ONOFRIO Antenoreo
ONOFRIO Antenoreo (Patavino). – Probabilmente padovano d’origine (stando alla qualifica ‘Patavinus’ o ‘Antenoreus’ che compare in testa alle sue composizioni), fu attivo all’inizio del Cinquecento come compositore di frottole, genere musicale vocale profano del Rinascimento.
Mancano documenti che ne testimonino direttamente vita e attività. Dovette godere di una certa notorietà se tra il 1504 e il 1514 Ottaviano Petrucci, editore e tipografo musicale attivo a Venezia fino al 1509 e a Fossombrone sua patria dal 1511, pubblicò nei suoi libri di frottole almeno 14 composizioni a quattro voci di Onofrio: quelle nei libri VI (1506), VIII (1507) e XI (1514) sono identificate col nome «Honophrius Patavinus»; quelle nel libro II col nome «Honophrius Antenoreus», però soltanto nella seconda edizione, 1508 (sono adespote nella prima, 1505).
Le frottole attribuite a Onofrio comprendono una varietà di forme poetiche: 10 barzellette, 2 odi, una ballata e uno strambotto. In genere, seguono lo stile musicale tipico delle frottole coeve, caratterizzato da un tessuto in gran parte omoritmico, con la parte superiore (il cantus) leggermente più in risalto rispetto alle altre voci. La materia tematico-poetica di alcune di tali frottole esibisce una pretesa più ricercata e varia rispetto al gusto e alla tradizione media dell’epoca: infatti, sebbene la maggior parte delle composizioni metta in musica rime adespote che trattano l’amor cortese, in alcune frottole, come Sed libera nos a malo e Se un pone un fragil vetro, Onofrio partecipa di pratiche poetiche peculiari, la satira maccheronica nel primo caso, il petrarchismo ante litteram di Serafino Aquilano nel secondo. Nell’insieme, queste 14 frottole forniscono un quadro della frottola padovana del primo Cinquecento caratterizzato da scelte poetiche eclettiche, in uno stile musicale semplice.
Il libro II comprende 7 frottole attribuibili a Onofrio: Viva e morta voglio amarte, El te par che manchi in fede, Resta in pace, o diva mia, Ahi promesse dolce e amare (rimasta adespota anche nella seconda edizione), Segua pur seguir chi vole (partes prima e secunda), Mi parto, a dio a dio ed È questa quella fede (Boorman, 2006, p. 1025, ascrive a Onofrio anche Te lamenti et io mi doglio, attribuzione tuttavia dubbiosa essendo la composizione collocata nel gruppo intestato a Nicolò Patavino).
La collezione contiene composizioni ascrivibili perlopiù al Nordest italiano, soprattutto al Veneto: il veneziano Francesco d’Ana, Peregrinus Cesena «Veronensis», Antonius Rossetus «Veronensis», Bartolomeo Tromboncino (anch’egli veronese) e Rossinus Mantuanus; le frottole di «Honophrius Antenoreus» e «Nicolò Patavino» sono tutte collocate negli ultimi due quaderni che compongono il libro. Le composizioni di Onofrio presentano uno stile piuttosto lineare: sono tutte barzellette su temi d’amor cortese, e il tessuto musicale è tendenzialmente omoritmico, con qualche passaggio più ornato in questa o quella voce, soprattutto nel cantus. Come nel resto del libro, la partitura offre l’intero testo poetico soltanto per la parte del cantus, il che suggerisce forse un’esecuzione per una voce sola con accompagnamento strumentale.
Un anno dopo la prima pubblicazione di frottole sue nel libro II di Petrucci, tre composizioni comparvero sotto il nome «Honophrius Patavinus» in Frottole: Libro sexto, pubblicato sempre da Petrucci il 5 febbraio 1506.
Questo libro di 66 composizioni poetico-musicali dispiega la varietà delle forme ricomprese nel genere della frottola musicale, come già traspare dall’intestazione della tabula: «Frottole Sonetti Stramboti Ode Iustiniane numer sesanta sie»: un mélange di forme poetico-musicali, 41 barzellette, 9 strambotti, 5 odi, 4 ballate, due sonetti, un villancico-barzelletta, una terzina di capitolo, una strofa di sirventese, una stanza di canzonetta, un frammento di villotta, forme probabilmente derivate dalla tradizione orale e popolare delle corti signorili dell’Italia settentrionale al volgere del secolo XVI. Tra queste frottole, solo 22 sono attribuite a uno dei sette autori menzionati nel libro (Onofrio incluso), mentre le rimanenti restano adespote.
Le tre composizioni di Onofrio (Servo, ahimè senza mercede, Questo viver a speranza, Sed libera nos a malo) sono barzellette come nel libro II, caratterizzate da uno stile e da un tessuto musicale semplice, con momenti di varietà ornamentale o ritmica. Tuttavia, mentre Questo viver a speranza riprende la ben radicata tradizione dell’amor cortese nei cantari cavallereschi, Sed libera nos a malo, che fa un riferimento satirico a un versetto del Pater noster, offre un esempio eloquente di come la tradizione veneta della poesia maccheronica, rappresentata dalle opere quattrocentesche di Andrea Michieli detto Squarzola, fosse penetrata nel repertorio frottolistico.
