OPPOSIZIONE
. Diritto. - Diritto amministrativo. - Nel diritto amministrativo assume questo nome, come anche quello meno proprio di rimostranza, l'esposizione scritta che i privati sono talora autorizzati a presentare all'autorità, che sta per prendere, o che già ha preso, un provvedimento, delle ragioni per le quali esso risulta lesivo dei loro diritti o interessi, accompagnata dalla richiesta che l'atto non sia emanato o venga revocato. In altri ordinamenti, come in quelli degli stati tedeschi, l'opposizione è istituto giuridico d'applicazione generale; nel diritto italiano, invece, si tratta di un mezzo di tutela concesso al privato solo eccezionalmente, contro provvedimenti determinati. Per questo l'uso dell'opposizione, fuori dei casi in cui espressamente è ammesso dalla legge, ha valore di semplice denunzia: non induce, cioè, nell'autorità l'obbligo di prendere l'atto in considerazione né vale a interrompere i termini che sono stabilíti per far valere i ricorsi di applicazione generale, ossia il ricorso gerarchico e il ricorso straordinario.
L'opposizione consentita anteriormente all'emanazione del provvedimento fa parte del procedimento amministrativo relativo a tale emanazione. Secondo l'art. 3 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, essa sarebbe ammessa per tutti gli atti amministrativi, contro cui non è concessa l'azione giudiziaria: è pacifico, però, che il diritto posteriore ha modificato questo principio, ammettendo l'opposizione solo in alcuni procedimenti di particolare importanza: tali quelli relativi all'espropriazione per pubblica utilità (legge 25 giugno 1865, n. 2359, art. 5, 6, 17, 24, 84), all'autorizzazione agli acquisti degli enti morali (r. decr. 26 luglio 1896, n. 361, art. 3), alla concessione di derivazioni di acque pubbliche (testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 7), all'assunzione di pubblici servizî da parte dei comuni e delle provincie (testo unico 15 ottobre 1925, n. 2578, art. 10).
L'opposizione successiva è un vero e proprio ricorso e rientra nell'argomento della giustizia amministrativa. Gli atti, per i quali eccezionalmente è concessa, hanno quasi tutti funzione puramente dichiarativa, e i vizî, che con l'opposizione si possono far valere, si riducono a semplici errori materiali incorsi nella formazione dell'atto. Esempî di atti contro cui è ammessa sono gli elenchi degli obbligati a contribuire alla manutenzione delle strade comunali (legge 30 agosto 1868, n. 4613, art. 3), gli elenchi degli utenti di pesi e misure (testo unico 23 agosto 1890, n. 7088, art. 18), i ruoli di anzianità degl'impiegati, formati annualmente dai ministeri da cui rispettivamente dipendono (r. decr. 30 dicembre 1923, n. 2960, art. 9). I termini dell'opposizione successiva sono stabiliti dalle singole leggi e di solito sono molto più estesi di quelli degli altri ricorsi amministrativi. Per quello che non è determinato nelle singole disposizioni, valgono i principî che regolano il ricorso gerarchico.
Bibl.: F. Cammeo, Commentario delle leggi sulla giustizia ammin., Milano s. a., pp. 510-523; W. Jellinek, Verwaltungsrecht, 2ª ed., Berlino 1930, p. 287; U. Borsi, La giustizia ammin., 3ª ed., Padova 1933, p. 58 segg.
Opposizione di terzo. - È un mezzo per impugnare le sentenze, che il cod. di proc. civ. (art. 465) annovera fra i mezzi d'impugnazione straordinarî. In forza di esso ogni terzo può fare opposizione a una sentenza pronunziata tra altre persone, quando pregiudichi i suoi diritti (art. 510 cod. proc. civ.). Terzi si devono considerare anche i creditori di una delle parti, quando la sentenza sia effetto di dolo o collusione a loro danno (art. 512). Mentre, però, di regola l'opposizione di terzo non si deve proporre a pena di decadenza in un determinato termine (onde si ritiene che la possibilità del suo esercizio venga meno solo col decorso del termine della lunga prescrizione, a partire dalla pubblicazione della sentenza impugnanda), nell'ipotesi dell'art. 512 è fissato un termine ed è quello per appellare, con decorso dal giorno in cui i creditori hanno potuto scoprire il dolo o la collusione. L'opposizione del terzo si propone davanti alla stessa autorità giudiziaria che ha pronunziato la sentenza impugnata, e possono su di essa pronunziare gli stessi giudici (art. 511); non impedisce l'esecuzione della sentenza impugnata contro la parte condannata. L'esecuzione è però sospesa (e la sospensione si deve chiedere dal terzo opponente con domanda incidentale), quando possa derivarne pregiudizio ai diritti del terzo, salvo che l'autorità giudiziaria ordini per motivi gravi l'esecuzione, nonostante l'opposizione del terzo (art. 514).
Storicamente l'opposizione del terzo è nata dalla fusione di due rimedî contro le sentenze ammessi nel processo di diritto comune italico, e cioè il rimedio ne sententia praeiudicet e l'appello del terzo. Quanto alla sua finalità, essa si deve riporre nella provocazione di una decisione che definisca quale debba essere riguardo al diritto e all'obietto controverso la situazione giuridica del terzo. La sentenza che accoglie l'opposizione può limitarsi a contenere una dichiarazione interpretativa che la sentenza opposta, efficace fra le parti, debba restare senza effetto di fronte all'opponente; può però, anche, annullare o ritrattare in tutto o in parte la sentenza opposta, quando per l'indole dei rapporti giuridici in contestazione ciò si renda necessario, come avviene, ad es., quando l'accoglimento dell'opposizione si renda materialmente incompatibile col primo giudicato. In tal caso questo non può sussistere neanche rispetto alle parti che vi diedero luogo, e la sentenza che accoglie l'opposizione può annullare e ritrattare punti e capi della sentenza opposta, modificandola anche in confronto delle parti del primo giudizio. Se l'opposizione viene respinta, la sentenza opposta diventa inattaccabile di fronte all'opponente.
