CAETANI, Onorato
Nacque a Roma il 17 dic. 1742 da Michelangelo (I), duca di Sermoneta, e da Carlotta Ondedei Zonga. Trascorsa la prima fanciullezza nell'ambiente colto e raffinato che era venuto raccogliendosi nella villa Caetani sull'Esquilino, dopo la morte precoce della madre venne inviato al collegio Nazareno, tenuto dai padri scolopi (1751).Qui, studiò con passione le lettere classiche, ma si sentì a proprio agio anche nella matematica e nella fisica, provando una predilezione particolare per le lingue straniere che più tardi metterà a frutto in ampie letture filosofiche e storiche: autori come Malebranche, Chr. Wolff, Voltaire, Helvétius, Bayle, Pope, Robertson gli divennero ben presto familiari nei testi originali.
Fu quella una stagione di studio che egli ricorderà sempre con incancellabile nostalgia: "io sono attaccatissimo ai PP. delle Scuole Pie - confesserà molti anni dopo al fisico padre G. B. Beccaria - e da essi riconosco il primo sviluppamento delle mie idee durante il corso di anni 11 della mia educazione nel Collegio Nazareno" (Arch. Caetani, Fondo Onorato Caetani, minute: al p. G. B. Beccaria, 28 nov. 1779). In quegli anni assimilò anche le inquietudini e i fermenti religiosi che diffondevano nelle aule del Nazareno uomini come Martino Natali e Urbano Tosetti - coi quali il C. compì i suoi studi filosofici e teologici -, noti per la loro simpatia per le correnti di ispirazione giansenistica e antigesuitica. Proprio al Natali, con il quale egli rimarrà in contatto anche negli anni in cui lo scolopio si stabilirà come insegnante di teologia presso l'università di Pavia, il C. riconnette i momenti più felici della sua formazione giovanile, ricordando le letture compiute sotto la sua guida illuminata: "mi ricordo della lettura che ho fatto sotto la Vs. scorta in età di 24 anni in circa della Reponse aux questions d'un Provençal par Bayle, che andavamo a leggere nella biblioteca del Collegio Nazareno" (ibid., min.: al p. M. Natali, 8 marzo 1780).Gli anni del Nazareno non trascorsero al riparo da dispiaceri: dapprima la morte del padre (1759), poi il manifestarsi dei primi contrasti con il fratello Francesco, cui assiene al titolo di duca era andata la privilegiata eredità spettante al primogenito, avevano amareggiato gli ultimi anni di collegio. Uscitone nel 1762, fu forse il desiderio di pervenire a una tranquilla sistemazione economica, cui si accompagnava una sicura inclinazione per un tipo di vita ritirata e solitaria, a deciderlo per la carriera ecclesiastica. Frequentò, "prima di indossare le sacre divise", l'università della Sapienza, ove si laureò inutroque iure il 18 dic. 1764. Non raggiunse il sacerdozio, dice il Fabi Montani, "pel basso sentire di sé": in realtà il C. era ben deciso a impegnarsi nello stato ecclesiastico non più di quanto valesse ad assicurargli un buon ufficio negli ambienti curiali romani.
Un momento importante della sua formazione culturale deve essere individuato nella sua assidua presenza, tra il 1760 e il 1770, alle riunioni del circolo dell'Archetto, che si raccoglieva al palazzo Corsini attorno agli eruditi Foggini e Bottari e che rappresentò a lungo il punto d'incontro delle correnti più vive del riformismo religioso romano. Pur senza poter affermare che il C. aderisse con piena coscienza alle idee riformistiche che vi venivano dibattute, è certo che le autorevoli amicizie e gli orientamenti dominanti in quell'ambiente non dovettero rimanere senza influenza negli atteggiamenti di insofferenza anticuriale che egli tenderà a manifestare soprattutto negli anni della maturità.
