onesto
Aggettivo prediletto da D., sempre denso di significati e, per certi aspetti, prezioso esponente di una sua concezione dei valori morali ed estetici. Ricorre in tutte le sue opere in volgare e, nel corrispondente latino, nel De vulg. Eloq.; è presente anche nel Fiore. Ha valore di avverbio in If X 23, e secondo alcuni, anche in II 113 e Vn II 3. Nel Convivio è qualche volta neutro sostantivato, l'honestum di Cicerone e di s. Tommaso. È al superlativo solo in Cv II XV 12, per indicare in termini di alto elogio la filosofia. Appare spesso in rima, quasi sempre (nella Commedia sempre) all'inizio o alla fine della serie.
L'alternativa sul suo valore o meno di avverbio in Vn II 3 è legata a una soluzione editoriale: umile e onesto sanguigno nel primo caso, per chi considera sanguigno un colore in sé troppo vivo, opportunamente attenuato da umile e onesto; umile e onesto, sanguigno nel secondo caso, a norma dell'uso coevo di sanguigno come colore tendente al bruno, e quindi già o., cioè " decoroso ", in sé stesso, adatto al nobilissimo vestito di Beatrice giovanetta (è la tesi del Barbi, accolta dagli editori successivi). In Pg XXIX 135 ha avuto grande fortuna nel passato, invece di o., la variante onestato, che, per quanto autorevole, non è stata giustamente confermata dagli editori più recenti perché " sospetta di esser rimedio a un'ipometria vera o presunta, date le dialefi attorno ad atto e onesto (Petrocchi, ad l.).
Le sfumature di significato sono numerose e forse non è possibile intenderle appieno senza considerare prima la dinamica interna della parola, in piena globalità. La sua presenza col chiaro significato di " dignitoso " in alcuni passi molto noti (le oneste piume di Catone, Pg I 42; l'anima di Sordello, onesta e tarda nel muover degli occhi, VI 63; ecc.) ha contribuito a far supporre lo stesso significato in altri luoghi che non lo comportano (quella onesta di Pg XIX 30, che è la donna santa e presta che interviene nel sogno della femmina balba; la gente onesta di Rime LXXXIII 80, con chiaro riferimento alla più vertù [v. 79] dei religiosi; ecc.). In corrispondenza, accanto alla onestade, cioè alla decorosa compostezza, che la fretta ad ogn'atto dismaga (Pg III 11), abbiamo la tanta onestade che subentra nel cuore di chi vede Beatrice, quand'ella altrui saluta (Vn XXVI 1), cioè una grande purezza di sentimenti; e l'amicizia contratta solo per onestade (Cv III XI 8 e 11), cioè non per utile o per piacere, ma disinteressatamente, per un incontro di elezioni. Aggettivo e sostantivo percorrono tutto un arco di indicazioni, dalle qualità esteriori e visibili a quelle morali e dello spirito, puntualizzando ciò che è " degno di rispetto e di riverenza e composto in bell'armonia ". Ma questo trascorrere di significati è solo apparente, data la profonda unità che D. e la sua età videro, nel composto umano, tra il mondo intimo e le sue manifestazioni sensibili: " Habitus mentis in corporis statu cernitur ", aveva affermato s. Ambrogio (Off. I 8); e s. Tommaso conferma (Sum. theol. II II 168 1 ad 1): " motus exteriores sunt quaedam signa interioris dispositionis ". Anche per D. i sembianti soglion esser testimon del core (Pg XXVIII 45).
Da ciò deriva la profondità semantica della parola; anche nelle caratterizzazioni esteriori tutto il contesto ci porta a intravvedere uno sfondo di sentimenti e di idee, di nobiltà d'animo: Catone è il veglio onesto (Pg II 119) nel momento in cui richiama al loro alto dovere le anime appena giunte al Purgatorio, ancora intente ad ascoltare Casella; ne l'andare onesta, accanto a pudica in faccia (III 87), detto della mandra dei morti in contumacia di santa Chiesa, illumina la compostezza spirituale, unita a pudore e titubanza, di queste anime che in vita furono ribelli all'autorità religiosa. Per contro, quando o. è riferito alla purezza della donna (che per noi è una delle poche, per D. una delle molte forme di ‛ onestà '), il corrispondente fisico individuabile emerge alla fantasia del lettore soffuso di una grazia intensa e indefinibile: così la vergine che abbassa i suoi occhi verecondi (che li occhi onesti avvalli, Pg XXVIII 57), cui è paragonata la divina guida del Paradiso terrestre; così la donna onesta che si fa timida per l'altrui fallanza, pur rimanendo sicura di sé (Pd XXVII 31). Di questa interdipendenza tra la forma sensibile e la realtà vera e profonda forse l'espressione più felice è in quel famoso verso, nel quale è detto che la nobiltà d'animo e l'altezza spirituale di Beatrice si mostrano subito evidenti, quando ella dona il suo saluto. Appunto: Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia... (Vn XXVI 5 1).
