LONGHI (Lunghi, Longo), Onorio Martino
Nacque a Viggiù, presso Varese, il 12 ott. 1568 da Martino, architetto, ed Elisabetta Olgiati di Andrea da Ligornetto (Galli - Lerza).
In giovane età scrisse componimenti poetici, tra cui le Rime in occasione delle nozze tra Giuliano Cesarini, duca di Civitanova, e Livia Orsini (1589). Coltivò studi umanistici di impronta classica e antiquaria e si laureò in legge alla Sapienza, a Roma. La sua posizione culturale emerge attraverso il volumetto sulle cause dello straripamento del Tevere, pubblicato a Milano nel 1607 (Del Tevere, della sua inondazione & de' suoi rimedij, presso Girolamo Bordoni), uno scritto realizzato con lo scopo di fornire informazioni tecniche, il quale, seppure intriso di erudizione, dimostra una "concretezza razionale nella ricerca che utilizza la cultura classica come strumento di indagine e di verifica in termini non dogmatici" (A. Bellini, p. 15). Nel maggio 1601 sposò Caterina Campana, figlia del medico Stefano. Il primogenito dei sette figli, Martino, avrebbe seguito le orme del padre.
Da Pascoli e Baglione si apprende che era molto apprezzato come architetto civile dai suoi contemporanei, nonostante "hebbe sempre un cervello sì bizzarro, che difficilmente con esso lui durar si poteva" (Baglione). L'attività del L. risulta più discontinua di quella del padre, sebbene sia caratterizzata da una originale vena creativa: per esempio nell'adozione della forma ellittica nella cappella del cardinale G.A. Santori, detta anche Santaseverina, a S. Giovanni in Laterano, o nell'impianto di S. Carlo al Corso, senza transetto e con deambulatorio intorno all'altare.
Già dal 1591 ricevette diversi incarichi importanti. Si può concordare con Baglione sulla progettazione dell'altare maggiore di S. Anastasia al Palatino, commissionato dal cardinale G. Canano, titolare della chiesa dal marzo 1591 al novembre 1592, mentre il disegno della facciata viene attribuito con più probabilità a F. Ponzio. Sempre nel 1591 chiese agli oratoriani di poter succedere al padre Martino, morto l'11 giugno, come architetto della fabbrica di S. Maria in Vallicella, ma l'incarico gli fu negato per la sua giovane età e perché non vi era bisogno, allora, di consulenti esterni; sarebbe stato assunto solo nel 1600 per realizzare la cappella di S. Filippo nella stessa chiesa.
Probabilmente subentrò al padre, tra il 1592 e il 1597, nei lavori a S. Maria in Trastevere realizzando, per volere di Marco Sittico Altemps, la cappelletta del fonte battesimale, sensibilmente trasformata nel 1741 da F. Raguzzini e successivamente nel XIX secolo. Nel portico di S. Gregorio al Celio si trova oggi il monumento funebre di Virgilio Crescenzi, originariamente collocato nella navatella destra, che Baglione indica come opera del L. e che è datato al 1593 circa.
Dagli archivi si apprende che fu più volte coinvolto in vicende giudiziarie, già prima degli eventi del 1606. All'aprile 1594 risale la querela del pittore P. Guidotti, il quale dichiarò di essere stato aggredito dal L. e da altre tre persone (Bassani - Bellini).
Fonti coeve lo annoverano tra i membri dell'Accademia di S. Luca, rifondata da F. Zuccari alla fine del 1593, dove, il 15 maggio 1594, tenne una relazione, di cui non resta traccia nell'Archivio dell'Accademia, sull'euritmia, la grazia e la proporzione in architettura (Alberti); il 27 marzo 1608 compare fra i membri dell'illustre Accademia degli Umoristi insieme con il fratello Decio.
Suoi committenti e protettori furono, come per il padre, gli Altemps, per i quali, oltre al disegno del catafalco per le esequie del cardinale Marco Sittico in S. Maria in Trastevere, del 1595, realizzò l'ingresso monumentale della vigna Altemps sulla via Flaminia, inserito dal 1927 nel palazzo della Tesoreria comunale su via del Campidoglio e datato tra il 1594 e il 1595, come si legge nei documenti conservati nell'archivio della famiglia, a Gallese (riportati in Antinori, 2001, p. 50).