Uscito dalla Sapienza, il C. trascorse anni operosi orientando le sue ricerche su filoni di studio più personali e impegnativi. Senza tralasciare la fisica e le scienze naturali, coltivate queseultime nell'ambito della scuola di botanica del padre Francesco Maratta al Gianicolo, egli si volse con preferenza alle discipline classiche ponendosi sotto la direzione di due suoi maestri della Sapienza, Benedetto Stay e Raimondo Cunich. Perfezionò la conoscenza della lingua greca e anche di quella latina compiendo, in quest'ultima lingua, qualche tentativo poetico che si risolse, peraltro, in composizioni manierate e di scarso valore. Risultati migliori raggiungerà in qualche traduzione: una versione di salmi della Vulgata, di cui il C. andava particolarmente fiero, piacque anche al Metastasio che avvertiva in essa "l'enfasi, l'energia e la focosa elevazione dell'ispirato salmista" (Archivio Caetani, corrisp.: P. Metastasio, 15 marzo 1779). Nacque in questi anni anche rinteresse del C. verso la ricerca erudita; ma più che seguire un chiaro programma di lavoro, divenuto assiduo frequentatore delle biblioteche romane, si lanciò nell'avventura erudita, abbandonandosi al gusto delle piccole scoperte, pungolato sempre da un'implacabile e spesso disordinata avidità di sapere. Animato dal sentimento delle secolari tradizioni familiari della domus Caietana, concentrò in particolare le ricerche sul papato di Bonifacio VIII (Benedetto Caetani). I suoi primi incarichi nella Curia romana, intanto, lasciavano supporre una carriera non priva di sviluppi positivi. Nel 1764 divenne abate mitrato dell'abbazia dei SS. Pietro e Stefano a Valvisciolo; l'anno seguente fu nominato reggente della cancelleria, prendendo possesso dell'ufficio l'8 gennaio.
Ma a questo inizio promettente succedette una lunga parentesi di delusioni che segnerà profondamente gran parte della sua vita. Il nodo principale delle sue inquietudini riguardava ancora i rapporti con il fratello Francesco, che egli accusava di aver tratto illecito profitto dall'eredità paterna, appropriandosi, a suo danno, di denari e di benefici. A queste ragioni di sconforto si aggiunse poi un periodo di particolare prostrazione fisica, probabilmente una vera e propria malattia nervosa. Nel 1770 dovette lasciare Roma per qualche mese, trasferendosi prima a Bagnaia, nel Viterbese, poi ad Albano. E durante questa assenza le sue cose personali vengono manomesse e disperse: "i libri gli furono messi a soqquadro e venduti alla peggio, e il provento dei quali andò in saccoccia di chi li vendeva, carte di interessi, di memorie, di studii, tutto abbruciato…" (Arch. Caetani, Memoria segreta 1775, n. 203773).
Nel 1772, lasciata la reggenza della cancelleria, il C. fu da Clemente XIV nominato protonotario apostolico non partecipante. Nel 1774 si accinse a un viaggio nell'Italia meridionale che compì veleggiando lungo le coste della Calabria e della Sicilia. Visse anch'egli l'esperienza del letterato viaggiatore, sorretto dalla medesima curiosità intellettuale con cui illustri italiani ripercorrevano gli itinerari obbligati della cultura settecentesca. Più modesto Pitinerario del C., che fu però ugualmente attento ai molteplici aspetti sociali, geografici e linguistici delle regioni che gli si presentavano, come appare dalla consueta relazione di viaggio pubblicata con il titolo di Osservazioni sulla Sicilia (Roma 1774). Una sosta a Malta, dove fu accolto con onore dal gran maestro Ximenes, concluse la prima fase del suo viaggio. Nel settembre del 1775 proseguì alla volta di alcuni centri dell'Italia settentrionale. A Firenze ebbe uno scambio di vedute con il Bandini, in materia libraria; inoltre, chiese ed ottenne udienza dal granduca Pietro Leopoldo. Da Firenze si portò a Imola ove, ricevuto dal card. G. C. Bandi, vescovo della città, durante una riunione conviviale intrattenne i presenti discorrendo sulla condizione delle paludi Pontine e sui possibili rimedi ad una realtà agricola ed economica che colpiva miserevolmente anche vaste zone dell'antico feudo di famiglia; i ragionamenti del C. toccarono poi i limiti e le insufficienze della vita culturale romana. Dopo Bologna e Parma, Milano fu l'ultima tappa del viaggio. Qui conobbe il Beccaria e il Volta, e strinse i primi rapporti di amicizia con Pietro Verri e con Carlo de Firmian.
Ritornato a Roma, il suo impegno maggiore fu rivolto a costituire, nel palazzo di famiglia, una raccolta di libri e di manoscritti, voluta soprattutto dal fratello Francesco nel desiderio di ricostituire una degna biblioteca che andasse ad affiancarsi alle molte che andavano sorgendo presso le più illustri casate romane.
Fra il 1775 e il 1785 egli si mise in contatto con i più esperti bibliotecari del tempo: da Parma gli comunicava informazioni librarie il direttore della Biblioteca ducale, Paolo M. Paciaudi e, dopo la morte di costui, il p. Ireneo Affò; da Yverdon segnalava manoscritti e pubblicazioni correnti sul mercato librario svizzero l'editore e scrittore protestante Fortunato Bartolomeo De Felice; informazioni pervenivano dagli agenti di casa Caetani in Napoli, o dai librai di Roma, Firenze, Milano, Parigi.
