opera (in poesia, spesso in rima, anche opra e il gallicismo ovra)
È voce di ampio significato, e ricorre in tutte le opere di Dante. Nel valore attivo o. indica l'attività, l'azione od operatio, mentre nel valore passivo indica il " fatto ", il " prodotto " finale in quanto opus od operatum. Il termine è riferibile a ogni tipo di attività, sia artigianale o manuale, artistica o letteraria e ai vari prodotti di esse. Usato assolutamente indica specialmente l'azione umana (in casi particolari, l'azione guerresca ed eroica). Come tale rientra nell'ambito dell'agire morale, in quanto orientata a un fine. A tal proposito va ricordato che per Aristotele gli opera sono per natura preferibili alle operationes, in quanto rappresentano l'attuazione di una potenzialità e il raggiungimento di un fine. La virtù e perfezione di ogni ente consiste infatti nel compiere bene il proprio opus.
In Aristotele (Eth. Nic. I 1, 1094a 3-6) si leggeva infatti: " Differentia vero finium quaedam videtur. Hi quidem enim sunt operationes; hi vero praeter has, opera quaedam. Quorum autem sunt fines quidem praeter operationes, in his meliora existunt operationibus opera ", che Tommaso così glossava (ibid. lect. I): " circa quod considerandum est, quod finale bonum in quod tendit appetitus unius cuiuslibet, est ultima perfectio. Prima autem perfectio se habet per modum primae. Secunda autem per modum operationis. Et ideo oportet hanc esse differentiam finium, quod quidam fines sunt ipsae operationes, quidam vero sunt ipsa opera, idest operata quaedam, quae sunt praeter operationes. Ad cuius evidentiam considerandum est, quod duplex est operatio, ut dicitur in nono Metaphysicorum [cfr. Arist. Metaph. IX 8]. Una, quae manet in ipso operante, sicut videre, velle et intelligere: et huiusmodi operatio proprie dicitur actio. Alia autem operatio transiens in exteriorem materiam, quae proprie dicitur factio. Quandoque enim aliquis exteriorem materiam assumit solum ad usum... Quandoque autem assumunt materiam exteriorem, ut mutent eam in aliquam formam; sicut cum artifex facit domum aut lectum. Prima igitur et secunda operationum, non habent aliquid operatum quod sit finis, sed utraque earum est finis. Prima tamen nobilior quam secunda: inquantum manet in ipso operante. Tertia vero operatio est sicut generatio quaedam, cuius finis est res generata. Et ideo in operationibus tertii generis ipsa opera sunt fines... in quibuscumque operata, quae sunt praeter operationes, sunt fines, oportet quod in his operata sint meliora operationibus... Nam finis est potior his quae sunt ad finem. Nam ea quae sunt in finem, habent rationem boni ex ordine ad finem ".
Con valore attivo di " azione ", " atto " esteriore, con specifico riferimento all'operare umano, ricorre in Cv IV XXVIII 8, dove mondano diletto e opera è in connessione con mondane operazioni e indica le occupazioni di questo mondo in opposto all'ascesi monastica. Ancora in Pd XI 42 perch'ad un fine fur l'opere sue, è messo in risalto il fine superiore a cui tutti gli ‛ atti ' furono ordinati; VI 129 Romeo, di cui / fu l'ovra grande e bella mal gradita; Cv IV XIV 3 villano uomo mai possa esser gentile per opera che faccia; I III 5 di minor pregio si fece ogni opera, sì già fatta, come quella che fosse a fare. Alcune volte è posto in risalto il rapporto ‛ dire-fare ' ‛ parola-o. '; così in Cv IV XXIV 15 E guardisi [il padre] che non li [al figlio] dea di sé essemplo ne l'opera, che sia contrario a le parole de la correzione; If XXIV 78 la dimanda onesta / si de' seguir con l'opera facendo; Cv IV I 5 lei [la donna] seguitando ne l'opera sì come ne la passione, dove il termine può valere quello di " condotta "; in If XVI 119 non veggion pur l'ovra, / ma per entro i pensier miran col senno, la relazione pensier-ovra è nello stesso rapporto di ‛ intenzione '-‛ atto '. La stessa relazione, in un contesto di forte realismo, in Rime CIII 34 'l pensier bruca / la lor [dei sensi] vertù sì che n'allenta l'opra, dove opra è specificamente l'‛ operazione ' dei sensi e il pensiero l'idea persistente di Amore. In Rime XLVII 12 graziosa ovra è l'operare irresistibile di Amore. In If XV 60 dato t'avrei a l'opera conforto, o. è tutt'insieme l'attività del cittadino e del poeta. In Vn XXXIV 3 la mia opera, cioè del disegnare, indica un'attività manuale (cfr. Cv IV XXV 11). Con valore pregnante e allusivo indica l'attività amorosa, cioè l'atto carnale. Così in Rime XL 12 pensando l'ovra sua d'allore; Fiore XXXIX 9 egli ha in quell'opera diletto; LXII 9 l'opera faccendo.
