ALTIPIANI, operazioni sugli
Per operazioni sugli altipiani, durante la guerra italo-austriaca 1915-18, si sogliono comunemente intendere quelle svoltesi nella zona che comprende a nord gli altipiani di Folgaria, Lavarone e Luserna e a sud quelli di Tonezza e Asiago, a cavaliere della nostra antica linea di confine. Quivi, dall'una parte e dall'altra erano state costruite numerose e moderne opere di fortificazione: da parte austriaca, i forti di Doss del Sommo, Sommo Alto, Malga Cherle e Belvedere sugli altipiani di Folgaria e Lavarone, quelli di Oberwiesen e Luserna sull'altipiano di Luserna, quelli infine di Busa di Verle e di Cima Vezzena, alla testata di Val Brenta; da parte nostra, a sbarramento della linea Astico-Assa, si era costruito un gruppo di fortificazioni, comprendente i forti di Campomolon, Toraro e la batteria di Casa Ratti fra Posina ed Astico, i forti di Campolongo, Verena e Punta Corbin, più ad est. Allo scoppio della guerra, però, non tutte queste fortificazioni erano in perfetta efficienza: in arretrato erano specialmente i lavori delle opere di Campolongo e di quelle di Monte Ritte e Cima dell'Ora, che avrebbero dovuto completare la difesa dell'altipiano di Asiago.
Dato l'ufficio difensivo assegnato alla 1ª armata, la nostra azione sugli Altipiani, durante il primo anno di guerra, si doveva limitare, secondo gl'intendimenti del Comando supremo e le conseguenti direttive al comando dell'Armata (gen. Roberto Brusati), a sviluppare una violenta azione di fuoco, all'inizio delle ostilità, sugli altipiani di Tonezza e di Asiago, e in seguito a cercar di guadagnare spazio in avanti, allo scopo di occupare posizioni che meglio potessero permetterci di assicurare l'inviolabilità del nostro territorio; occupare, quindi, appena fosse possibile, la linea Monte Maggio, Monte Maronia, Plaut-Durer.
Nelle prime settimane di guerra, perciò, mentre le nostre fanterie raggiungevano ovunque il confine, portandosi fin sotto la linea dei forti nemici, contro di questi le nostre artiglierie degli altipiani aprivano un fuoco intenso e continuato per parecchi giorni, che causò notevoli danni alle opere austriache, specialmente al Luserna.
Nell'agosto, poi, le truppe della 34ª divisione (gen. Oro) tentarono di sfondare la linea nemica nel tratto Basson-Cima di Vezzena, ma il tentativo, eseguito il giorno 15 si convertì in un sanguinoso insuccesso; un altro attacco fu tentato nella prima decade dell'ottobre '15 dalle truppe della 9ª divisione (gen. Calderari) sulla fronte Plaut-Vallorsara-Durer, ma anche questa volta quattro giorni di sforzi tenaci non riuscirono ad aver ragione delle robuste difese accessorie e della superiorità dell'artiglieria avversaria.
Così la situazione sugli altipiani rimase immutata fino al maggio 1916, quando l'Austria sferrò la sua grande offensiva in Trentino.
Anno 1916. - A questa offensiva il Comando supremo austroungarico aveva cominciato a pensare fin dall'inverno: un attacco, del resto, in grande stile dal Trentino era stato sempre una vecchia predilezione del maresciallo Conrad, capo di Stato maggiore dell'esercito austriaco. Era egli tanto sicuro del successo, che tentò di trarre all'impresa anche l'alleato Comando tedesco; ma il Falkenhayn, capo di Stato maggiore dell'esercito germanico, mostrandosi molto meno ottimista del collega austriaco, dopo aver esaminato attentamente il progetto, finì con l'esprimere gravi dubbî sia sulla riuscita di esso, sia, soprattutto, sull'illusione di Conrad che un grave colpo inferto all'Italia sarebbe bastato per porla fuori causa, e preferì dedicare tutte le energie del suo esercito all'attacco contro Verdun.
