OPLITI
. L'aggettivo greco ὁπλίτης, che significa "armato", divenne poi anche sostantivo e fu usato per designare il guerriero armato con armi pesanti, specialmente con le armi difensive, lo scudo e la corazza, in contrapposizione al soldato armato alla leggiera, ψιλός o γυμνήτης, che significano appunto "nudo", cioè senza armi difensive. L'introduzione nella Grecia, alla fine dell'età micenea, delle armi offensive di ferro, molto più resistenti e penetranti delle armi di bronzo, rese necessaria una più efficace protezione del corpo del guerriero. Perciò al grande scudo di legno o di vimini, ricoperto di pelle, che nell'età micenea copriva tutta la persona del guerriero, si sostituì un più solido scudo ovale o rotondo ricoperto di lamina di bronzo. Ma questo scudo, dato il peso della parte metallica, per essere maneggevole fu ridotto di proporzioni e non copriva quindi più tutta la persona; i guerrieri dovettero perciò adottare altre armi difensive, cioè la corazza di metallo o di cuoio guarnita di metallo, il cinturone e gli schinieri e rinforzarono l'elmo con un cimiero cristato. Il complesso di queste armi, alle quali si aggiungevano la lancia e la spada, fu detto πανοπλία, e Tirteo parla di πάνοπλοι in contrapposizione ai γυμνῆτες (v. armi; le figure di opliti ivi date).
La panoplia era però costosa e non potevano dapprima possederla che i pochi ricchi nobili, i quali avevano perciò sugli altri guerrieri, forniti soltanto delle più deboli armi d'un tempo, una superiorità schiacciante sul campo di battaglia, alla quale corrispondeva il predominio nella vita politica. È l'età dei πρόμαχοι e delle lotte individuali sul campo di battaglia e dei regimi aristocratici nella politica. Ma il progresso economico dei secoli VIII e VII, e il conseguente diffondersi della ricchezza, e nello stesso tempo il progredire della metallurgia, che rese possibile la produzione più a buon mercato delle armi, favorirono la formazione di una classe media agiata, e le diedero la possibilità di procurarsi le panoplie un tempo riservate ai soli nobili. Di fronte alla superiore abilità guerriera individuale dei nobili, che dell'esercizio delle armi facevano la loro preferita occupazione, gli opliti della classe media si serrarono in schiere numerose e compatte. Stretti gomito a gomito e protetti dalle loro armature, gli opliti formavano un muro metallico, dal quale sporgevano fitte le punte delle loro aste; e contro questo muro, gli sforzi individuali dei più valorosi guerrieri, anche se montati sui loro carri e sui loro cavalli, erano vani. Se la massa serrata degli opliti si metteva invece in movimento, la sua avanzata era irresistibile. Fu la fine delle gesta individuali sul campo di battaglia e dei regimi aristocratici nelle città. I carri da guerra scomparvero, e la maggior parte delle città greche rinunciò anche alla cavalleria; gli aristocratici presero posto anch'essi nella massa della fanteria pesantemente armata, formando tutt'al più in essa reparti a sé, con nomi che ricordavano l'antico loro costume di combattere dai cocchi o a cavallo. Nello stesso tempo la classe media, costituita da tutti coloro che si potevano provvedere della panoplia (οἱ ὅπλα παρεχόμενοι), acquistò anche il predominio nello stato, e si fondarono le democrazie. Questo processo fu naturalmente graduale e richiese un certo tempo: vi si accenna già in Omero ed esso si compì nelle città greche più progredite durante il secolo VII a. C. Il famoso vaso Chigi, con la rappresentazione di due falangi di opliti che muovono l'una contro l'altra, si può appunto datare verso la fine del sec. VII (v. armi, IV, p. 474).