Questo fu per il L. il primo incarico importante; vi emerge un gusto per la vivacità decorativa, in linea con le tendenze del tempo e con le esigenze del committente, insieme con una particolare sapienza nell'intaglio della pietra, da cui traspare in gran parte l'abilità del capomastro scalpellino Stefano Longhi, cugino del padre e personaggio di rilievo nella sua formazione professionale, nonché nelle vicende private.
Di posizioni politiche certamente filospagnole, nel biennio 1596-98 il L. partecipò a quella che egli stesso definì "la guerra di Re Filippo" (in Antinori, 2001, p. 56), che gli diede l'occasione, prima della partenza, di incontrare Marzio Colonna, legato alla corte di Madrid, a Roviano, dove si era recato forse per il contratto di arruolamento.
Al ritorno dalla guerra sporse denuncia contro il citato Stefano Longhi, a cui aveva affidato la tutela temporanea della famiglia e dei beni, dei quali, tradendo la sua fiducia, questi si era appropriato, dopo il trasferimento dei familiari nella città d'origine di Viggiù (la documentazione è riportata in Antinori, 2001). Il conflitto tra i due si dovette protrarre per i successivi otto anni, se è vero che fu tra le cause che portarono alla notissima lite del 28 maggio 1606, in cui R. Tomassoni rimase ucciso per mano del Caravaggio (amico del L.), con il coinvolgimento dei due gruppi antagonisti che spalleggiavano rispettivamente l'uno o l'altro dei Longhi. Messo al bando dall'Urbe (ibid.), dopo questi eventi si sarebbe trasferito a Milano.
Tra il 1599 e il 1600 il L. prese parte al progetto di restauro delle chiese romane in vista del giubileo del 1600.
In S. Eusebio sull'Esquilino realizzò l'area del presbiterio, compresi coro, altare maggiore e i due laterali; nell'intradosso della lanterna cieca al centro della cupola è ancora visibile la scritta che attesta l'esatta datazione dell'intervento ("Deo Beatae Mariae et confessori Eusebio an. Iu., MDC"). In S. Paolo fuori le Mura si occupò della progettazione del nuovo altare maggiore e della decorazione dell'abside, purtroppo distrutti dall'incendio che devastò la chiesa nel 1823, ma visibili nell'incisione seicentesca di G. Maggi.
Nel 1600 pubblicò la Canzone nelle nozze del serenissimo Ranuccio Farnese, in onore di quest'ultimo e di Margherita Aldobrandini.
Risale al 1602 il completamento della citata cappella del cardinale Santori, in S. Giovanni in Laterano, per il quale il L. lavorava già da diversi anni. In quest'opera fu illustrato il tema del "Christus patiens", visibile anche nei capitelli ionici arricchiti con l'immagine del pellicano che nutre i piccoli, figura che compare peraltro in uno stemma araldico dei Santori.
Morto Filippo Neri nel 1595, gli oratoriani di S. Maria in Vallicella affidarono al L. la realizzazione della cappella dedicata al fondatore dell'Ordine, finanziata dal nobile fiorentino Nero Del Nero, seguace di Filippo.
I disegni del L. sono conservati nell'Archivio della Congregazione dell'Oratorio romano (C.II.8, ff. 62-67). La decorazione della cappella fu realizzata da G. Guerra, e la cerimonia solenne per la traslazione del corpo ebbe luogo il 24 maggio 1602.
Nello stesso anno il L. inviò a Milano alcuni disegni per la facciata di S. Alessandro, conservati nella Biblioteca Trivulziana (Raccolta Bianconi, t. VII, pp. 9, 11), e per il tabernacolo di S. Maria presso S. Celso.
Mantenne inoltre sempre vivi i contatti con la città natale di Viggiù, tanto che nel 1604 inviò un disegno per la cappella e l'altare che le orsoline vollero commissionare per la chiesa parrocchiale di S. Stefano (contratto d'appalto in Frigerio - Galli).