Conrad, tuttavia, ostinato nella sua idea, seguitò nei suoi preparativi lungo tutta l'invernata, così da esser pronto, per la primavera, a sferrare l'offensiva. Una forte base di operazioni fu creata fra Trento e Bolzano, e ai primi giorni di aprile due armate, al comando dell'arciduca Eugenio, erano concentrate nella zona stessa: la 3ª comandata dal generale Kövess, e l'11ª, comandata dal generale Dankl; 194 battaglioni circa, bene armati e ben equipaggiati. Imponente poi la massa delle artiglierie, riunite per lo sforzo offensivo: circa 1800 bocche da fuoco, complessivamente, delle quali 400 pesanti e pesantissime.
All'impresa fu dato il nome di Strafe-expedition (spedizione punitiva), e il comando di un corpo d'armata (il XX) fu dato all'arciduca ereditario Carlo, con la speranza di apprestare un lauro di guerra al futuro imperatore.
Quale concetto fondamentale d'azione fu scelto quello, già da tempo studiato dal Conrad, che contemplava un forte attacco tra Adige e Brenta, compressione particolarmente accentuata in corrispondenza degli altipiani. Primo obbiettivo: la linea Schio-ThieneBassano. L'attacco doveva essere iniziato dall'11ª armata (corpi d'armata VIII, XX e XXI) nella zona Pasubio-altipiano di Folgaria; a distanza di qualche giorno doveva entrare in azione la 3ª armata, (corpi d'armata I, III e XVIII) sull'altipiano dei Sette Comuni, poiché nel concetto austriaco il complesso delle artiglierie, concentrate inizialmente sugli altipiani di Folgaria e di Lavarone, doveva essere impiegato a massa, per aprire la strada prima all'una, poi all'altra armata.
Dalla parte nostra, la fronte minacciata era compresa nel settore della 1a armata, estendentesi dallo Stelvio alla Croda Grande (testata di Val Cismon). Nel comando di questa armata, il generale conte Guglielmo Pecori Giraldi aveva sostituito, appena cinque giorni prima dell'inizio dell'offensiva nemica, il generale Roberto Brusati. Per molteplici ragioni, prime fra le quali lo scetticismo dei nostri comandi circa l'imminenza e l'entità dell'offensiva austriaca in quel settore non certo dei più agevoli, la prolungata presenza delle nevi sulle posizioni più elevate, la scarsezza dei materiali atti ad ingenti lavori di difese, le nostre linee nel settore minacciato non presentavano una consistenza e una finitezza di difese tali da poter dare affidamento di valida resistenza; la linea più avanzata, poi, che dall'Adige, per la sponda destra di Val Terragnolo, il Monte Maronia, un tratto di riva destra dell'Astico, la sponda destra del Torre, il bosco Varagna, le falde sud-ovest dell'Armentera, Sant'Osvaldo, Monte Collo, Cimon Rava e Cima d'Asta, giungeva al Cismon, rappresentava piuttosto il limite raggiunto con i nostri successivi sbalzi offensivi (specialmente in Valsugana) anziché una vera linea difensiva, che avrebbe dovuto essere appoggiata a capisaldi e non soggetta, com'era, al dominio di più elevate posizioni avversarie.
Su queste nostre linee erano schierate, successivamente, dall'Adige alla Valsugana, le seguenti truppe: 37° divisione (gen. Ricci Armani) dalla sponda orientale del Garda alla Vallarsa; V corpo d'armata (generale Zoppi) sulla fronte dalla Vallarsa alla Valsugana (dal Leno di Vallarsa a quello di Terragnolo le truppe dello sbarramento Agna-Posina, da Val Terragnolo alla Val d'Astico la 35ª divisione, e sull'altipiano di Asiago la 34ª); le truppe, infine, del settore Brenta-Cismon, al comando del generale Etna, in Val Sugana e nel contiguo settore Cismon-Vanoi. Complessivamente, la 1ª armata, che in previsione dell'offensiva nemica aveva ricevuto notevoli rinforzi, poteva contare sulle forze seguenti; 118 battaglioni in linea e 40 di riserva, con circa 800 bocche da fuoco.
