OLIVO (lat. scient. Olea europaea L.; fr. olivier; sp. olivera; ted. Olivenbaum; ingl. olive-tree)
Albero della famiglia Oleacee, del genere Olea, il quale abbraccia 35 specie della regione mediterranea, Africa e Nuova Zelanda. L'Olea chrysophylla Lamk. e l'O. laurifolia Lamk. vivono nell'Eritrea e nei monti dell'Abissinia. La specie mediterranea, O. europaea L., è stata distinta in due sottospecie, e cioè: O. oleaster Hoffm. et Link, detta oleastro od olivo selvatico, e O. sativa Hoffm. et Link olivo coltivato o domestico.
L'Olea oleaster Hoffm. et Link è un albero di limitata statura raggiungendo al massimo 5-8 metri di altezza, di lento accrescimento, a chioma raccolta, rami angolosi, spinescenti, a scorza liscia grigia; foglie strette, piccole e assai persistenti, di colore verde cupo; infiorescenze ascellari a pannocchia con fiori in numero variabile, in media 10 a 20, calice verde breve, quadridentato, corolla biancolattea a tubo corto e lembo slargato, con quattro divisioni; androceo formato da due stami inseriti in fondo al tubo della corolla; gineceo con ovario biloculare, stilo corto e stimma bifido. Il frutto è una drupa piccola, nera lucente a maturità, con epicarpo membranoso elastico, mesocarpo polposo, poco sviluppato e oleoso, endocarpo (nocciolo) piuttosto grosso, duro e contenente un solo seme (mandorla) per frequentissimo aborto dell'altro. Si trova in luoghi rupestri, isolato, ma più spesso in forma boschiva, non utilizzato generalmente dall'uomo o solo raramente usato per innesto.
L'Olea sativa è un albero di dimensioni maggiori del selvatico, con statura fra i 4 e 10 a 12 metri, potendo raggiungere in condizioni più favorevoli di clima e di terreno, e se in piantate molto fitte, anche i 18 e 20 metri; con fusto grosso, rami arrotondati, lisci senza spine; chioma più o meno sviluppata e slanciata, rametti flessibili più o meno e talora pendenti, foglie grandi lanceolate, verdi e glabre nella pagina superiore, bianco-lucenti in quella inferiore (nelle varietà a frutto edule spesso più strette e lunghe); fiori normalmente monoclini, come nell'olivo selvatico, frutti grossi, polposi, ricchi di olio, ma meno numerosi che nel selvatico e sempre in numero limitato rispetto a quello dei fiori.
Varietà. - L'olivo coltivato presenta grande numero di varietà e mentre gli antichi ne conoscevano pochissime, gli scrittori moderni hanno fatto e fanno a gara a chi ne conta di più, creando una confusione babelica, cui oggi si studia di riparare da parte di una commissione, ricercando, per base di una razionale classificazione, caratteri di stabilità e fissità di valore effettivo sistematico ed eliminando le sinonimie, assai comuni.
In Italia si vanno studiando, regione per regione, le varietà migliori e raccomandabili per caratteri colturali, tecnici ed economici, e per contribuire all'intento di una maggiore unificazione. Da detto studio si viene confermando che il grande numero di varietà attuali può ridursi a poche e più interessanti, le quali del resto già formano il grosso degli oliveti nelle singole regioni. Il lavoro di confronto fra dette migliori varietà regionali potrà, confortato da esperimenti colturali e di adattamento nelle varie zone oleifere, ricorrendo, per sollecitare, anche all'innesto, riuscire a migliorare notevolmente l'olivicoltura nazionale.
Riportiamo, distinte per regioni d'Italia, le principali e più diffuse varietà di olivi:
Liguria: Taggiasca o Lavagnina, Razzola o Frantoio, Pignola o Pinola, Mortino. - Lombardia e Veneto: Casalina o Drezzeri, Gargnan, Favarol, Drupp o Trapp. - Toscana: Frantoio o Razzo o Frantoiano, Correggiolo, Moraiolo o Morinello, Leccio o Leccino, Maurino, Mignolo, Puntaruolo. - Marche: Carboncella o Morella, Sargano. - Umbria: Razzo o Rajo, Agogia o Dolce, Moraiolo, Coraiolo. - Lazio: Carbognola, Rosciola, Grossa, Verniera. - Abruzzi e Molise: Nordano o Dritto o Gentile, Nebbio, Cucco o Olivoce, Cerasolo, Aurina, Cavazzana, Gentile di Larino. - Campania: Rotondello, Carpellese, Pisciottano, Olivo da olio, Ogliarolo, Olivo olivella. - Lucania: Nostrale o Ogliarola, Rotondello, Marinese di Lavello, Cannellino. - Puglie: Ogliarolo del Gargano, Provenzale o Peranzana, Ogliarola barese o paesana o Cima di Bitonto, Coratina o a racioppa, Ogliarola di Lecce, Cellina di Nardò. - Calabria: Coccitano o Sinopolese, Ottobrarico, Caroleo, Mammolese, Cumignana, Curcia, Nicastrese, Roggianese. - Sicilia: Ogliaia, Calanrignara, Caltabellottese, Biancolilla, Calabrese, Cerasola, Reale dt Catania. - Sardegna: Manna, Carroga, Bosanese, Ceresia, Olieddu terca, Siviglipse.
A queste varietà a frutto da olio ne vanno aggiunte parecchie a frutti eduli, per consumo diretto, preparati in bagno di sale o essiccati al forno. Fra le principali si annoverano: Ascolana, Bella di Spagna, S. Agostino o di Andria, S. Caterina, Cucca, Giarraffa, Carmelitana, Cerignola, Cerignola, Morellona, S. Francesco, Dolce del Marocco, Maiatica o Paesana e di Ferrandina, Gaetana. Ma ve ne sono e potrebbero esservene altre da utilizzare a tale scopo con non lieve vantaggio economico, le quali, fino a oggi, si trovano coltivate isolatamente o su piccola scala e più per ricavarne l'olio.
Origine, storia, diffusione. - A. De Candolle premesso si debba ritenere più probabile l'origine della specie là dove maggiore ne è l'area allo stato selvatico, spontaneo, da cui possa essere discesa la pianta coltivata, tenuto conto dei dati storici e delle voci attribuite all'olivo selvatico e a quello coltivato dai popoli più antichi, ritiene che non si debba assegnare all'Africa (Eritrea-Egitto), come da taluni si ammette, la patria dell'olivo, bensì all'Asia Minore e alla Siria, perché in questa regione l'olivo selvatico spontaneo è ab antiquo comunissimo, formando delle vere foreste sulla costa meridionale dell'Asia Minore. Qui appunto i Greci presero per tempo cognizione di quest'albero, cui diedero il nome speciale di λαία che i Latini fecero olea.
Probabilmente l'olivo venne introdotto dall'Asia Minore in Grecia, donde si diffuse verso occidente. L'antichità di quest'albero viene indicata da varie fonti: si vuole che esistano impressioni delle sue foglie nel Pliocene del Mongardino e perfino nelle marne argillose del Miocene superiore, a Gabbro presso Livorno. L'olivo è ricordato dalla Bibbia, dalle leggende mitologiche, dagli scrittori greci, a cominciare da Omero ed Erodoto, e romani; fra questi Columella lo proclamò "primo fra tutti gli alberi". I Greci ebbero uno speciale culto per l'olivo, e lo considerarono pianta sacra a Minerva. I Romani lo tennero in gran conto quale pianta molto utile e con i suoi ramoscelli intrecciarono, insieme con l'alloro, corone per i cittadini meritevoli della patria.
Sulla diffusione successiva dell'olivo coltivato si sa che per opera delle colonie greche sarebbe stato portato nella penisola Salentina, in Calabria, in Sicilia, nella penisola Iberica e nel resto dei paesi del bacino del Mediterraneo; mentre si afferma, secondo altra versione, ehe sarebbe stato introdotto direttamente dai Focesi dall'Asia Minore a Marsiglia, donde si sarebbe irradiato nei paesi predetti. Lo sviluppo assunto in seguito dall'olivo coltivato nelle singole regioni venne influenzato dalle vicende climatiche e politiche, specie in conseguenza delle varie imprese guerresche e dominazioni barbare o civili. Comunque, l'incremento maggiore nei paesi del Mediterraneo si sarebbe verificato dal 1600 in poi e solo verso la fine del sec. XVIII si diffuse nel continente americano, per opera dei missionarî spagnoli, in California, passando in pochi altri stati del centro e del sud; e nel sec. XIX venne introdotto dai coloni inglesi nell'Australia meridionale.
In Italia dai primi secoli della fondazione di Roma l'olivo venne espandendosi dal sud verso il nord, incrementandosi nel complesso prima dell'epoca della guerra mondiale; in Spagna, dopo le alternative predette di alti e bassi, si manifesta attualmente una notevole espansione; in Francia anticamente l'olivo giungeva, si asserisce, fino alle rive della Senna, ma in seguito venne a restringersi nei dipartimenti meridionali; nella Tunisia, Algeria e Libia al tempo dei Romani esistevano estese e floride colture di olivi, poi distrutte in gran parte e ora in via di ricostituzione.
Distribuzione geografica. - L'olivo coltivato, come pianta della zona temperata, si presenta attualmente nei limiti geografici seguenti: nel bacino del Mediterraneo, che rappresenta la più antica e importante zona maggiormente propizia alla sua vegetazione e fruttificazione: sta fra i paralleli 29° 45′ (catena dell'Atlante sulle coste nordiche dell'Africa) e 45° 15′ (dipartimenti di Ardèche, Drôme e l'Illiria), eccezionalmente raggiungendo in Italia sui grandi laghi di Garda, d'Iseo e Como il 46°, abbracciando quindi 16° di latitudine e 67° di longitudine (dalle isole del Capo Verde all'est del Caspio); l'altitudine oscillando fra i massimi di 400 e 1500 metri dal nord al sud della zona predetta.
Sulla costa settentrionale dell'Africa, l'olivo s'interna più o meno in Algeria altri 80-100 km., formando floridi oliveti e con non pochi alberi selvatici; in Tunisia al nord ha meno importanza che verso l'interno, ove si estende di continuo; in Tripolitania e in Cirenaica con la ricostruzione di vecchi oliveti e nuovi impianti torna a diffondersi rapidamente, potendo ben vegetare su vasti territorî; nella Colonia Eritrea si trovano l'O. chrysophylla e laurifolia.
In California la zona oleifera più importante è fra il 33° parallelo e oltre il 40°, cioè per oltre 7° di latitudine, con un'area adatta per l'olivo assai ampia; mentre nel resto del continente americano (Florida, Perù, Messico, Uruguay, Argentina) assume un'importanza finora assai limitata.
In Australia l'olivo, coltivato su limitata scala, ha al sud un'area adatta amplissima, di 9° di latitudine: e 38° di longitudine.
