Omeopatia
L'omeopatia, la cui trattazione compare già nel 1935 nell'Enciclopedia Italiana sotto il lemma omeopatica, terapia (XXV, p. 325, cui si rinvia per il quadro storico), nacque agli inizi dell'Ottocento grazie agli studi del medico tedesco S.F.Ch. Hahnemann (XVIII, p. 310), che nel 1810 enunciò e codificò nell'Organon i principi della nuova concezione terapeutica. I principi basilari dell'o. sono: vis medicatrix naturae; legge di similitudine; sperimentazione pura; individualità morbosa; individualità medicamentosa; dose minima; forza vitale; malattie croniche.
Vis medicatrix naturae. La natura detiene il massimo potere terapeutico, e il vero medico è quello che è in grado di imitarla, aiutando le capacità intrinseche di guarigione, proprie di ogni individuo. L'organismo vivente è infatti dotato di capacità difensive naturali, che gli permettono di fronteggiare circostanze avverse, e i sintomi del soggetto malato rappresentano uno stato reattivo naturale che, non perturbato e condizioni permettendo, conducono alla guarigione. Il sintomo stesso è, quindi, una reazione di difesa che il medico deve rispettare, aiutare e guidare, in quanto la drastica eliminazione dei sintomi blocca ogni processo difensivo.
Legge di similitudine (similia similibus curantur). Per ottenere la guarigione di una malattia con l'aiuto di agenti medicamentosi è opportuno somministrare a dosi minime la stessa sostanza che, somministrata a un individuo sano e sensibile in dosi più forti, provoca uno stato simile a quello che presenta la malattia da trattare. L'azione terapeutica dei medicamenti sta nella loro proprietà patogenetica, cioè nella capacità di provocare sintomi simili a quelli della malattia da trattare, ma anche più forti; ne consegue che ogni singolo caso patologico non può essere vinto, cioè guarito, se non mediante un medicamento in grado di generare in un essere umano vivente una malattia individuale, o un insieme di sintomi il più possibile simili a quelli sofferti dall'individuo malato, a condizione che questo medicamento sia a un tempo dotato di un'energia che superi per intensità la malattia.
Sperimentazione pura. Obiettivo della sperimentazione è l'osservazione e la raccolta di tutti i sintomi che la sostanza può provocare nel soggetto che la sta sperimentando. Il protocollo della sperimentazione pura sull'uomo sano prevede la somministrazione del rimedio, cioè sostanze alla 30CH (v. oltre: Preparazione e somministrazione dei rimedi), a soggetti in apparente buona salute fino alla comparsa di sintomi, che scompaiono al termine dell'assunzione. Questo procedimento permette di rilevare ogni minima variazione dello stato iniziale di salute di soggetti apparentemente sani, senza provocare alcun danno temporaneo e/o permanente. Perché si possano conoscere gli effetti puri di ciascun medicamento è necessario che questo sia assunto singolarmente. Hahnemann nei suoi testi sottolinea che le migliori sperimentazioni sono quelle effettuate da un medico in buona salute su se stesso, con scrupolosa analisi delle sensazioni e dei sintomi. La metodica della sperimentazione pura, attualmente effettuata in doppio cieco, prevede la rilevazione non solo di variazioni a carattere patologico, ma anche di semplici variazioni fisiologiche, con particolare attenzione alle sensazioni dello sperimentatore e alle variazioni che avvengono nella sfera del mentale. I sintomi vengono dettagliatamente specificati in ordine alle modalità della loro comparsa; l'insieme dei sintomi ottenuti dalle singole patogenesi rappresenta il proving della sostanza in questione e viene inserito nella Materia medica.