Accuratamente preparata nei suoi più minuti particolari, l'offensiva austriaca, preceduta da un violentissimo bombardamento, fu sferrata il mattino del 15 maggio.
Sotto la poderosa spinta delle fanterie austriache, le nostre truppe furono costrette ovunque, dopo più o meno lunga resistenza, ad abbandonare le trincee di prima linea, frantumate dall'artiglieria. In Val Lagarina la 37ª divisione, dopo aver cercato di contrastare l'avanzata all'VIII corpo austro-ungarico sulla linea delle alture prospicienti Rovereto, ripiegò prima sulle posizioni di Malga Zugna, e poi, dopo che sull'altro versante della valle fu caduto (il giorno 18) il Col Santo, su quelle di Coni Zugna-Passo Buole. Qui, però, il nemico, che venne ostinatamente all'assalto nei giorni dal 26 al 30, urtò in una resistenza tenace ed eroica (brigate Sicilia e Taro), che, impedendogli di acquistare da una parte la libera disponibilità della strada delle Fugazze, conducente a Schio, e di piombare dall'altra in Val d'Adige, lo costrinse a desistere da ogni ulteriore attacco nella zona.
Altrettanto decisa resistenza gli Austriaci incontravano sul Pasubio, divenuto, dopo la perdita del Col Santo, cardine della situazione. I ripetuti attacchi nemici a quel baluardo montano furono tutti respinti, e il Pasubio rimase come un infrangibile pilastro dell'edificio difensivo nel Trentino.
Anche all'altra ala della 1ª armata, in Valsugana, le truppe della 15ª divisione furono costrette a ripiegare sulla linea del torrente Maso (Cima Caldiera, Monte Civaron, alture di Strigno, Cimon Rava, Cima d'Asta), ma il deciso comportamento della nostra difesa su queste posizioni indusse il nemico a desistere dall'agire frontalmente, tentando, invece, come vedremo, di sboccare in Val Brenta, alle nostre spalle, dall'altipiano di Asiago.
Più gravi volsero le vicende al centro. Soverchiata la difesa della 35ª divisione nel tratto tra il Monte Maronia e il Soglio d'Aspio, il XX corpo austro-ungarico costrinse le nostre truppe a ripiegare, dopo una giornata di lotta, sulla seconda linea Monte Toraro-Campomolon-Spitz Tonezza. Ma, sotto il fuoco formidabile dei forti austriaci e gl'incessanti, furiosi attacchi delle fanterie, i difensori furono costretti a ripiegare ancora, il giorno 19, sulla linea Monte Aralta, Monte Cimone, Barcarola. Il nemico, però, trasportate rapidamente le sue artiglierie sulla cresta Toraro-Campomolon, iniziava dopo qualche giorno il bombardamento del sottostante bacino del Posina-Astico, costringendoci a ridurci sulla linea montuosa del Novegno, estremo spalto verso la pianura.
Fin dal giorno 20, intanto, la 3ª armata austro-ungarica aveva iniziato il suo attacco sull'altipiano di Asiago. Sulle posizioni del Bosco Varagna e del Costesin le truppe della nostra 34ª divisione opposero una magnifica resistenza, che suscitò l'ammirazione dello stesso nemico, ma alla fine furono costrette alla ritirata, prima sulla linea dell'Assa (Cima e Bocchetta di Portule, e sponda sinistra dell'Assa), e poi, il giorno 27, sulla linea marginale dell'altipiano (Punta Corbin, M. Belmonte, M. Lemerle, M. Kaberlaba, M. Sisemol, Melette di Gallio, dove un gruppo alpino saldava la difesa dell'altipiano con quella della Val Brenta).