In questi primi anni del '600 fu impegnato anche politicamente: dagli Archivi Capitolini si apprende che fu nominato capo del rione Monti, e che partecipò al consiglio pubblico del 31 maggio 1602 (Antinori, 2001).
In seguito agli eventi del maggio 1606 e al trasferimento a Milano, ebbe inizio un periodo non meno fecondo dal punto di vista professionale. Al 9 luglio 1607 risale il mandato per disegni di progetti che aveva realizzato per la facciata del duomo, iniziativa che vide diversi architetti coinvolti nel concorso bandito dal capitolo, infine vinto da P. Tibaldi.
Dopo un breve ritorno a Roma, sotto la protezione degli Altemps per diversi lavori nell'omonimo palazzo, il L. si trasferì a Viggiù, dove fu coinvolto nel cantiere della chiesa della Natività della Vergine. Di essa oggi non resta più nulla di visibile, ma si conservano testimonianze sulla forma e sulle vicende costruttive nei documenti d'archivio (riportati in Lerza, 1997, p. 29), dove si menzionano "quattro pilastroni, di prede di scarpello, della cupola della chiesa[…] conforme al disegno fatto dal sig.re Honorio Longhi ingegnero". L'impianto doveva corrispondere alla tipologia postridentina e per alcuni aspetti si avvicinava al suo ultimo lavoro: il rifacimento di S. Carlo al Corso. La chiesa della Natività della Vergine non vide però un completamento, a causa di un contenzioso di cui non si conoscono i termini esatti.
Si conservano inoltre i mandati, sempre in area lombarda, della progettazione del palazzo di Fioramonte Buzzi a Clivio, centro oggi aggregato a Viggiù (Cassani - Galli - Trapletti, 2002), e della chiesa parrocchiale di Arzo in Canton Ticino. I lavori interessarono il restauro e l'ampliamento della chiesa, dedicata ai Ss. Nazaro e Celso; il contratto fu stipulato il 27 luglio 1609 tra il Comune e il capomastro P. Morello, impegnato a realizzare "il tutto conforme al disegno dato o che si darà per il sig. Honorio Longho architetto et non aliter" (Piffaretti, 1997, p. 171).
Durante questi anni di allontanamento forzato il L. si arruolò nell'artiglieria dell'esercito spagnolo come architetto militare; nel 1609 firmò con altri architetti una perizia per la realizzazione di un canale navigabile di collegamento tra Milano, Pavia, il Ticino e il Po (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo B. Ferrari, parte III, c. 252 [ms. sul naviglio di Pavia]).
Ricevuta la grazia il 14 marzo 1611 dal papa Paolo V, poté ufficialmente tornare a Roma portando con sé la moglie e i cinque figli. Oltre a comparire come perito di parte in controversie giudiziarie, il L. partecipò a lavori per alcuni stabili di proprietà dei Maccarani, suoi vicini di casa, in particolare nella residenza tra via dell'Umiltà e via di S. Vincenzo, nota come "casa grande a' piedi di Monte Cavallo" (Antinori, 2001, p. 70). Certamente l'incarico più significativo dopo il ritorno a Roma fu l'esecuzione della chiesa di S. Carlo al Corso, per volere del cardinale E. Sfondrati, successivamente alla canonizzazione di Carlo Borromeo, avvenuta il 1° nov. 1610.
Il luogo era in precedenza occupato dalla chiesa di S. Ambrogio, di proprietà della Confraternita dei Lombardi. Il lavoro non fu portato a termine dal L., che morì prima che si innalzasse la facciata e che si completasse il deambulatorio, ma fu il figlio Martino a dedicarvisi fino al 1627, come si apprende dai documenti dell'Archivio di Stato di Roma (Collezionedisegni e mappe, I, 85, 493, I-II). L'opera venne completata solo nel 1684, "settantadue anni dopo la posa della prima pietra, fu compiuto il nobile edificio, che doveva ricordare al mondo quanta venerazione e quanto culto abbia attirato intorno a sé S. Carlo Borromeo, non solo tra i confratelli lombardi, ma anche in tutta la cittadinanza romana" (Nogara, p. 16). L'intervento del L. è visibile nello "zoccolo" al di sopra del cornicione della volta e della crociera, per conferire loro più maestosità, ed è sua la paternità della cupola che "resta una delle più belle delle minori di Roma" (ibid., p. 15).