Individualità morbosa. L'o. considera il malato come un'unità psicofisica inscindibile. Un organismo esprime la sua malattia attraverso reazioni caratterizzate da un ritmo, un'intensità, un'efficacia che riflettono fedelmente le tendenze personali e rendono ogni malato differente da un altro. Inoltre, i segni morfofisiologici differenziano i singoli individui e possono essere di grande aiuto nella scelta del rimedio da somministrare. La prima fase del metodo clinico omeopatico consiste in un'anamnesi dettagliata mediante l'osservazione, l'ascoltazione, l'interrogatorio e l'esame fisico, per sommare i sintomi rivelatori del modo personale di reagire a una malattia. Una semeiotica completa e rigorosa rappresenta per il medico il ritratto della malattia con i sintomi e i segni che caratterizzano il singolo caso clinico.
Individualità medicamentosa. Ciascun medicamento sperimentato sull'uomo sano determina un complesso di modificazioni soggettive e oggettive talmente specifiche da non potersi confondere con nessun altro. Il gruppo dei sintomi caratteristici individuali 'conduce' direttamente il medico omeopatico al medicamento più opportuno. Si tratta, quindi, di comparare due cose simili: da un lato i sintomi riportati da un malato con i sintomi provati dagli sperimentatori; dall'altro i sintomi provocati dalla malattia con i sintomi provocati dalle sostanze medicamentose. Per essere veramente omeopatico il rimedio deve adattarsi a due cofattori: a) la sindrome clinica, che dev'essere uguale alla possibilità di ammalare (potere farmacodinamico) del rimedio; b) la reazione clinica del malato, i cui sintomi più caratteristici devono trovarsi nella patogenesi del rimedio. È indispensabile acquisire la conoscenza approfondita delle possibilità terapeutiche del rimedio omeopatico, cioè l'efficacia reale del suo potere terapeutico.
Dose minima. Le diluizioni infinitesimali impiegate in o. sono la conseguenza logica del principio di similitudine. Dato che molte delle sostanze usate in o. sono tossiche, è necessario somministrare una dose capace di stimolare le difese del paziente senza scatenare gli effetti tossici. La diluizione sempre più spinta e l'accurata succussione eseguita a ogni passaggio eliminano la tossicità del prodotto di partenza senza diminuirne l'attività e mettendo anzi in evidenza proprietà nuove. La diluizione infinitesimale è un punto di arrivo di tutta l'opera di Hahnemann: egli stesso ha stabilito le regole di diluizione, e la diluizione hahnemanniana è ancora una delle più usate.
Forza vitale. "Senza forza vitale l'organismo materiale è incapace di sentire, di agire e di mantenersi in uno stato di conservazione. È unicamente l'essenza immateriale - principio vitale, forza vitale - che conferisce all'organismo materiale, nello stato di salute e malattia, tutte le sensazioni e determina le sue funzioni vitali" (Hahnemann 1810, p. 19). Questa affermazione rispecchia orientamenti tipici del vitalismo ottocentesco, ma studi recenti sui campi elettromagnetici e sui loro influssi sull'organismo umano hanno portato vari studiosi (tra cui H.S. Burr della Yale University) ad affermare che "ogni sistema vivente possiede un campo elettrico di notevole complessità. Esso può essere misurato con considerevole precisione e accuratezza, dimostrando che è correlato alla crescita e allo sviluppo, alla degenerazione e alla rigenerazione e all'orientamento delle parti che lo compongono nell'intero sistema. I campi elettrici sono implicati in funzioni di base che controllano la crescita e la morfogenesi, il mantenimento e la riparazione delle cellule viventi" (Burr 1972, p. 43). Ancora per H. Margenau ed E. Higgins, della Yale University, "solo i campi elettromagnetici o elettrodinamici possono agire come indicatori per dirigere le trasformazioni continue sia chimiche e metaboliche, sia molecolari, nel sistema di campi che di fatto sembrano assicurare lo sviluppo della struttura ancor prima di qualsiasi reazione chimica conosciuta" (Burr 1972, p. 174). L'esistenza e il funzionamento della forza vitale sono ancora oggetto di ricerca, e queste osservazioni sembrano far intravedere la possibilità che anche per la medicina si possa arrivare a una visione energetica. Per l'o., comunque, la forza vitale è un presupposto fondamentale, come principio che pervade l'organismo materiale senza prenderne il posto, mantiene ordine nel corpo, è in grado di adattarsi per mantenere l'equilibrio in tutte le circostanze, è costruttiva poiché il corpo conserva la possibilità di costruirsi e ricostituirsi continuamente, appartiene all'ambito della qualità più che a quello della quantità. Agli stimoli quotidiani si è in grado di rispondere e di adattarsi senza conseguenze degne di nota; quando, però, lo stimolo ha una forza maggiore di quella dell'energia vitale si produce un'alterazione dell'energia vitale stessa che si manifesta attraverso la sintomatologia. Naturalmente la variazione di suscettibilità può avvenire non solo per l'esposizione a virus e batteri, ma anche per tutto ciò che altera l'equilibrio psicofisico di un individuo (per es. lo stress).