Così, agli ultimi di maggio, la spinta austriaca era contenuta ad ovest da una linea che, appoggiandosi ai capisaldi montani Coni Zugna, Pasubio, Novegno, e sbarrando la strada delle Fugazze, coprendo il piano di Schio, bloccando la conca di Arsiero, serrava l'avversario in Vallarsa e nel bacino Posina-Astico; ad est dalla linea accennata che, svolgendosi a rientrante a S. e ad E. di Asiago, contornava l'altipiano. Su queste posizioni il generale Cadorna ammoniva, in un suo telegramma al generale Lequio, comandante della difesa dell'altipiano, "doversi salvare l'onore e la fortuna d'Italia".
Accorrevano, intanto, da ogni altra parte del fronte rinforzi sul fronte minacciato, e ad evitare l'eventualità dello sbocco nemico in piano, veniva, il giorno 21 maggio, costituita, con truppe tratte dagli altri settori, una nuova armata (la 5ª, al comando del generale Frugoni) su cinque corpi d'armata, e rapidamente concentrata nel triangolo Vicenza-Cittadella-Padova.
Nei primi giorni di giugno l'avversario iniziò i suoi poderosi attacchi diretti ad infrangere gli ultimi diaframmi montani di sinistra. Contro le posizioni di M. Alba, Colle Xomo, Colle di Posina urtarono più volte la sinistra dell'VIII corpo austro-ungarico (59ª divisione) e la destra del XX (3a divisione), ma la salda resistenza della 27ª divisione italiana rese vano ogni tentativo. A destra, invece, il I corpo austro-ungarico, che il 30 maggio aveva iniziato il suo attacco contro le nostre posizioni del M. Cengio, possente sperone dell'altipiano di Asiago che si protende in Val d'Astico, dopo un'epica lotta di cinque giorni, sostenuta dalle brigate Granatieri di Sardegna, Catanzaro, Pescara e da reparti della Trapani, della Novara, della Modena, riusciva a impadronirsene, costringendo la nostra difesa a ripiegare sulla sponda sinistra di Val Canaglia (M. Paù, M. Zovetto, M. Lemerle).
Del pari accanita ardeva la lotta sull'altipiano. Superate le difese di M. Fiara e della Meletta di Gallio, le forze del III corpo austro-ungarico riuscivano ad occupare, fra il 5 e l'8 giugno, il nodo montano di Castelgomberto, eroicamente difeso dai nostri alpini, e il M. Sisemol.
Pure, non ostante i parziali successi, l'offensiva austriaca aveva perduto il suo carattere d'irrompente e sicura avanzata, ed era ovunque contenuta: la nostra difesa, inoltre, si andava sempre più rinsaldando, tanto più che il nostro Comando supremo, acquistata ormai la convinzione che il nemico non avrebbe più raggiunto la pianura, poteva impiegare le truppe della 5ª armata per rafforzare la difesa e per contrattaccare.
Non giudicando, intanto, di poter continuare l'azione a fondo su tutto il fronte, il Comando austro-ungarico aveva deciso di limitare lo sforzo al solo tratto di fronte a cavallo dell'Astico, agendovi con le ali interne delle due armate. Il 10 giugno ebbe inizio questa ultima fase dell'offensiva austriaca, con forti attacchi alle nostre posizioni del Novegno e della sinistra di Val Canaglia. Il giorno 10, le truppe del I corpo austro-ungarico ottennero qualche successo sul M. Lemerle, difeso dalla nostra 30ª divisione, ma nei giorni 12 e 13 il XX corpo austro-ungarico subì sul Novegno, dalla nostra 35ª divisione, uno scacco sanguinoso, che paralizzò definitivamente l'azione della 11ª armata; fra i giorni 15 e 16, infine, gli sforzi del I corpo austro-ungarico s'infransero ancora contro le difese del Lemerle e dello Zovetto. Con questi attacchi, in definitiva falliti, si può considerare crollato il piano austriaco.