La superficie olivata e la produzione in olio nei principali paesi oleiferi del mondo risulta nel quinquennio 1928-32, in cifre tonde, come appresso:
Aggiungendo la superficie coltivata in altre zone, dove oggi si calcola con più approssimazione il numero delle piante, valutando gli olivi già in piena produzione e di recente impianto a 1.940.000 in Tripolitania, a 75.000 in Cirenaica; a 4 o 5 milioni in California, oltre a quelli degli altri paesi dell'America Centrale e Meridionale e dell'Australia, sempre tutti in rapido aumento, si può affermare che l'olivo coltivato si estende su circa 6 milioni di ha. di superficie controllata, occupandone allo stato di chiudenda fitta, cioè in coltura specializzata, circa 4 milioni di ha. Comprendendovi poi l'area rivestita dagli olivastri, allo stato incolto, riuniti a gruppi più o meno estesi in varie zone del mondo e suscettibili di utilizzazione con l'innesto, la cifra suddetta aumenta assai; senza contare il terreno ricoperto da vaste boscaglie di oleastri od olivi selvatici e quello vastissimo nel quale l'olivo domestico potrebbe e potrà in avvenire estendersi per condizioni favorevoli di clima e di terreno. La produzione controllata dell'olivo coltivato nel mondo, si aggira intorno ai 50 milioni di quintali di olive, con oltre 8 milioni e mezzo di quintali di olio.
La penisola italica, con la protezione, al nord, della catena delle Alpi, si trova in condizioni di clima privilegiate fra tutti i paesi oleiferi europei. E invero l'olivo si trova in tutte le sue regioni, ad eccezione del Piemonte, su una superficie di oltre 2 milioni di ha., di cui circa 2/5 in coltura specializzata o a chiudenda e per 3/5 insieme con altre piante arboree, ossia in coltura promiscua; traducendo quest'ultima superficie nella prima con calcolo approssimativo, si può ritenere che l'olivo occupa in Italia una superficie effettiva di 1.235.000 ha. (vedi tabella precedente); di cui circa 3/5 in collina e 2/5 distribuiti fra il piano e il monte.
Le regioni maggiormente ricche di olivi sono quelle meridionali, con alla testa la Puglia, la Calabria e la Sicilia, che nel complesso rappresentano la metà dell'intera superficie olivata italiana; mentre le sole Puglie ne costituiscono ben oltre la quarta parte, anche tenuto conto che ivi scarsa è la coltura promiscua (appena la sesta parte della superfice olivata della regione).
Seguono la Toscana, l'Abruzzo e Molise, la Campania, le Marche e il Lazio; e, a distanza, l'Umbria, la Liguria, la Sardegna. Le altre regioni del nord rappresentano una parte di lieve entità.
Naturalmente anche la produzione è in relazione più o meno stretta con la superficie e, nel complesso, oscilla intorno ai 13 milioni di q. di olive con una media di poco oltre i 2 milioni di q. di olio, venendo nei confronti dell'estensione olivata e della produzione mondiale al secondo posto subito dopo la Spagna.
Olivicoltura.
Moltiplicazione. - L'olivo si può propagare per semi e per parti di pianta.
Per semi. - Dai noccioli delle olive domestiche si ricavano gli olivastri spontanei e gli olivini d'allevamento. Gli olivastri spontanei provengono dai noccioli delle olive domestiche disseminate dagli uccelli o dispersi a terra sotto gli olivi e germinati spontaneamente qua e là nei luoghi incolti, alpestri, nei boschi e presso gli oliveti trasandati. Talora gli olivastri si trovano in raggruppamenti più o meno considerevoli formanti dei veri boschi variamente fitti e disordinati, come, per esempio, sui monti del Gargano, nella Maremma Grossetana, in Sardegna, ecc.
Essi si possono mettere a profitto in due maniere; cioè: se sono grandi, procedendo a un eventuale diradamento e all'innesto sul posto; però sono di ostacolo all'attuazione di questo sistema le servitù di vario genere che gravano sui terreni ricoperti da olivastri (legnatico e altri usi civici); ovvero, se sono assai giovani, raccogliendoli e scartando quelli che non abbiano fusto dritto e liscio, per trapiantarli a dimora tali e quali, salvo a innestarli l'anno successivo o dopo l'attecchimento, o trasferendoli prima in un vivaio, dove s'innestano l'anno seguente, e a suo tempo portandoli a dimora. Nel Leccese quest'ultimo sistema è abbastanza in voga e gli olivastrelli raccolti vengono chiamati termiti.
Gli olivini d'allevamento sono quelli ottenuti dalla semina artificiale dei noccioli di oliva e sviluppati in vivai appositi e innestati con le varietà migliori più note.
Per porre a effetto tale sistema si preparano delle piccole parcelle di terreno di buon impasto, di terriccio, bene esposte, prossime alla casa colonica, ovvero, come praticano i vivaisti, dei cassoni di muratura o di legname da potersi ricoprire, ove si temano temperature basse e geli. Sopra il terriccio si sparge uno strato di 8 a 10 cmc. di terra leggiera, ben trita, o meglio di un misto di sabbia e calcinaccio fino, per modo che non si abbiano screpolature e lo strato superficiale si mantenga sempre ben soffice, facilitando l'uscita del tenero germoglio con le prime foglioline e l'approfondimento delle radichette; l'uno e le altre sviluppandosi nei primi momenti a sole spese dei materiali di riserva del seme ed entrando in azione il terriccio sottostante, solo alquanto dopo, allorché le radichette incominciano a esercitare le loro funzioni di assorbimento dei succhi nutritizî.
I semi, ossia i noccioli, si prendono dalle olive di varietà più rustiche. Le olive si spolpano e si sgrassano con soluzione di soda commerciale e, dopo lavati e asciugati, i noccioli si conservano in luogo fresco fino al momento della semina; questa si effettua a fine primavera o meglio a fine luglio, spargendo i noccioli stessi fitti nel semenzaio e ricoprendoli di uno straterello di 2 o 3 cm. con lo stesso misto di sabbia e calcinaccio. S' innaffiano ogni due o tre giorni e si ricoprono di un leggiero strato di paglia per proteggerli dai raggi del sole. Dopo un paio di mesi spuntano le prime piantine e a fine inverno tutto il semenzaio sarà coperto di una fitta vegetazione di teneri olivini. A primavera si fa il trasferimento di questi nel piantonaio: appezzamento di terreno ben lavorato e concimato e disposto ad aiuole o porche, ove le pianticelle verranno messe, a circa 10 cm. di distanza fra loro, col foraterra. Durante un anno si usano cure al terreno; concimazioni liquide e annaffiature. Nella primavera successiva s'innestano, scartando le piantine non bene sviluppate. Gl'innesti rimangono per un altro anno nel piantonaio che prende il nome di nestaiola e nella primavera seguente si trasferiscono in vivaio, in terreno lavorato profondamente e ben concimato, in file distanti circa un metro e ponendoli col pane di terra a 30-35 cm. sulla fila. Quivi si lasciano per due o tre anni, curando i lavori al terreno, le somministrazioni di concimi liquidi e solidi, le innaffiature durante i grandi calori, le scacchiature dei rami più bassi alle piantine, affidate a canne per avere il fusto dritto, e la lotta contro i parassiti. Al terzo anno, o al più al quarto dall'innesto, gli olivetti saranno a sviluppo adatto per trasferirli a dimora.
Per parti di pianta. - Varie parti dell'olivo sono da tempi remoti utilizzate per la sua moltiplicazione e si può dire che i tre quarti almeno degli oliveti coltivati sono stati così creati. Gli ovoli sono dei rigonfiamenti tondeggianti, ovoidei, che si riscontrano a piè del fusto e nelle piegature delle grosse radici a fior di terra, formatesi per effetto di accumulo di tessuto prolifero in seguito a ferite, ingorgo di linfa e altro, i quali, in condizioni adatte, dànno luogo a germogli. Vengono staccati dalle piante adulte e vecchie e piantati a fine marzo, in file, con il legno rivolto verso il basso. Dei getti che nascono se ne alleva uno dei migliori e per tre o quattro anni si curano le piantine con lavori, concimazioni e scacchiature come per le piantine da seme nel vivaio, per poi trasportarle a dimora. I polloni sono ovoli germogliati sulla pianta e si pongono a dimora allorché sono giunti a giusto sviluppo. Le talee sono pezzi di rami, lisci, a scorza grossa e tenera, che per lo più si ricavano dalle potature e possono essere piccole e grosse. Le prime, con diametro da 2 a 4 cm. e della lunghezza di 40 a 50 cm., vengono allevate in piantonaio-vivaio in file distanti circa 50 cm. e a 40 cm. sulla fila, per 3 o 4 anni, fino a che, cioè, il fusto e la chioma proveniente dal germoglio migliore non siano ben sviluppati per essere trasferiti a dimora. Le seconde sono rami grossi, specie di pali da 5 a 7 cm. di diametro e lunghi due metri e oltre, per lo più succhioni asportati con la potatura e che si pongono direttamente a dimora.
Altre parti di pianta si possono utilizzare, come le talee ramificate, pezzi di piccoli fusti, di radici, ecc.; ma questi modi di propagazione sono più o meno difettosi, presentando varî inconvenienti, quali la tendenza a dare piante non equilibrate nel loro sviluppo di rami a legno e a frutto, ad accentuare le deficienze insite nelle piante da cui furono ricavate le parti stesse e quindi disposizione a malattie e a scarsa resistenza alle meteore e ai parassiti delle piante provenienti da seme. V'è invece tendenza al ritorno dei caratteri di rusticità della specie originaria e a dare soggetti con ricco e sano apparecchio radicale che assicura condizioni migliori di potenzialità alla chioma, che può dare frutti abbondanti e ricchi d'olio, a scelta mercé l'innesto; operazione che, a torto, viene portata a carico del modo di moltiplicazione per seme per il ritardo di un anno o due cui dà luogo: inezia di fronte alla lunga vita dell'olivo, senza contare che è provato essere tale breve ritardo riguadagnato ben presto a usura. È superfluo rilevare che l'innesto dell'olivo si può fare a gemma o a marza senza difficoltà, praticando il primo modo preferibilmente per le piante adulte, e il secondo, specialmente a corona, per le piante d'allevamento provenienti da seme.
Modo di Vegetare. - L'olivo è di lento accrescimento, impiegando, a seconda del clima, del terreno e delle condizioni colturali più o meno favorevoli, dai 30 ai 40 anni per raggiungere il completo sviluppo o, come si dice, il periodo di stazione; il quale si prolunga più o meno nelle circostanze sopraddette, da uno a varî secoli, succedendo di poi il periodo di vetustà e decadimento.