Malattie croniche. Si tratta delle malattie che perdurano nel tempo, non guariscono spontaneamente e si manifestano in ogni individuo in base alla sua personale predisposizione ad ammalarsi. Hahnemann classificò le malattie croniche in: a) artificiali (iatrogene); b) apparenti (dovute a carenze igieniche e a influenze patogene evitabili): guariscono da sole eliminando le cause patogene; c) naturali (miasmi cronici): lasciate a se stesse e non trattate con mezzi specifici progrediscono senza possibilità di arresto spontaneo. A quest'ultima situazione, in particolare, Hahnemann ha rivolto l'attenzione. Il concetto di miasma, infatti, scaturiva dall'esperienza clinica diretta che evidenziava, in molti casi e spesso solo a distanza di tempo, il fallimento di terapie omeopatiche correttamente prescelte. Da tali esperienze - di cui parlò nella sua opera Die chronischen Krankheiten (5 voll. pubblicati tra il 1828 e il 1830) - Hahnemann intuì che tra i processi patologici, anche se denominati con diversi appellativi, esisteva un nesso comune, un substrato unico che, se non evidenziato e opportunamente curato, continuava a impedire la reale ed effettiva guarigione. A tale particolare condizione di resistenza alla guarigione Hahnemann diede il nome di miasma cronico. Egli identificò tre miasmi, da lui classificati secondo alcune tra le malattie più diffuse al suo tempo: la psora, la sicosi e la syphilis. La psora esprime un'insufficiente reattività nei confronti dell'ambiente ed è caratterizzata dalla lentezza e dalla torpidità di risposte alle stimolazioni patologiche, oltre che da un'astenia generale. La sicosi (dal greco σῦϰον) è per Hahnemann la conseguenza della blenorragia e a livello cutaneo dà luogo a iperplasie di tipo condilomatoso a forma di fico; si caratterizza per una reazione ipertrofica a livello sia psichico sia fisico in risposta agli agenti patogeni. Il miasma sifilitico, o distruttivo, deve il suo nome al fatto che le manifestazioni psichiche e somatiche che la sifilide produce come malattia venerea sono comprese tra quelle che si osservano in questo miasma; la syphilis, infatti, rappresenta un'anomalia nella reattività dominata da una tendenza distruttiva. Come già detto, per Hahnemann i miasmi erano legati alle malattie allora più diffuse; oggi in o. la teoria dei miasmi è un mezzo per interpretare i sintomi di un malato, un aiuto a capire la sua predisposizione a una determinata patologia e la sua possibilità di guarigione. Le modalità attraverso le quali un individuo si presenta da un punto di vista sia fisico sia psichico sono infatti l'espressione della tendenza miasmatica dell'individuo.