Gravi notizie, intanto, giungevano al comando austro-ungarico dalla Galizia, dove le armate russe del generale Brussilov dal 3 giugno avevano sfondata la linea austriaca su larga fronte, rapidamente avanzando e catturando un numero enorme di prigionieri. Da fonte nemica stessa, però, fu riconosciuto che lo sforzo offensivo austriaco sul nostro fronte poteva considerarsi fallito ancor prima che si movesse la valanga russa.
Avuta l'impressione della crisi nemica, il nostro Comando supremo ordinava, per il giorno 16 giugno, di passare alla controffensiva. Le truppe dell'altipiano, infatti, delle quali dal primo giugno aveva assunto il comando il gen. Mambretti, e che comprendevano i corpi d'armata XX (gen. Montuori), XXII (gen. Zoppi), XIV (gen. Mossolin) e XXIV (gen. Secco), iniziarono nel detto giorno un largo movimento, che, secondo le direttive del Comando della 1ª armata, doveva tendere a restringere il grande arco del nostro schieramento, rioccupando l'altipiano fino al solco dell'Assa e al contrafforte delle Portule.
Fra il 16 e il 20 giugno, quindi, si combatté strenuamente a M. Fior e a Castelgomberto, sul piano della Marcesina e nella regione montana a nord dell'altipiano, ove i nostri alpini riuscirono a ristrappare al nemico M. Magari e Cima Isidoro. In complesso, i guadagni di terreno furono poco rilevanti, ma la nostra pressione valse ad affrettare la ritirata nemica.
Il mattino del 25 giugno, infatti, da tutti gli osservatorî venne segnalato che gli Austriaci erano in piena ritirata su tutto il fronte; il comando della 1ª armata ordinava tosto d'inseguirli fin dove fosse possibile. Ma già il giorno 27 apparve evidente che il nemico si era ritirato sopra una nuova linea, rapidamente allestita in precedenza e già saldamente afforzata, la quale si svolgeva lungo il tracciato Zugna Torta, Pozzacchio, M. Corno, Col Santo, Pasubio, Col della Borcola, M. Seluggio, M. Cimone, sponda nord dell'Assa, M. Rasta, M. Mosciagh, M. Interrotto, M. Ortigara, M. Civaron, M. Salubio, Alpi di Fassa.
Venute ovunque a contatto della nuova linea avversaria, le nostre truppe, il 6 luglio, ripresero la controffensiva sull'altipiano; ma, non ostante il valore delle truppe e dei comandanti, non si poterono conseguire che vantaggi locali. Si riaccese nuovamente la lotta il giorno 11, protraendosi fino al 16, ma con risultati parimente nulli o quasi, non ostante i non lievi sacrifici di vite. Un ultimo tentativo, il giorno 22 luglio, di aggirare le difese del M. Zebio, mediante un attacco da nord, costò tre giorni di sforzi tenaci, per quanto, sfortunati, e perdite piuttosto gravi ai nostri alpini.
Col giorno 24 luglio ai può considerare finita la grande battaglia del Trentino, che, se pur dette agli austriaci un notevole vantaggio iniziale, costituì tuttavia un innegabile successo per le nostre armi, e per l'avversario un fiero colpo, del quale, com'ebbe a riconoscere anche il Falkenhayn, si risentirono le conseguenze in tutti i settori della guerra europea, per il resto dell'anno 1916.
Sino al termine dell'anno e per tutti i primi mesi del 1917, nessun avvenimento notevole si svolse sugli altipiani, ove la 1ª armata, secondo le direttive del Comando supremo, serbava un contegno di "attiva difesa".
