Olympia
(Germania 1936, 1938, prima parte Fest der Völker ‒ Olimpia, seconda parte Fest der Schönheit ‒ Apoteosi di Olimpia, bianco e nero, 222m); regia: Leni Riefenstahl; produzione: Walter Traut, Walter Grosskopf per Olympia-Film; fotografia: Hans Ertl, Walter Frentz, Kurt Neubert, Willy Zielke, Hans Schneib, Wilfried Basse e altri 38 operatori; voci: Paul Laven, Rolf Wernicke, Henri Nannen, Johannes Pagels; musica: Herbert Windt.
Prologo: una carrellata sull'architettura classica richiama dalla notte dei tempi alcune statue che incarnano l'ideale greco di bellezza fisica; il discobolo di Mirone si trasforma in 'statua vivente', con taglio di capelli in perfetto stile berlinese. Nella prima parte del film, un mare di braccia ondeggianti si apre su figure nude di sacerdotesse che fanno rivivere la fiamma sacra, con cui un giovane accende una torcia: tenendola innalzata, inizia il suo viaggio alla volta di Berlino; altri gli daranno il cambio, mentre una serie di mappe e miniature descrivono il viaggio della fiamma verso nord, attraverso l'Europa. L'ultimo corridore entra nello stadio olimpico e accende la fiamma dell'altare principale: Adolf Hitler dichiara aperta l'undicesima edizione dei Giochi Olimpici dell'era moderna. La prima parte si conclude con le gare di atletica leggera della prima settimana dei Giochi e con la rievocazione dei Giochi Olimpici dell'antichità. La seconda parte si apre con immagini della natura all'alba: atleti dai capelli chiari corrono tra gli spazi aperti, seguiti da figure nude che nuotano e dalle immagini di una sauna. Un fantasioso montaggio racconta quindi la vita all'interno del villaggio olimpico. Si passa poi a mostrare alcune gare tra le quali figurano canottaggio, nuoto e tuffi. Infine, le immagini di diverse bandiere e della fiamma olimpica che si spegne introducono una panoramica notturna dello stadio, dove un cerchio di proiettori illumina la notte con un fascio di luce.
Finanziato generosamente dal Ministero Nazista per la Propaganda, Olympia è essenzialmente un film di regime, continuazione ideale di Triumph des Willens (Il trionfo della volontà, 1935) della stessa Leni Riefenstahl, e mostra una rinnovata Germania prendere il posto che le spetta di diritto all'interno del contesto internazionale. Secondo le parole della regista, il Führer, che si intravede in tribuna, non incarna tanto la figura dell'eroe, quanto quella di "un uomo qualunque, uno spettatore che con modestia si è fatto da parte per lasciare spazio agli eroi del momento, gli atleti". Hitler non badò a spese per dotare i Giochi di scenografie grandiose che dovevano stupire il mondo intero, prime testimonianze permanenti della monumentale architettura nazista. Olympia rivela anche quale fosse il principale obiettivo propagandistico di Hitler e del suo ministro per la Propaganda, Joseph Goebbels: presentare agli occhi del mondo una Germania illuminata e pacifica, mentre erano in corso i preparativi per la guerra. È in questa prospettiva che vanno lette le concessioni liberali della regista nel sottolineare le vittorie dell'atleta americano di colore Jesse Owens. Quasi a rinnegare momentaneamente e cinicamente la propria ideologia razziale, la Germania diede grande rilievo ai trionfi di Owens, che furono invece paradossalmente censurati dai quotidiani statunitensi del Sud razzista.
La cerimonia di apertura dei Giochi era stata inizialmente organizzata per ordine del 'committente' ufficiale della Riefenstahl, il culturista Carl Diem, nell'intento di simboleggiare la trasmissione della cultura classica dalla Grecia alla Germania, così come teorizzato nel Settecento dall'archeologo tedesco Johann J. Winckelmann. L'ambiguo intreccio di propaganda e sport in Olympia è perfettamente rappresentato dal gioco di somiglianze, evidente appunto nella cerimonia di apertura, tra il saluto olimpico e quello nazista. Il vero mecenate della Riefenstahl fu però Hitler, il cui sostegno le diede sì i mezzi per realizzare il film, ma fu anche causa del successivo sabotaggio che ne ostacolò la distribuzione, quando i fatti del 1938-39 impedirono il raggiungimento di accordi commerciali in America e in altri paesi democratici. È anche possibile che l'indipendenza della regista abbia subito limitazioni nel periodo di sei settimane precedente l'uscita della seconda parte, durante il quale Hitler invase la Cecoslovacchia. Non si vedono infatti atleti cecoslovacchi nelle versioni esistenti del film, che fu soggetto a ripetuti tagli dopo la sua trionfale prima a Berlino, e nemmeno nella copia rimontata dalla stessa Riefenstahl nel 1958, dove non appare Hitler, in linea con la presa di distanza della regista nei confronti del nazismo.
Olympia è un'impresa tecnica di complessità straordinaria, in cui Leni Riefenstahl e la sua troupe si spinsero oltre i limiti tecnologici del tempo per mostrare i Giochi da ogni possibile angolazione. Vennero girati più di 300.000 metri di pellicola, ma, a causa di problemi tecnici, solo un quarto di questi poté essere utilizzato. Tra le tante invenzioni, di grande rilievo furono le riprese delle azioni ricostruite (le scene notturne di salto con l'asta) e le interpolazioni di diverse sequenze riprese durante gli allenamenti, soprattutto nella maratona, per la quale la Riefenstahl diede agli atleti in allenamento piccole macchine da presa per filmare le loro stesse gambe, utilizzando poi quelle riprese in fase di montaggio per creare un'esperienza sempre più soggettiva della fatica della corsa. Le diciotto parole pronunciate da Hitler all'inaugurazione dei Giochi rappresentano gli unici suoni sincroni del film, e, disponendo solo di traccia magnetica, la regista incontrò notevoli difficoltà nel missaggio di tale esortazione e di altri suoni che nella colonna sonora rivestono un ruolo importante quanto le musiche di Herbert Windt.
Leni Riefenstahl può essere considerata la madre della televisione sportiva moderna e di quella stessa televisione che, nei film di Fritz Lang, ci appare come una divinità tecnologica dai mille occhi. La sua sensibilità e il suo gusto estetico riuscirono a fare di Olympia un delirio di ideologia nazista. Alcuni commentatori del film hanno rilevato una desessualizzazione del corpo, ad esempio nella danza delle sacerdotesse del tempio. Ma quando la Riefenstahl filma gli uomini (Jesse Owens, il famoso atleta tedesco Karl Huber, che aveva personalmente diretto come discobolo nel Prologo, oppure la stella americana del decatlon Glenn Morris e l'adolescente nudo che porta la torcia) crea un immaginario carico di tensione sessuale. Allo stesso tempo, però, il film minaccia costantemente di dematerializzare il mondo fisico, trasformando tutto ciò che è concreto in ombre, riflessi, contorni, figure confuse, fiamme, corpi e oggetti sradicati in perenne movimento, svincolati da qualsiasi riferimento spaziale (come nello splendido montaggio dei tuffatori che conclude il film). Così facendo, come ha commentato Sigfried Kracauer a proposito di Triumph des Willens, Leni Riefenstahl ha rivelato la vera faccia del nazismo: una sfiducia nel mondo fisico che rasenta il nichilismo.
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