OMAYYADI
. Forma europeizzata del nome arabo Banū Umayyah "i figli (discendenti) di Umayyah" (che è l'eponimo di una delle principali famiglie della tribù dei Coreisciti della Mecca), col quale si designa la dinastia dei califfi che tenne il governo dell'impero arabo islamico dal 41 al 132 eg. (661-750 d. C.). La famiglia degli Omayyadi, e specialmente colui che ne era il principale membro al tempo della predicazione di Maometto, Abū Sufyān, si mostrò dapprima recisamente contraria alla nuova fede; ma dopo il trionfo di Maometto si affrettò ad accogliere il nuovo ordine di cose e a riconciliarsi col profeta, al punto che questi sposò, certo per considerazioni politiche, una figlia dello stesso Abū Sufyān: sicché gli Omayyadi ripresero presto, nello stato teocratico islamico, l'antico prestigio, e fornirono ai due primi califfi, Abū Bekr e ‛Omar, condottieri e funzionarî di provata capacità che si distinsero durante il primo periodo delle conquiste. Alla morte di ‛Omar un omayyade, ‛Othmān (v.), fu elevato al califfato; egli era stato, a dir vero, il solo membro di quella famiglia che si fosse convertito per tempo all'Islām ed era per di più genero di Maometto; ma senza dubbio valse a farlo preferire ad altri candidati la sua pertinenza al potente gruppo gentilizio. L'assoluta preminenza della quale i membri di questo godettero durante i dodici anni del califfato di ‛Othmān costituì la causa più manifesta e immediata della ribellione che condusse all'assassinio di lui; ma, durante quel lungo periodo, la situazione di alcuni di essi, e segnatamente quella di Mu‛āwiyah, figlio di Abū Sufyān e governatore della Siria fin dal tempo di ‛Omar, si era talmente consolidata, che resse alla bufera scatenatasi contro gli Omayyadi. Mu‛āwiyah, disponendo di un esercito fedele, non solo non cedette il potere all'intimazione di ‛Alī (v.), il nuovo califfo rappresentante dell'opposizione anti-omayyade ma, dichiaratosi, secondo l'antica legge del sangue dell'Arabia preislamica, vendicatore del congiunto ucciso (la parentela tra lui e ‛Othmān era alquanto remota), raccolse attorno a sé gli avversarî che il nuovo califfo aveva in tutto l'impero arabo, e, pur senza giungere a sconfiggerlo interamente, riuscì a indebolirlo e a isolarlo; sicché, quando ‛Alī cadde vittima di un attentato dei Khārigiti (v.), la sua successione fu raccolta senza troppe difficoltà da Mu‛āwiyah, il quale venne riconosciuto califfo dai capi delle tribù e dai maggiorenti non solo in Siria, ma nell'‛Irāq, nell'Egitto, nell'Arabia. Col nuovo califfo la suprema dignità dello stato islamico assumeva un aspetto nuovo, poiché la preoccupazione degli interessi mondani dell'impero parve soverchiare troppo gl'ideali religiosi; circostanza che non poteva non destare l'indignazione di quelle cerchie rigoristiche le quali già andavano formandosi in seno all'Islām; da esse il califfato di Mu‛āwiyah, e insieme quello di tutti i suoi successori, venne considerato come un grave deviamento dall'esempio di Maometto e dei primi quattro califfi e bollato col nome, abominevole sia alla mentalità beduina sia alla coscienza islamica, di "regno". Se di fatto né Mu‛āwiyah né i suoi successori (eccetto ‛Omar II) ebbero tendenze spiccatamente devote e se i problemi politici ed economici li preoccuparono più che quelli religiosi, sarebbe tuttavia erroneo il voler seguire fino alle ultime conclusioni il giudizio della tradizione pietistica, giunta col trionfo degli ‛Abbāsidi ad autorità normativa, la quale non perdona agli Omayyadi la sopraffazione di ‛Alī e la persecuzione dei suoi discendenti: in realtà i califfi omayyadi per la maggior parte furono sinceramente musulmani e non solo non furono perfidamente e subdolamente ostili all'Islām, ma neppure ebbero (né d'altra parte i tempi l'avrebbero consentito) una mentalità "razionalistica" nel senso moderno della parola. Anche per essi, come in genere per tutti i sovrani e gli uomini di stato dell'antico Oriente, l'ideale religioso coincise con l'interesse politico. Lo spirito di maggior tolleranza verso i sudditi di altra fede (che del resto è stato esagerato da alcuni storici contemporanei), in confronto di quello dimostrato dagli ‛Abbāsidi, risultò da particolari circostanze storiche piuttosto che da tepidezza religiosa o da un poco verosimile rispetto della libertà di coscienza.