Diversi autori hanno ripreso la teoria dei miasmi ampliandone il campo di applicazione: P.S. Ortega (n. 1918), caposcuola della scuola di Homeopatía de México, ha lavorato per rendere più facilmente riconoscibili le caratteristiche di ogni miasma e per classificare i sintomi da utilizzare nella pratica clinica. Per Ortega lo stato miasmatico genera una modulazione dell'attività vitale, che si estrinseca sia nella patologia sia nella fisiologia; tale modulazione avviene in tre direzioni: come inibizione, difetto ('ipo'-psora); come eccesso, espansione ('iper'-sicosi); come perversione, distruzione ('dis'-syphilis). Sulla base di questa classificazione la scuola messicana ha elaborato una ricca serie di sintomi miasmatici, ognuno dei quali si può manifestare con una delle suddette modalità, a seconda della prevalenza miasmatica posseduta. La prevalenza miasmatica è riscontrata, oltre che nei pazienti in esame, anche nei rimedi, cosa che garantisce la perfetta similitudine del rimedio alla sintomatologia più caratteristica e alla matrice miasmatica profonda. T.P. Paschero (1900-1984), rappresentante della scuola argentina, ha rintracciato la fonte fondamentale dei miasmi nella sfera emotiva e spirituale. Paschero, interpretando i miasmi alla luce della psicoanalisi di stampo freudiano, ha identificato l'energia vitale con la libido e ha considerato la psora, principio di ogni malattia, come risultato della repressione della libido stessa nella sua naturale espansione che si manifesta come ansietà e angoscia esistenziale. Tali perturbazioni sono compensate 'ipertrofizzando' il sentimento di autoaffermazione (sicosi), oppure adottando una tendenza biologica auto- o eterodistruttiva (syphilis). A Paschero e alla scuola argentina è stata mossa l'accusa di un'eccessiva prospettiva psicoanalitica della dottrina dei miasmi e dell'o. in generale. L. Vannier (1965) e H. Bernard (1966), della scuola francese, hanno unito alla teoria miasmatica la teoria costituzionalista. La costituzione è l'espressione dei tre foglietti embrionali e del loro differente sviluppo, che determina le caratteristiche fisiche di ogni individuo e predispone a una tendenza evolutiva specifica. L'o., infatti, si serve dell'osservazione della costituzione in senso non solo statico, morfologico, ma anche dinamico, cioè come tendenza costante verso l'equilibrio che ogni individuo può raggiungere anche per la sua costituzione. In Italia, nel 1948, A. Negro (n. 1908) ha avuto il merito di fondere le varie scuole costituzionaliste italiane e francesi e di fondare la medicina costituzionalistica omeopatica italiana.
Preparazione e somministrazione dei rimedi
Il problema centrale dell'o. resta la preparazione dei rimedi, in quanto un medicamento omeopatico, per essere considerato tale, deve derivare da una sostanza deconcentrata (diluita) e dinamizzata. Hahnemann aveva osservato che il potere curativo di una sostanza aumenta man mano che ne diminuisce la concentrazione, e ipotizzò che le caratteristiche terapeutiche dei preparati fossero influenzate anche dal numero e dalla forza degli scuotimenti impressi ai flaconi, essendo il procedimento di diluizione seguito da succussione (la succussione determina una trasformazione di energia da meccanica a cinetica). Tale osservazione fu confermata dai tedeschi R. Arndt e K.E. Schultz, che negli anni Ottanta definirono, autonomamente e pur non interessandosi di o., la 'legge dell'inversione dell'effetto di una sostanza a seconda della dose', legge che nel 1984 è stata dimostrata scientificamente dal francese A. Aubin. Hahnemann, nell'intento di ottenere soluzioni diluite più omogenee e con il medesimo contenuto energetico, stabilì la necessità di effettuare almeno 100 scuotimenti o succussioni del flacone tra una diluizione e l'altra. L'estrema diluizione dei farmaci è l'obiezione più comunemente mossa all'omeopatia. Dal punto di vista chimico, secondo la legge di Avogadro, noto il peso molecolare di una sostanza, il numero di Avogadro permette di conoscere con esattezza il numero delle molecole presenti in una soluzione; la modalità di preparazione dei farmaci omeopatici è tale da poter escludere ogni effetto chimico al di sopra della 13a diluizione centesimale. All'11a diluizione centesimale sono presenti soltanto poche molecole di farmaco, e nessuna oltre la 13a. L'applicazione delle conoscenze provenienti dalla chimica generale evidenzia, quindi, la mancanza di sostanza all'interno della maggior parte delle diluizioni omeopatiche; la spiegazione del meccanismo di azione delle alte diluizioni necessita, perciò, di studi fisici e biologici complessi.
