MARTINELLI, Onofrio
Nacque a Mola di Bari il 13 genn. 1900 da Leonardo, commerciante di olio. Condusse i suoi studi classici tra il convitto nazionale di Bari e il convitto Alle Querce di Firenze, dove prese la maturità. Si trasferì nel 1918 a Roma e frequentò il biennio di matematica, propedeutico alla facoltà di ingegneria, abbandonata tre anni dopo per dedicarsi completamente alla pittura.
La formazione del M. si compì nel vivace ambiente romano del primo dopoguerra, quando, nella celebre terza saletta del caffè Aragno, entrò in contatto con gli artisti legati alla rivista Valori plastici e con i letterati della Ronda, nel momento in cui si andavano definendo i contorni della ricerca metafisica e le inquietudini delle avanguardie venivano tenute a freno da un richiamo all’ordine, a favore di un recupero della sensibilità e del gusto classici.
Nelle prime opere del M. si trovano le tracce di una giovanile ammirazione per V. Guidi e, soprattutto, per il suo maestro ideale A. Spadini, al quale rimanda la ricchezza di impasto visibile nei suoi dipinti, come Cesarina del 1921 (Firenze, collezione Francesco Colacicchi); mentre le indicazioni di G. De Chirico sul «ritorno al mestiere» (da lui il M. apprese tecniche come la tempera grassa) lo incoraggiarono a frequentare i musei e a esercitarsi nella copia di quadri famosi. Nel 1921, nello studio di C. Socrate a villa Strohl Fern, avvenne l’incontro con il pittore toscano G. Colacicchi, col quale il M. stabilì subito una profonda intesa. Il vero maestro del M. in questi anni, e in particolare tra il 1921 e il 1923, fu però F. Carena, maestro tra i più promettenti artisti della futura Scuola romana, i cui insegnamenti nella sua scuola di Anticoli Corrado servirono al M. per superare gli ultimi residui impressionisti e per conquistare una tecnica pittorica solida, ben costruita, mutuando anche l’interesse per le possibilità evocative della materia e per il trasferimento del dato reale in una dimensione meditativa lontana dall’immediatezza del dato sensorio, come in La stampa di Goya (Bari, collezione Amelia Martinelli Esposito) e Porri (Bari, collezione Gianfranco Ceci).
Nel 1924 il M. si trasferì a Firenze, dove frequentò per due anni l’Accademia di belle arti, e già quello stesso anno partecipò alla XIV Biennale di Venezia con due dipinti Tulipani e Pesci; due anni dopo alla XV Biennale espose Paese (Firenze, collezione Francesco Colacicchi) e Veduta sull’Ema (Catalogo generale…, p. 57). Queste opere rivelano l’innestarsi sull’influenza careniana dell’avvio di una personale riflessione sui temi di Valori plastici, nella fluidità e purezza della materia cromatica. In questi anni il M. si affacciò anche sullo scenario artistico barese partecipando alla IV Mostra d’arte pugliese e realizzando in loco nel 1927 Case a Mola (Bari, collezione Leonardo Martinelli).
Dal 1926 al 1931, pur ritornando spesso in Italia, il M. visse a Parigi dove stabilì un rapporto intenso soprattutto con F. De Pisis (Tibertelli), già incontrato a Roma.
Tra il 1927 e il 1928 i due artisti divisero anche una casa-studio, in rue Bonaparte, e, con G. Comisso, vissero sregolate, ma esaltanti esperienze personali e professionali. Furono cinque anni segnati soprattutto dallo studio della pittura postimpressionista, da un acceso sperimentalismo e da un’intensa attività espositiva; ne scaturirono prevalentemente nature morte, come Elementi in abbandono (Bari, collezione Leonardo Martinelli), Oggetti in luce notturna (Roma, collezione privata: Catalogo generale…, p. 62), Il germano, Piede di gesso, Natura morta metafisica marina, Poltrone rosse (tutte Bari, coll. Leonardo Martinelli), le quali, tra l’influsso depisisiano e la passione per P. Bonnard, rivelano la fascinazione per una pittura capace di cogliere l’essenza delle cose, la magia del loro stare insieme al di là del fluire dello spazio e del tempo. Una breve parentesi italiana, trascorsa ad Anagni nel settembre del 1926, portò il M. a confrontarsi di nuovo con il modo più razionale e asseverativo delle composizioni di Colacicchi.