Da un altro punto di vista, la fermezza d'intenzioni che il poeta ripone di norma nell'aggettivo esclude, fino a evidenza contraria, che possa averlo talvolta usato con un significato generico o di comodo: il legame con honos rimane costante. Anche se non è del tutto nuova, sembra comunque significativa la figura etimologica del tuo parlare onesto, / ch'onora te (If II 113): è la parola poetica di Virgilio, degna di onore perché profondamente saggia, che in quanto tale onora lui e i suoi lettori. Nella lingua dei primi secoli si ricorse con frequenza, non sempre discriminata a o., che poté anche assumere il valore di " opportuno ", " conveniente ": nel Boccaccio " onesta cagione " è espressione corrente per " pretesto plausibile " e quindi buono solo all'apparenza. In un passo dantesco che si può citare a riscontro (Cv II XV 6: se si è costretti a lasciare un vecchio amico per uno nuovo e migliore, bisogna seguire quest'ultimo, con alcuna onesta lamentanza l'altro abbandonando) l'onesta lamentanza rientra nell'ambito di un conflitto di coscienza, nasce da un " doveroso " (Busnelli-Vandelli) rammarico, possibile solo quando si nutrono alti sentimenti.
Così la dimanda onesta (If XXIV 77), sul tipo di quella che il poeta rivolge alla sua guida, è certo una domanda " giusta e opportuna ", ma o. sottolinea l'assennatezza, l'acume di chi l'ha formulata, contiene l'elogio di Virgilio per D., dopo il rabbuffo fattogli poco prima. È, si direbbe, una domanda di tutto rispetto: perciò, dice Virgilio, bisogna soddisfarla subito, senza minimamente interloquire: si de' seguir con l'opera tacendo.
Similmente, nel tanto discusso più è tacer che ragionare onesto (Pd XVI 45), a o. è stato attribuito il significato di " opportuno ": attraverso le parole di Cacciaguida il poeta dichiarerebbe l'inopportunità, per l'economia del dialogo e quindi del racconto poetico, di soffermarsi sulle più lontane origini della sua famiglia. Nel nostro caso, però, non si comprenderebbe come mai il poeta immagini di porre quella domanda (quai fuor li vostri antichi, v. 23) e di ricevere una risposta negativa, come mai, insomma, crei il problema: trattandosi di un argomento ingombrante e irricevibile nel testo, avrebbe potuto molto semplicemente non farne parola, o accennarlo appena, mentre invece è palese che vuol far esprimere all'antenato un giudizio di valore, in contrasto con un preciso desiderio del discendente. Nel quadro complessivo dell'episodio di Cacciaguida, la sconvenienza di parlare senza basi consistenti degli antichi progenitori è l'ultima soluzione alla quale il poeta è giunto sul problema della sua ascendenza, cui tanto teneva, dopo il vanto reiterato (cfr. If XV 76 ss.,) di discendere dagli antichi Romani, e di questo vanto segna la correzione. Perciò, più che con " opportuno ", o. può tradursi con " saggio ", " dignitoso ".
Altra fonte di perplessità sono state l'accoglienze oneste e liete di Virgilio e Sordello (Pg VII 1). Che si possa interpretare o. come " decorose ", " gravi " (benché liete) sembra da escludersi, visto che i due personaggi corrono ad abbracciarsi e poi si riabbracciano per più e più volte. Perciò altri intende " cortesi ", in base all'affermazione di Cv II X 8 Cortesia e onestade è tutt'uno, non considerando che in questa identità il termine noto è il secondo e quello da spiegare è il primo: cortesia, sostiene il poeta, non significa solo " generosità ", il suo fondamento è l'onestade, cioè - aggiunge subito - le vertudi e li belli costumi che si usavano nelle antiche corti. Sicché noi potremmo spiegare ‛ cortesi ' con " oneste " e non viceversa. Il vero senso dell'aggettivo poggia invece, ancora una volta, su un giudizio di valore, deducibile dall'infiammata digressione del canto VI: le accoglienze che si fanno i due poeti nascono da un alto sentimento, l'amor della patria comune, che oggi è scomparso, lasciando al suo posto crudeli lotte fratricide in tutta la penisola: perciò fanno onore ad ambedue, sono oneste.