A questo proposito, si ricordano gli studi di J. Benveniste e del suo gruppo di lavoro, volti a stabilire l'esistenza di un'organizzazione molecolare dell'acqua capace di conservare e trasmettere l'informazione biologica. I risultati sperimentali ottenuti su animali o su cellule con l'uso di alte diluizioni di farmaci omeopatici, privi di molecole che potessero indurre un effetto biologico, hanno portato questi studiosi a ipotizzare un ruolo fondamentale dell'acqua, in quanto capace di mantenere la 'memoria' della stimolazione ricevuta. La pubblicazione del lavoro del gruppo sulla rivista Nature (1988), anche se accompagnata da una doverosa riserva editoriale, scatenò non poche polemiche, che determinarono la ripetizione dell'esperimento del gruppo di Benveniste da parte di un'altra équipe, con risultati non riproducibili, pubblicati sulla stessa rivista (Maddex, Randi, Steward 1988).
Le sostanze utilizzate nella farmacologia omeopatica sono di origine vegetale (al 50%), animale o minerale; da queste sostanze vengono preparate le tinture madri (per macerazione in alcool), che sono la base di partenza dei farmaci omeopatici.
Diluizione hahnemanniana o metodo dei flaconi separati. - Il materiale di base viene diluito, con operazioni successive, in un determinato veicolo, liquido o solido, in rapporto di 1:10 (diluizione decimale), oppure di 1:100 (diluizione centesimale). Il numero delle operazioni così effettuate definisce il grado di diluizione. Questo metodo di preparazione è in o. il più ortodosso, il più sperimentato, e consente la preparazione di diluizioni precise, linearmente crescenti; limite di questo metodo è di non consentire la preparazione di alte potenze omeopatiche, data la sua durata eccessiva e l'elevata quantità di alcool e di recipienti utilizzati. La letteratura e quasi tutte le farmacopee si riferiscono a questo tipo di diluizione.
Diluizione 50 millesimale (LM o 50M). - La caratteristica è data dalla diluizione molto elevata (pari a 1/50.000) a ogni passaggio; l'alta velocità di esecuzione di questo metodo facilita la preparazione di altissime potenze omeopatiche; in breve tempo si possono preparare diluizioni fino alla centomillesima e alla milionesima; è il metodo descritto da Hahnemann nella 4a edizione dell'Organon (1842).
Diluizione korsakoviana o metodo del flacone unico. - Le diluizioni del materiale di base sono effettuate in un unico recipiente mediante l'aggiunta, la succussione e lo svuotamento del solvente, presupponendo che la quantità di soluzione aderente alle pareti del flacone rappresenti 1/100 del solvente immesso nel flacone (1:100). Il numero di operazioni così effettuate definisce il grado di diluizione korsakoviano. Date le numerose variabili che influenzano la metodica (temperatura, porosità del vetro, tempo di sgocciolamento del flacone, capacità dello stesso), le diluizioni korsakoviane sono escluse da molte farmacopee ufficiali.
La via di somministrazione per eccellenza dei rimedi omeopatici è la via sublinguale, in considerazione della notevole capacità di assorbimento che la mucosa linguale possiede per la sua ricca vascolarizzazione. Il farmaco omeopatico ha anche un buon assorbimento per via cutanea, modalità già descritta da Hahnemann e oggi utilizzata soprattutto per la somministrazione dei farmaci ai bambini.