Un caso particolare è rappresentato da Rime LXXXIII 90 Sollazzo è che convene / con esso Amore e l'opera perfetta, in cui l'uso è di stretto valore tecnico. La locuzione corrisponde alla τελεία ἐνέργεια- operatio perfecta di Aristotele (Eth. Nic. X 4, 1174b 14 ss.) dov'è definita come la perfetta attuazione della migliore disposizione rispetto all'oggetto migliore; tale perfezione dell'atto è inoltre congiunta con la felicità prodotta dal piacere: " Sensus autem omnis ad sensibile operantis perfecte, et bene dispositi ad pulcherrimum sub sensu iacentium: tale enim maxime videtur esse perfecta operatio... Perficit autem operationem delectatio " (cfr. il commento ad l. di Tommaso, X lect. VI " operatio inquantum est perfecta, sit delectabilis. Delectatio ergo est operationis perfectio "; v. anche Cont. Gent. III 39). Qui D. connette evidentemente il sollazzo e l'amore con la felicità e piacere che rendono perfetta l'operazione.
Con connotazione morale o. può designare la buona o mala condotta che merita il premio o castigo eterno. Come o. ‛ mala ' e quindi ‛ peccaminosa ', compare in If XIII 51 indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa; XIX 82 dopo lui verrà di più laida opra / ... un pastor sanza legge, di particolare pregnanza per l'allusione al papa empio; XXV 31 onde cessar le sue opere biece (dove il riferimento è a Caco); XXXIII 155 per sua opra / in anima in Cocito già si bagna; Pd XIX 136 parranno a ciascun l'opere sozze, con riguardo al ‛ libro ' divino in cui saranno scritti i giudizi finali di premio o condanna.
All'opposto sono le o. buone, operate secondo virtù e perciò meritevoli. A questo valore vanno ricondotte le o. virtuose di Cv I II 11.
Con più stretta attinenza al problema della giustificazione attraverso le o. meritorie è da considerare Pg XI 142, dov'è detto che Provenzan Salvani con l'atto d'umiltà compiuto di fronte al popolo meritò dalla giustizia divina la liberazione dall'Antipurgatorio (Quest'opera li tolse quei confini). Per o. meritorie sono da intendere gli atti compiuti in osservanza della legge divina, che ne costituiscono un adempimento e un titolo per la salvazione. Comunque la bontà delle o. va sempre congiunta con la bontà delle intenzioni, mentre essenziale alla salvazione appare l'intervento della grazia (cfr. Tomm. Sum. theol. I II 109 5 " Vita autem aeterna est finis excedens proportionem naturae humanae... Et ideo homo per sua naturalia non potest producere opera meritoria proportionata vitae aeternae, sed ad hoc exigitur altior virtus, quae est virtus gratiae. Et ideo sine gratia homo non potest mereri vitam aeternam. Potest tamen facere opera perducentia ad aliquod bonum homini connaturale ").
