operazione
. Termine presente nella Vita Nuova, nella Monarchia (operatio) e prevalentemente nel Convivio (79 volte), una sola volta invece nella Commedia (Pg XVIII 105). Ha valore di " attività ", " agire ", " effetto dell'agire ", ma più precisamente vale il termine ‛ azione ', mai presente in Dante. Il corrispondente latino operatio (insieme con actio: l'oscillazione nell'uso dei due termini è normale nella Scolastica) traduceva nel linguaggio scolastico il termine aristotelico ἐνέργεια nel senso specifico - presente in D. - di " atto secondo ", eliminando così l'ambiguità che sussisteva nel termine actus fra atto primo e atto secondo (v. ATTO). Si distingueva cioè fra le due nozioni di ‛ atto primo ' come ἐντελέχεια, come piena e perfetta realizzazione dell'essenza, e ‛ atto secondo ' appunto come o., attività, azione singola e puntuale da esplicare, operare (v.) o adoperare (v.) per attuare tale pienezza e perfezione (cfr. Aristotele Metaph. IX 3, 1047a; 8, 1050a 23). Dato che l'esplicazione e realizzazione di ogni essenza implica un'o., è ovvio che ogni essenza avrà le sue ‛ proprie ' o specifiche o. (Cv I X 9, II V 13, VI 3 e 5, III III 1, IV IX 2, Vn XIII 4); tali o. conseguiranno necessariamente dall'essenza qualora non sussistano ostacoli di ordine naturale e si trovi una materia disposta a ricevere i loro effetti (Cv II V 13, IX 7, Vn XXVII 2; cfr. Arist. Anima II 2, 414a 11, 25, e Tomm. Comm. De anima II lect. IV, n. 272); per converso se un'o. specifica mostra l'esistenza di una corrispondente essenza specifica, la mancanza di una tale o. è indice della non esistenza di quell'essenza (cfr. Cv II IV 3 [due volte], Mn I III 3 [tre volte] e 4 [due volte]). Talvolta l'o., oltre che in sé stessa, si realizza nella cosa prodotta (cfr. Arist. Metaph. IX 8, 1050a 31 ss.). In tal senso D. usa o. (Cv IV XXII 4, Vn XXI 8, XXVI 4) nel significato di " opera ", " effetto dell'azione " (cfr. a tal proposito quanto dice Tommaso in riferimento al passo aristotelico: " Duplex est operatio, ut dicitur in nono Metaphysicorum. Una quae manet in ipso operante, sicut videre, velle et intelligere; et huiusmodi operatio proprie dicitur actio. Alia autem operatio transiens in exteriorem materiam, quae proprie dicitur factio. Quandoque enim aliquis exteriorem materiam assumit solum ad usum, sicut equum ad equitandum et cytharam ad cytharizandum. Quandoque autem assumunt materiam exteriorem, ut mutent eam in aliquam formam; sicut cum artifex facit domum aut lectum. Prima igitur et secunda operationum non habent aliquod operatum quod sit finis, sed utraque earum est finis. Tertia vero operatio est sicut generatio quaedam, cuius finis est res generata ", Comm. Eth. I lect. I n. 13); appunto sullo schema aristotelico operante-operato, generante-generato, D. accomuna l'o. alla generazione: così puote l'uomo dire ‛ sorella ' de l'opera che da uno medesimo operante è operata; ché la nostra operazione in alcuno modo è generazione (Cv III IX 4; v. anche OPERA).
In questo ambito l'uomo costituisce un caso particolare; egli infatti accanto alle o. naturali e involontarie, comuni con gli altri esseri naturali, ha le o. specifiche in quanto derivanti dalla sua essenza razionale: E a vedere li termini de le nostre operazioni, è da sapere che solo quelle sono nostre operazioni che subiacciono a la ragione e a la volontade; che se in noi è l'operazione digestiva, questa non è umana, ma naturale, Cv IV IX 4 (cfr. Alberto Magno Ethic. I IX 4 e Tomm. Comm. Ethic. I lect. I e XX). Le o. naturali sono in funzione della ragione (la perfezione de la ragione, de la quale, sì come di principalissima parte, tutta la nostra essenza depende; e tutte l'altre nostre operazioni - sentire, nutrire, e tutto - sono per quella sola, e questa è per sé, e non per altri, Cv III XV 4), mentre tra le o. proprie dell'essenza razionale dell'uomo (III VII 8 e 9) alcune non dipendono completamente da lui, altre gli sono del tutto proprie in quanto, dotato di volontà, le ha in suo pieno potere.
Dice infatti D.: la nostra ragione a quattro maniere d'operazioni... è ordinata: ché operazioni sono che ella solamente considera, e non fa né può fare alcuna di quelle, sì come sole le cose naturali e le sopranaturali e le matematice; e operazioni che essa considera e fa nel proprio atto suo, le quali si chiamano razionali, sì come sono arti di parlare; e operazioni sono che ella considera e fa in materia fuori di sé, sì come sono arti meccanice. E queste tutte operazioni, avvegna che 'l considerare loro subiaccia a la nostra volontade, elle per loro a nostra volontade non subiacciono... però che di queste operazioni non fattori propriamente, ma li trovatori semo... Sono anche operazioni che la nostra [ragione] considera ne l'atto de la volontade... sì come stare casto e lussuriare, e queste del tutto soggiacciono a la nostra volontade; e però semo detti da loro buoni e rei perch'elle sono proprie nostre del tutto, perché, quanto la nostra volontade ottenere puote, tanto le nostre operazioni si stendono (Cv IV IX 5-7; cfr. Alb.Magno Eth. III I; Tomm. Sum. Theol. II 11, e Comm. Ethic. I lect. I).