Le foglie sono, come i rami, opposte e decussate, cioè a verticilli alterni. Si cambiano, di regola, ogni tre anni e quindi l'olivo è pianta perennante sempreverde. I fiori e i frutti si formano sul ramo dell'anno precedente, all'estremità della porzione con frutto pendente; spesso, per un complesso di ragioni, esso rimane poco sviluppato e non dà frutto o in scarsa misura, avendosi così l'alternanza di raccolto che, per altro, a torto è ritenuta un fatto normale. Il frutto si sviluppa fra la primavera e l'estate e matura, cioè s'inolia, fra l'autunno e l'inverno, dopo aver accumulato una data somma di calorie che talora non viene distribuita regolarmente e non è raggiunta nelle zone meno temperate se non nella primavera successiva.
Il ciclo molto lungo della fruttificazione, che si completa nella stagione più inclemente dell'anno, con la concomitanza di numerose circostanze di natura colturale e di cause avverse, rende l'olivo un albero di non sempre facili risultati, che richiede attenzioni e cure risalenti a quelle preventive dell'impianto.
Impianto dell'oliveto. - Per un impianto razionale bisogna guardare al clima, al terreno e alle varietà più adatte.
Clima. - Saranno da scartarsi le zone soggette a eccessi di temperatura, non sopportando l'olivo oltre 36°-38° e −6° a −8°, né, soprattutto, sbalzi repentini ed eccessiva deficienza di umidità. Oggi, in base agli studî di ecologia, si vanno delineando in Italia gli equivalenti meteorici, e particolarmente termici e pluviometrici, più adatti per zone e fasi vegetative, distinte in invernale-primaverile, della fioritura, dello sviluppo del frutto e della maturazione.
Finora si è osservata la divisione dell'Italia in tre sottoregioni, di cui la prima abbraccia la parte meridionale fino al Barese settentrionale oltre la Sicilia e la Sardegna, con assenza di geli e neve e temperatura sopra 5° e deficienze di pioggia; la seconda, la parte centrale fino al Lazio e all'Abruzzo compreso, con caratteristiche climatiche di brinate tardive, geli e nevi meno rare, temperatura non sotto zero; la terza si estende a tutto il resto della penisola, con geli e neve facili e temperature che possono giungere fino a −3° e talora −7°.
Terreno. - Dal lato della costituzione chimica l'olivo ama terreno argilloso-calcareo-siliceo o calcareoargilloso-siliceo, cioè con prevalenza di potassa e calce; e dal lato delle condizioni fisiche, rifugge dai terreni troppo asciutti, aridi, ma più ancora da quelli soverchiamente umidi. Per altro è pianta di non eccessive esigenze e si può affidare anche a terreni pietrosi, rocciosi, che con le sue potenti radici intacca ed esplora largamente in cerca di alimenti, utilizzando i piani e meglio i colli, provvedendo a eliminare con l'affossatura e la fognatura l'umidità eccessiva nei primi, e a disciplinare e trattenere le scrisse acque nei secondi con i terrazzamenti, nel limite massimo di 40% d'inclinazione. Con l'aggiunta poi di adatti concimi, può dare in tutti i terreni risultati assai vantaggiosi. Oltre la sistemazione per il regime delle acque, occorre scassare il terreno fino a una profondità di un metro e più all'atto dell'impianto.
Gli olivini si debbono disporre in maniera ordinata e non alla rinfusa, cioè in quadro o meglio in terzo o a quinconce, se si vogliono oliveti specializzati, e in file più o meno larghe se oliveti a coltura promiscua; la distanza, in ogni caso, deve essere tale da impedir loro di intralciarsi con le chiome a completo sviluppo. Si piantano in fosse o in buche, il cui fondo possa smaltire, con opportuno drenaggio e cunicoli o fognoli, l'eccesso di umidità.
L'olivetto, scelto nella varietà più confacente, dev'essere piantato, possibilmente con il pane di terra, nelle buche preparate per tempo e che saranno riempite, sopra il drenaggio formato da pietre, con terra mista a buon letame, perfosfato e sali potassici in dose generosa, cercando di non collocare l'olivetto stesso profondo, ma col colletto poco sotto il livello del terreno. Si sistemerà poi, con tagli più o meno larghi, la chioma del piantone affidandolo a un buon paletto.
Nei primi anni le cure successive non saranno soverchie, limitandosi a somministrazioni periodiche di concimi, a mantenere il terreno smosso con un lavoro profondo a fine inverno, con sarchiature nell'estate, e a sistemare la forma del piamone con tagli moderati (v. sotto).
Consociazione. - Se l'oliveto dovrà risultare a coltura specializzata, cioè a chiudenda, converrà sempre associare, nel periodo del suo lungo sviluppo, delle piante erbacee e talora arboree che permettano d'utilizzare il terreno frapposto tra una pianta e l'altra, cioè fare la consociazione temporanea. Le piante arboree in questo caso dovranno essere a ciclo produttivo rapido, come la vite, il pesco, ecc., per sfruttarle più utilmente.
Se l'oliveto dovrà essere a coltura promiscua, consigliabile nei climi meno temperati, nei terreni piani o pianeggianti e migliori, ove abbonda più la mano d'opera e in prossimità di centri popolosi, la consociazione permanente potrà essere fatta sia con piante erbacee e industriali, tra i filari di olivi più o meno distanti, sia arboree, negli interfilari e fra olivo e olivo, negli stessi filari, più adatte alla località dell'impianto e in armonia con le esigenze colturali dell'olivo.
Potatura. - Si distingue in potatura di formazione, di mantenimento, di riforma e di ringiovanimento.
La prima si pratica nel piantone di allevamento posto a dimora, con tagli successivi e graduali, diretti a foggiare la chioma a vaso o a limone, cioè a tronco di cono rovescio iniziato sul fusto ad altezza da terra variabile da m. 0,80 a 2, con tre o quattro branche costituenti l'impalcatura.
Con tagli dicotomi successivi sui rami secondarî, ora su un trametto esterno, ora su uno interno, si giunge dopo diversi anni alla forma voluta, aperta nel mezzo, che per l'olivo, come per altre piante da frutto, è ritenuta la più conveniente per la maggiore aerazione e soleggiatura: condizioni propizie per la fruttificazione.
Assicurata questa forma, si passa alla potatura di mantenimento o normale, consistente in tagli moderati e periodici diretti a togliere il seccume, i cosiddetti succhioni, a impedire il trascorrimento verticale dei rami, l'allontanamento soverchio verso l'esterno e lo sviluppo verso l'interno dei rami stessi e a regolare l'equilibrio dei rami a legno con quelli a frutto, spuntando i rametti allungatisi troppo ed esauriti (potatura di fruttificazione). Per bene operare è necessario eseguire tale potatura ogni anno o anche ogni due e, in via eccezionale, ogni tre anni, purché negli anni intercalari si eseguiscano tagli di assestamento o rimonde autunno-vernine o vernine-primaverili.
A ogni taglio di potatura che dà luogo a formazione di polloni, nell'estate, bisogna con una rimonda estiva asportare tali produzioni, sia al ciocco, sia nella chioma, rispettandone come occorra, su questa, qualche pollone che serva a riempire un vuoto, o alla sostituzione di un ramo deperente.
La potatura di riforma si applica agli oliveti adulti, trasandati, con piante a chioma trascorsa, chiusa, sregolata, a produzione saltuaria e deficiente, effettuando tagli severi diretti a sbassare, aprire nel centro e distribuire i rami allo scopo di portare equilibrio nella circolazione della linfa. Ove si tratti, come il più spesso avviene, di piantate con chiome intrecciantisi le une con le altre, fitte, sì da definirle boschi olivati, è necessario effettuare lo sfittimento, abbattendo quel numero di olivi strettamente necessario ad apportare schiarimento e luce nel folto buio.
Per evitare la necessità di abbattere troppe piante, cosa cui sono sommamente avversi i proprietarî e più i coloni, si sopprimono in piante vicine, ove sia possibile, i rami che s'intrecciano verso il centro per modo da formare un'ampia chioma aperta con due e tre fusti. Il lavoro dev'essere condotto con tagli graduali, cioè in due riprese o tre occorrendo, sopprimendo per i primi i rami più alti e denudati per un certo tratto di frasca minuta e proseguendo a ulteriore soppressione di rami inferiori negli anni di poi, allorché, cioè, si sarà rinvigorita o sviluppata la vegetazione dei rami più bassi. Solo in casi di eccezionale decadimento del vigore della pianta si procederà alla soppressione di tutti i rami dell'impalcatura o, come si dice, alla capitozzatura, essendo utile lasciare sotto i grossi tagli dei rami che richiamino la linfa dall'apparecchio radicale. In generale dopo 5 anni, o 6 al più, si otterranno delle piante rinnovate nella vegetazione, ricondotte ad altezza moderata, conveniente per tutte le operazioni colturali, compresa la raccolta delle olive e la lotta contro i parassiti, e capaci di una fruttificazione non saltuaria e abbondante, se ai tagli verranno accoppiati concimazione e lavori opportuni al terreno, nonché la lotta ai numerosi nemici.
La potatura di ringiovanimento, infine, si applica alle piante in periodo di decadimento, di vetustà, con tagli energici, abbondanti, previa esplorazione delle possibilità, da parte delle piante stesse, di buona riuscita di un ringiovanimento, atto cioè a una fruttificazione che riesca rimunerativa per un altro certo numero di anni.
Tale esplorazione riflette l'esistenza o meno di fasci fibro-vascolari che dal ciocco salgono verso le grosse ramificazioni (che i pratici chiamano corde, dalla loro foggia cordiforme) a portare la linfa.
Slupatura. - Le piante ora dette sono generalmente attaccate dalla carie (v. sotto: Cause nemiche dell'olivo) nel fusto e nei grossi rami, che si presentano spaccati, e con il legno guasto nelle grosse radici. E poiché la carie - la quale si estende sempre più se non si asporta - viene detta anche lupa, l'asportazione si dice slupatura. L'operazione va fatta con una certa accuratezza, con opportuni ferri onde rinettare e lisciar bene le parti attaccate anche delle grosse radici, scoprendole, e del ciocco e procurando di non intaccare le corde (v. sopra). Dopo, tutto il legno risanato va spalmato di black. È un'operazione costosa, ma gli effetti utili che se ne traggono sono risentiti per un periodo da 10 a 15 anni.
Dismuschiatura. - È un'altra operazione necessaria ai fusti e ai grossi rami che si mostrano rivestiti di uno strato di vegetazione costituito da licheni e muschi, che ostacolano le funzioni di traspirazione e respirazione e servono di ricettacolo a molti insetti dannosi all'olivo. La dismuschiatura, ossia l'asportazione di questo strato vegetativo, si fa prima grattando con raschini le parti attaccate e quindi spalmando con grossi pennelli o irrorando tutto, con poltiglia ferro-calcica (5 p. di solfato ferroso, 10 p. di calce spenta, per 100 di acqua).