Intorno al 1775 il C. entrò anche in corrispondenza con i due grandi bibliotecari fiorentini Domenico Manni e Angelo Maria Bandini. Al primo così esponeva i suoi propositi: "il mio oggetto è di formare una biblioteca tutta di autori postillati e studiati da grand'uomini, o manoscritti, e di trascurare i stampati semplici. In una città come è Roma, ove si abbonda di biblioteche, bisogna pensare a un'idea non comune per rendere la raccolta di libri particolari. Io già mi trovo ad averne una copiosa raccolta, e ne ho uno postillato da Torquato Tasso che meriterebbe di stare nella biblioteca del re di Francia, o Medicea, o Vaticana" (Arch. Caetani, Fondo O. C., min.: 15luglio del 1780). Il Bandini, che era primo prefetto della Marucelliana, accondiscendeva di buongrado a prestargli aiuto: "Io ho già raccolto per lei lettere di alcuni insigni letterati, che fiorivano nel secolo XV tra le quali una v'è n'ha di Aldo Manuzio il vecchio scritta a Donato Acciaioli celebre nell'istoria letteraria di quella fiorentissima età" (ibid., corrisp.: A. M. Bandini, 25 marzo 1777). E il C. rispondeva esaltando i suoi nuovi acquisti, come quello di una parte della cospicua biblioteca romana di Pier Vettori. Da parte del Bandini si susseguirono le offerte di codici. Giunse infine la sollecitazione per l'acquisto di un notevole fascio di carte manoscritte dell'erudito fiorentino Giovanni Lami, cui peraltro il C. non si decise.
Ma il fervore con cui va ricercando e investigando i tesori della sua biblioteca solo in parte riesce a dissipare l'amarezza che gli procura il rifiuto da parte della Curia di riconoscere i suoi meriti culturali e di concedergli qualche incarico più distinto. Dapprima venne respinta la sua candidatura alla nunziatura di Napoli nel 1779, quindi sfumò la prepositura della cappella Sistina in S. Maria Maggiore e nel 1782 il tentativo, architettato abilmente ma reso vano forse per un intervento presso il papa del fratello Francesco, di ottenere la nunziatura di Francia. Quanto alle timide ma effettive speranze di una porpora cardinalizia, lo stesso Francesco ammoniva: "ricordatevi l'origine della nostra famiglia che da più secoli ha sperato più da' regnanti che dalli papi" (ibid., min.: a Roccatani, 21 apr. 1781).
Deluso nelle speranze di carriera, anche i suoi scritti non saranno in grado di assicurargli una solida notorietà, perché la scarna pubblicistica cui tra il 1775 e il 1795 egli affidò la sua ambizione di "nuovo riformatore delle lettere umane" quasi mai superò i limiti di un impegno piattamente accademico. Oltre le Osservazioni sulla Sicilia (Roma 1774), diede alle stampe la Lettera al sig. avv. Giuseppe Galanti per servire di supplemento al tomo IV della Raccolta degli scrittori napoletani (Roma s.d.) e la Lettera al sig. abate Francesco Cancellieri editore del frammento liviano scritta l'anno 1781 (Roma). Con l'Orazione in morte dell'Imperatrice regina Maria Teresa Walburga d'Austria (Napoli 1781) e l'Elogio storico di Carlo III re delle Spagne (Napoli 1789), il C. abbandonò il terreno della ricerca erudita per affrontare da vicino due momenti della storia europea contemporanea. Ma anche questi tentativi, e nonostante gli elogi tributati dal Bandini e dal Metastasio all'Orazione, mettono in evidenza tutti i limiti intellettuali del C., al quale sfugge una chiara e critica visione della realtà storica e perciò tende a cogliere i fenomeni del mondo contemporaneo nella loro dimensione cronistica e aneddotica, avulsa dal loro contesto più profondo.
Altrettanto generici e dilettanteschi i suoi interessi per la ricerca scientifica. Ma in essi non era assente una simpatia, tutta settecentesca, per la natura, e un'aspirazione a cogliere la realtà nel suo volto più vero e segreto: la scienza era considerata da lui quale "fiambeau de vérité", il suo culto perciò avrebbe contribuito a sgombrare la mente dalle sovrastrutture irrazionali e a disvelare i valori nuovi cui aderire. Fu attratto dall'"elettricismo", il cui fenomeno indagò in seguito agli esperimenti che erano stati compiuti qualche anno prima dal Winkler presso la sua famiglia, e soprattutto in virtù dell'amicizia e della stima che lo legava al p: Gian Battista Beccaria, autore d'importanti studi sull'argomento. Con il Buffon ebbe invece qualche scambio di opinioni sull'origine del bufalo, che quegli poi accolse nella sua Histoire naturelle (Paris 1782). Partecipò infine alla formazione dell'osservatorio astronomico che il fratello Francesco, con la collaborazione di esperti scienziati, aveva costituito nel 1778 in un'altana costruita sul palazzo Caetani.