Il M. partecipava intanto a varie mostre che tentavano di creare un’identità non solo nazionale del gruppo degli artisti italiani residenti a Parigi: nel 1928 al Salon de l’Escalier, organizzata da M. Tozzi, con un catalogo di Waldemar George (George Jarocinski), acceso fautore del ritorno all’ordine della pittura italiana tra le due guerre; nel 1929 alla galleria Éditions Bonaparte, organizzata sempre da Tozzi; nel 1930 nell’ambito della XVII Biennale di Venezia, nella sala 23, dedicata alle testimonianze della produzione italiana operante in direzione classicista e denominata «Appels d’Italie», curata ancora da Tozzi e Waldemar George (dove il M. presentò Natura morta surrealista, Firenze, collezione Damiano Lapiccirella); nel 1931 nella sala riservata agli italiani di Parigi dalla I Quadriennale nazionale d’arte a Roma. Ma già nel 1928 si era tenuta nella galleria Kleykamp dell’Aja la sua prima mostra personale, che fu però un insuccesso economico al quale il M. reagì abbandonando le sue opere, circa quaranta, oggi quasi tutte disperse.
I dipinti del periodo parigino testimoniano una qualità tipica dell’artista, quella di saper accogliere stimoli provenienti da un determinato ambiente senza rinchiudersi in una formula stilistica troppo rigida: alcuni quadri risentono evidentemente della vicinanza di De Pisis, ma non mancano escursioni nel gusto «biomorfico» di certa pittura surrealista o in quello purista. Il capolavoro del periodo, il ritratto di Polya (Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna), una profuga russa conosciuta a casa del pittore G. Sciltian fa pensare a Bonnard e più alla lontana ad A. Modigliani. Unico denominatore comune per le avventure pittoriche di questi anni è la vena intimista, antiretorica, elegante, che rimarrà come tratto caratteriale nella futura produzione.
Nella primavera del 1931 il M. fece ritorno in Italia, costretto dalle difficoltà economiche della sua famiglia, con una prima tappa a Firenze. Già durante il periodo parigino, per il tramite dell’amico Colacicchi, l’artista aveva stabilito buoni rapporti con l’ambiente legato alla rivista Solaria, al quale egli stesso aveva collaborato inviando numerosi disegni (Catalogo generale…). Al suo arrivo a Firenze il M. allacciò con lo scrittore T. Landolfi un’amicizia che avrà profonda influenza sulle vicende artistiche e umane di entrambi. Frequenti soggiorni a Roma gli permisero nel frattempo di entrare in contatto con ambienti culturali vivaci, nei quali gravitavano R. Guttuso, M. Mafai, C. Cagli, F. Pirandello.
Furono per il M. anni di intensa ricerca condotta nel clima complesso e variegato dell’Italia tra le due guerre e tesa a trovare se stesso nel confronto con gli altri, a cercare nella pittura non tanto uno stile personale quanto, studiando gli altri, i segreti della pittura stessa. Da questo approccio il M. ricavò una straordinaria sapienza tecnica e la capacità di esprimere in un’ampia gamma di timbri una visione sognata e contestualmente pregna e toccante della realtà. Vi si aggiunse l’impegno a diffondere e sostenere l’arte attraverso l’insegnamento e l’approccio alla critica.
In questa fase matura dell’attività del M. nacquero opere straordinarie come Strumenti musicali, Cappello di paglia, Ulalume e Il bouquet di fiori finti conservati a Bari nella collezione Leonardo Martinelli, il Ritratto di Flavia con collana della collezione Francesco Colacicchi di Firenze e Il vezzo di coralli della collezione romana Ignazio Mastrapasqua.