Concimazione. - L'olivo, benché fra le piante arboree coltivate sia una delle meno esigenti anche in fatto di concimi, tuttavia risponde in modo generoso a una concimazione che stia in rapporto ai suoi bisogni, alla natura del terreno, al taglio della potatura normale.
Dalle ricerche fatte in merito ai bisogni, con la scorta delle analisi delle varie parti dell'olivo, si è rilevato che esso fa largo consumo di potassa, azoto, acido fosforico, nonché di calce. Per quest'ultima, anzi, dimostra una predilezione particolare e i migliori prodotti s'ottengono nei terreni calcarei-argillosi e viceversa. Come principio generale, la restituzione dei predetti ingredienti (che dev'essere sempre piuttosto generosa) è in rapporto al contenuto di essi nel terreno ove vegeta la pianta. E la conoscenza di ciò può essere dedotta con una certa facilità dalla natura geologica e dalle condizioni fisiche del terreno stesso, in quanto è risaputo che i terreni ben forniti di azoto sono gli umiferi, i quali essendo acidi hanno bisogno di calce; di potassa quelli argillosi, che sono compatti, poco aerati ed esigenti concimi organici ben maceri; di calce quelli calcarei argillosi o viceversa, che possono accogliere concimi meno maturi, ma frequenti per l'azione rapida decomponente e nitrificante della calce; mentre pressoché tutti difettano più o meno di acido fosforico; e i terreni ciottolosi, sabbiosi, scarseggiano anche del resto, onde sarà necessaria una completa e larga somministrazione di tutti.
È poi da tenere presente che dopo una potatura normale, più o meno energica, riscoppiano succhioni che vanno asportati quasi tutti e che la somministrazione di concimi azotati di pronta azione non farebbe che accrescere tali polloni inutili. Infine nella scelta dei materiali fertilizzanti per l'olivo, che è una pianta di colle, bisogna tener conto anche della spesa del loro trasporto sul posto.
Il valore fertilizzante variabile dei materiali utilizzabili si rileva, sia per contenuto medio in elementi importanti, sia per la prontezza o meno dell'assimilabilità nel terreno, dalla tabella riportata a pagina 293.
Con queste premesse e cognizioni ci si può valere, per la concimazione razionale dell'olivo, delle seguenti formule, scegliendo fra esse quelle che più si adattano al terreno e alle altre circostanze, caso per caso. Le dosi dei materiali fertilizzanti sono indicate per ha. di oliveto in chiudenda, cioè per piante vicine tra loro e occupanti tutto il terreno sotto la chioma. Per piante distanti fra loro e in coltura promiscua, per adattare tali dosi non si deve far altro che valutare la superficie media corrispondente all'incirca alla proiezione della chioma (largheggiando alquanto) per conoscere quante di esse piante entrerebbero in un ha. di terreno se fossero vicine e quindi ripartire per ognuna il quantitativo di concimi indicato nelle formule stesse:
In terreni di facile accesso argillosi (a) o sciolti (b):
b) spazzature terricciate, erbe marine e palustri: q. 100-120; perfosfato min.: q. 2-3 minimo.
2. In terreni di difficile accesso o in piano ove possono crescere convenientemente le leguminose:
Sovescio di leguminose (lupini, favette, mochi, vecce) in primavera, con somministrazione alla semina di:
perfosfato min. come sopra;
cloruro o solfato o salino potassico: q. 1,5-2;
ovvero leucite o kainite: q. 4-6.
Con aggiunta di gesso in copertura o di calce in polvere sul sovescio e in dose elevata se in terreni acidi.
3. In terreno come sopra e ove non crescono le leguminose: stracci di lana o peluria o borre o cuoiattoli o crisalidi, ecc., in dose elevata (q. 15-20) a seconda della qualità, a distanza di almeno quattro anni, con supplemento, subito e dopo due anni, di solfato ammonico o solfonitrato ammonico q. 2, o di nitrato ammonico concentrato q. 1,5; perfosfato min. q. 2-3; potassa, nelle forme e dosi di cui alla formula 2.
4. In terreno come nella formula 3: solfato ammonico ovvero solfonitrato ammonico q. 4; perfosfato minerale q. 3; potassa, come alla formula 2. Ogni tanto aggiungere materiali organici.
5. Per tutti i terreni, da alternarsi alle formule precedenti, nell'anno della potatura ordinaria: perfosfato min. q. 3; potassa, come nella formula terza.
Dagli esempî poi, che qui sotto si riportano, si deduce la frequenza o la rotazione dei varî modi di concimare l'olivo in relazione alla potatura.
Oliveti in coltura specializzata: a) potatura biennale alternata con lievi tagli di sistemazione o di rimonda autunno-vernina o vernina-primaverile: l'oliveto viene diviso in due appezzamenti all'incirca uguali per numero di olivi. Il terreno consente le leguminose da sovescio.
Così si seguita nell'alternanza delle due somministrazioni.
b) Potatura triennale con rimonda a.-v. o v.-p. negli anni intercalari.
Oliveti a coltura promiscua: potatura biennale con rimonda alternata come sopra. Terreno pianeggiante a lieve pendenza acclive, di medio impasto, diviso in 4 appezzamenti; per rotazione quadriennale.
S'intende che vi possono essere, specialmente per le colture promiscue, molti altri casi a seconda della consociazione e della rotazione adottata per le piante associate; ma, di massima, nella coltura promiscua si deve cercare di conciliare la specie dei concimi per l'olivo in ordine al turno della potatura normale e ai concimi per le piante in rotazione, a risparmio di spese colturali.
I concimi si somministrano in autunno nei terreni argillosi e compatti e a fine inverno e principio di primavera in quelli sciolti o calcarei o ciottolosi. Se sono letami o altri materiali organici o leguminose da sovescio, si mettono in conche di almeno 30 cm. di profondità, scavate attorno alle piante, tenendosi alquanto discosti dal ciocco. Se si tratta di concimi chimici in polvere, si spargono in copertura e si sotterrano con la vangatura o aratura o zappatura. Se le piante sono in colle, in terrazze strette, le conche si scavano a monte o si fa il sotterramento andantemente.
Lavori al terreno per l'olivo. - Sono indispensabili per aerare il terreno compresso dalle piogge e dal riposo e quale complemento dei concimi. In una coltura mediocre occorrono annualmente, almeno, un lavoro profondo e uno superficiale; il primo si pratica a fine inverno o all'inizio di primavera a mezzo dell'aratro, se lo spazio fra le piante e la. regolare loro disposizione o le terrazze lo permettano, o altrimenti, con la vanga e zappa, alla profondità di 30 cm. circa; quello superficiale è da effettuarsi in piena estate, con aratura o zappatura leggiera (10 a 15 cm. di profondità). Capitando di dover sovesciare le leguminose, allora il lavoro profondo si ritarda alquanto per farlo coincidere col sotterramento delle stesse.
Irrigazione. - In Spagna si pratica per una superficie di oltre 100 mila ha. l'irrigazione; in California s'inondano gli oliveti situati in piano presso qualche corso d'acqua, sul finire dell'inverno, per qualche giorno, per fare nel sottosuolo una provvista d'acqua che gli olivi utilizzano in estate; in Italia, data la grande prevalenza degli oliveti in colle, l'irrigazione non è possibile o almeno assai difficile. Si sono fatti, tuttavia, esperimenti cercando di raccogliere l'acqua in fori drenati fino a un metro di profondità, per farne provvista nell'inverno e primavera. Certo, ove si potesse trarre profitto dall'irrigazione, l'olivo se ne avvantaggerebbe notevolmente, specie nelle regioni meridionali ove la siccità è l'elemento di maggiore danno per la produzione.
Cause nemiche dell'olivo e rimedî. - Come pianta secolare, l'olivo conta molteplici cause nemiche dovute: agli agenti meteorici, a difetti di terreno e di coltura, ad agenti parassitarî.
Fra gli agenti meteorici di maggiore efficienza sono da annoverarsi: a) i freddi e i geli, che danneggiano i teneri rami e le radici minute, le foglie e i frutti e, se forti e prolungati, anche i grossi rami e perfino il fusto, producendo screpolature e provocando la formazione di tubercoli e piccoli cancri con disseccamento delle varie parti e anche, benché più di rado, dell'intera pianta, specie se a un gelo forte succede un rapido disgelo. Come rimedio preventivo, si consiglia di evitare all'atto dell'impianto l'esposizione di levante e di scegliere varietà meno sensibili ai freddi; come rimedio curativo, irrorare, subito dopo, le piante colpite dal gelo con poltiglia bordolese all'1,5%, ed effettuare una potatura energica asportando i rami colpiti. b) Le nebbie, sempre nocive all'olivo, divengono perniciose nel periodo della fioritura, agglomerando il polline, annerendo e mortificando lo stimma e impedendo la fecondazione. Scartare le posizioni vallive e scegliere varietà più adatte perché più resistenti. c) Le piogge prolungate all'atto della fecondazione riducono l'allegamento e dànno luogo a varî inconvenienti se fuori tempo. d) La grandine ammacca e ferisce i rami teneri e grossetti, provocando lacerazioni che dànno luogo ai tubercoli della rogna. Per mitigarne le conseguenze, si irrori subito dopo con poltiglia bordolese. e) La siccità, o la mancanza di acqua, provoca e favorisce la deficienza di fruttificazione, sia per l'aborto di molti fiori, sia per la cascola dei frutticini allegati e per il deficiente sviluppo dei rimanenti, insieme con l'accartocciamento delle foglie, e con il deperimento generale della vegetazione. I sovesci e le sarchiature al terreno attenuano i danni, che nelle regioni meridionali sono frequenti e di tale efficienza da compromettere i raccolti.
Ai difetti del suolo e di coltura, con l'intervento altresì di agenti parassitarî, sono dovuti:
1. Il marciume delle radici, detto pinguedine dell'olivo, che si verifica nei terreni con umidità eccessiva o ristagnante, con putrefazione delle grosse radici aiutata da funghi, fra i quali la Rosellinia necatrix e l'Armillaria mellea, la quale si mostra sul ciocco con i ricettacoli che sono mangerecci detti chiodini o famigliole. L'asportazione delle radici colpite, l'aerazione dell'apparecchio radicale risanato, la ricopertura con terra sana mista a calce e lavori di fognatura atti a togliere la causa prima, l'eccesso di umidità, valgono spesso a evitare la morte della pianta e a favorire il ritorno alle funzionalità normali.
2. La carie o lupa, che si manifesta con alterazione di marciume secco del legno del fusto, dei grossi rami, del ciocco e delle radici grosse. È favorita dalle infiltrazioni dell'acqua attraverso le spaccature e ferite prodotte dai geli e dai tagli mal fatti, nonché dal sistema di moltiplicazione per ovoli, il legno dei quali presto ammarcisce e comunica l'alterazione al fusto e alle radici. Anche qui si ha l'intervento di funghi parassitarî (Poliporus fulvus var. oleae e altri a forma di placche giallo-brune) e di microrganismi (Rotiferi, Infusorî, Batterî, ecc.) che cooperano alla decomposizione del legno in ambiente umido. Si arresta il male con l'asportazione del legno guasto (v. sopra).