È in questo ambito di o. ‛ del tutto nostre ' che trova la sua funzione e i suoi limiti la giurisdizione imperiale (Cv IV IV 5, IX 1 [due volte], 8 e 9, Mn II VI 6 [due volte]). L'o. umana comporta dunque il problema morale, che D. risolve in parte nel quadro della dottrina aristotelica della virtù: se cioè per ogni altro essere l'o. può dirsi senz'altro buona quando risponde all'attuazione della sua essenza, per l'uomo nell'attuazione della scienza e dell'arte l'o. è buona quando è secondo le loro regole (Cv I VIII 9), ma nell'attività morale un'o. si qualifica buona, giusta e diritta o mala e vile (I IV 8, III XI 13, IV XXVIII 13, XXIX 4) quando è o no compiuta secondo virtù (I III 7, VIII 7 e 12, X 8, III XIV 14, XV 18, IV VI 13 [tre volte], XXVII 6; Mn I XI 7 [due volte] e 19, III XV 7).
Si profila così una distinzione fra virtù e o., analoga a quella fra atto primo e atto secondo, dove la virtù in quanto acquisizione di un abito (v.) attraverso l'esercizio, è contrapposta a o. in quanto azione singola (quella cosa che più adorna e commenda l'umana operazione, e che più direttamente a buon fine la mena, si è l'abito di quelle disposizioni che sono ordinate a lo inteso fine, Cv I V 4; Mn I XI 5, XIII 6, II VIII 4, III IV 18 e 20; cfr. Tomm. Sum. theol. II 49 3, 55 1; Comm. Ethic. II lect. v). Il loro rapporto è chiarito nella definizione aristotelica di felicità (Arist. Eth. Nic. I 7, 1098a 15-16) che D. riprende più volte ([le virtù] fanno l'uomo beato, o vero felice, ne la loro operazione, sì come dice lo Filosofo nel primo de l'Etica... dicendo che " Felicitade è operazione secondo virtude in vita perfetta ", Cv IV XVII 8; v. ancora III XV 12, IV Le dolci rime 84 XVII 1; cfr. Tomm. Comm. Ethic. I lect. X nn. 128-130).
È in questo ambito di problemi, sempre sulla scorta di Aristotele considerato per le umane o., e quindi la morale, autorevole maestro (Cv IV VI 6-8, quattro volte), che D. prospetta accanto alla funzione dell'intelletto pratico quella dell'intelletto speculativo (VE II VIII, Mn I II 5 [due volte], XIV 7), accanto alla felicità dovuta alle o. secondo virtù etiche quella più perfetta dovuta alle o. secondo virtù dianoetiche (nostra beatitudine... prima trovare potemo quasi imperfetta ne la vita attiva, cioè ne le operazioni de le morali virtudi, e poi perfetta quasi ne le operazioni de le intellettuali. Le quali due operazioni sono vie espedite e dirittissime a menare a la somma beatitudine, la quale qui non si puote avere, Cv IV XXII 18; cfr. Tomm. Sum. theol. II 3 2-4). Proprio in rapporto a questo tipo di felicità (Cv IV XXII 3) D. può introdurre un uso di o. che si rifà al neoplatonico Liber de Causis, che egli cita esplicitamente e utilizza in connessione alla dottrina dell'anima nobile e delle sue o. (E in questa cotale anima è la vertude sua propria, e la intellettuale, e la divina, cioè quella influenza che detta è: però è scritto nel libro de le Cagioni: " Ogni anima nobile ha tre operazioni, cioè animale, intellettuale e divina ", Cv IV XXI 9; cfr. Liber de Causis III, e passim). Questa cornice neoplatonica aiuta a comprendere la distinzione dantesca fra o. mondane (Cv IV XXVIII 3 e 8), civili (§ 16), intese come agire-attività rivolti alle cure del mondo, e le buone operazioni e contemplazioni (§ 5), le nostre operazioni laudabili (XVIII 5) precisate come tornare a Dio con tutto nostro intendimento e cuore (XXVIII 3; senso analogo ha la più che umana operazione in III XIV 11, e la sua [oper]azione in IV XXVIII 19).
Sempre nel quadro delle dottrine aristoteliche e neoplatoniche in chiave cristiana la definizione di miracolo come immediata operatio Primi absque cooperatione secundorum agentium (Mn II IV 3, dov'è esplicito riferimento a s. Tommaso; caso analogo è in III VII 5); la definizione dei sacrifici pagani come operationes humanas (II VII 6); riguardo alla dottrina della Provvidenza la presenza dietro le operazioni umane di divine operazioni (Cv IV V 1, 10 e 17); la considerazione di alcune o. come peccati e quindi meritevoli di punizione (Pg XVII 105). Si riferiscono invece all'ambito strettamente aristotelico già descritto, altre occorrenze di o. che riguardano le o. umane (Cv III IV 11, IV II 5); i problemi connessi al nostro operare tramite organi corporei (Vn IV 1, XXIX 20, Cv II XIII 24, III III 10, VIII 14, IV XV 11, XXV 11); il significato già descritto di ‛ atto secondo ' (Cv III IV 8, IV II 8, Vn XV 8).