Oltre che a Firenze e a Roma, il M. soggiornò a lungo in Puglia (a Bari, nel palazzo Fizzarrotti, fu inaugurata nel 1932 la prima personale italiana del M., con quaranta opere) e in Liguria, dedicando molti quadri al paesaggio di questi luoghi. Fra le grandi mostre pubbliche cui partecipò sono da ricordare la Biennale di Venezia del 1934 con un dipinto, Sera (Bari, collezione Leonardo Martinelli) nella stessa sala in cui espose Pirandello, la Biennale del 1936 e la Quadriennale romana del 1939. In questi anni egli indossò spesso la doppia veste di pittore e di organizzatore.
Nel 1932 il M. organizzò la partecipazione di alcuni artisti pugliesi alla II Mostra sindacale del Lazio; nel 1935 fu la volta della II Mostra del Sindacato di belle arti di Puglia, dove lui stesso fu presente con vari dipinti, tra cui Apuane e Triplice ritratto (nella collezione Giovanna Zuccardi di Napoli), accanto a una selezione di opere di tonalisti romani.
Il periodo fino al 1940 fu quello della maggiore vicinanza stilistica con Colacicchi, accanto al quale il M. lavorò sia a Firenze sia ad Anagni. Sono però evidenti anche i rapporti con la Scuola romana: il M. dovette guardare al colorismo acceso e alla malinconia di Mafai; nelle nature morte mise a frutto il magistero compositivo di R. Melli; dialogò liberamente con le grandi composizioni di figure degli amici E. Cavalli e G. Capogrossi. Egli stesso realizzò composizioni con figure di grande formato pensate come una personale rilettura del Rinascimento italiano: le tele del 1934-35 Giochi (Roma, collezioni del Quirinale) e Riposo degli argonauti (Bari, collezione Gaetano Martinelli), i Giganti del 1937 (Firenze, collezione Leonardo Lapiccirella) e Composizioni di nudi del 1938-39 (Bari, amministrazione provinciale).
Ottenuta nel 1940 per chiara fama la cattedra di pittura all’Accademia di belle arti di Firenze, il M. prese uno studio a ponte Vecchio. Partecipò nel 1941 al concorso nazionale per il «Paesaggio di Puglia» e vinse il primo premio con Cave a Gravina (Monopoli, collezione Pasquale Carenza).
Il dipinto mostra il suo costante interesse per la veduta naturale, manifestatosi già negli anni precedenti con Paesaggio mattinale del 1931-32 (Bari, collezione Leonardo Martinelli) e Paesaggio meridiano degli stessi anni (Roma, collezione privata); con Villa Borghese (Nizza, collezione Marilisa Mastrapasqua Scarselli), Polignano a mare (Bari, collezione Giorgio Cagnazzo), entrambi del 1939. Lo stesso interesse che riprese poi, nel 1957, con Torre Incina e Abbazia di S. Vito della collezione Nicola Martinelli di Bari e Abbazia di S. Stefano della collezione Giuseppe Pannarale di Roma.
Nel 1943 il M. sposò la pittrice Adriana Pincherle, sorella di Alberto Moravia, conosciuta qualche anno prima a Genova, mentre era impegnato a realizzare un mosaico in un edificio pubblico, distrutto durante la guerra e di cui non resta traccia.
Il volto di lei, a sua volta ritrattista, fu immortalato dal M. in molti dipinti in una varietà di atteggiamenti colti nella ricchezza delle situazioni offerte dalla vita in comune: Ritratto di Adriana (Taranto, collezione Aldina Fago); Ritratto di Adriana con la camicetta gialla, Ritratto di Adriana con la pelliccia di leopardo e Ritratto di Adriana con lo specchio (tutti e tre a Bari, collezione Leonardo Martinelli); Adriana con cappellino verde (già Firenze, Gabinetto G.P. Vieusseux, ora presso gli eredi). Dallo stile della moglie e collega il M. apprese, in qualche caso, l’uso dei colori chiari, solitamente a lui poco congeniali.
