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OMICIDIO

di Giulio Paoli - Enciclopedia Italiana (1935)
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OMICIDIO (lat. omicidium)

Giulio Paoli

Nel linguaggio giuridico e nel linguaggio comune omicidio non è l'uccisione di un uomo, in qualsiasi modo avvenuta, bensì l'uccisione di un uomo causata dal fatto antigiuridico, volontario o colposo, di un altro uomo. Così pertanto l'uccisione di un uomo causata da forze della natura e la stessa uccisione volontaria, ma non contra legem (p. es. l'uccisione del condannato a morte), non sono omicidio, sempre che, ben s'intende, siano dalla comunità giuridicamente organizzata ritenute legittime.

L'omicidio volontario è sempre stato presso ogni popolo e in ogni epoca considerato come delitto, anche se non è sempre stato punito in modo uniforme, anche se non sempre la repressione fu statale, né sempre per via diretta. Notevolmente diverse nel tempo e nello spazio appaiono inoltre le circostanze di aggravamento, di diminuzione o di scusa.

In età omerica l'omicidio interessava solo i parenti dell'ucciso ai quali era affidata la vendetta. Per l'Egitto di sicuro si può dire soltanto che la pena era la morte, con speciali supplizî in caso di parricidio; minuziosamente regolate, nelle leggi babilonesi e assire, risalenti a una più antica legislazione sumerica, erano le pene per l'omicidio, punito di morte se commesso volontariamente su un libero, di pena pecuniaria se involontario o commesso su uno schiavo; dalle leggi mosaiche, che stabilivano la pena di morte per l'omicidio, non era previsto il parricidio ma era punito di morte chiunque solo percuoteva il padre o la madre.

Interessante la forma di repressione indiretta adottata nell'età attica (sec. V e IV). I parenti esperivano la δίκη ϕόνου, accusando cioè l'omicida dinnanzi al tribunale dello stato, che lo puniva con la condanna a morte. Indipendentemente peraltro dall'azione di omicidio promossa dai parenti, lo stato imponeva all'omicida il divieto di frequentare luoghi pubblici e di esercitare i diritti del cittadino (l'indipendenza delle due sanzioni è stata studiata recentemente da U. E. Paoli); e pertanto qualunque cittadino avesse sorpreso il colpevole nell'atto di trasgredire il divieto poteva trascinarlo dinnanzi al tribunale che lo condannava a morte. In mancanza di parenti l'azione di omicidio poteva essere esperita da un membro della fratria a cui apparteneva l'ucciso, e sempre per la stessa ragione qualunque cittadino poteva accusare di empietà (γραϕὴ ὰσεβέιας) íl parente che non perseguiva l'omicida violando così questo che era, per lui, un diritto e un dovere.

Dalle leggi romane (XII Tavole, lex Cornelia de sicariis et veneficiis, lex Pompeia de parricidiis) si traggono alcuni precisi principî: tramontato l'uso della vendetta del sangue, la pena in genere era quella capitale. Nulla importa che la morte sia succeduta immediatamente alla ferita; quello che occorre è che esista fra i due fatti, della ferita e della morte, un legame di causa ad effetto, che il feritore abbia non solo la voluntas nocendi ma proprio l'animus occidendi; che non vi siano ragioni di giustificazione del fatto. L'omicidio colposo è ritenuto e punito come un danneggiamento. Nel diritto intermedio all'autorità dello stato si sostituì la vendetta privata, e alla pena una semplice composizione pecuniaria (guidrigildo); ma poi la mutata coscienza pubblica e i gravi inconvenienti manifestatisi persuasero al ritorno della pena afflittiva stabilita dallo stato. Intanto il diritto della Chiesa svolgeva la sua profonda influenza, fissando che anche nel caso di uccisione di un feto si ha omicidio, perché anche il feto nel ventre materno è homo in quanto è animato, e dettando la distinzione fra dolo, colpa e caso con applicazione all'omicidio.

Risorti poi gli studî del diritto romano, una completa teoria scolastica dell'omicidio fu formulata da Giulio Claro e da Prospero Farinacci, ma solo nella scienza moderna il concetto dell'omicidio è stato determinato con precisione, e il codice penale italiano del 1930 ha fatto tesoro dei risultati più sicuri e più recenti della teoria e della esperienza.

L'omicidio doloso o volontario (od omicidio semplicemente, come si usa indicarlo) è previsto nell'art. 575 che dispone: "chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno" (e fino a ventiquattro); e l'omicidio, come ogni altro delitto, è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento (la morte dell'uomo) che è il risultato dell'azione od omissione, e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto o voluto come conseguenza della propria azione od omissione (art. 43).

