onore
Di largo uso in tutte le opere di D.; costantemente in rima nelle liriche della Vita Nuova, con molto minor frequenza nelle Rime, soprattutto della maturità (complessivamente 5 volte su 12) e nella Commedia (4 volte su 22); in prevalente relazione con ‛ amore ' e ‛ core '. In dittologia, spesso sinonimica, con ‛ fama ', ‛ gloria ', ‛ lume '. Ricorre anche nel Fiore e nel Detto, dov'è in rima franta (vv. 443-444 onora e onor ha).
Numerose, ma non particolarmente discusse, le questioni testuali connesse alla sua presenza. Per la Commedia: in If XIII 69 lieti onor tornaro in tristi lutti, invece del plurale apocopato, adottato dagli editori e attestato anche altrove (ad es. Guittone Ahi lasso, or è stagion 57; comunque è normale l'apocope nei plurali in liquida e nasale), la maggior parte dei manoscritti ha onori, che comporterebbe un non dimostrato uso dantesco di endecasillabo crescente; altre varianti non accolte sono, in luogo di tanto onor di If XV 70, tanto ancor e tanto ben, che fra l'altro cancellerebbero la preziosa assunzione a orgoglio e merito personale della sventura dell'esilio e di talune sue conseguenze; per converso, in If XIX 114 onorate è ritenuto lectio facilior rispetto a ne orate (accettata dal Petrocchi) o n'orate o n'aorate (cfr. Petrocchi, ad l., e, Introduzione 180-181). Altra facilior è senza dubbio per cortesia contro per tuo onor di Rime XLVIII 7 (cfr. Barbi-Maggini, ad l.). Qualche perplessità desta invece Vn VIII 5 8, in cui i testimoni inducono più autorevolmente a sora o suora de l'onore, che importerebbe una personificazione di o., certo non tradizionale (ma c'è in Fiore LXXIX 4, seppure in funzione tutta particolare, come componente della bellicosa Baronia di Amore, e in un contesto che di personificazioni è pullulante). Comunque la lezione ritenuta finora più attendibile è soura [cioè sovra] de, " oltre a ", sostenuta vivacemente dal Barbi (ediz. 1907, pp. 18-20; ediz. 1932, pp.,27-29).
Oltre che di largo uso o. è una delle parole sottoposte alla meditazione del poeta. Il suo discorso sulla nobiltà del popolo romano prende le mosse dal principio che ‛ o. è premio di virtù ' (Mn II III 3 cum honor sit praemium virtutis) più volte ricorrente nell'Etica di Aristotele (IV 7,1123 b 35 " virtutis enim praemium honor "; VIII 16, 1163 b 3-4 " virtutis quidem... et beneficii, honor est retributio ") e nel commento tomistico (III lect. XIV, IV lect. VIII, lect. IX, VIII lect. XIV). Ma il poeta lo rivive originalmente: con l'aggiunta che ‛ ogni posizione di preminenza è o. ' (et omnis praelatio sit honor) egli riassorbe il principio, che è anche una definizione, in una sua personale trama di idee politiche, in cui il prestigio e la supremazia morale e politica sono note dominanti. In VE II VII 6 fra i vocaboli ammessi a formare il volgare illustre c'è anche honore, classificato fra gli yrsuta ornativa e come tale in grado di produrre, se intessuto con i pexa, una pulcram armoniam compaginis, nonostante l'asperitatem ... aspirationis. Al di là del limite dell'endecasillabo, misura massima dei metri italiani, egli poi considera, nello stesso luogo, un curioso derivato, honorificabilitudinitate, che è di dodici sillabe e, nei casi obliqui del latino, di tredici.
Sempre nell'ambito degl'interessi linguistici e stilistici del poeta, dovrà rilevarsi che sulla base di o. si svolge il più vistoso e convincente esempio di replicatio della Commedia: via via che ci si avvicina al nobile castello del Limbo l'accento batte su una nota sola, e con fitta insistenza nel giro di pochi versi (If IV 72-76 orrevol gente; onori scïenzïa e arte; cotanta onranza; onrata nominanza), finché la tensione si sublima e si scioglie nella voce solenne, Onorate l'altissimo poeta (v. 80), cui fanno eco, in fase discendente, onore (v. 93), onore (v. 100), onor (v. 133). Sul piano della pura tecnica siamo in piena tradizione, prima provenzale e poi guittoniana: anche a non tener conto degli esperimenti su base diversa (ad es., i sonetti del rimatore aretino Tutt'or ch'eo dirò e Deporto e gioia, replicati rispettivamente su gioia e porto - porta), va ricordato che (cfr. il Crescini, in Miscellanea Graf, Bergamo 1903, 119-120) già in un componimento di Rambaldo di Vaqueiras (Canto di crociata Era pot hom 12-20) proprio o. e suoi derivati ritornano nove volte in nove versi; ma, anche dopo, il fenomeno della replicazione di o. si ripresenta con significativa insistenza in altri scritti in prosa e in verso: nello stesso Guittone (Ora parrà s'eo 33-35; Meraviglioso beato 2-3; Magni baroni 108-111), nel Novellino (XLIX, ediz. Lo Nigro, p. 131), nel Tristano riccardiano (VII, CCVIII; ediz. Parodi, pp. 21, 357), nella Tavola ritonda (con fittissima frequenza nel cap. XCVII; ediz. Polidori, I 381), e perfino nel Boccaccio (Dec. V 9 e IX 10). Decisamente o. è parola-nucleo (come Amore e poche altre), in un'età che del prestigio e dei segni di riverenza e di ossequio ebbe la massima considerazione; lo è per D., sensibilissimo ai valori impliciti nel giusto riconoscimento dei meriti personali. Su questa chiave vanno letti If II 113-114 (il tuo parlare onesto, / ch'onora te), Pg XI 80-84 (l'onor d'Agobbio e l'onor di quell'arte /.... l'onore è tutto or suo), VIII 124-128 (la fama che la vostra casa onora /... vostra gente onrata) e altri passi consimili.