Il carattere più saliente dell'età degli Omayyadi è dato dall'incompiuta trasformazione dell'aggregato di tribù, donde era sorto l'impero islamico, in stato monarchico supernazionale, sul modello degli antichi imperi orientali dei quali il califfato fu, in un certo senso, l'erede e il continuatore. L'intera politica interna dei califfi omayyadi è rivolta a compiere questa trasformazione, cercando di sopprimere il particolarismo delle tribù, di abbassare l'influenza dei capi di queste rafforzando l'autorità centrale, di porre la dinastia sopra salde basi, introducendo una specie di diritto di successione nel seno della dinastia, che tuttavia teoricamente si conciliasse col carattere elettivo dei califfi. Inoltre gli Omayyadi dovettero affrontare e avviarono a soluzione (soprattutto per opera di ‛Omar II) il grave problema dei rapporti tra gli Arabi e i convertiti di nazionalità diversa, problema complicato, oltre che da contrasti nazionali, da problemi economici, e che poteva soltanto risolversi (come di fatto si risolse) con la graduale distruzione dell'ordinamento tribalizio. Infine (problema ancora più arduo, e col quale venivano a interferire quelli sopra accennati) l'immensa estensione dell'impero islamico, la diversita delle sue parti, il reclutamento delle forze armate, le relazioni ostili con le potenze confinanti sollevavano una serie di questioni d'indole amministrativa e militare e di pofitica estera le quali, se dai più geniali tra i califfi omayyadi vennero in parte risolte felicemente, nondimeno valsero a rendere più travagliata l'esistenza della dinastia e contribuirono alla sua decadenza e alla sua rovina.
Le principali vicende politiche della dinastia omayyade sono esposte altrove (v. arabi: Storia, III, pp. 829-831, e le voci relative ai principali personaggi o alle singole regioni), e qui si ricorderà solo in breve come Mu‛āwiyah riuscì durante il suo lungo regno a consolidare lo stato all'interno mediante un'abilissima politica alternante la condiscendenza e il rigore verso l'opposizione sciita (accentrata nell'‛Irāq) e mirante a legare alla dinastia gl'interessi dei capi tribù; al tempo stesso egli seppe estendere le conquiste, specialmente in Africa, oltre l'altipiano iranico e lungo le coste del Golfo Persico; ma tali successi, culminanti col riconoscimento, da lui ottenuto in vita, della designazione a successore del figlio Yazīd, vennero annullati dalla morte prematura di questo e dalla doppia ribellione, di ‛Abd Allāh ibn az-Zubair e di al-Ḥusain, scoppiata in Arabia e nell'‛Irāq. La dinastia fu salvata da Marwān, cugino in primo grado di ‛Othmān, capostipite del secondo ramo degli Omayyadi (il primo, dal nome del padre di Mu‛āwiyah, è detto dei Sufyānidi), la cui opera fu compiuta dal figlio ‛Abd al-Malik; questi, il vero organizzatore dell'impero arabo, cercò di attuarne la trasformazione in senso monarchico e ne accentuò il carattere religioso; temperando il principio di successione gentilizia e quello di successione diretta, stabilì che i figli dovessero succedergli, uno dopo l'altro, ma questo suo tentativo fu in parte fmstrato dall'ambizione di ciascun fratello a lasciare il trono ai proprî figli. La serie dei fratelli fu interrotta da ‛Omar II, figlio di ‛Abd al-‛Azīz fratello di ‛Abd al-Malik, il cui breve califfato ebbe tuttavia grandissima importanza a causa della trasformazione fiscale da lui compiuta, per la quale i convertiti non arabi (mawālī) vennero pareggiati agli Arabi; con Hishām, il quarto figlio di ‛Abd al-Malik, l'impero arabo raggiunse la sua massima estensione e la dinastia l'apice del suo splendore.