Anno 1917. - Nel giugno 1917 si volle tentare un'azione, del resto progettata da tempo, diretta allo sfondamento della linea austriaca sugli altipiani nel suo tratto più alto, là dove essa, staccandosi dal baluardo montano che si affaccia sulla Valsugana, per l'Ortigara, M. Campigoletti, M. Chiesa, M. Forno, M. Colombara, si raccordava allo Zebio. Il possesso di questa linea permetteva al nemico di dominare le direttrici d'invasione dell'altipiano, segnate dalla Val d'Assa e dalla Val Galmarara, e rappresentava inoltre una minaccia continua alle spalle delle nostre armate dell'Isonzo, della Carnia e del Cadore.
L'azione fu affidata al comando della 6ª armata (gen. Mambretti), che era stata costituita, dopo gli avvenimenti del 1916, con le truppe dell'altipiano di Asiago e della Valsugana. Il XX corpo d'armata (gen. Montuori) doveva tendere alla rottura del fronte nemico a nord, in corrispondenza del M. Ortigara e del M. Forno, e il XXII (gen. Negri di Lamporo) a sud, tra C. Zebio e il M. Mosciagh; irrompendo quindi a traverso le due brecce, il XX avrebbe dovuto impadronirsi di tutto l'orlo dell'altipiano, fino a Cima Portule, e il XXII raggiungere il ciglione est della bassa Val Galmarara. Concorrevano all'azione anche il XXVI corpo d'armata (gen. Fabbri) sulla sinistra del XXII, e le truppe della Valsugana (XVIII corpo d'armata, gen. Etna).
L'offensiva, svoltasi tra il 10 e il 25 giugno, si convertì in un sanguinoso insuccesso, pur essendo stata una nuova superba prova del valore delle nostre truppe, specialmente alpine. L'azione, infatti, nella prima fase (10-19 giugno), non ebbe risultati tangibili sulla fronte a sud dell'Ortigara; ma su questo tragico monte, gli alpini dell'8° e 9° gruppo (gen. Di Giorgio), dopo aver raggiunto il giorno 10 il primo gradino di quota 2101 e avervi resistito al fuoco e ai veementi contrattacchi avversarî, con un secondo superbo sforzo s'impadronivano, il giorno 19, della vetta di q. 2105.
Il nemico, però, fatti accorrere rinforzi e affidato il comando ad uno dei suoi migliori generali, il Goiginger, sferrava il giorno 25 una potente azione controffensiva, che ci costava lo sgombero delle posizioni conquistate con tanti sacrifici e perdite gravissime. Fu quasi il preludio, questa sfortunatissima azione, ai più nefasti avvenimenti che dovevano chiudere quel tristo anno 1917.
Dopo la nostra ritirata al Piave, nel novembre, il nemico, postosi a cavallo della zona tra Brenta e Piave, prendeva ad alternare forti colpi di maglio sul Grappa e sull'altipiano, con la speranza di aprirsi una breccia verso il piano.
Il primo attacco sugli altipiani si ebbe il giorno 10 novembre, e precisamente contro le posizioni di Gallio e di M. Ferragh; i nostri posti avanzati cedettero, ma un impetuoso contrattacco di truppe della 2ª divisione ricacciò quasi completamente l'avversario. L'attacco fu ritentato nel pomeriggio dell'11, ma venne parimenti ributtato.
Riaccesasi con maggior impeto la lotta il giorno 12, la perdita del caposaldo di M. Longara costrinse le nostre truppe a ripiegare sulle posizioni di M. Sisemol, Stenfle, M. Zomo. Contro il Sisemol l'avversario lanciò successivi poderosi attacchi, nella giornata del 13 e nella notte sul 14, ma essi s'infransero tutti contro la salda resistenza di reparti della brigata Liguria. Spostò quindi l'attacco più a nord, contro il tratto Meletta davanti - M. Fior - M. Castelgomberto, ma con tre giorni di sanguinosi combattimìenti non riuscì neppur qui ad ottenere alcun risultato decisivo. Il M. Zomo, caduto in mano del nemico il giorno 17, fu, dopo breve ora, riconquistato da reparti della brigata Liguria e dal battaglione alpino M. Cervino.