3. La rogna o tubercolosi, che si mostra sotto forma di rigonfiamenti cancrenosi tondeggianti sui rami giovani con languore generale della pianta, provocati da ferite e screpolature dell'epidermide, con fuoriuscita di umori per effetto dei geli, di percosse nell'abbacchiatura del frutto, della grandine, di potatura eccessiva o serotina e di eccesso di umori per concomitanza di questa e di concimazione abbondante azotata. Interviene l'azione di colonie di bacilli (Bacillus oleae). I rimedî sono in rapporto con le cause delle ferite e spesso d'azione preventiva diretta a evitarle. Comunque, quando un olivo è attaccato più o meno gravemente, occorre asportare i rami più piccoli e rinettare quelli più grossi dai tubercoli con ferri ben taglienti, spalmando sulla ferita una soluzione di solfato ferroso resa leggermente acida con aggiunta di acido solforico.
4. La melata, attribuibile alla magrezza eccessiva del suolo unita a poco buone condizioni fisiche, nonché a sbalzi repentini di temperatura nel cuore dell'estate fra il giorno e la notte, e che consiste in una secrezione abbondante di zuccheri riduttori, dall'aspetto di una vernice attaccaticcia, sulla lamina superiore delle foglie, cui succede l'attacco della fumaggine (v. sotto). Si consigliano frequenti lavori e concimazioni.
Tra i parassiti dannosi all'olivo ve ne sono di natura crittogamica e animale.
Fra i più comuni e importanti parassiti crittogamici si annoverano:
a) la fumaggine (Antennaria elaeophila), che è un piccolo fungo saprofita, il quale sotto forma di polverina color nero-fuliggine, si manifesta sulle foglie e sui rami dell'olivo ostacolandone le funzioni vegetative. In generale è preceduta e accompagnata da cocciniglie o dalla melata. È più comune sugli olivi nei luoghi bassi, umidi e a chioma folta poco aerata.
Rimedio efficace è una buona potatura che schiarisca la chioma; poi giovano trattamenti contro le cocciniglie (v. sotto).
b) L'occhio di pavone o cicloconio o vaiuolo (Cycloconium oleaginum), una delle più dannose crittogame endofite. E un fungillo resosi noto in tutte le plaghe oleifere sulla fine del secolo scorso, che attacca tutte le parti verdi della pianta. Sulle foglie si presenta sulla pagina superiore sotto forma di macchie anulari brune attorniate da un sottile alone giallastro all'esterno e talora anche all'interno, sì da rassomigliare all'occhio delle penne caudali del pavone, donde il suo nome volgare. Dopo breve comparsa di tali macchie, che rappresentano il micelio scorrente nello spessore della cuticola della lamina e i conidî capaci di diffondere la malattia, la foglia deperisce e finisce per cadere, sfogliando, negli attacchi intensi, quasi totalmente la pianta, rispettando generalmente solo i rami verticali, alti. Nella pagina inferiore resta sotto forma di polverina lungo la costola mediana e sul picciuolo, provocando del pari la caduta della foglia stessa, e così sui rami. Il rimedio consiste nelle irrorazioni preventive di poltiglia bordolese all'1% da somministrarsi in primavera, prima della fioritura, e in autunno tra la fine di agosto e di settembre. Generalmente questo secondo trattamento è il più efficace a impedire la diffusione e il germogliamento dei conidî, che si verifica fra le temperature optimum di 14° a 18°, mentre a 30° e 32° non si ha tale germogliamento ed è perciò inefficace e sconsigliabile l'unica irrorazione in luglio, che taluni olivicoltori praticano ritenendo di poter combattere l'attacco vecchio e quello nuovo, mentre riesce, rispettivamente, tardivo e troppo anticipato. Una buona concimazione a base di calce, perfosfato e potassa attenua gli effetti del grave malanno.
c) La brusca (Stictis Panizzei), vecchio malanno noto nei suoi effetti specialmente nella Penisola Salentina, fin dal 1600, e ai botanici dal 1842, il quale si mostra con intensità a periodi non brevi e generalmente nella regione suddetta, sotto forma di macchie color cuoio, dovute a un fungillo, sull'apice e sui margini delle foglie, diminuendone l'attività funzionale e provocandone la caduta. Il male si mostra qua e là in varie altre regioni sotto l'aspetto sporadico e spesso confondibile con le macchie dovute ad altre forme parassitarie (Coniothyrinum oleae, Phyllosticta insulana) deboli, ad azione discontinua. Non si conoscono rimedî specifici, ma si nota che ad attenuare gli attacchi della Stictis giova una buona coltura.
d) Diversi altri fungilli che attaccano pure le foglie, come la Phyllosticta oleae, sotto forma di macchioline circolari di secco confondibili con le punture del fleotripide (v. sotto), e i frutti, quali la Septoria olpaginea, l'Helminthosporium oleae, il Cylindrospormm olivae, il Macrophorum dalmatica, il Gloeosporium olivarum altri numerosi che, peraltro, raramente producono danni estesi e di grande rilievo.
Dei parassiti animali, numerosissimi nell'ordine degl'Insetti, fra i più comuni e dannosi sono:
a) Il fleotribo o punteruolo (Phloeotribus scarabeoides) e l'Ilesino (Hylesinus oleperda), due piccoli coleotteri, simili fra loro nell'aspetto, nericci e lunghi due millimetri circa, che danneggiano, il primo i rametti e le infiorescenze, scavando nicchie nell'ascella, dissugandoli, indebolendoli e disseccando i più teneri; il secondo, i rametti fruttiferi, con gallerie superficiali che li disseccano. Si combattono preventivamente ambedue con un'accurata e frequente potatura, sopprimendo i rametti disseccati e i rami più grossi deperenti, nonché quelli caduti sotto il taglio della potatura, i quali racchiudono la generazione nuova. Per il punteruolo, essendo i rami della potatura la sede della deposizione delle uova di prima generazione, la più importante per la diffusione, è consigliabile di lasciare fascetti di rami sull'impalcatura degli olivi, per servire da trappola, cioè da richiamo delle femmine per la deposizione delle uova, per asportarli appena si notano su di essi i bitorsoletti di rasura di legno spinta fuori dalle gallerie, bruciandoli subito o scottandoli al forno per distruggere la generazione nascitura dei punteruoli; mentre la soppressione dei rami deperenti sulla pianta preserva dalla deposizione delle u0va di seconda generazione.
b) Il fleotripide o pidocchio (Phlocotrips oltae), un tisanottero capace di produrre danni rilevanti, punzecchiando, deturpando e arrestando lo sviluppo delle tenere foglie, dei rametti e dei frutticini e in attacchi ripetuti e successivi compromettendo la vitalità della pianta. Rimedio preventivo si ha nella buona potatura, che allontana il punteruolo e la rogna che offrono lo svernamento al fleotripide; quello curativo dev'esser fatto alla comparsa dell'insetto, dall'aprile al maggio, irrorando la chioma con estratto di tabacco al 2 0 2,5%. La prima irrorazione si può abbinare con quella per il Cycloconium, aggiungendo l'estratto di tabacco alla poltiglia bordolese; ma ne potrà essere necessaria una seconda, più tardi.
c) Varie cocciniglie: la Phylippia oleae, la Saissetia oleae o mezzochicco di pepe o nuda, il pioccio o Pollinia pollini, facilmente riconoscibili per la forma e il rivestimento o meno, le quali dissugano in primavera ed estate le foglie ed i teneri rami, favorendo con la fuoruscita di linfa, la fumaggine e con le defecazioni dolciastre, la mosca olearia. Si combattono con soluzioni di soda caustica, nell'inverno per distruggere le uova attraverso il guscio delle madri, e quindi la prima generazione, e con altra o altre irrorazioni in primavera, con soluzioni diluite di soda all'1 o 1,5%, per colpire le cocciniglie schiuse e fissate sulla chioma. Si consigliano altresì le emulsioni saponose petrolee (sapone molle di potassa 2 kg., olio pesante di catrame 1/2 kg., ovvero catrame vegetale 1 kg., in 100 litri d'acqua).
d) La tignola (Prays oleaellus), una farfallina dalle ali cenerine, che fa più o meno gravi danni allo stato di larva, mangiucchiando prima le foglie, poi perforando i teneri fiori della migna e infine annidandosi nel nocciolo delle olive facendole poi cadere, nell'uscita. I rimedî efficaci si riducono all'irrorazione di liquidi con arseniato di piombo contro le tele con cui la seconda generazione involge la migna; e, come ausilio rispondente anche alla buona norma della raccolta razionale, la sollecita raccattatura delle olive ancora verdi, cadute nel settembre, e la scrollatura dei rami per distruggere, con l'immediata molitura, le larve prossime a uscire dal frutto.
e) La cotonella o bambagella (Psylla oleae), emittero che danneggia la mignola proteggendosi in un involucro cotonoso. Le piogge aiutano a disperdere l'involucro, da cui escono le larve dell'insetto.
f) La mosca olearia (Dacus oleae), il più temibile e dannoso dei parassiti animali dell'olivo. È un dittero un po' più piccolo della mosca domestica, con testa gialla, addome nero splendente, ventre fulvo-scuro, ali vitree. La femmina porta l'ovidutto per deporre le uova (un centinaio circa) sotto l'epidermide dell'oliva, nel mese di giugno, dalle quali schiudono le larve che scavano gallerie tortuose, nutrendosi della polpa oleosa e dando luogo ad altre generazioni di mosche, due o tre, dall'estate alla fine dell'autunno e dell'inverno, secondo il clima più o meno mite, arrecando non solo notevole diminuzione di olio, ma danneggiandone assai la qualità. Benché conosciuta nei suoi effetti da tempi remoti, solo da poco si sono acquistate utili cognizioni circa i suoi costumi e circa il modo di combatterla, che è basato sul fatto che la femmina prima di deporre le uova ha bisogno di un periodo di sosta, durante il quale cerca avidamente cibo costituito da sostanze zuccherine umide e che trova sull'olivo stesso nelle secrezioni provocate dalle cocciniglie, come già detto. Quindi si preparano delle miscele zuccherine artificiali (di melassa e acqua) contenenti un veleno, costituito da arseniato sodico (10 kg. di melassa, 300 grammi di arseniato e 90 di acqua), con cui si irrora una parte piccola di chioma allo scopo di uccidere la femmina prima che possa deporre le uova. Detto rimedio, se fatto trovare per tempo sulle piante e su larghe zone olivate, riesce efficace per salvare almeno l'80% delle olive.
g) Varî altri insetti di minore importanza e diffusione danneggiano in alcune regioni l'olivo rodendo foglie, scorza, rami e frutto, quali: il Rinchites cribripennis, detto nelle Puglie impropriamente punteruolo; l'Otiorinco (Othiorhyncus meridionalis), ecc., ai quali sono da aggiungerne altri ancora, che non sono proprî dell'olivo ma che lo danneggiano indirettamente (maggiolino, cantaride, mecino, ecc.).