Le scelte compositive di Onofrio si confermano anche nell’ottavo libro di frottole, datato 21 maggio 1507. I 57 brani in esso contenuti rispondono a un criterio editoriale geografico; in questo contesto le sue tre frottole (Crudel Amore, Ben che a me si’ fiera e dura, Se io ti dico el mio gran danno) sono accostate a quelle del veneziano Niccolò Piffaro nel terzo quaderno del libro. Di queste composizioni, Crudel amore è noto come uno dei primi esempi della forma di ballata messa in musica nel repertorio frottolistico, e come tale adotta uno stile musicale diverso dalle altre frottole, in particolare nell’enfasi melodica conferita alla parte del cantus rispetto all’accompagnamento omofonico delle altre tre voci. Se io ti dico el mio gran danno palesa un rapporto con la musica popolare coeva mediante il ricorso, nella ripresa, della melodia popolaresca Si vivesse a cento e un anno; la citazione fa parte di una pratica assai diffusa nel genere frottolistico, che si osserva anche nelle composizioni del citato Niccolò Piffaro.
L’ultima frottola di Onofrio, apparsa sette anni più tardi in Frottole: Libro Undecimo (Fossombrone, 1514), attinge da un diverso ambito della tradizione poetica orale: nelle fonti letterarie lo strambotto Se un pone un fragil vetro è attendibilmente attribuito al cantante-improvvisatore Serafino dell’Aquila, classicista protopetrarchista.
In generale, l’intera silloge presenta una varietà di testi poetici che riflette un rinnovamento stilistico nel tono della frottola, forse riconducibile alla primissima diffusione del petrarchismo nel Cinquecento; al posto delle forme più leggere dei libri precedenti, su rime adespote, qui si incontrano infatti brani di autori come il Poliziano, Bembo, Castiglione, Serafino e Tebaldeo. La raccolta petrucciana ci dà un riflesso di questo diverso tono letterario e musicale. L’unica composizione attribuita ad Onofrio utilizza un tessuto musicale ritmicamente più screziato rispetto alle altre sue frottole; l’altus e il tenor sono le voci più attive e adorne, mentre la parte del cantus scandisce gli endecasillabi in una melodia chiara e distinta, e il bassus svolge una funzione di mero sostegno armonico. Onofrio, insomma, dota di una veste musicale più complessa ed elegante l’unica sua frottola basata sul testo di un autore (e musicista) di nome.
Delle 14 frottole di Onofrio Antenoreo, solo una, Viva e morta voglio amarte dal libro II di Petrucci, si ritrova (senza testo) in un’altra fonte coeva: Bologna, Museo internazionale e Biblioteca della musica, ms. Q 18, databile tra il 1502 e il 1506 (facsimile in Weiss, 1988, cc. 18v-19r). Per le altre sue composizioni, i libri di Petrucci sono testimoni unici: non possiamo pertanto ripercorrerne la tradizione anteriore. Basta tuttavia la varietà di stili, temi e riferimenti musicali e poetici a tratteggiare una figura poetico-musicale notevole, versata in varie pratiche compositive ed esecutive delle corti signorili dell’Italia settentrionale, e in particolare nell’ambiente padovano.
Per le edizioni delle musiche di Onofrio: Le frottole nell’edizione principe di Ottaviano Petrucci, I: Libri I, II e III, a cura di G. Cesari - R. Monterosso, Cremona 1954, pp. 78-83; O. Petrucci, Frottole libro sexto: Venezia 1505 (more veneto = 1506), a cura di A. Lovato, Padova 2004, pp. 58-60, 105, 127-129, 133 s., 251-254; Id., Frottole libro octavo: Venezia 1507, a cura di L. Boscolo, ibid. 1999, pp. 151-156, 168-170; Id., Frottole libro undecimo: Fossombrone, 1514, a cura di F. Luisi - G. Zanovello, ibid. 1997, pp. 39, 101 s.
Fonti e Bibl.: A. Einstein, The Italian madrigal, I, Princeton 1949, pp. 41, 84; K. Jeppesen, La frottola, Aarhus-København 1968-70, I, pp. 82 s., 98-101, 106 s., 110 s.; II, pp. 108 s., 211 s., 216 s., 222 s., 226 s., 236 s., 250 s., 252 s., 255 s., 278 s.; III, p. 37 s., 139 s.; A. Balduino, Le esperienze della poesia volgare, in Storia della cultura veneta, III, 1: Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, a cura di G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, Vicenza 1980, pp. 344 s.; Bologna, Q 18, early 16th century: Civico Museo Bibliografico Musicale (olim 143), facsimile a cura di S.F. Weiss, Peer 1998, p. 21, cc. 18v-19r; G. La Face Bianconi - A. Rossi, Le rime di Serafino Aquilano in musica, Firenze 1999, pp. 152 s., 269-272; S. Boorman, Ottaviano Petrucci: catalogue raisonné, New York 2006, ad ind.; The New Grove dictionary of music and musicians (ed. 2001), I, p. 715; Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, I, coll. 766 s.