SETTILE, OPERA (opus sectile)
Con la parola generica lithostrotum (λιϑόστρωτον) si designava in antico ognì specie di pavimentazione in pietra, e cioè l'opus sectile, il vermiculatum e il tessellatum. I due ultimi generi, composti di minuti elementi, sono più propriamente opera musiva; il primo è un genere intermedio fra il musaico e la pavimentazione a lastre di marmo che fu detta anch'essa "litostroto". Anzi, l'estensione del vocabolo a designare musaici è alquanto posteriore.
L'accenno pliniano ai litostroti, che sarebbero stati introdotti in Roma al tempo di Silla (Nat. Hist., XXXVI, 64), li descrive come materiati di piccole scaglie (crustae) marmoree. Plinio fa seguire la citazione di un esempio nel delubro della Fortuna a Preneste e, se si voglia accettare una ingegnosa identificazione di O. Marucchi, si dedurrebbe che il litostroto sillano era composto di cubetti bianchi irregolari e lastrine quadrangolari di colore. A queste ultime si adatta meglio il nome di crustae, mentre i primi sono gli abaculi del musaico tessellato (v. musaico). Svetonio narra che Cesare portava seco nelle spedizioni materiali da pavimentazione: nella strana notizia abbiamo l'accenno a due tipi di piancito, l'uno con elementi uguali, l'altro con decorazioni risultanti da inserzioni di pezzi sagomati. Quest'ultimo appartiene al genere della incrustatio, che ha i suoi antecedenti nel mondo orientale e particolarmente nel mondo sumerico e nell'Egitto. In un frammento di calcare con geroglifici del museo di Torino (da attribuirsi al nuovo impero), P. Gauckler notò che le inserzioni colorate sono talvolta costituite da placchette monocrome intagliate secondo la sagoma delle figure. Nel mondo alessandrino continua il gusto dei rivestimenti di marmi policromi nel pavimento e nelle pareti. Lo stile pittorico "a incrostazione" che ebbe gran voga nell'Oriente ellenistico, e che passò anche in Italia (è il I stile della pittura di Pompei, dove cominciò ad apparire nel sec. II a. C.) reclama le sue origini da Alessandria, per quanto le gravi distruzioni subite da quella città non abbiano lasciato vestigia sicure di quest'uso. Esso imita i rivestimenti parietali in marmo bianco con pannelli centrali di preziosi marmi di colore (escluse le figurazioni): secondo Plinio, un cavaliere formiano dei tempi di Cesare avrebbe fatto rivestir le pareti della propria casa in modo consimile (Nat. Hist., XXXVI, 48). Consta da Th. Schreiber che nelle rovine del palazzo dei Tolomei ad Alessandria sarebbero stati trovati frammenti di rivestimento parietale con figurazioni in opera settile. Possediamo in Italia qualche esemplare di tali pannelli. A Pompei furono trovate due lastrine con scene dionisiache (conservate nel Museo Nazionale di Napoli): l'incastro di quattro marmi di colore fu eseguito in una lastra di lavagna che dà il tono scuro del fondo. L'opera è forse del sec. I a. C. In un pannello conservato a Roma nella collezione del principe Colonna, vi sono tre colori soltanto: il bianco e il giallo per le figure, e il nero per il fondo: il quadretto raffigura il mito delle origini di Roma, e si potrebbe attribuire al sec. I avanzato, giacché questo musaico d'intarsio o di commesso non pare essersi introdotto in Roma altro che ai tempi di Claudio e di Nerone (Plin., Nat. Hist., XXXV, 2). Lo stesso Plinio ricorda che l'arte delle incrostazioni ebbe rapido successo (Nat. Hist., XXXIV, 157). Nel Museo Naz. Romano esistono lastre ad opera settile con inserzione di smalti: sono forse da attribuire al sec. III, poiché appaiono come un non lontano precedente della decorazione parietale della basilica di Giunio Basso sull'Esquilino. In questa basilica privata del sec. IV, data poi al culto cristiano e tramutata in basilica (nel sec. V), si vedevano interi rivestimenti parietali figurati in opus sectile. Ne trassero qualche disegno il Sangallo e altri artisti del sec. XVI. Oggi non rimangono che pochi pannelli staccati: due nel Palazzo dei Conservatori al Campidoglio con figurazioni di lotte di animali, e due nel Palazzo del Drago: uno con la scena di Ila e le Ninfe, l'altro con una pompa consolare, la quale accerta che la decorazione fu eseguita proprio per il console Giunio Basso (sec. IV). Questi esempî provano che ormai non ci si limitava più a pochi toni di colore su fondo scuro, né al raffinato intarsio centrale, ma che tutta la parete era ampiamente decorata da intarsî multicolori. Alle vòlte però non ascese mai l'opus sectile e le ragioni sono comprensibili: la facilità di distacco delle crustae, le difficoltà di applicazione, e il problematico effetto estetico.
Dopo il IV secolo l'opera settile continua ad essere impiegata nelle basiliche cristiane. Ne troviamo smaglianti esempî a Roma (S. Sabina e Battistero Lateranense: del V secolo) a Parenzo (Basilica Eufrasiana) e Ravenna (Battistero Ortodosso e S. Vitale: V-VI secolo), a Istanbul (S. Sofia; VI sec.). Dopo il sec. VI l'opus sectile si va facendo sempre più raro e in Italia sembra scomparire del tutto. (V. tav. a colori).
Bibl.: Una buona messe di notizie sugli antichi intarsî marmorei, specialmente alessandrini, diede Th. Schreiber, Die Wiener Brunnenreliefs aus Palazzo Grimani. Eine STudie über das hellenistische Reliefbild mit Untersuchungen über die bildende Kunst in Alexandrien, Lipsia 1888 (v. specialmente pp. 76, nota 72; 80, nota 76; 81, nota 3; 88, note 85 e 86). Per gli esempî romani v. A. Nebitt, On Wall Decorations in Sectile Work used by Romans, in Archaeologia or miscellaneous tracts, XLV (1880), p. 267 segg. e tav. XVII, 1 e 2). Cfr. inoltre: P. Gauckler, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq., s. v. Musivum opus, p. 2094 segg.; per la basilica di Giunio Basso, G. Lugli, in Riv. arch. cristiana, 1932, p. 221 segg.