Più che nelle realizzazioni pratiche, l'impegno e le posizioni culturali del C. prendono forma nel folto carteggio epistolare. Corrispondenti di molta risonanza talvolta (come Pietro e Alessandro Verri, il Metastasio e il Tiraboschi, il de Lalande, il p. Boscovich, il Frisi), ma spesso personalità minori dell'erudizione e dell'antiquaria settecentesca, compongono l'ideale "société d'esprits" in cui il C. venne diffusamente raffigurando dapprima le sue delusioni per la mediocrità culturale della società romana della seconda metà del secolo, poi la sua convinta simpatia per gli orientamenti di fondo della società e del pensiero illuministico europeo. In questo senso è particolarmente notevole la corrispondenza con l'ex francescano Fortunato Bartolomeo De Felice, passato al protestantesimo e quindi editore, a Yverdon, di opere fondamentali dell'illuminismo.
Il C. morì a Roma il 26 giugno 1797, senza che il suo nome trovasse migliore fortuna di qualche stanca e occasionale commemorazione presso le società accademiche di cui fu socio, lasciando soltanto la fama di "uomo enciclopedico" (Renazzi) e non quella dell'"uomo illuminato" quale, pur tra ricorrenti contraddizioni, aveva sempre cercato di essere.
Fonti e Bibl.: Un primo profilo organico, anche se scarsamente utilizzabile per le frequenti inesattezze e la mancanza di senso critico, è quello dell'abate Rodesindo Andosilla, Saggio della vita letteraria di monsignor O. C., Roma (s. n. t., ma stampato nel 1800 molto probabilmente nella tipografia Caetani), premesso al tomo I (unico pubblicato, contiene tutti gli scritti del C., ad eccezione dell'Elogiostorico di Carlo III)delle Opere diverse e postume di monsignor O. C.Non aggiungono molto le voci di F. Fabi Montani, in E. De Tipaldo, Biogr. degli italiani illustri…, IV, Venezia 1837, pp. 500-505 (ripubblicato a parte con il titolo Elogiostorico di mons. O. C., de' duchi di Sermoneta, Roma 1837), e di G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, VI, p.218. Ancor meno rilevante la commemorazione tenuta da C. Cardinali presso la Società letteraria volsca veliterna e pubblicata negli Atti, II(1834), pp. 243-246: un abbozzo manoscritto della medesima è in Bibl. Apost. Vat., Ferrajoli 661, ff. 33-36v. Note di qualche interesse in F. M. Renazzi, Storia dell'università degli studi…, IV, Roma 1806, pp. 372-374, che considera il C. nel contesto della cultura romana della fine del Settecento, tentandone un giudizio complessivo piuttosto equilibrato. Accenni al C. e alla sua celebre collezione di monete dai rovesci figurati nelle Cartas familiares del abate d. Juan Andrés…, I, Madrid 1791, p. 217. Solo recentemente, e in seguito al riordinamento delle carte del C. esistenti nell'Archivio Caetani, è stata rivolta un'attenzione meno fugace e più fondata criticamente alla biografia e agli apporti da lui recati alla vita culturale del suo tempo. Tralasciando la breve ma utile scheda biografica tracciata da G. Caetani, in Caietanorum genealogia, Perugia 1920, pp. 89 s., si devono ricordare: P. Pecchiai, Un enciclopedico prelato romano del Settecento, in Strenna dei romanisti, XXV(1964), pp. 387-394; L. Fiorani, Una figura dimenticata del Settecento romano. L'abate O. C., in Studi romani, XV(1967), pp. 34-60, e Id., O. C. Un erudito romano del Settecento. Con appendice di documenti inediti, Roma 1969 (con ampia bibliografia), che utilizzano ampiamente il materiale archivistico del fondo Onorato Caetani.Sempre nell'Archivio Caetani è da tenere presente il fondo Miscellanea, dove sono raccolti gran parte degli appunti letterari del C., nonché il Fondo amministrativo (vedere per es. il fascicolo con segnatura. Ammin.220 relativo all'Entrata e uscita di mons. O. C. dal 1791 al 1797).Qualche altro autografo in Bibl. Apost. Vatic., fondo Patetta [non schedato]; Ferrajoli ms. 336 (copia del sec. XIX del carteggio con il Tiraboschi, e un elenco di alcuni dei più importanti manoscritti raccolti nella sua biblioteca).