Tuttavia le vittorie di Marwān e di ‛Abd al-Malik sui ribelli erano state ottenute soltanto a prezzo di scatenare la rivalità, sempre latente, fra le tribù dei due grandi gruppi etnici dei Qais e dei Quḍā‛ah, e questa rivalità, che turbò profondamente il centro stesso dell'impero arabo, fu fatale alle sorti degli Omayyadi. Vi si aggiunse, oltre al non mai sopito risentimento dell'opposizione politico-religiosa degli Sciiti e dei Khārigiti, il disagio economico, non vinto dalle misure di ‛Omar II la diminuita autorità dei governatori delle provincie, specialmente di quelle orientali, i quali, scelti ormai dai califfi tra persone non legate agl'interessi e alle passioni delle tribù, erano sì indipendenti dalle lotte di queste e saldamente fedeli al governo centrale, ma peraltro si trovavano privi d'appoggio di fronte alle sedizioni locali; finalmente, fattore che di per sé non sarebbe stato sufficiente a determinare il tracollo, ma che aggiunto agli altri ebbe un'importanza decisiva, la degenerazione psichica della dinastia e le rivalità intestine che la dilaniarono. Il dissoluto e scandaloso al-Walīd II, successo al padre Yazīd II, l'ultimo figlio di ‛Abd al-Malik, a detrimento dei figli di al-Walīd I, suscitò l'indignazione degli ambienti religiosi, il che senza dubbio contribuì al dilagare della rivolta in Siria e al venir meno della fedeltà da parte delle truppe sire, che fino allora avevano costituito la maggiore garanzia di sicurezza della dinastia. L'intervento di Marwān II, figlio d'un figlio di Marwān I, che lunghi anni di governo dell'Armenia, in lotta con l'impero di Bisanzio, avevano reso esperto della milizia e caro alle sue truppe, valse a sedare le ribellioni locali, ma non fu suffificiente a difendere le conquiste fatte contro l'ondata delle schiere del Khurāsān, in gran parte formate da Persiani, che portarono al potere gli ‛Abbāsidi e misero fine, col tragico sterminio di quasi tutti gli Omayyadi attirati in un tranello da Abū 'l-‛Abbās, all'esistenza quasi secolare della dinastia. È noto come da ‛Abd ar-Raḥ mān, figlio d'un figlio di Hishām, riuscito a scampare nell'Africa e di lì passato in Spagna, abbia tratto origine la dinastia omayyade di quel paese (v. spagna: Storia). Nemmeno in Oriente, peraltro, i partigiani degli Omayyadi scomparvero d'un tratto: un tentativo fatto a Medina in favore d'un lontano discendente di Mu‛āwiyah l'anno stesso dell'ascesa al califfato degli ‛Abbāsidi, fu prontamente soffocato; ma una tendenza filo-omayyade si mantenne anche più tardi in quegli ambienti i quali, pur rimanendo ostili alla nuova dinastia, non furono assorbiti dalle opposizioni sciita e khārigita.
Questa tendenza sboccò molto più tardi con l'interferenza di svariati motivi d'indole nazionale e religiosa (v. M. Guidi, in Riv. studi orient., XIII, pp. 266-300, 377-427), nella setta degli Yazidi (v.), ancor oggi sussistente.