A prescindere dagli aggravamenti e dalle attenuazioni che sono conseguenza del concorso delle varie circostanze comuni a tutti i reati (art. 61-62) e che, dunque, in quanto compatibili, possono applicarsi anche all'omicidio, per questo reato sono previste delle aggravanti speciali e sono altresì separatamente contemplate delle figure attenuate. Così per il concorso di alcune circostanze di aggravamento la pena è fissata nella reclusione da ventiquattro a trent'anni (art. 577 capov. cod. pen.), per altre più gravi è stabilito l'ergastolo (art. 577 prima parte), per altre più gravi ancora è comminata la pena di morte (art. 576).

Figure autonome e attenuate di omicidio volontario sono le seguenti: 1. Infanticidio per causa di onore (art. 578), cioè il fatto di colui che cagiona la morte di un neonato, immediatamente dopo il parto, ovvero di un feto durante il parto, per salvare l'onore proprio o di un prossimo congiunto (pena: reclusione da tre a dieci anni; v. infanticidio). 2. Omicidio del consenziente (art. 579), cioè il fatto di colui che cagiona la morte d'un uomo con il consenso di questi (pena: reclusione da sei a quindici anni). Nonostante il consenso, tornano peraltro applicabili le disposizioni relative all'omicidio se il fatto è commesso: contro una persona minore degli anni diciotto, contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti, contm una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno. 3. Omicidio a causa d'onore (art. 587), cioè il fatto di chi cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella (oppure della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella), nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onore suo o della famiglia (pena: reclusione da tre a sette anni).

Si ha poi l'omicidio preterintenzionale (oltre l'intenzione), quando con atti diretti a commettere delle semplici percosse o delle lesioni si cagiona la morte di un uomo (art. 584); infatti è preterintenzionale il delitto quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente (art. 43). La pena è della reclusione da dieci a diciotto anni; ma, in caso di concorso di alcune circostanze, la pena è aggravata (art. 585); ed è prevista la figura attenuata dell'omicidio preterintenzionale a causa di onore (art. 587, 2° cap.).

Bibl.: Oltre ai trattati e manuali di indole generale, F. Puglia, Il reato di omicidio, Milano 1881; G. Crivellari, Dei reati contro la vita e l'integrità personale, Torino 1886; G. Napodano, Dell'omicidio volontario, Napoli 1888; E. Ferri, L'omicidio nell'antropologia criminale, Torino 1895; G. B. Impallomeni, L'omicidio nel diritto penale, Torino 1899; P. Vico, Omicidio (diritto penale), in Digesto italiano, XVII, Torino 1904-1908; p. 214-330 (larga bibl.); F. Grispigni, Il consenso dell'offeso, Milano 1925; V. Manzini, L'omicidio rituale e i sacrifici umani, Torino 1925; F. Carrara, L'omicidio colposo, opuscoli III, XXXIII 49; G. Paoli, Il Mord e il Totschlag nel dir. tedesco, in Riv. penale, CII, pp. 397, 493; A. Visco, L'omicidio e la lesione personale del consenziente, Milano 1929; U. E. Paoli, Studi di dir. attico, Firenze 1931; id., Studi sul processo attico, Padova 1933; F. Listz, Verbrechen u. Vergehen wider das Leben, in Vergl. Darstellung des deutschen und ausl. Strafrechts, V, Berlino 1905, e ivi ampia bibl. ted., anglo-americana, franc., belga, ital., spagnola e portoghese.

Vedi anche
Ergastolo Pena detentiva consistente nella privazione della libertà personale per tutta la durata della vita del reo. L'ergastolo è stato introdotto per la prima volta nel codice penale del 1889 per sanzionare i delitti più gravi puniti in precedenza con la pena di morte o con i lavori forzati. Oggi è previsto ... tortura Strumento punitivo – quale accessorio per es. di una sentenza che alla privazione della vita aggiunga il modo atroce della sua esecuzione – o metodo cruento di accertare responsabilità penali, a cui erano sottoposti i sospettati di reato o anche possibili testimoni che parevano reticenti. 1. Storia ... Delitto Forma di reato sanzionabile con l’ergastolo, la reclusione e la multa (Pena criminale). Il codice Rocco, sulle orme del codice Zanardelli del 1889, pone alla base della qualificazione del fatto di reato la distinzione tra i delitti e le contravvenzioni. La dottrina si è a lungo impegnata nella ricerca ... Reato Fatto umano tipico (ovvero conforme a una fattispecie penale incriminatrice), antigiuridico e colpevole a cui è ricollegabile una sanzione penale. I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni a seconda del tipo di pena per essi stabilita. Ergastolo, reclusione e multa sono le sanzioni afferenti ...
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