FAIMALI, Opilio (Upilio)
Nato a Gropparello, nell'Appennino piacentino, il 17 ag. 1824, nono figlio di Luigi e Antonia Magnani, modesti braccianti agricoli, ad appena undici anni si allontanò di casa con 6 lire piacentine in tasca. Attraversò a piedi il Piemonte e la Savoia, passò rocambolescamente la frontiera con la Francia e giunse fino in Alsazia. A Colmar, durante una fiera di carnevale, riuscì a farsi assumere come mozzo di stalla nel circo di Didier Gautier e, nel giro di due mesi, nel 1840, esordì come cavallerizzo acrobata, iniziando un continuo peregrinare per l'Europa. In Polonia, a Varsavia, eseguì il suo primo numero di addestramento, una scimmia vestita da ufficiale che volteggiava in groppa a un cane.
L'acquisto, ad Amburgo, di un piccolo serraglio (due iene, due lupi e quattordici scimmie) e, in seguito, di due pantere da G. Hagenbeck, che aveva iniziato in quegli anni il commercio di animali esotici, segnò per il F. l'inizio della carriera di domatore. La tecnica da lui adottata - l'uso di potenti manrovesci al posto di frusta e forcone per addestrare le belve più pericolose - gli fece ottenere in breve una grande popolarità.
Nel 1858 sposò la vedova del celebre domatore L. Bidel, la quale era erede del fornito serraglio del defunto. Ma l'impresa derivata da tale unione era destinata presto a fallire. Per ben tre volte gli morirono le fiere; infine, nell'estate dello stesso anno, un'epidemia di carbonchio distrusse l'intero zoo del Faimali. Deciso a ricominciare, il F. pensò allora di provvedere personalmente al rifornimento di animali e partì per l'Algeria. Da qui, messi insieme una decina di uomini, sotto la guida di un ex sergente della Legione straniera, con l'attrezzatura di tre gabbie, alcune reti di sparto e vecchie coperte, egli partì alla volta della mitica Cabilia, ove in sette mesi di caccia catturò ben ventisette felini. All'inizio di maggio del 1859 fece ritorno verso la costa e si imbarcò per l'Europa.
Riprese l'attività in Francia, lavorando prima ad Orléans, quindi all'Hippodrome di Parigi e a Marsiglia, con puntate in Germania.
Il F. divenne il creatore di un particolare tipo di spettacolo, in voga nell'ultimo quarto del secolo decimonono, recitando una pantomima in cui, vestito da arabo, rievocava le sue avventure africane: in una grande gabbia rettangolare lottava contro ogni tipo di belva, in particolare con i giaguari, che costringeva all'obbedienza con gli ormai celebri manrovesci, suscitando emozione e ammirazione tra gli spettatori. La dimostrazione di grande coraggio, accompagnata dalla varietà e dal numero degli animali che partecipavano allo spettacolo (già nel 1864 il serraglio del F. contava 160 animali, tra cui ben 32 leoni), gli meritò l'appellativo di "re dei giaguari" e la celebrità. Venne ricevuto alle corti di Olanda e di Inghilterra, si interessarono a lui il sultano di Costantinopoli e il re d'Italia Vittorio Emanuele II.
Accanto ai successi non mancarono le disavventure. Durante la guerra franco-prussiana (1870-71), scambiato per una spia, rischiò la fucilazione a Tolosa. Inoltre, nel corso delle sue esibizioni, riportò ferite e mutilazioni: la perdita del cuoio capelluto, il maciullamento di un braccio, una vasta ferita al capo mentre ritraeva la testa dalle fauci di un leone e, infine, il rischio di essere stritolato tra le spire di un boa.
Nel 1872, vedovo ormai da anni della Bidel, sposò Albertina Parenti, che lo convinse ad abbandonare la vita circense. Nel 1874 egli cedette l'intero serraglio al figliastro Bidel e acquistò il podere e la casa del "Colombarese" a Pontenure (Piacenza), paese natale della moglie. Lì si ritirò a vivere, portando con sé un solo giaguaro, "Drozzilla", al quale era particolarmente affezionato al punto da imporne il nome alla figlia dei suoi amici Maserati che tenne a battesimo. Nel 1878 incontrò e divenne amico dell'antropologo Paolo Mantegazza, alla cui penna dobbiamo il racconto dell'avventurosa vita del Faimali.
Il nuovo matrimonio del F. non fu allietato da figli e i rapporti con la moglie, dotata di un carattere piuttosto duro (in paese si mormorava: "Ha domato leopardi e tigri ma con l'Albertina non ce la fa"), si deteriorarono tanto che i due finirono per separarsi.
Assistito da una governante, con la quale conviveva alimentando le chiacchiere di paese, egli morì a Pontenure il 13 sett. 1894. I funerali furono celebrati nottetempo con rito civile, in quanto i suoi atteggiamenti spregiudicati avevano suscitato scandalo.
Il 24 ott. 1960, per iniziativa di Massimo Alberini, "ambasciatore unico a vita in Italia della Académie du Cirque di Parigi", le spoglie del F. - alla presenza delle autorità locali e di importanti esponenti del mondo circense, Jimmy Frey, René France e Orlando Orfei - furono traslate in una nuova tomba.
Fonti e Bibl.: P. Mantegazza, U. F. Memorie di un domatore di belve, Milano 1879; La morte del domatore O. F., in Il Progresso, 14 sett. 1894; M. Alberini, L'uomo che catturava le belve col mantello, in Il Corriere d'informazione, 4 sett. 1951; A. Cervellati, U.F., in Enc. dello spettacolo, IV, Roma 1957, col. 1790; M. Alberini, Onoranze a U.F., domatore insigne, Piacenza 1960; Nuovo Diz. biogr. piacentino; Piacenza 1987, ad vocem (con ulter. bibl.).