Raccolta delle olive. - Allorché il frutto dell'olivo giunge a maturazione, si provvede alla raccolta. La maturazione delle olive si manifesta col cambiamento di colore dell'epicarpo, dal verde al rosso scuro, poi al nero lucido (in alcune varietà rare il colore verde si converte in bianco latteo o madreporico). I procedimenti in uso nelle varie regioni sono: la raccattatura, l'abbacchiatura e la brucatura. Il primo modo si pratica nelle grandi estensioni d'oliveti ove si attende che il frutto cada spontaneamente o per forze maggiori, come venti e temporali, o per guasti. Si hanno così le olive non a giusto grado di maturazione, né in condizioni d'integrità perfetta, per le ammaccature nella caduta. Inoltre, sopraggiungendo piogge, vengono imbrattate di terra, sul terreno previamente scortecciato per liberarlo dalle erbe e impedire la dispersione delle olive.
L'abbacchiatura, mentre fa contundere le olive gettate con forza a terra, danneggia la pianta troncando i teneri ramoscelli che dovranno fruttificare l'anno successivo e producendo lacerazioni e ferite ai rami più grossi, provocando la rogna.
La brucatura, o la coglitura a mano sulla pianta, è il miglior modo di raccolta per l'integrità delle olive e delle piante. Si effettua con l'ausilio di scale, di panieri o sacchetti e tendoni. Ma questo modo richiede piante non alte a chioma regolare, ben distribuita, e abbondante mano d'opera. Buona regola è di mettere a effetto la raccolta in modo graduale e misto. Si comincia con la raccattatura delle olive cadute per guasti, imperfezioni, ecc.; poi si procede a una lieve scrollatura dei grossi rami per eliminare dalle piante il frutto, che ben presto cadrebbe. Indi si effettua la brucatura e, se questa sarà resa impossibile, si procederà alla scuotitura, a più riprese, cioè a mezzo di uncini astati scuotendo i ramoscelli fruttiferi per far cadere sui tendoni distesi sotto la chioma il frutto già in grado inoltrato di maturazione (per cui il distacco dal ramoscello si rende agevole), non insistendo quando sotto le scosse moderate il frutto cesserà di cadere; ripetendo poi l'operazione, esaurita la passata a tutto l'oliveto, e così ancora una terza volta e più, fino allo scarico delle piante. Si evitano per tale modo le grandi cadute spontanee e per temporali, ecc., mentre il frutto è in condizioni buone per la resa e la qualità dell'oliva. La spesa degli scuotitori è compensata dalla sollecitudine del lavoro. Alla raccolta a terra sono adibite di preferenza le donne; i ragazzi e gli uomini s'impiegano per la brucatura e la scuotitura, perché più agili.
Considerazioni economiche. - L'olivo nella coltura specializzata, a seconda delle regioni e se si tratta di oliveti vecchi o di nuovi impianti, conta un numero di piante, per ogni ettaro di superficie, variabilissimo. Nell'Italia meridionale si va da 70 a 100, nei vecchi impianti, scendendo a 40 circa nei nuovi; al centro e al nord rispettivamente fino a 400 e più e a 150. Nella coltura promiscua si può calcolare detto numero a un terzo circa della coltura specializzata. La produzione media generale delle olive, secondo le ultime statistiche, sarebbe ridotta a q. 10 nella coltura specializzata e a q. 4 nella coltura promiscua, ma nella buona coltura le medie crescono assai fino a oltre il doppio.
Le spese colturali medie annue per ettaro specializzato, con una coltivazione mediocremente accurata, oscillano intorno alle 2000 lire e il reddito netto sulle 700 lire per ha., ma purtroppo se si possono aumentare, in casi di buona tenuta degli oliveti, tali cifre, per una larga parte di essi si discende a poco oltre la metà. Nella coltura promiscua, poiché le spese discendono per il fatto che l'olivo usufruisce dei lavori e concimi destinati alle piante associate, il reddito cresce alquanto.
Bibl.: A. Berlese, Entomologia agraria, Firenze 1915; L. Petri, Studi sulle malattie dell'olivo, Roma 1919; F. Francolini, Olivicoltura, in Nuova enciclopedia agraria italiana, Torino 1923 (con bibliografia); G. Azzi, Ecologia agraria, in Nuova enciclopedia agraria italiana, Torino 1928; F. Bracci, Le piante oleifere con particolare considerazione all'olivo, Pisa 1930.
L'olio d'oliva.
Costituisce uno degli elementi più importanti della produzione agricola, specie dei paesi olivicoli del bacino mediterraneo, sia dal lato della quantità sia da quello della qualità e del traffico commerciale.
Le statistiche dànno, per il 1928-32, una produzione mondiale media di q. 8.500.000 (v. tabella a p. 289).
L'olio d'oliva serve nella massima parte per usi commestibili e viene consumato per 3/4 circa negli stessi paesi produttori (in Spagna il consumo annuo di olio d'oliva per ogni abitante è di circa kg. 15, in Grecia di 12 e in Italia di poco meno di 6), mentre (all'infuori di alcuni stati dell'America Meridionale per i quali esso si calcola a circa 5 kg. per abitante) nei paesi non produttori, nel complesso, il consumo è limitato al 20% dell'intera produzione (da 1/3 a 1/7 di kg. per abitante all'incirca).
L'Italia, pur consumando meno olio d'oliva degli altri paesi produttori, non arriva con la produzione propria a colmare il suo fabbisogno per il consumo e per il commercio di esportazione. Per questo si rifornisce abbastanza largamente dagli altri paesi produttori e assorbe il 96% dell'esportazione della Turchia, il 75% della Tunisia, il 64% della Grecia, il 26% della Spagna; in massima parte con olî scadenti, lampanti da raffinare, che introduce in importazione temporanea e nei depositi franchi.
La media importazione degli anni 1927-30 fu di:
Nel commercio d'esportazione l'Italia, nel complesso, ha la superiorità su tutti gli altri paesi produttori. Rifornisce 65 mercati, dei quali i maggiori sono costituiti dai paesi dell'America nella proporzione media dell'89% della nostra esportazione (di cui 45% dall'Argentina, il 33,5 dagli Stati Uniti e il 10,5 dal Brasile), che nel periodo 1927-30 fu di q. 979.000, di cui 785.000 di olî commestibili e 196.000 di olî industriali; superiore di ben 146.000 quintali all'esportazione spagnola che ha, però, il vantaggio di fornire olio interamente nazionale, essendo pressoché nullo il suo commercio d'importazione di olio d'oliva. Negli anni dal 1931 in poi i dati dell'esportazione italiana non sono più confrontabili con quelli su indicati, mancando quelli del traffico dell'olio dei depositi franchi; peraltro sembrerebbe accennare a una minore attività.
Classificazione. - Gli olî di oliva si contradistinguono per i caratteri organolettici, per il modo di estrazione e per gli usi.
I caratteri organolettici, colore, odore e sapore, si può dire sono quelli di maggior valore nell'apprezzamento dell'olio d'oliva essenzialmente destinato per l'alimentazione umana. Per il colore si hanno: 1. olî di tinta più o meno carica dovuta all'abbondanza o meno di clorofilla, caratteristica di quelli ottenuti da olive immature, all'inizio della campagna olearia, ovvero degli olî ricavati dalla sansa al frullino, cioè lavati, o con solventi chimici; 2. olî di color gialloverdino, che corrisponde al color naturale prevalente; 3. olî paglierini, a tinta naturale attenuata; 4. olî bianchi, a colore più attenuato ancora o quasi nullo, i quali si ottengono da olive assai mature al termine della campagna olearia. Per l'odore e il sapore si hanno: 1. gli olî fruttati, che ricordano quelli dell'oliva fresca, cioè con aroma più o meno pronunziato e sapore amarognolo, che pizzicano nella gola, e generalmente corrispondono a olî verdi di pressione; 2. gli olî dolci, privi di aroma e di sapore, che non pizzicano nella gola, i quali corrispondono ai paglini e bianchi.
Mentre i fruttati sono naturali in tutto o in gran parte, i dolci possono essere olî raffinati e sono, oggi, preferiti dalla massa dei consumatori.
Per i modi di estrazione si distinguono: olî di pressione (1ª, 2ª e 3ª), ottenuti cioè con il processo ordinario meccanico dalla molitura e pressione, e olî d'estrazione, ottenuti con solventi chimici e al frullino dalle sanse (olî lavati, al solfuro o al trieline).
Per gli usi: a) olî commestibili; b) industriali; c) medicinali.
I primi (a) si dicono naturali se di pressione e non assoggettati a trattamenti chimici, e raffinati se sottoposti alla raffinazione (meglio si potrebbero chiamare rettificati).
L'olio d'oliva naturale è fra tutti gli olî commestibili il più indicato e apprezzato nel campo alimentare per la sua natura chimica e fisica, essendo molto ricco di trioleina e assomigliando più di ogni altro grasso, secondo gli studî recenti di S. Baglioni, a quello animale e umano. Per la sua grande fluidità, poi, si rende più emulsionabile col succo pancreatico-enterico e più aggredibile dai fermenti lipolitici che scindono i grassi neutri, rendendoli più facilmente assorbibili dalle cellule delle pareti intestinali. E reso ancora più facilmente digeribile possedendo altri elementi importantissimi per la nutrizione umana, anche se in piccole dosi o tracce, e cioè: le vitamine, fermenti, allo stato crudo, e sostanze aromatiche eccitanti l'appetito e le secrezioni digestive: elementi biochimici assenti negli altri olî non naturali (raffinati) e in quelli di semi per le operazioni chimiche cui vengono assoggettati nella raffinazione, ecc.
Gli olî d'oliva commestibili negli usi commerciali vengono classificati in base alla degustazione, mezzo a carattere soggettivo, instabile e non facilmente controllabile, più comunemente in: extra, finissimi, fini, mangiabili correnti, raffinati, di sansa, ecc.; categorie troppo numerose e che potrebbero essere ridotte e meglio disciplinate in base a caratteri oggettivi, possibilmente, anche per rendere più agevole e sicura la vigilanza contro le frodi, per le quali sono stati in tempi successivi emanati dal governo provvedimenti legislativi variabili a carattere di crescente severità e che si studia ora opportunamente di coordinare.
Gli usi industriali dell'olio d'oliva sono ormai resi assai limitati in seguito ai numerosi surrogati, mentre prima esso era largamente impiegato, per la saponeria e per la lubrificazione; poco del pari, e solo nei casolari solitarî distanti dai paesi, è usato per ardere, ecc.