Il 22 novembre fu un'aspra giornata di battaglia nel settore delle Melette, ma le truppe del XX corpo (gen. Ferrari) in uno sforzo supremo riuscirono, dopo drammatica lotta, ad arrestare il nemico.
Ebbe, quindi, la battaglia una breve sosta fino al 3 dicembre. Fatte affluire nuove artiglierie, il nemico, dopo avere scatenato sulle nostre posizioni delle Melette un furioso bombardamento in parte a gas asfissianti, lanciava, il mattino del 4, forti scaglioni di truppe all'assalto; sul tratto M. Sisemol-M. Zomo il nemico poté essere contenuto; ma, per la perdita successiva di tutte le posizioni che costituivano il bastione destro del sistema delle Melette, queste, dopo un'eroica resistenza, cui il nemico stesso rese omaggio nei suoi bollettini, dovettero essere sgombrate.
A M. Fior e a Castelgomberto, nuclei di alpini, isolati e accerchiati, preferirono all'eventualità di un incerto ripiegamento il glorioso sacrificio di un'epica difesa ad oltranza, anch'essa riconosciuta e ammirata dal nemico.
Il giorno 6, venne la volta anche del Sisemol. Un'intera divisione lo attaccò risolutamente, prendendolo e riprendendolo più volte, ma alla fine poté aver ragione della strenua difesa della 4ª brigata bersaglieri. Tutta la nostra difesa dovette, così, arretrare sulla linea Cima Echar- M. Valbella-Col del Rosso-M. Zaibena-ciglione destro di Val Frenzela.
Contro questa linea estrema il nemico venne a cozzare con violenza il 23 dicembre. Ai soldati austriaci era stata fatta balenare la speranza di poter festeggiare il Natale a Bassano: era questo lo sforzo supremo dell'ostinato Conrad, dopo il fallimento dell'attacco al Grappa. Il III corpo d'armata e il gruppo Kletter, forti di 5 divisioni, furono lanciati contro le due divisioni (2ª e 57ª) del nostro XII corpo d'armata (gen. Gatti). Il poderoso sforzo avversario riusciva a sfondare il centro della nostra linea e ad aggirare la destra: il Valbella, il Col del Rosso, Col d'Echele, M. Melago poco dopo il mezzogiorno erano perduti. Per qualche ora la situazione parve ed era gravissima, ma ben presto i rinforzi accorsi da più parti iniziavano la serie dei contrattacchì. Per tre giorni si combatté col massimo accanimento da una parte e dall'altra, ma alla fine, irrigidendosi sopra una linea che dal ridotto di Costalunga per il Col de' Nosellari, il M. Melago e la Busa del Termine sbarrava la Val Chiama, le nostre truppe tolsero al nemico ogni ulteriore velleità di attacchi.
Anno 1918. - Risollevatosi mirabilmente, dopo gli avvenimenti di fin d'anno, il morale delle truppe, non tardarono queste a riprendere l'iniziativa dell'offesa. Sugli altipiani, anzi, si ebbero le prime operazioni controffensive di qualche entità, che dimostrarono al nemico come si fosse rinnovato lo spirito aggressivo del nostro esercito.
Nei giorni 27 e 28 gennaio una brillante azione del comando dell'armata degli altipiani (gen. Zoppi) ci ridava il possesso di M. Valbella, Col del Rosso e Col d'Echele. Il nostro attacco, affidato alla 33ª divisione (gen. Sanna), fu preceduto da una ben disposta azione d'artiglieria. Con l'abituale, superbo slancio la brigata Sassari, dopo aspra lotta, riconquistò nel pomeriggio del 28 il Col del Rosso e il Col d'Echele; sul Valbella, la 4ª brigata bersaglieri incontrò ancor più tenace resistenza, che poté esser vinta solo il mattino del giorno 29. L'esito vittorioso dell'azione coronò degnamente una lunga e assidua opera di preparazione materiale e morale.