Il pregiudizio al diritto, che per l'art. 510 cod. proc. civ. costituisce la legittimazione reale alla proposizione del rimedio, anche a esecuzione compiuta della sentenza, deve derivare dalla sentenza in sé stessa. come dichiarazione del diritto fra le parti. Si è detto che un simile pregiudizio non può esistere per il principio della relatività della forza del giudicato di cui all'art. 1351 cod. civ.: ma l'efficacia di una sentenza non consiste solo nella forza del giudicato o nella forza dell'esecuzione. La sentenza ha anche un'efficacia di prova, la quale può estendersi ai terzi, anche se ai medesimi non si estenda la forza del giudicato. L'efficacia di prova è assoluta, e non relativa, ma, a differenza dell'efficacia della cosa giudicata, non è invincibile. Ne deriva che il terzo non può essere obbligato a impugnare la sentenza pregiudizievole: l'opposizione di terzo non è un mezzo d'impugnativa necessario, ma semplicemente facoltativo.
La sentenza che accoglie l'opposizione di terzo ha carattere dichiarativo-negativo del diritto accertato nel precedente giudizio e carattere dichiarativo-positivo del diritto dell'opponente. Essa non può estendersi alla reintegrazione della lesione di quest'ultimo diritto. Tale reintegrazione si dovrà invece chiedere dall'interessato in un separato giudizio, salvo che ricorrano gli estremi di una semplice riunione di cause per economia di giudizî.
Legittimato attivamente alla proposizione dell'opposizione di terzo è chi non sia sottoposto alla forza di giudicato della sentenza che si vuole opporre. Su questo punto la dottrina dell'opposizione di terzo si ricollega a quella dei limiti soggettivi della cosa giudicata. Passivamente legittimati sono poi tutti coloro che sono stati parti nel precedente giudizio.
L'opposizione di terzo sulla base dell'art. 512 (opposizione revocatoria) è concessa ai creditori nei casi in cui la sentenza emessa contro il debitore sia effetto di dolo o collusione a loro danno. Sostanzialmente tale opposizione non differisce da quella dell'art. 510. Differenza non v'ha quanto al punto della legittimazione attiva, perché il creditore danneggiato dal dolo o dalla collusione processuale è un vero e proprio terzo, non vincolato dalla cosa giudicata della sentenza a cui si oppone, e subisce un vero e proprio pregiudizio giuridico, ai sensi dell'art. 510 cod. proc. civ., non già la lesione di un semplice interesse di fatto.
Il giudice che accoglie l'opposizione revocatoria non annulla la sentenza opposta (tranne che riconosca che il contegno delle parti nel precedente processo fu totalmente simulato, e niun diritto venne effettivamente dedotto in contestazione), ma la dichiara inopponibile al creditore, il quale ha diritto a procedere esecutivamente, come se la sentenza non esistesse. Conseguentemente, se i creditori vengono pagati, cessando il loro pregiudizio, il giudicato, ottenuto con attività processuali reali, per quanto fraudolente, e che non era mai venuto meno fra le parti, riprenderà anche praticamente il suo vigore.
L'opposizione dell'art. 512 è facoltativa, come quella dell'art.510, o è obbligatoria, nel senso che, decorso infruttuosamente il termine per opporre, la sentenza fraudolentemente ottenuta debba estendere la sua forza di giudicato anche in confronto al creditore leso dalla frode, senza che a questo sia più consentito ricorrere ad altri mezzi giuridici, sia in via di azione che di eccezione? Sebbene quest'ultima opinione sia prevalente in dottrina e in giurisprudenza, si deve ritenere più corretta la prima opinione, perché nel silenzio della legge non si può presumere che questa abbia voluto fare un'eccezione al principio nemo invitus agere cogitur, e abbia voluto spogliare il creditore di altri mezzi di difesa, oltre che sottoporlo a un aggravamento dell'onere della prova e alla possibilità della condanna a una multa. Il decorso del termine non può produrre altri effetti che quello di rendere improponibile l'opposizione, ma non di fare acquistare forza di cosa giudicata contro il creditore alla sentenza collusiva non impugnata. Nell'opposizione dell'art. 512 il creditore deve provare il dolo o la collusione, il rapporto di causalità fra essi e la sentenza, e il danno, cioè il pregiudizio che consiste nello stato d'insolvenza o semisolvenza, in cui per effetto della sentenza venga a trovarsi il debitore.
Bibl.: A. Tissier, Théorie et pratique de la tierce opposition, Parigi 1890; J. Amigues, De la tierce opposition (tesi), Parigi 1886; E. Galluppi, Teoria della opposizione del terzo, Torino 1895; A. Mendelssohn-Bartholdy, Grenzen der Rechtskraft, Lipsia 1900; A. Chiappelli, Il rimedio dell'opposizione del terzo, Milano 1907; F. Lipari, in Riv. dir. proc. civ., 1926, parte 1ª.
Per l'opposizione contumaciale, v. contumacia.