Ai due Longhi che presero parte a questa impresa, l'Arciconfraternita dedicò una lapide, eretta nel chiostro annesso, che recita: "D.O.M. Honorio patri et Martino de Longhis filio origine mediolanen. Civibus romanis doctrina varia claris quod nobilis architecturae legibus huius augusti templi structurae formam delineaverint Congr. Secr. posterum memoriae p. M.DC.LXX.VII".
Ai primi anni successivi alla grazia concessa dal papa, risalgono i lavori di completamento del palazzo Medici-Lante, presso S. Eustachio, documentati da una "stima" (Arch. di Stato di Roma, Arch. Lante Della Rovere, b. 273), che gli ascrive la sopraelevazione della struttura cinquecentesca e delle aggiunte nel prospetto del cortile; in questo caso il L., scostandosi dal resto della sua produzione artistica caratterizzata da forme più esuberanti, tese a rispettare profondamente l'impianto precedente sia nella planimetria sia nell'apparato decorativo.
Lo stesso committente del palazzo, il cardinale M. Lante, gli affidò la ricostruzione della chiesa di S. Maria Liberatrice al foro romano (distrutta nel 1899), in luogo di quella che dal XIII secolo sorgeva sulle rovine di S. Maria Antiqua (Baglione, p. 156).
Per volontà di C. Mantica furono avviati, sempre agli inizi del '600, i lavori di ristrutturazione nella cappella dedicata alla Madonna di Loreto, in S. Maria in Aracoeli, attribuiti da Baglione al L. e datati agli anni intorno al 1613 (Carta - Russo), grazie a un manoscritto di padre Onorato da Casabasciana, conservato nell'archivio dell'Aracoeli.
Sebbene non sia ancora chiarito nei dettagli, è certo suo l'intervento nel completamento del palazzo, che oggi porta il nome di Pallavicini-Rospigliosi sul Quirinale, durante gli anni in cui fu di proprietà del duca G.A. Altemps, dal 1616 al 1619, quando fu poi rivenduto al marchese E. Bentivoglio.
Dagli ultimi mesi del 1617 fino alla morte si dedicò ai lavori di costruzione del palazzo commissionatogli dal notaio D. Ferrini in piazza di Pietra, tra via della Guglia e via dei Pastini (Baglione, p. 156). L'opera fu terminata da F. Fuga che apportò sensibili modifiche al progetto; tuttavia l'altana è totalmente ascrivibile al Longhi.
Baglione gli attribuisce anche una loggia, da Pietrangeli intesa come altana, del palazzo in piazza Fiammetta, identificata da alcuni nel disegno di G.G. De Rossi (Insignium Romae templorum prospectus exteriores interioresque…, Romae 1683, tav. 29) e nella pianta di G.B. Nolli. Nel XIX secolo la loggia fu distrutta in occasione delle trasformazioni per l'apertura di via Zanardelli. Lo stesso Baglione gli ascrive la "Galleria, e la Loggia de' Signori Verospi al Corso, opera principiata da Girolamo Rinaldi Romano", di cui oggi resta solo la loggia, affrescata da A. Albani, e probabilmente eseguita nel 1613.
Forse all'interno della ricostruzione e riorganizzazione di Trastevere, promossa da Paolo V, si collocano il restauro e l'ampliamento di S. Francesco a Ripa, finanziati da M. Antonio Vipereschi e L. Biscia. Il primitivo progetto del L., che prevedeva il totale rifacimento dell'area del presbiterio e la scomparsa della cella di S. Francesco, fu sensibilmente ridimensionato, poiché ritenuto dai frati riformati in contrasto con la povertà francescana; l'intervento si limitò all'ampliamento del coro, all'aggiunta di una scala d'accesso alla parte medievale dell'edificio e al rifacimento della copertura della navata trasversale.
Il L. morì il 31 dic. 1619 a Roma, disponendo che eredi della propria attività professionale fossero prima C. Bonaventura de' Politi, poi il figlio Martino.
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