Nella vasta gamma semantica di o. si notano costrutti e significati particolari. ‛ Fare o. ' era di uso corrente per " far lieta, festosa accoglienza ", accezione che si mantenne a lungo (ma già nel Boccaccio e nel Sacchetti ha un preciso riferimento conviviale) e che quindi ricorre anche in D. (Vn XXIV 7 5, Rime LVI 24, Pg V 36). Ma sarebbe erroneo interpretare l'espressione, com'è pur avvenuto, in questo stesso modo in ogni caso; l'o. reso a Virgilio (fannomi onore di If IV 93), con quei quattro grandi poeti che gli vanno incontro fuori dalle porte del castello, dietro il perentorio invito di una voce altisonante, sarà un'accoglienza, più che lieta, solennissima, quasi protocollare. Così significati diversi avrà in altri luoghi: If I 87 lo bello stilo che m'ha fatto onore (" mi ha dato una degna fama "); IV 100 più d'onore ancora assai mi fenno (" mi diedero un segno molto maggiore della loro benevolenza e stima "; v. anche, in senso simile, [Vn VIII 7] l'alcuno onore che Amore fece alla compagna di Beatrice, piangendo visibilmente per la sua morte, e il tanto onor [If XV 70] che la fortuna serba al poeta, scatenandogli l'ira dell'una e dell'altra fazione); If IV 133 tutti onor li fanno (" mostrano un atteggiamento riguardoso, di grande rispetto, dinanzi a lui "; e similmente Vn XXXIV 1); Pd XXV 104 per fare onore / a la novizia (" per festeggiarla come si deve "); Vn XXI 2 8 Aiutatemi, donne, farle onore (" ad esaltarla degnamente "; così anche in Rime LXXXIV 14 A voi dovem noi fare onore, detto dalle ‛ parole ' che debbono rendere omaggio a ‛ donna di valore ' e non più alla Donna gentile); Rime LXXXVI 6 adorna gentilezza le fa onore (" forma il corteggio suo, di Bellezza ", funzione parallela a quella di prudenza e di onestà, che sono ‛ in compagnia ' di Virtù, v. 4). E sul piano religioso è assunto il ‛ fare o. ' degli antichi a Venere, nonché a Dione e a Cupido (Pd VIII 4).
Analogamente ‛ ricevere o avere o. ' equivale a " essere accolto bene ". Così in Vn XII 15 44 Gentil ballata mia, quando ti piace, / movi in quel punto che tu n'aggie onore. Ma corrisponde a " essere oggetto di ammirazione e di esaltazione " in Vn XXVI 12 11, dove ritorna il concetto stilnovistico che la donna amata comunica alle sue compagne le proprie virtù, sicché ciascuna di esse per lei riceve onore; oppure, con una sfumatura diversa, a " ricevere atti di omaggio ", dovuti a chi è socialmente superiore agli altri, in Cv IV XXIX 2 e 6. Infine, Beatrice, già assunta in cielo, riceve onore dagli altri spiriti eletti, perché sommamente beata (Vn XLI 11 6).
Piuttosto frequente è anche in D. l'assunzione dell'astratto o. a indicare, con valore attivo, la persona che dà gloria e prestigio ad altri. Anzi il fenomeno è studiato dallo stesso poeta, insieme con quello dell'astratto oggettivo, in Cv III XI 16 (per alcuno fervore d'animo, talvolta l'uno e l'altro termine de li atti e de le passioni si chiamano e per lo vocabulo de l'atto medesimo e de la passione). Per illustrarlo egli cita fra l'altro " lux Dardaniae ", riferito a Ettore (Aen. II 281), e " servitii decus ", riferito ad Archemoro (Theb. V 610) e dal poeta tradotto onore del mio servigio: assistiamo così all'atto di nascita dell'invocazione a Virgilio, O de li altri poeti onore e lume (If I 82). Nello stesso modo sono indicati Oderisi, l'onor di Agobbio e l'onor dell'arte del miniare (Pg XI 80); Rinieri, 'l pregio e l'onore / de la casa da Calboli (Pg XIV 88); Maria, la baldezza e l'onore de l'umana generazione (Cv IV V 5). Ed è molto probabile che così sia da intendere il tanto discusso onor di Cicilia e d'Aragona, con cui Manfredi designa (Pg III 116) i nipoti Federico di Sicilia e Giacomo d'Aragona (altri invece, per mettere d'accordo questo passo col giudizio negativo che altrove D. manifesta di questi due re, dà a o. il significato tecnico di " corona ", " maestà ": cfr. " Bull. " VIII [1901] 52).
