numero di informazioni al secondo, ovvero una velocità di trasmissione, parecchio superiore a quella possibile nei sistemi con cavi in rame, operanti fino a frequenze intorno a 1010 Hz.
L'impiego dei dispositivi optoelettronici non si esaurisce comunque nelle telecomunicazioni, anche se in termini di fatturato delle industrie produttrici di componentistica optoelettronica esso rappresenta la voce più consistente.
Il settore della sensoristica, per es., è tra quelli che più beneficiano delle nuove tecnologie ottiche. Usualmente un sensore optoelettronico è costituito da un diodo emettitore di luce, visibile o infrarossa, e da un fotorivelatore (fig. 5). In funzione dell'applicazione, la trasmissione di luce fra i due elementi può venire modulata, ossia favorita od ostacolata, da un sistema meccanico, il cui movimento viene posto in corrispondenza di una grandezza da controllare o misurare (posizione, temperatura, accelerazione, ecc.). In alcune applicazioni la modulazione della luce viene invece affidata a un materiale capace di alterare le sue proprietà ottiche in funzione della temperatura o di sostanze chimiche con cui può essere posto a contatto, e inoltre la luce può essere convogliata dal diodo emettitore al punto di misura, e indietro verso il fotorivelatore, per mezzo di una fibra ottica. I principali vantaggi associati all'impiego di un segnale ottico, per la trasduzione di una grandezza fisica, riguardano la notevole affidabilità dei componenti optoelettronici, virtualmente esenti da logorio e invecchiamento se paragonati a equivalenti trasduttori elettromeccanici, e l'elevata velocità di risposta, ossia la capacità di effettuare molto velocemente la trasduzione in segnale elettrico di grandezze fisiche variabili. Negli optoisolatori, fra diodo emettitore e rivelatore non viene posto alcun ostacolo, ma i due elementi vengono incapsulati, affacciati l'uno all'altro, in un unico contenitore delle dimensioni di pochi mm3. Il dispositivo in tal caso ha lo scopo di consentire lo scambio di segnali tra due sistemi elettronici, mantenendo un eccellente isolamento elettrico tra di essi.
Un'applicazione dell'o., i cui risvolti culturali stanno determinando una rivoluzione sia nel campo dell'editoria che della didattica, riguarda i sistemi ottici per l'archiviazione di dati. La prima applicazione di tali sistemi ha riguardato il settore audio, ossia la registrazione e la riproduzione dei suoni. I dischi ottici, comunemente denominati compact, la cui incisione e lettura sono affidate a sistemi che impiegano componenti optoelettronici (sorgenti laser e modulatori in incisione, sorgenti laser e rivelatori in lettura), hanno già soppiantato i tradizionali dischi microsolco e si stanno affermando anche per la memorizzazione e la riproduzione di immagini statiche o in movimento (v. memoria: Elettronica, in questa Appendice). Ma la rivoluzione a cui si accennava riguarda le nuove prospettive create dai dischi ottici per la diffusione di testi scritti. I nuovi mezzi, e i relativi sistemi optoelettronici ed elettronici capaci di gestirli, non solo determinano un nuovo modo di diffondere cultura con costi irrisori, ma consentono un accesso alle informazioni con velocità e metodiche sconosciute all'editoria tradizionale: su una faccia di un dischetto ottico del diametro di 10 cm possono essere memorizzati attualmente all'incirca un miliardo di caratteri alfabetici, ossia un'intera enciclopedia. All'evidente vantaggio legato al costo e alla trasportabilità di archivi di tale mole, si aggiunge la possibilità di ricerca automatica di soggetti o parole chiave con tempi di accesso alle informazioni dell'ordine di frazioni di secondo. Diversi sono i tipi di dischi ottici già sviluppati o in corso di perfezionamento. Il settore dei calcolatori utilizza i dischi compatti a sola lettura (CD-ROM, Compact Disc Read Only Memory), per le consultazioni di archivi di vaste dimensioni, o i dischi sui quali si può scrivere una sola volta ma che possono essere riletti un numero pressoché illimitato di volte (WORM, Write Once Read Many times); vi sono poi i sistemi per la scrittura e la cancellazione sui dischi ottici, capaci di alterare le informazioni in essi contenute.
Il principio di funzionamento dei sistemi di archiviazione optoelettronica è rappresentato in modo semplificato in fig. 6. La luce emessa da un diodo laser (d) viene inviata sulla superficie del disco (a), formata da un sottile strato riflettente di alluminio, sulla quale, in fase d'incisione, sono stati praticati dei microfori (c) secondo una sequenza corrispondente a una codifica prestabilita delle informazioni da immagazzinare (musica, immagini o altri dati). La luce, riflessa dal disco in rotazione, ha un'intensità dipendente dalla zona di provenienza: inviata a un rivelatore (i) genera pertanto un segnale elettrico formato da una sequenza di due livelli, corrispondenti alla sequenza dei microfori. Un complesso circuito elettronico provvede poi alla decodifica di tali sequenze e alla loro trasformazione nelle informazioni originarie.
A partire dagli anni Ottanta l'o. si è arricchita di nuove tecnologie con l'obiettivo di realizzare sistemi miniaturizzati, integrati, per l'elaborazione di segnali ottici, dando luogo a una nuova disciplina, l'ottica integrata. In analogia ai circuiti integrati microelettronici, i circuiti ottici integrati comprendono, su un unico supporto di poche decine di millimetri quadrati, sorgenti, mezzi trasmissivi, modulatori e rivelatori, in un insieme che abbina caratteristiche di alta affidabilità a un'elevata velocità di elaborazione dei segnali e a un costo di fabbricazione contenuto.
Allo stato della tecnologia degli anni Novanta l'o. e l'elettronica risultano complementari. L'intensa attività nei laboratori di ricerca del settore indica però un progressivo spostamento d'interesse a favore del trattamento delle informazioni con tecniche puramente ottiche (ossia con il solo impiego di fotoni in sostituzione degli elettroni), con un ruolo decrescente dell'elettronica. E già sul finire degli anni Ottanta è stato introdotto il termine fotonica, per denominare la disciplina che si occupa delle suddette tecniche. È quindi nel trinomio elettronica, o. e fotonica che va studiata l'evoluzione di tutti quei sistemi e quelle macchine che si sono rese indispensabili nella gestione delle attività del villaggio globale: così i media definiscono la facilità dei rapporti e dello scambio di conoscenze tra le diverse comunità del pianeta, che le nuove tecnologie rendono possibili. Vedi tav. f.t.
Bibl.: W.H. Sahm, Manuale di optoelettronica, Milano 1984; J.M. Senior, Optical fiber communications, Englewood Cliffs 1985; H. Nishihara, M. Haruna, T. Suhara, Optical integrated circuits, New York 1989; J. Wilson, J.F.B. Hawkes, Optoelectronics: an introduction, Englewood Cliffs 1989; Laser-Optoelectronics in Engineering, a cura di W. Waidelich, New York 1990; Laser-Optoelectronics in Medicine, a cura di W. Waidelich, ivi 1990; Optoelectronics principles and devices, a cura di W.J. Mooney, Englewood Cliffs 1991; Optoelectronics: Technologies and applications, a cura di A. Selvarajan, K. Shenal, V.K. Tripathi, Bellingham (Washington) 1993.