La nomenclatura dei rimedi internazionalmente accettata è data in latino ed è di tipo binario, con un sostantivo generico e uno qualificativo; gli acidi si nominano invertiti. Accanto al nome del rimedio vi sono il grado e la modalità di diluizione (5CH, 200K, 6/50M). Il nome di ogni medicamento è indicato da una abbreviazione: se è formato da due parole, la prima si scrive maiuscola, la seconda minuscola. Le forme farmaceutiche più correntemente utilizzate sono: i granuli e i globuli, piccole sfere di saccarosio e lattosio, preparati per impregnazione della sostanza all'1% volume/peso; le gocce, costituite da una o più tinture madri, da una o più diluizioni o da una miscela di tinture madri e diluizioni; le fiale, soluzioni dispensate per via orale, preparate utilizzando alcool al 15% come veicolo per l'ultima diluizione; le supposte, preparate utilizzando come eccipiente i gliceridi semisintetici o il burro di cacao, alle quali viene incorporata la diluizione omeopatica nella percentuale del 10÷12,5%; le pomate, preparate utilizzando come eccipiente la vasellina o una miscela di vasellina-lanolina, in cui viene incorporata la diluizione omeopatica nella percentuale del 4% in peso.
Orientamenti e prospettive della medicina omeopatica
Esistono diversi orientamenti nell'ambito della medicina omeopatica: gli unicisti rispettano pienamente i principi hahnemanniani di individualizzazione del malato e del rimedio e la 'legge dei simili', con una somministrazione del rimedio che in questa ottica non può essere che unico (simillimum) perché un solo farmaco realizza perfettamente questa specularità (corrente molto diffusa in Italia, in Inghilterra, in America); i pluralisti propongono la prescrizione contemporanea di più rimedi omeopatici unitari, sollecitata dall'affinità sintomatologica con diversi rimedi, non considerando i principi della medicina omeopatica dell'individualità morbosa e medicamentosa (corrente particolarmente diffusa in Francia); i complessisti utilizzano rimedi, per lo più sotto forma di gocce, costituiti dall'associazione di più farmaci ad azione complementare a basse e medie diluizioni, con assunzione a brevi intervalli (corrente molto diffusa in Germania).
Dati statistici tratti dal British medical journal (1994) riferiscono che 1/3 della popolazione francese usa farmaci omeopatici, il 20% dei medici tedeschi prescrive medicine omeopatiche, il 42% di medici inglesi invia i propri pazienti a medici omeopatici; in Italia, secondo dati ISTAT del 1994, si rivolgono all'o. 2.600.000 individui, con un incremento dal 2,5 al 4,6% per gli anni 1991-94; il 45% dei medici olandesi si serve della medicina omeopatica (1995); infine, negli USA un adulto su tre usa forme di terapia non convenzionali. Una ricerca ha inoltre dimostrato che in Europa il campo della medicina non convenzionale, inclusa l'o., è stata negli anni Ottanta l'industria in più rapida espansione, seconda soltanto a quella dei computer (1995) (v. fig.).
L'o. deve, tuttavia, colmare il divario esistente tra la sua comprovata diffusione e la dimostrazione scientifica della sua efficacia. La sperimentazione clinica in o. deve tener conto sia dei requisiti metodologici della sperimentazione clinica, sia dei requisiti del metodo omeopatico, considerando che la scelta del medicamento si basa sulla diagnosi nosologica, ma anche sulle modalità di reazione alla malattia tipica di ogni malato; i requisiti di scientificità richiesti dalla sperimentazione clinica, da una parte, e quelli di una buona pratica omeopatica, dall'altra, portano inevitabilmente a una somma di criteri di esclusione particolarmente rigorosi rendendo tra l'altro difficile il reperimento dei pazienti; inoltre, se da una parte necessitano prove terapeutiche effettuate secondo metodologie ben codificate, dall'altra viene negato l'impiego dell'o., anche a fini sperimentali, nel trattamento delle malattie per le quali esiste una terapia giudicata attiva, in particolare quando tali patologie possono portare a complicanze dannose per il malato.