L'olio d'oliva per usi terapeuaci è stato impiegato fino dai tempi remoti, ma in modo empirico e con risultati non sempre rispondenti, e ora è in via di larga diffusione e in rispondenza alle moderne conoscenze dell'arte medica e dell'igiene (v. sotto).
Sofisticazioni. - Oggetto di sofisticazioni con olio di semi, l'olio d'oliva è protetto dalle leggi all'interno del regno ma non così all'estero dove, insieme con il danno economico, si fa quello del buon nome. Così succede in America, negli Stati Uniti soprattutto, ove produttori d'olio di cotone si sono riuniti in associazione per denigrare l'olio di oliva a favore di quello che per tale stato oggetto di forte produzione. In Italia non è ammessa la vendita delle miscele di olio d'oliva, gli altri olî debbono essere dichiarati e i recipienti che li contengono debbono portare l'indicazione della loro natura su cartelli ben visibili. Gli olî di semi diversi dal sesamo e quelli raffinati provenienti dalla lavorazione delle sanse con i solventi, debbono essere addizionati col 5% di olio di sesamo a reazione caratteristica. Quelli alterati, rancidi e con più del 4% di acidità totale, sono considerati non commestibili.
Un servizio di vigilanza contro le frodi dell'olio d'oliva è affidato a numerosi istituti e laboratorî chimici alla dipendenza di varî ministeri, delle provincie e dei comuni, e forti multe sono comminate ai contravventori.
Industria estrattiva. - L'industria dell'estrazione dell'olio dai frutti e dai semi delle piante oleifere è generalmente indicata col termine di oleificio, lo stesso che si adopera in senso più ristretto per indicare il locale in cui si svolgono le operazioni dell'estrazione e l'insieme delle norme che regolano le operazioni stesse.
L'oleificio, inteso nel primo senso, costituisce un'importante attività agricola e industriale in numerosi paesi del mondo antico e nuovo, ove le piante che forniscono la materia prima, frutti e semi, sono largamente coltivate e sfruttate. E tale importanza deriva non solo dal suo compito normale dell'asportazione dell'olio dai frutti e dai semi con mezzi e processi meccanici e dalle operazioni successive cui vengono sottoposti i residui solidi dei frutti e semi medesimi per esaurirli, con altri mezzi, più specialmente chimici, di quella piccola porzione, però non trascurabile, di materia grassa rimanente; ma altresì da una serie di attività tecniche ed economiche in stretto rapporto con l'industria oleicola, quali: la raffinazione degli olî difettosi di prima estrazione e dei residui; la fabbricazione dei saponi; il confezionamento degli oli per uso terapeutico, per la lubrificazione, ecc.; la preparazione dei panelli per l'alimentazione del bestiame, la distillazione secca delle sanse esauste e dei noccioli; e di riflesso: la costruzione degli ordegni, utensili e apparecchi speciali per l'estrazione degli olî e la lavorazione dei residui, cui attendono numerose officine meccaniche grandi e piccole; la preparazione degl'imballaggi dell'olio per le spedizioni all'interno e all'estero, ecc.
Con le predette attività l'oleificio dà impiego a periodi o in modo fisso a un'ingente massa d'operai. In Italia vengono impiegati: nella raccolta delle olive (media annua di 13.000.000 di quintali), all'infuori del largo contributo delle famiglie coloniche, non meno di 400.000 opere fra uomini, ragazzi e donne (queste ultime in grande prevalenza) per un periodo di tre mesi e più; nel lavoro degli oleifici (valutati intorno a 10.000), per lo stesso periodo, oltre 20.000 frantoiani, esclusa l'opera dei coloni, e a poco meno si può calcolare il numero degli operai nei frullini, sansifici, nelle raffinerie, ecc., per un buon periodo dell'anno. Se si considera poi che la produzione delle olive e dell'olio in Italia rappresenta circa una quarta parte di quella mondiale e se si aggiunge l'attività riferibile all'estrazione degli olî di semi, la cui produzione mondiale sale a oltre il decuplo di quella delle olive, e senza contare le attività di riflesso predette, è facile confermare l'imponenza del contributo economico derivante dall'esercizio dell'oleificio. I semi oleosi, però, sono di produzione essenzialmente dei paesi extraeuropei e oggetto d'importazione in quelli europei, e l'estrazione dell'olio relativo in questi ultimi, e particolarmente in Italia, assume un carattere più industriale che rurale. E per quanto i procedimenti per l'estrazione dai semi non si differenzino assai da quelli in uso per le olive, si ritiene opportuno procedere nella trattazione dell'estrazione dagli uni e dalle altre separatamente.
Estrazione dell'olio dalle olive. - Le operazioni per questo scopo sono, in ordine di successione: quelle preliminari della raccolta, del trasporto ai locali dell'oleificio e della conservazione delle olive dalla cui buona esecuzione dipende in gran parte la bontà dell'olio da ricavare; e quelle dell'estrazione vera e propria, e cioè: la molitura e la pressione delle olive stesse, la separazione dell'olio dall'acqua di vegetazione e la purificazione. Fanno seguito quelle relative all'immagazzinamento e conservazione dell'olio e all'utilizzazione dei residui dell'estrazione.
Il trasporto delle olive dall'oliveto all'oleificio viene prevalentemente fatto a mezzo di sacchi a schiena di animali o sui carri con il grave inconveniente del maltrattamento delle olive per le ammaccature e lo schiacciamento che subiscono nel viaggio, e spesso con la perdita di una parte dell'olio. Dev'essere invece effettuato sempre a mezzo di recipienti a pareti solide come: bigonci, cestini o cassette, che preservino le olive dagli urti esterni facendole giungere all'oleificio intatte e in buono stato di conservazione. Le olive nella raccolta sono quasi sempre accompagnate da foglie e altri materiali estranei (zollette, sassolini, ecc.) e spesso sono imbrattate di terra se dopo la caduta sopraggiunge la pioggia. Esse debbono essere liberate da tali materiali, con la mondatura e nell'ultimo caso con la lavatura, poiché la presenza della foglia nella macinazione dà all'olio un gusto amaro e un color verde carico che deprezza l'olio stesso, e le olive interrate dànno luogo a olio scadente.
La mondatura si effettua con dei comuni crivi a mano, come per i cereali, e con mondatoi speciali formati da un telaio a forma pentagonale allungata con fondo di listerelle di legno, distanziate in modo da non permettere il passaggio delle olive, e con apertura fra i due lati concorrenti più corti, che si dispone su due cavalletti in piano inclinato (fig.1). Le olive da liberare dalle foglie e da altri materiali vengono dalla parte più alta accompagnateverso l'apertura del telaio rimovendole e in tale movimento le foglie, mettendosi di taglio, cadono fra le stecche.
La lavatura delle olive imbrattate di terra (che deprezza notevolmente la qualità dell'olio) si può effettuare con mezzi semplici, in acqua corrente, o meglio con lavatrici manovrate a mano o azionate da motori (fig. 2).
Nella conservazione delle olive che giungono dall'oliveto fino all'atto dell'estrazione, purtroppo si usa ancora di stratificare le olive stesse sui solai per una altezza di oltre 50 cm. a più di un metro e in vasche più o meno ampie e profonde per varî giorni, in attesa di disporre del macchinario dell'estrazione. Ciò dà luogo a riscaldamento e fermentazione delle olive, con alterazione più o meno spinta dei gliceridi, che si scindono negli acidi grassi e glicerina, e con ossidazione successiva dei medesimi, dando luogo a ossiacidi, aldeidi, ecc.; ad azione saponificante, per gli agenti emulsivi lipolitici, e putrida degli albuminoidi, delle mucillaggini, dei carboidrati in genere, con formazione di prodotti ammoniacali volatili, anidride carbonica, favorita da microrganismi varî. Si sono escogitati differenti metodi di conservare le olive per evitare deterioramenti, quali: la conservazione in acqua semplice o in acqua salata, o spargendo a strati del sale allo stato naturale; la frigerazione in celle frigorifere; la suffumigazione con anidride solforosa, bruciando zolfo nell'ambiente di deposito (olivaio); ma, per una ragione o per l'altra, tali procedimenti non si sono all'atto pratico mostrati efficaci, né di attuabilità conveniente. I mezzi consigliabili e praticati nelle zone e negli oleifici più progrediti consistono nel tenere le olive distese su leggiero strato da 10 a 15 cm. sui solai o pavimenti o su castelli di tavolati o di cannicci o, meglio ancora, su cannicci mobili intelaiati sovrapponibili (fig. 3) che sono agevolmente manovrabili per avere ai quattro spigoli dei piedini che poggiano sulle teste di quelli dei cannicci sottostanti. Sovrapponendone sei delle dimensioni di m. 1,50 per 0,75 e con orlo alto 15 cm., si possono conservare per varî giorni circa 10 hl. di olive, le quali sono aerate anche dal fondo di canne. Con tale sistema si risparmia altresì molto spazio e si rende agevole e sollecito nell'olivaio lo scarico delle olive nella tramoggia che deve condurle ai sottostanti ordegni frangenti.
Locali dell'oleificio. - Oltre al magazzino di conservazione delle olive od olivaio, in un oleificio di una certa entità di lavoro e a carattere moderno, quale si richiede oggi per la preparazione di un prodotto di largo consumo per l'alimentazione dell'uomo, occorrono ambienti varî separati, opportunamente disposti per la molitura e la pressione delle olive, per la raccolta, separazione, chiarificazione e conservazione dell'olio, per i motori, per le acque di vegetazione, per deposito dei residui solidi, ecc. Il fabbricato che accoglie tali ambienti, dev'essere possibilmente ubicato in prossimità degli oliveti, su una buona strada rotabile, e deve essere fornito di acqua potabile. Esso è di solito a due piani; il piano superiore è costituito dall'olivaio che occupa tutta l'area degli altri locali situati a pian terreno (fig. 4). Questa disposizione dev'essere sempre preferita perché rispondente sia dal lato tecnico, per la migliore aerazione delle olive e per la facilità di farle discendere direttamente nei frantoi, sia dal lato economico, in quanto, mentre l'olivaio si ottiene con la semplice elevazione di m. 2 a 2,50 dei muri perimetrali alla gronda, si ha risparmio di area e di copertura di tetto e il pavimento fa da soffitto agli ambienti di sotto, i quali debbono essere protetti. Nelle regioni a temperatura mite o più calde l'olivaio si può ridurre a una terrazza coperta o anche scoperta. È bene che il pavimento sia impermeabile (gettata di cemento) e che vi si possa piazzare la lavatrice delle olive. Esso deve essere munito di numerose finestre ampie con telaio a rete fitta e imposte rustiche o a vetrata. Generalmente, e specie con l'uso dei cannicci sovrapponibili, non fa difetto lo spazio e occorrendo si può ritagliare dall'olivaio una porzione da adibire a dormitorio per gli operai e per il custode.