Nulla d'importante avvenne poi sugli altipiani fino al 15 giugno, giorno in cui, iniziandosi la battaglia del Piave, le truppe dell'11ª armata austro-ungarica attaccarono, con decisa violenza, anche sugli altipiani, con l'intento di sfondare le nostre linee dalla Val d'Assa (confluenza col Ghelpac) alla Val Frenzela, e d'irrompere quindi per la Val Canaglia su Thiene e per la Val Frenzela su Bassano. L'attacco si sferrò verso le ore 9 del 15.
Nel settore occidentale, tenuto da truppe britanniche, il nemico riuscì ad infiltrarsi in alcuni tratti della linea, presso Perghele e a sud di Roncalto, ma venne prontamente contenuto da un contrattacco effettuato col concorso di truppe francesi, e arrestato nel triangolo C. Traverso-Cesuna-Roncalto. Più a sud, in direzione di Cesuna, gli riuscì di conseguire qualche vantaggio maggiore, ma un contrattacco generale degli alleati, effettuato nelle prime ore del pomeriggio con l'appoggio di truppe dell'ala destra della 1ª armata (12ª divisione), riuscì a ristabilire quasi completamente la situazione su tutta la fronte. Nel settore centrale, presidiato da truppe francesi, il fuoco vivissimo dell'artiglieria avversaria costrinse a sgombrare il saliente di Capitello Pennar, ma anche qui un contrattacco francese riusciva a riconquistare la posizione perduta, costringendo il nemico a ripiegare con perdite molto gravi.
Ancor più accanita fu la lotta all'ala destra dell'altipiano, tenuta dal nostro XIII corpo di armata (gen. Sani), dove il nemieo, distrutte sotto una valanga di fuoco le trincee del Valbella, di Col del Rosso, Col d'Echele, e lanciate all'assalto le sue fanterie sotto una cortina di nebbia artificiale, riusciva a progredire fino a investire le nostre posizioni che sbarravano la Val Chiama (Cima Echar e la Busa del Termine). Ma qui i nostri soldati avevano issato sulle rocce una tabella con la fiera scritta: "Di qui non si passa") E la consegna fu mantenuta. Un'epica lotta si dibatté tutto il giorno, sia su Cima Echar, difesa dal 13° reggimento della brigata Pinerolo, sia a Busa del Termine, leoninamente contesa dalla brigata Lecce, sicché, dopo un ultimo disperato attacco tentato dal nemico a tarda sera, anche su questo tratto vitalissimo della fronte l'avversario fu costretto a retrocedere: era questo il primo atto del dramma austriaco, la cui catastrofe doveva aversi poi sulle sponde del Piave.
Il giorno 16 le nostre truppe degli altipiani passavano decisamente alla controffensiva. E fin dal primo giorno, mentre le truppe alleate riuscivano a ristabilirsi su tutte le posizioni che occupavano prima dell'offensiva, nella zona del nostro XIII corpo d'armata, un contrattacco del 13° fanteria e del 3° bersaglieri ci ridava il possesso di gran parte del ridotto di Costalunga. Anche il Col del Rosso fu ripreso da un battaglione della brigata Padova, che però, premuto da forze superiori, non poté restarvi. Nei giorni poi, tra il 17 e il 19, fu completata la riconquista del ridotto di Costalunga; e finalmente, il 29 giugno, le truppe degli altipiani ristrappavano al nemico, e, questa volta per sempre, il Valbella, il Col del Rosso e il Col d'Echele.
Tacque quindi la guerra sugli altipiani fino agli ultimi giorni di ottobre, quando le nostre truppe, balzate alfine dai ripari, e travolte le superstiti resistenze nemiche, iniziarono la marcia vittoriosa verso i termini sacri della Patria.