DEI, Onofrio (Noffo, Ernoffe)
Di una famiglia originaria di Firenze, fu attivo come mercante negli ultimi quaranta anni del XIII secolo e nei primi dieci anni del XIV. La sua attività mercantile lo portò in Francia dove in questo periodo operavano mercanti fiorentini. Fra il 1278 e il 1285 fu uno dei dodici soci della società mercantile di Ghino di Lamberto Frescobaldi: in tale veste lavorò a Ypres in Fiandra, insieme con Iacopo del Fronte, impegnato nel commercio della lana e in quello dei cavalli, e successivamente si spostò in altri fondaci della società in Francia. Lasciata la compagnia dei Frescobaldi, nel 1289 divenne socio della compagnia dei fratelli Biccio e Musciatto Franzesi. I Franzesi furono i primi mercanti fiorentini ad assumere in Francia appalti di imposte e fornirono al sovrano consistenti prestiti. Negli anni 1288-1290 il D., in qualità di socio dei Franzesi, insieme con Cepperello Dietaiuti da Prato e Rinieri Iacopi, ebbe l'incarico di riscuotere le decime ecclesiastiche dell'Alvernia, e in particolare di quella parte di decime che Niccolò IV aveva ceduto al re di Francia. Sempre nello stesso periodo il D., insieme con i due soprannominati soci, fu impegnato anche nella riscossione dei tributi imposti agli ebrei di quel distretto. Intorno agli anni 1289-1290 il D., agendo sempre in nome della compagnia dei Franzesi, investì alle "foires de Champagne" il denaro raccolto in pagamento di imposte e tributi prima che venisse fatto il saldo dei conti con la Camera reale.
Intorno al 1295 il D. costituì una propria compagnia in società con Rinieri Iacopi, stimato mercante fiorentino gia attivo in Francia come socio delle compagnie dei Frescobaldi e dei Franzesi. La nuova compagnia si intitolò a Rinieri Iacopi e si occupò prevalentemente dell'importazione di panni dai mercati della Champagne via mare per Firenze, svolgendo nel contempo attività bancarie. Nel 1299 - seguendo l'esempio dei Franzesi ai quali già da cinque anni era stata affidata da Bianca d'Artois, già regina di Navarra, contessa della Champagne, l'amministrazione di parte della sua dote e la, riscossione degli arretrati delle tasse matrimoniali - il D. entrò nel novero dei mercanti fiorentini che operavano al servizio di Bianca. Insieme con i ricevitori secolari Ranieri Accorsi e Musciattino di Simone Bardi e con il ricevitore ecclesiastico Jean de Calais, canonico di Troyes, egli fu infatti incaricato da Bianca delle riscossioni delle imposte nella Champagne.
Non sappiamo se fu il fallimento della compagnia per l'importazione di panni oppure le irregolarità commesse nella riscossione delle imposte nella Champagne che portarono il D. in carcere. È un fatto comunque che nel 1301 il D. si trovò imprigionato nel carcere regio di Parigi. Poiché Jean de Calais, l'esattore ecclesiastico per la riscossione delle imposte nella Champagne, era già stato arrestato dal 1299 con l'accusa di peculato e poi era stato affidato alla custodia del vescovo Guiscardo (Guichard) di Troyes, si può ritenere che anche la condanna del D. fosse dovuta alle irregolarità da lui commesse nella riscossione delle imposte nella Champagne piuttosto che al fallimento della compagnia di importazione dei panni. Il D., incarcerato e condannato a morte, cercò allora di salvarsi mettendosi a completa disposizione di Bianca d'Artois. Quando, perciò, nel 1301 il vescovo Guiscardo di Troyes - dapprima protetto da Bianca di Navarra ed in seguito caduto in disgrazia - fu accusato di avere favorito la fuga di Jean de Calais e Bianca fece istruire un processo contro di lui, il D. fu uno dei principali testimoni di accusa. Liberato dal carcere, egli dichiarò nel corso del processo che il vescovo Guiscardo aveva agevolato la fuga di Jean de Calais dietro versamento di denaro e di gioielli da parte degli Ammannati di Pistoia e dei Pucci Rimbertini di Firenze. Mentre era in corso l'inchiesta contro Guiscardo, il 2 maggio 1302 morì improvvisamente la regina Bianca. Sua figlia Giovanna di Navarra, regina di Navarra e di Francia, continuò nella persecuzione del vescovo, il quale, da parte sua, cercò di addurre prove della sua innocenza e fece offrire al D. 500 fiorini d'oro se avesse ritratto le precedenti deposizioni. Una svolta nel processo si ebbe, però, solo nel 1304 quando Jean de Calais, in punto di morte, confessò i nomi di quelli che lo avevano aiutato a fuggire discolpando il vescovo. Guiscardo fu allora restituito alla sua carica ecclesiastica.