Oltre alle occorrenze già illustrate, sono da segnalarsi le seguenti:
In senso fisico e quindi con riflessi spirituali: Pg XXIX 135 (i due vecchi, che rappresentano gli Atti degli Apostoli e le Epistole di s. Paolo, sono presentati ambedue in atteggiamento dignitoso e grave: in atto e onesto e sodo); Cv II XV 12 (la filosofia è definita la bellissima e onestissima figlia de lo Imperadore de lo universo: una donna massimamente degna di rispetto per la composta nobiltà del suo volto e per le profondità di pensiero che simboleggia); Cv III VIII 11, X 3, XIV 12.
In senso spirituale e morale: Pg XXVIII 96 (dove la gioia purissima, senza peccato, di Adamo nel Paradiso terrestre è un onesto riso; cfr. anche in Vn XXVI 3 la dolcezza onesta e soave di coloro che mirano Beatrice, e in Fiore XCIII 2, con tono più discorsivo, la vita onesta che mostra di condurre Falsembiante); Rime CVI 154 (dove chiusa ed onesta, riferito alla canzone, che deve presentarsi a una donna di riguardo, più che con " riservata e dignitosa " andrà tradotto, per quel che è detto negli ultimi quattro versi, " riservata e discreta ", " non importuna ", in modo da essere accolta con onore); Cv IV I 4 (ragionevole e onesto è, non le cose, ma la malizia de le cose odiare: e qui o. è l'aggettivo dell'onestade nominata poco oltre e da intendere come " equilibrio spirituale ", " capacità di saper ben distinguere ");. If X 23 così parlando onesto, cioè " onestamente ", " dignitosamente ": nelle parole di D., Farinata ha notato un tono di nobile decoro, rispettoso e insieme sostenuto. Col significato più largo di " degno di onore ", sempre in ambito morale, ricorre in Cv IV XXIV 15, XXV 9, XXVI 8.
Per la definizione dell'honestum secondo gli stoici (Cv IV VI 10) il poeta si rifà a Cicerone: E diffiniro così questo onesto: " quello che, sanza utilitade e sanza frutto, per sé di ragione è da laudare " (Fin. II XIV 45 " Honestum... id intellegimus, quod tale est, ut detracta omni utilitate sine ullis praemiis fructibusve per se ipsum possit iure laudari "). Il concetto dell'o. è inoltre utilizzato per la teoria, cara a D., dello speziale amore degli esseri creati: a differenza dei corpi semplici, dei minerali, delle piante e delle bestie, l'uomo è l'unico sulla terra, in quanto essere razionale, a tendere alle perfette e oneste cose (Cv III III 5), ossia, com'è spiegato poco dopo (§ 11), a la veritade e a la vertude: a tale identificazione il poeta è guidato senza dubbio dallo stesso Cicerone (Invent. II LII 157 " est quiddam, quod sua vi nos adliciat ad sese, non emolumento captans aliquo, sed trahens sua dignitate, quod genus virtus, scientia, veritas "; LIII 159 " Quod... totum aut aliqua ex parte propter se petitur, honestum nominabimus "). La medesima teoria è formulata, sia pure in modo diverso, in VE II II 6 secundum quod rationale, [l'uomo] honestum quaerit; e qui il poeta afferma un'indiscutibile equivalenza con la virtus (§ 8 honestum: in quo nemo dubitat esse virtutem), già sostenuta da s. Tommaso, che aveva impiegato un intero articolo della Summa (II II 145 1) per trattare la questione " Utrum honestum sit idem virtuti " e per concludere, sempre sull'autorità di Cicerone (0ff. I V 15), che " honestum proprie loquendo, in idem refertur cum virtute ". Ancora una volta sulla scia di Cicerone (Off. I XXVII-XXVIII), esplicitamente citato, D. pensa che tale onesto abbia una sua bellezza (decorum), della quale partecipa anche la riverenza che si deve ai grandi, mentre il suo contrario, l'irriverenza, è turpezza e menomanza de l'onesto (Cv IV VIII 2). In quanto distinto dall'utile e dal piacevole, è il più genuino fondamento dell'amicizia: infatti la vera e perfetta amistade è quella de l'onesto tratta (Cv III III 11). Su questo concetto il poeta ritorna più volte, adoperando, invece dell'aggettivo sostantivato, l'astratto ‛ onestade ' (v.).