Alla funzione salvifica delle o. accenna Fiore XCVI 14 opera bona, e CXV 13 buon'opre. In Pd XV 96 ben si convien che la lunga fatica / tu li raccorci con l'opere tue, il riferimento è alle o. pie compiute in suffragio delle pene (lunga fatica) di un'anima penitente (cfr. III 145). All'o. redentrice di Dio tramite Cristo è riferito Pd VII 106 l'ovra tanto è più gradita / da l'operante, quanto più appresenta / de la bontà del core ond'ell'è uscita, dov'è messo in risalto lo stretto rapporto tra buona intenzione (bontà del core) e l'attuazione di essa.
Sempre nell'ambito delle attività umane, assume connotazione fortemente positiva l'o. in quanto " impresa ", " gesta memorabile ", " azione gloriosa ", anche in riferimento all'agire eroico e guerresco. Così in Cv III X 8 l'opera di quello savio guerrero, e IV XXIX 4 le grandi e mirabili opere, che è parafrasi di Giovenale (Sal. VIII 1 ss.). In Pd XVII 78 colui che 'mpresso fue, / nascendo, sì da questa stella forte, / che notabili fier l'opere sue, è messo in rilievo l'influsso di Marte che predispone appunto alle imprese guerresche in misura tale da renderle memorabili. Sempre " imprese " di guerra sono le o. di Alberto d'Austria (XIX 115). Con valore più generico di " atti memorabili ", in If XVI 59 l'ovra di voi e li onorati nomi. Con riferimento più specifico alla ‛ nobiltà 'e ‛ cortesia ' degli atti a cui è legata la fama sono l'opere leggiadre di Pg XI 61. In If XXVII 74 l'opere mie / non furon leonine, ma di volpe, la distinzione è tra imprese nate da coraggio e forza fisica (leonine) o da astuzia e intenzione dolosa (di volpe).
Il termine può indicare ancora le " operazioni " della natura, le attività naturali che si esplicano indipendentemente dalla volontà umana. Così in Pg XXX 109 ovra de le rote magne è l'operare dei cieli, cioè l'influsso che da essi discende nel seme dell'uomo. Analoga è l'opera di costoro, cioè delle Intelligenze del terzo cielo, in Cv II VIII 3. Con riferimento ai processi della vita vegetativa o. ricorre in III III 9 quello cotale cibo [nutriente] fa l'opera di questa natura [vegetativa] perfettissima. In IV XXV 11 l'opera di adornamento del corpo necessaria... a la nostra buona vita è quella realizzata dalla nobile natura. In Pd XXVI 130 la spontaneità del linguaggio è vista come ‛ attività ' o ‛ effetto ' immediato della natura (Opera naturale è ch'uom favella), indipendente dall'arbitrio umano che determina i signa (cfr. Parodi, in " Bull. " XXIII [1916] 64-65).
A un grado più alto si collega l'operare divino che si manifesta essenzialmente attraverso la creazione e, in modo eccezionale, attraverso i miracoli.
Nel contesto dantesco il termine appare nell'accezione (per cui v. oltre) di " prodotto ", " effetto " della creazione, e in traduzione di passi scritturali, come in Cv II V 12 l'opere de le sue mani, che è traduzione di Ps. 18, 2 " opera manuum eius "; III VIII 2 in più sue opere non sie curioso (Ecli. 3, 22 " in pluribus operibus eius ne fueris curiosus "); IV XIX 7 posto lui [l'uomo] sopra l'opere de le mani tue (Ps. 8, 7 " constituisti eum super opera manuum tuarum "); XXII 11, dove l'uso speculativo dell'animo consiste nel considerare l'opere di Dio, cioè gli effetti o prodotti della creazione, il " creato ". Come " effetti " soprannaturali o ‛ miracoli ' occorre in Pd XXIV 101 opere... a che natura / non scalda ferro mai né batte incude, dov'è distinta la superiore capacità dell'azione divina rispetto alla natura che, nell'implicita metafora con l'‛ artefice ', è vista incapace d'imprimere il suo operare in effetti fuori del suo ordine. Lo stesso valore è al v. 104.
Quanto all'espressione scritturale " opera manuum tuarum " (che è traduzione dell' " ἔργα χειρῶν σου " dei LXX), ripresa da D., va notato che in essa si esprime lo stretto rapporto che interviene tra Dio-creatore e la sua creatura, come di ‛ artefice ' ad ‛ artefatto '. Così pure il luogo di Cv IV XIX 7 presuppone la particolare posizione dell'uomo nel creato in quanto o. prediletta di Dio, al confine tra mondo terreno e divino.