Quando nel 1306 il D. si ammalò gravemente, credendo di essere in punto di morte, ritrattò - su consiglio di un confessore che apparteneva al clero del vescovo da lui accusato - la testimonianza resa al processo; ma non appena guarì si smentì nuovamente. All'improvvisa morte della regina Giovanna le fila dell'intrigo furono prese in mano da Guglielmo di Nogaret. Costui avanzò il sospetto che la morte della regina fosse dovuta ad avvelenamento e ne addossò la responsabilità al vescovo Guiscardo di Troyes. Ciò portò ad un secondo processo a carico del vescovo. Anche questa volta il D. divenne suo malgrado un docile strumento in mano di Guglielmo di Nogaret. Il D. in questo processo sostenne il ruolo di accusatore e teste a carico e contemporaneamente il ruolo di giudice istruttore, essendo nominato nella commissione incaricata dell'interrogatorio dei testi. Guiscardo fu accusato, in base a prove procurate dal D., di avere fatto morire Giovanna per magia con l'aiuto di Musciattino di Simone Bardi.
Durante il dibattimento di questo processo il D., avvalendosi dell'appoggio del Nogaret, costituì una nuova società per operare sui mercati della Champagne. Senonché questa società fallì e il D. fu imprigionato per debiti e condannato a morte. Questa volta la protezione del Nogaret non valse a salvargli la vita e il D., prima che venisse eseguita la sentenza, confessò che la sua accusa contro il vescovo Guiscardo circa la morte della regina Giovanna era falsa. Il D. morì per impiccagione a Parigi, probabilmente nel 1309.
Scarse e contraddittorie le notizie relative all'appartenenza del D. agli accusatori dei templari: secondo il Villani il D. nel 1301, all'epoca della prima prigionia, avrebbe tracciato insieme con un priore dei templari (arrestato per cattivo tenore di costumi e desideroso di vendicarsi) un piano di accusa contro l'Ordine. La denuncia in seguito sarebbe stata consegnata ai funzionari regi dietro l'assicurazione della immediata scarcerazione. A differenza dei due processi contro il vescovo Guiscardo per i quali si è conservata un'ampia documentazione sull'operato del D., per l'accusa contro i templari non è documentato alcun suo intervento. Il Davidsohn ritiene valida l'opinione del Villani. È verosimile - secondo il Davidsohn - che il D. carcerato ed ormai compromesso nel processo contro Guiscardo, pur di ottenere la scarcerazione non abbia esitato a formulare anche una denuncia contro i templari. Tanto più che fu il D. stesso a dichiarare più di una volta che per uscire dal carcere non avrebbe esitato a formulare qualsiasi accusa, anche contro suo padre o sua madre. Il Davidsohn ritiene, infine, che la denuncia del D. contro l'Ordine dei templari sia stata utilizzata da Guglielmo di Nogaret qualche anno più tardi, quando sotto il pontificato di Clemente V la situazione politica sarebbe apparsa più favorevole per una manovra di questo tipo.
Fonti e Bibl.: La document. relativa alla famiglia e alla vita del D. è conservata presso l'Archivio di Stato di Firenze, Carte Ceramelli Papiani, 1740, ins. 44; Ibid., Manoscritti, 624 (= Sepoltuario del Rosselli, I), c. 55, n. 342; Ibid., Carte Ancisa, LL, 359, c. 380rv; F. Sclopis, Docum. riguardanti il commercio dei Fiorentini in Francia nei secoli XIII e XIV, in Giorn. stor. degli Archivi toscani, I (1857), pp. 257 ss.; C. Paoli, Documenti di ser Ciappelletto, in Giorn. stor. della lett. ital., V (1885), pp. 329-369; R. Kaltenbrunner, Aktenstücke z. Gesch. des deutschen Reiches, I, Wien 1889, n. 109; G. Villani, Cronica, VIII, Firenze 1823, p. 12; N. Rigault, Le procès de Guichard évêque de Troyes, Paris 1896, pp. 22, 55, 67, 143 ss., 155-163, 170 ss., 182-185, 189; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1960, III, p. 517; VI, pp. 368, 629, 659 s., 665, 678-690.