Nel 1943 inaugurò una sua personale alla galleria S. Trinita di Firenze, nel 1945 e nel 1949 partecipò a due collettive a palazzo Strozzi.
Gli anni che seguirono la fine della seconda guerra mondiale videro il M. impegnato nella vicenda fiorentina del Nuovo Umanesimo, impostato da un gruppo di sei artisti (oltre allo stesso M., Colacicchi, Cavalli, Oscar Gallo, Quinto Martini, Ugo Capocchini), portavoci di una pittura figurativa basata su una solida tradizione, distante sia dal realismo sociale sia da qualsiasi tendenza astratta, quindi contro l’astrattismo e il neocubismo.
Dagli anni Cinquanta in poi il M. si dedicò con sempre maggiore interesse alla storia e alla critica d’arte contemporanea (Catalogo generale…). Nel 1953 venne chiamato a far parte della commissione giudicatrice per la III Mostra nazionale di pittura contemporanea del Maggio di Bari. Nel 1956, grazie alla stima di Roberto Longhi, poté coronare la sua carriera di pittore con una personale di diciotto opere, quasi tutte recenti, alla XXVIII Biennale di Venezia. Nel 1959 vinse il premio Città di Lucera; nel 1960 il suo contributo alla cultura figurativa degli anni Trenta venne riconosciuto nell’ambito dell’importante rassegna «Rinnovamento dell’arte italiana dal 1930 al 1945». Nel 1963 il M. ebbe una personale a Bari; l’anno successivo partecipò a una mostra sulla «Natura morta nell’arte contemporanea» a Taranto, e nel 1965 alla IX Quadriennale nazionale d’arte a Roma con cinque opere.
Nell’ultima sua attività pittorica ricorrono con una certa insistenza, oltre ai paesaggi e alle nature morte, ispirate a dipinti seicenteschi napoletani e spagnoli, in cui ottenne forse i risultati migliori, il tema del ritratto femminile, dell’Autoritratto (Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna; Mola di Bari, amministrazione comunale), e quello del nudo (Nudo di schiena: Firenze, Gabinetto G.P. Viesseux; Nudo sdraiato: Monopoli, collezione Pasquale Carenza).
Il M. morì a Firenze il 13 marzo 1966.
Fonti e Bibl.: G. Zampa, O. M., in XXVIII Biennale internazionale d’arte (catal.), Venezia 1956, pp. 224-226; M. Maccari, Pitture di O. M. (catal.), Bari 1963; L. Russo, Per O. M. Alla galleria La Campanella. Monopoli (catal.), Putignano 1966; C. Vivaldi, O. M. (1900-66) (catal., Bari), Roma 1968; Adriana Pincherle. O. M. Dalla Scuola romana alle loro ricerche recenti (catal.), a cura di C. Vivaldi, Macerata 1983; O. M., in Roma 1934 (catal.), a cura di G. Appella - F. D’Amico, Modena 1986, p. 203; O. M. (1900-1966) (catal.), a cura di R. De Grada, Bari 1987; A. Massimeo, Ricordo di O. M., Bari 1987; R. Campana, O. M., in Piero della Francesca e il Novecento. Prospettiva, spazio, luce, geometria, pittura murale, tonalismo, 1920-1930 (catal., Sansepolcro), a cura di M.M. Lamberti - M. Fagiolo Dell’Arco, Venezia 1991, p. 257; G. Uzzani, in La pittura in Italia. Il Novecento, 1, 2, Milano 1992, p. 959; Catalogo generale delle opere di O. M. (1921-1966), Milano 1998 (con elenco completo delle mostre); O. M. Gli anni Trenta (catal.), a cura di S. De Rosa, Firenze 2000.