Elenco dei califfi omayyadi: Mu‛āwiyah I, 41-60 eg. (661-680 d. C.); Yazīd I, 60-64 (680-83); Mu‛āwiyah II, 64 (683-84); Marwān I, 64-65 (684-685); ‛Abd al-Malik, 65-86 (685 705); al-Walīd I, 86-96 (705-715); Sulaimān, 96-99 (715-717); ‛Omar II, 99-101 (717-720); Yazīd II, 101-105 (720-724); Hishām, 105-125 (724-743); al-Walīd II, 125-126 (743-744); Yaž III, 126 (744); Ibrāhīm, 126 (744); Marwān II, 127-132 (744-750).
Arte. - L'arte omayyade comprende due fasi: la prima, che giunge sino al 750, fiorì sotto i califfi di Damasco, l'altra, che si estende sino al sec. XI sotto i califfi di Cordova, è limitata alla sola Spagna. La continuità dell'evoluzione stilistica e l'opposizione allo stile abbaside estesosi da Baghdād in tutto l'oriente islamico si afferma nettamente nei suoi monumenti.
In Siria, Palestina e Arabia sorsero le prime moschee monumentali dovute alla trasformazione di chiese cristiane (Damasco) o ispirate a forme architettoniche cristiane (Moschea della roccia in Gerusalemme) o edificate secondo le nuove regole richieste per il tempio (moschea in Medina). Ovunque furono usati o mano d'opera straniera o materiale antico e cristiano, che ha importanza decisiva anche nelle grandi moschee di al-Fusṭāṭ e Kairouan.
In Transgiordania si conservano molti edifici profani del secolo VIII, castelli, rocche, padiglioni da caccia e da bagno elevati nel deserto dai califfi, usati per soste brevi o anche per soggiorni più lunghi; il più notevole di questi edifici è a Mshattà (v.).
Importanti in Africa durante l'epoca omayyade i ribāṭ (v.) o fortini di frontiera, con forti mura e torri di segnalazioni, particolarmente numerosi sulla costa dove furono elevati a difesa dal mare e a base delle spedizioni all'interno per la diffusione dell'islamismo (esempî in Susa e Monastir).
L'unico edificio importante del sec. X in Spagna è costituito dagli avanzi d'un palazzo di califfi rimessi in luce a Madīnat az-Zahrā', le cui decorazioni si accordano perfettamente con lo stile della grande moschea in Cordova.
L'arte omayyade usò di preferenza in Oriente l'arco a pieno sesto in Spagna quello a ferro di eavallo che nel sec. X in Cordova si trasformò in arco lobato o dentellato, e come tale penetrò anche nell'architettura romanica dei paesi vicini. Dal capitello a foglie d'acanto della tarda antichità venne derivato un nuovo tipo che dalla forma vegetale condusse all'arabesco; così la decorazione parietale ancora naturalistica in Mshattà venne gradatamente trasformata in motivi astratti. L'arte di Cordova rivela lo stile omayyade ad arabeschi nel suo pieno fiorire; in Saragozza e altre località esso degenera, nel sec. XI, nelle decorazioni a stucco di forme esuberanti e confuse. Nell'ornamento delle moschee ebbe ancora grande importanza il musaico derivato dall'antichità e generalmente eseguito da artisti bizantini (Damasco, Gerusalemme, Cordova). Pitture parietali d'impronta ellenistica si sono conservate nella villa balneare di Quṣair ‛Amrah in Transgiordania.
Caratteristiche per l'epoca omayyade in Cordova le vasche per abluzioni, di marmo con ricca decorazione a rilievo e cofanetti e pissidi di avorio, a intagli ornamentali e figurati, fitti e tecnicamente perfetti, spesso con iscrizioni che ci rivelano date precise d'esecuzione. Risalgono a questo periodo anche alcune stoffe seriche andaluse; maioliche a decorazione policroma, e in minor copia oggetti di vetro e metallo.
Bibl.: A quella data sotto la voce arabi: Storia, si aggiunga: H. Lammens, Études sur le siécle des Omayyades, Beirut 1930; Encyclopédie de l'Islam, IV (1932), coll. 1080-1088. Per l'arte omayyade, v.: K. A. C. Creswell, Early Muslim Architecture, Oxford 1932.