Col plurale sono designate le alte cariche politiche: è evidente la filiazione da honores, ma nell'uso dantesco si avverte l'alone di prestigio che essi conferiscono. Di tal genere sono i lieti onor di Pier della Vigna, che poi tornaro in tristi lutti (If XIII 69) e quelli di cui si parla in Cv I X 8 (cfr. anche Mn I IV 3). Attraverso Aristotele e il suo commentatore D. sa che anche per essi si deve esercitare una scelta morale: c'è una " virtus media " per i grandi onori, cioè la Magnanimitade, come ve n'è una per gli onori minori, che il filosofo, ponendola tra la Filotimia e l'Afilotimia, aveva lasciata innominata, ma che egli chiama Amativa d'onore (Cv IV XVII 5; altre due volte, al plurale, nello stesso paragrafo). Si sa quale fascino abbiano queste due virtù, e specialmente la prima, nell'animo del poeta.
O. è anche una qualità di carattere e di temperamento e, oggettivamente, l'opinione che si ha di essa. Nelle prime liriche si avverte ancora una sfumatura di derivazione feudale: in Rime XLVIII Lippo dovrebbe ascoltare molto attentamente, per suo onor, il sonetto che si è già messo in sua balia (vv. 7 e 5); un vero signore non indugia a soccorrere un servo in pericolo, perché sa che, difendendolo, difende anche suo onor, e altrettanto dovrebbe fare la donna amata (L 19; cfr. anche Rime dubbie XIII 4; un utile riscontro può essere Guido delle Colonne La mia vit'è 44-45 " di' ch'eo son servo de la sua persona / e di' che per suo onor questo facc'ella "). Parecchi anni dopo il poeta proclamerà di non poter accettare, per il ritorno in patria, se non una via quae famae Dantisque honori non deroget (Ep XII 8). Entro questi due termini si collocano altri tipi di onorabilità, in primo luogo quella della donna, per la sua nobiltà o per i suoi costumi: l'o. è in lei massimamente da apprezzare (Vn VIII 5 8); grande merito di s. Niccolò fu quello di salvare dalla prostituzione tre fanciulle, conducendole ad onor, cioè alla rispettabile condizione morale di spose e di madri (Pg XX 33). Su questo significato si scherza nel Fiore, quando Bellaccoglienza dichiara di amare Amante a bene e a onore, e costui si crede ormai sicuro del fatto suo, ma Vergogna e Paura gli contestano subito che la donna aveva consentito per su' onore e che perciò egli avea troppo fallato pensando d'imbolarle il fiore (CCII 11, CCIV 10).
Contrapposto a ‛ biasmo ', ‛ vergogna ', ‛ onta ' e simili, o. è semplicemente la " lode " o, col solito scambio, il " merito " che può procurarla. Ricordiamo: l'onor... e 'l biasmo delle sfere celesti per le influenze che esercitano sulla terra (Pd IV 59); l'onore che si deve rendere all'amico (Cv III I 5; più oltre, a commento, la loda); l'onor che si acquista chi sa servire le donne (Detto 444).
Al significato ovvio di " degna fama ", " alta riputazione " o a significati facilmente deducibili da quelli sopra segnalati si può ricondurre l'uso di o. nelle occorrenze residue (If XIII 75, Pg XI 84, XVII 118, XXIV 96, Pd VI 114; Rime L 44, LXXX 20, XC 61, XCI 64, CVI 28, Rime dubbie XVI 26; Cv I XI 17, III X 7, IV XIX 7, XXV 9; e per il corrispondente latino, VE I XIV 6, XVII 2 e 5, II III 7, IV 1, V 6; Ep . XIII 12). Ma non possiamo chiudere questa rapida panoramica su o. nelle opere di D. senza sottolineare con particolare evidenza il rilievo eccezionale che, ponendosi in netta antitesi con l'opinione corrente o il modo comune di giudicare e di reagire, la parola arriva ad assumere in determinati momenti, più vigorosamente impegnati, più propriamente danteschi, autentiche impennate liriche: il bell'onor che il poeta acquisterebbe nel vendicarsi duramente di una donna che di lui ha fatto strazio (Rime CIII 83); il considerare onor una condanna tremenda come quella dell'esilio, perché gli viene da una società nella quale i più alti valori sono vilipesi, anzi calpestati (CIV 76); e infine il grande onor di cui si sente investito, invece del timore reverenziale che dovrebbe provare, per il fatto di essere chiamato dal cielo a parlare dei più alti personaggi della storia, lontana e vicina: e a giudicarli nel nome di Dio (Pd XVII 135).
Infine o. si registra, personificato, in Fiore LXXIX 4 Pietà, Larghezza, / Ardimento e Onor, ciaschedun v'era.