Studi scientifici sono iniziati dalla metà degli anni Ottanta e sono stati condotti in due direzioni: sperimentazione su animali di farmaci omeopatici a dosi basse (5, 7, 14 CH) e di farmaci chimici quali l'acido acetilsalicilico preparato secondo i criteri omeopatici; sperimentazioni cliniche effettuate secondo i criteri della medicina omeopatica (individualità morbosa, individualità medicamentosa) per dimostrare l'efficacia terapeutica dell'o. a fronte del placebo o del farmaco chimico. Uno studio pilota venne effettuato nel 1985 per rispondere alla teoria che vedeva l'o. come una risposta placebo: l'ipotesi che le diluizioni omeopatiche avessero solo un effetto placebo fu verificata con un lavoro randomizzato, in doppio cieco e controllato con un placebo. In conclusione, fu possibile affermare che non esistevano prove definitive che convalidassero l'ipotesi secondo cui l'effetto placebo spiegherebbe appieno le reazioni cliniche ai rimedi omeopatici. Tale risposta è stata confermata in seguito da altri due studi di maggiori dimensioni (Reilly, Taylor, McSharry et al. 1986; Reilly, Taylor, Beattie et al. 1994), secondo i quali gli effetti dell'o. differiscono da quelli del placebo "in modo inspiegabile ma riproducibile". Sono stati realizzati numerosi lavori clinici con risultati positivi. In una sintesi del 1991 (Kleijnen, Knipschild, ter Riet) tre epidemiologi hanno valutato la qualità metodologica di 107 test clinici controllati riguardanti l'attività di trattamenti omeopatici, arrivando alla conclusione che "la dimostrazione di questi test clinici è positiva ma non sufficiente per trarre conclusioni definitive". Nel 1997, infine, è stata pubblicata sulla rivista Lancet una meta-analisi dei trials omeopatici pubblicati fino a quel momento. La conclusione è stata che i risultati sono incompatibili con l'ipotesi che gli effetti clinici dell'o. siano completamente dovuti a un effetto placebo. Ciò nonostante gli autori, increduli dei risultati, ipotizzano che vi possano essere dei bias non identificati che possono invalidare tali risultati.
Si sono formati vari gruppi di ricerca internazionali come l'International Research Group of Very Low Dose Effects, nato nel 1987 a Monaco e comprendente circa 100 membri provenienti da 18 paesi, e l'European Commission for Homeopathy, che funziona dal 1996 come Advisory Group del Direttorato generale della European Commission. In Italia è stata istituita nel 1992 una Commissione per i medicinali omeopatici presso il Ministero della Sanità, con il compito di elaborare e aggiornare il prontuario dei farmaci omeopatici (intesi come tali secondo la definizione della direttiva europea dal settembre 1992, cioè semplicemente in base alla fabbricazione: diluizione e succussione). La stessa commissione avrebbe anche il compito di esaminare eventuali richieste di registrazione (semplificata o non) di eventuali nuovi medicinali omeopatici, unitari o complessi. Inoltre, dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici e degli odontoiatri è stata attivata la Commissione nazionale per le medicine alternative (1997), allo scopo di acquisire in modo preliminare tutti i dati e i documenti inerenti le medicine non convenzionali (in partic. agopuntura, fitoterapia e o.) per stilare un documento ufficiale con la definizione delle varie discipline, i termini per una sanatoria nei confronti dei medici che la esercitano, l'istituzione di registri degli omeopati, degli agopuntori e dei fitoterapeuti presso l'Ordine dei medici di Roma; la commissione ha anche lo scopo di definire i parametri cui devono attenersi le scuole di o. per poter essere riconosciute e autorizzate all'insegnamento.
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