ontologico/ontico
Dal gr. tό ὄν «l’ente». Coppia di concetti risalenti alla filosofia greca: ontologico significa ciò che concerne gli aspetti essenziali dell’essere, ontico ciò che riguarda l’ente concreto, empirico. A conferire importanza e un significato particolare alla distinzione è stato, nel 20° sec., Heidegger, che, fin dal primo periodo della sua riflessione, in Essere e tempo (1927), ne ha fatto uno dei cardini del suo ripensamento della tradizione filosofica occidentale: questa, privilegiando il senso dell’essere come «presenza», cioè come tutto ciò che è stabile, visibile, dato, ha tematizzato gli enti concreti (l’ontico) a scapito di tutto ciò che, pur non essendo presente, concreto e visibile, è radicalmente diverso dagli enti (l’ontologico); e la stessa ricerca ontologica ha finito per essere condizionata dalla prevalenza dell’ontico, poiché ha pensato l’ontologico come «il più generale» e quindi come ciò che è più povero di determinazioni. Già nella visione trascendentale di Kant ci si orienta verso un livello più profondo rispetto a quello ontico: si va verso quella prospettiva della ricerca «del senso dell’Essere» che l’opera di Heidegger vuole esplicitare, ponendoselo come obiettivo fondamentale: «la ricerca ontologica è certamente più originaria che la ricerca ontica delle scienze positive. Ma resta essa stessa ingenua e opaca se le sue indagini intorno all’essere dell’ente non prendono in esame il senso dell’essere in generale» (Essere e tempo, § 2). In questa prospettiva Heidegger veniva a rivendicare, di contro alle scienze naturali e al positivismo, che ne era stata l’espressione filosofica tipica, un nuovo primato della filosofia, cui spettava di stabilire, anteriormente e indipendentemente a ogni altra disciplina, l’autentico senso dell’essere. È anche da sottolineare come la distinzione di ontologico e ontico si collegasse a un’altra distinzione fondamentale operata da Heidegger in Essere e tempo: quella fra autentico e inautentico (➔). Nel secondo periodo del suo pensiero, quello caratterizzato dalla cosiddetta «svolta» (Kehre), i due termini assumono un rilievo ancora maggiore. L’oblio dell’essere a favore dell’ente non è più legato all’incapacità dell’uomo di superare il livello inautentico della vita quotidiana e delle scienze naturali, ma ha un carattere di necessità storica: è l’intera epoca della metafisica, da Platone a Nietzsche, a essere caratterizzata dall’oblio di quella che Heidegger chiama la «differenza ontico-ontologica», cioé la differenza fra gli enti concreti e quel senso più profondo, ontologico, dell’essere che, pur sostenendoli come fondamento, si nasconde fra di essi ed è, di per sé, senza fondamento (Abgrund «abisso», ciò che è privo di fondamento).