La nuova "tattica degli opliti" si diffuse in tutti i paesi del Mediterraneo, che offrivano le condizioni economiche e sociali necessarie al suo sviluppo, cioè presso la maggior parte delle città greche e poi presso le città della penisola italiana, che più sentirono l'influenza della civiltà greca. I principî fondamentali di questa tattica sono la formazione dei guerrieri in ordine chiuso, in falange, e l'azione di massa. Questa richiedeva armonia nei movimenti e disciplina: quindi il divieto di uscire dalle file per combattere e l'obbligo di tenere il contatto con i commilitoni. La "tattica degli opliti" celebrò i suoi trionfi nelle guerre persiane contro gli arcieri e la cavalleria orientale. La misura della forza militare delle città greche era data dal numero di opliti che ciascuna di esse poteva armare e tutte tenevano una lista accurata dei cittadini che per il loro censo potevano essere chiamati a servire come opliti, κατάλογος τῶν ὁπλιτῶν. In caso di necessità, lo stato forniva la panoplia ai cittadini che non avevano mezzi sufficienti per procurarsela. E per quanto nel sec. V a. C., per ragioni strategiche, Sparta e Atene avessero ricostituito la loro cavalleria, la forza militare terrestre delle due città e dei loro alleati era costituita prevalentemente dagli opliti; le truppe leggiere, alle volte più numerose degli opliti, avevano scarsissima importanza. Gli opliti erano spesso seguiti da attendenti, che ne portavano la pesante armatura durante le marce e prestavano i servizî necessarî: Erodoto (IX, 10) dice che a Platea per ogni Spartano vi erano sette attendenti iloti, cifra nella quale erano forse compresi tutti gli uomini addetti ai servizî di vettovagliamento. Alcuni stati, già dal sec. V, mantenevano corpi scelti di opliti (ἐπίλεκτοι), bene armati ed esercitati e pronti a entrare immediatamente in campagna.
Il predominio degli opliti durò incontrastato sino alla soglia del sec. IV a. C. Ma l'esperienza della guerra del Peloponneso aveva mostrato i vantaggi che si potevano ricavare da un accorto impiego della cavalleria e delle truppe leggiere, opportunamente armate e addestrate, contro le falangi di opliti. Il passo decisivo fu fatto da Ificrate (v.), che nella guerra di Corinto, dei primi anni del sec. IV, diede ai suoi mercenarî un armamento più leggiero. Egli adottò dai Traci il leggiero scudo di pelle (πέλτη, donde il nome di peltasti ai suoi soldati), sostituì la pesante corazza metallica con una corazza di tessuto, allungò la misura delle lance e delle spade e fornì i suoi uomini di giavellotti per la lotta da lontano. A Lecheo, nel 390, egli distrusse con i suoi peltasti gli opliti di una μόρα spartana; fatto che fece grande impressione e che era dovuto all'agilità di manovra dei peltasti. Anche in occidente, pare all'incirca alla stessa epoca, la tattica degli opliti veniva modificata e in Roma alla falange veniva sostituito l'ordinamento manipolare, basato più sull'azione individuale del soldato che sull'urto della massa; inoltre la fanteria romana veniva dotata di lance-giavellotti destinati al getto e non solo all'urto. L'armamento difensivo veniva alleggerito di poco. In Grecia le truppe mercenarie lasciarono l'armamento degli opliti per quello dei peltasti, ma le milizie cittadine, sia perché la tattica dei peltasti richiedeva un addestramento, che non si poteva dare a milizie cittadine, sia per influenza di una tradizione gloriosa, rimasero fedeli all'armamento e alla tattica degli opliti. I re macedoni cercarono invece di conciliare i due diversi sistemi. Una parte della fanteria macedone fu armata, pare, come peltasti; il grosso invece prese dai peltasti di Ificrate la lunga lancia (sarissa) e i piccoli scudi, ma mantenne degli opliti gli elmi e gli schinieri e soprattutto la formazione in falange. Gli opliti greci furono soverchiati dalla falange macedone, questa a sua volta dalla legione manipolare romana.
Bibl.: W. Helbig, Über die Einführungszeit d. geschl. Phalanx, in Sitzungsb. d. bayer. Akad. d. Wiss., hist. Kl., 1911, p. 12; M. P. Nilsson, Die Hoplitentaktik u. das Staatswesen, in Klio, XXII (1929), p. 240 e The introd. of hoplite tactis at Rome, in Journal of Roman Studies, XIX (1929), p. 1; J. Beloch, Gr. Gesch., 2ª ed., Strasburgo-Berlino 1912-1927, I, pp. 212, 348; III, p. 452; H. Droysen, Heerwesen u. Kriegführung der Gr., in Hermann, Lehrb. d. griech. Ant., II, ii, Friburgo in B. 1889, p. 23 seg.; J. Kromayer e G. Veith, Heerwesen u. Kriegführung d. Gr. u. Römer, Monaco 1928, p. 21 seg.; H. Delbrück, Gesch. d. Kriegskunst, I, 3ª ed., Berlino 1920, pp. 31 seg., 109 seg.; G. Busolt, Griechische Staatskunde, Monaco 1920, pp. 343, 371, 565, 571, ecc.