Con valore passivo il termine assume valore di " risultato ", " fatto ", " prodotto " finale di un'attività manuale o intellettuale. Esso si qualifica pertanto come frutto di un'attività utile, artigianale o artistica.
Effetti e o. per eccellenza sono i prodotti della creazione divina, le cose create da Dio (per cui v. sopra) nella sua attività di artefice supremo dell'universo.
A ben altro livello si pongono le attività artigianali e intellettuali dell'uomo. Come o. artigianale, prodotto di lavoro manuale, sono da intendere le occorrenze di Pg XII 45 l'opera che mal per te si fé, cioè la tela di Aracne; Pd XXXI 34 Roma e l'ardüa sua opra (gl'imponenti edifici: cfr. Virgilio Aen. VII 160-161 e VIII 99-100). In Pd XXVI 125 l'ovra inconsummabile è la torre di Babele, lavoro che non può essere mai portato a compimento.
Nel Convivio D. torna più volte sulla nozione di o. materiale e poetica; in I XI 13 parla di opere dei buoni artefici in un paragone tra o. manuale e intellettuale. Sullo schema artefice-strumento-materia delle arti meccaniche D. istituisce un confronto con l'arte letteraria mediante la serie correlata di dicitore - arte poetica-volgare. Egli parla infatti (§ 17) dell'invidioso che biasima non colui che dice di non saper dire, ma biasima quello che è materia de la sua opera [letteraria], per torre, dispregiando l'opera da quella parte, a lui che dice onore e fama; sì come colui che biasimasse lo ferro d'una spada, non per biasimo dare al ferro, ma a tutta l'opera [manuale] del maestro. Qui o. del dicitore è l'attività poetica in quanto realizzata in un prodotto letterario. Più in generale, si dirà che o. è il risultato dell'azione di un principio informante (l'artefice) su una materia passiva potenzialmente disposta a ricevere da esso una qualsiasi forma. Da ciò l'illegittimità di biasimare la materia di un'o. e non l'artefice di essa. L'analogia biologica ‛ generante-generato ' su cui - aristotelicamente - è concepito il nesso ‛ operante-operato ' è usata da D. in Cv III IX 4 sì come sorella è detta quella femmina che da uno medesimo generante è generata, così puote l'uomo dire ‛ sorella ' de l'opera che da uno medesimo operante è operata; ché la nostra operazione in alcuno modo è generazione. Qui infatti è chiaramente posto in relazione il rapporto generante-generata con quello operante-operata in base allo schema biologico della generazione (v.; cfr. anche GENERARE; per il passo, oltre ai luoghi citati in principio della voce, sarà da vedere Aristotele Eth. Nic. VI 4, 1140a 1 ss.; in particolare: " Est autem ars omnis circa generationem... principium in faciente sed non in facto ", e il commento ad l. di s. Tommaso). Sempre nello stesso ambito di significato Cv III VI 10, dov'è detto che ciascuno maestro ama più la sua opera ottima che l'altre, e IV 8 ornare l'opera d'altrui e abbandonare la propria.
Come o. letteraria ricorre infine in Cv I I 16 e IV 13, nell'espressione ne la presente opera, cioè il Convivio; in III X 10 l'ordine de l'opera indica ancora la suddivisione del trattato. In II II 9 l'opera medesima è la canzone Voi che 'ntendendo.
In Pd VI 13 prima ch'io a l'ovra fossi attento, il termine può indicare il Corpus iuris o, meglio, l'attività intellettuale di Giustiniano che ad esso si dedicò.
In Cv IV III 3 grande e alta opera... da li autori poco cercata, e Pg XVIII 48 Beatrice, ch'è opra di fede, il termine indica il prodotto dell'attività, in quanto ‛ materia ' di essa.
In Cv IV XXVI 14 la locuzione mettere in opera vale " tradurre in atto ", " realizzare ".