Il frantoio o laboratorio delle olive, è l'ambiente più importante perché contiene le macchine principali per l'estrazione dell'olio. Condizioni essenziali sono: ubicazione preferibilmente non a nord; ampie porte e finestre a vetrata per il facile accesso del macchinario e larga illuminazione ed aerazione; pavimentazione di materiali impermeabili e lavabili (gettata in cemento o lastricato), con apposita pendenza per lo smaltimento delle acque di lavaggio; soffitto alto non meno di m. 3,50 a 4, ben solido per sostenere il peso delle olive del soprastante olivaio; muri stuccati a cemento o rivestiti fino a due metri da terra di mattonelle. Per una più comoda e automatica effettuazione della raccolta del liquido oleoso che cola dagli ordegni prementi e la separazione dell'olio dall'acqua di vegetazione, è conveniente che una porzione del frantoio sia da un lato più bassa di almeno m. 1 a 1,50, per potervi collocare i sottini e gli apparecchi separatori. Se ciò non possa essere conseguito con la scelta di un'area in pendenza, si pratica una fossa della profondità suddetta, larga almeno due metri. Interessante è di poter fare accedere l'acqua di vegetazione, scaricata dal fondo dei sottini o dei separatori, all'inferno o per dislivello naturale o mediante opportuno provvedimento sempre possibile. La superficie di questo ambiente è in relazione alla quantità di lavoro e all'orario giornaliero e quindi allo spazio occupato dalla specie e dal numero degli ordegni necessarî. Come dato di massima, si calcola un metro quadrato per ogni quintale di olive da lavorare con orario continuato e poco meno del doppio con orario semplice.
Il chiaritoio è l'ambiente dove l'olio appena raccolto e ancora più o meno torbidiccio (mosto) si assoggetta alla chiarificazione. Deve essere attiguo al frantoio e come quello non a tramontana, bene illuminato, aerato e pavimentato come il precedente, e mantenuto a una temperatura non inferiore a 12°, né superiore ai 15°-16°, affinché l'olio non s'ispessisca per principio di congelamento il che rende difficile la deposizione dei materiali sospesi in esso. La superficie di questo locale è all'incirca da un terzo a una metà di quella del precedente.
Il magazzino dell'olio od oliario, detto anche orciaio o coppaio, serve alla conservazione dell'olio. È bene che sia esposto a nord o contornato da altri locali per proteggerlo dall'elevamento della temperatura oltre i 20° nell'estate, che presenti luce moderata ma buona aerazione e pavimentazione come i precedenti. Trattandosi di grandi produzioni e quando si usino cisterne sotterranee, il vano soprastante a queste può essere utilizzato per chiaritoio. La superficie è regolata dal prodotto da conservare e dall'uso o meno delle cisterne sotterranee. I dati di massima sono all'incirca come per il frantoio.
Dei locali secondarî sono da rilevare: 1, quello per il motore, che varia con la specie di esso. Se è animato o a bestia o a sangue, come spesso si dice, dev'essere separato, a fianco del frantoio, per evitare ingombro e cattivi odori nel frantoio stesso, e il movimento è trasmesso mediante maneggio. È un ambiente rustico, nei climi caldi ridotto a una semplice tettoia; spazio minimo m. 7 × 7. Se è inanimato a tipo idraulico, a ruote o turbine, può essere omesso perché esterno o sotterraneo; se elettrico, può essere piazzato nello stesso locale del frantoio o comunque in un piccolo stanzino attiguo; se è a vapore o a scoppio, richiede un ambiente più proporzionato alla specie del motore stesso, che nel primo caso è generalmente la locomobile usata nell'azienda per la trebbiatura dei cereali o il trattore. Si deve provvedere in ogni modo anche a una buona sfuggita all'esterno dei gas prodotti dalla combustione, nocivi all'olio. 2. Quello per il deposito della sansa, detto sansaio, il quale dev'essere prossimo, di fianco o di seguito, al frantoio, cui può essere collegato nei grandi oleifici a mezzo di un binario per lo scorrimento di un carrello portante le gabbie e i fiscoli a vuotare, mentre nelle piccole e medie lavorazioni può essere ridotto a una semplice tettoia attigua; proporzionando le dimensioni al quantitativo della sansa prodotta giornalmente e al numero medio dei giorni di permanenza nell'oleificio. 3. L'inferno, detto altrimenti purgatorio, sentina, ecc. (fig. 5), costituito da due o più vasche generalmente scavate nella parte più bassa del fabbricato e in comunicazione l'una con l'altra mediante uno sfioratore aperto presso il fondo della prima che riceve l'acqua grassa dal separatoio e che immette nella parte superiore, attraverso la parete di divisione, nella seconda e così, se ve n'é, in una terza, ecc., per poi defluire a mezzo di un canaletto in una fossa o in una fogna atta a disperderla a valle, liberata da tracce di gocciolette oleose. Di solito bastano due vasche, di cui la prima di capacità tripla circa della seconda; con l'uso della centrifuga le dimensioni delle vasche possono essere ridotte.
È interessante osservare quanto s'è detto sull'automaticità del deflusso delle acque dal separatore all'inferno. Oggi poi non bisogna trascurare quanto riguarda: il fornello per il riscaldamento delle acque, per i bisogni della lavorazione, soprattutto per la nettezza dei locali e degli ordegni varî, ecc.; la cucina degli operai, che è bene sia appartata, come purtroppo non è negli oleifici antiquati, per evitare fumo ed emanazioni negli ambienti, nocivi all'olio in via d'estrazione e dopo; tutti gli altri accessorî per l'accurata pulizia e l'igiene di tutto l'ambiente, e le comodità necessarie, specie per una lavorazione d'una certa entità. Né deve essere dimenticato il lato economico nella costruzione di tutto il fabbricato, il quale, insieme con l'attrezzamento, viene utilizzato soltanto per un periodo breve, spesso brevissimo, dell'anno, pesando con le spese fortemente sul bilancio dell'azienda agraria; mantenendosi nei limiti delle strette, ma scrupolose, esigenze della tecnica olearia moderna, evitando ogni lusso non necessario.
Attrezzamento. - Per l'estrazione dell'olio d'oliva occorrono, a parte i motori, ordegni frangenti e prementi, utensili, apparecchi e materiali varî.
Gli ordegni frangenti moderni, tralasciando quelli antiquati che sono andati e vanno scomparendo di continuo, sono in primo posto ancora i frantoi a macelli, a macine per lo più multiple, 2 a 3, di pietra dura (granito, macigno, arenaria e anche di calcare), di forma cilindrica, di diametro spesso variabile da m. 1 × 0,20 a m. 1,40 × 0,40, ruotanti verticalmente con moto di rivoluzione e traslazione sopra un fondello orizzontale della stessa pietra delle macine, ampio, limitato da orlo di ghisa o di lamiera di ferro, talora di muratura, alto 40 a 50 cm. e inclinato di circa 45° (pila). Le macine multiple sono disposte sulla pila in modo da non percorrere la stessa pista per allargare la superficie triturante e affrettare il lavoro e sono munite di palette e coltelli (servitori) di forma e inclinazione atta a riportare sotto il passaggio delle macine le olive e la pasta che sfuggono a ogni giro verso l'orlo e verso il mezzo della pila e rinettare lo scalzo delle macine dalla pasta che vi aderisce. Lo scarico si effettua a mezzo di uno sportello praticato sull'orlo. Il movimento può essere a bestia o a motore inanimato (fig. 6). In quest'ultimo caso è circa tre volte più rapido (12 a 13 giri al minuto). La pasta si raccoglie dallo sportello (boccaio) in apposita cassa fissa, o meglio mobile (madia), su ruote, per essere trasportata presso i torchi. Altri apparecchi frangenti che hanno conquistato e vanno conquistando la pratica al posto degli svariati frantoi a cilindri non bene rispondenti per il lavoro delle olive sono i frantumatori o frantoietti. Uno dei primi diffusi è quello a lamine Bracci (fig. 7).
Consta di un cilindro orizzontale mobile (battitore) portante sul suo contorno delle lamine d'acciaio a spigoli taglienti disposte trasversalmente con un risalto fra loro di circa 2 a 2,5 mm. e di una calotta (controbattitore) che attornia per metà il battitore a una distanza che può variare a volontà a mezzo di tiranti, comandati da due volantini, e portanti nella faccia interna pure delle lamine disposte trasversalmente come quella del battitore. Le olive da un apposito imbuto regolatore vengono trascinate fra il battitore e il controbattitore e frantumate fra gli spigoli o coltelli delle lamine, più o meno in ragione della distanza maggiore o minore dei due pezzi, e la pasta cade al disotto nella cassa o madia. Un pettine rinettatore pulisce i contorni del battitore. Dovendo essere rapido il movimento del battitore (180 a 100 giri al minuto), occorre un motore inanimato; il lavoro unitario è elevato: esso può essere, nel tipo di misura normale e per rottura tale da poter ricavare dalla pasta oltre una buona metà d'olio di prima pressione, da 6 a 8 q. di olive all'ora e in un tipo più grande fino a 12 q. e più. L'apparecchio è, di regola, destinato a un lavoro di primo infrangimento, ma in caso di oleifici di poca entità potrebbe servire anche per una seconda frangitura della pasta torchiata, restringendo lo spazio fra battitore e controbattitore. Per questo è da preferire l'alimentazione a forma di tramoggia che porta nel fondo un naspo che regola la discesa fra i due pezzi operatori della pasta alquanto molle.
Altri tipi un po' diversi sono venuti di recente per il lavoro di primo infrangimento (frangitore Breda, frantoietto Pignone) e tutti tendono a rendere più sollecito e più economico il lavoro di molitura delle olive, nonché a risparmiare sul costo del macchinario e sul consumo di forza motrice, ridotta a oltre la metà rispetto ai frantoi a macelli.
Infine è da ricordare che si sta attualmente (1934) sperimentando in Italia la sostituzione dei frantoi su ricordati con un altro congegno diverso (frantoio Lignotero-Galardi); mentre in Spagna sono diffusi i frantoi a rulli di pietre e da qualche anno esiste un apparecchio per l'estrazione dell'olio dalla sola polpa (Acapuco) basato sulla spolpatura delle olive e sulla differenza di tensione superficiale dell'olio e dell'acqua di vegetazione, a lavoro interamente automatico, per il quale in Italia le prove non hanno dato soddisfacenti risultati (benché ancora ne esista in esperimento qualche esemplare).
Gli ordegni prementi sono di due categorie e cioè: a vite e idraulici. Torchi a vite o strettoi si trovano ancora, in non pochi oleifici antichi, di legno o di ferro, isolati o disposti in batteria, azionati a braccia di uomo a mezzo di una stanga robusta di legno, direttamente o col tramite di un argano verticale, Lon applicazione della stanga stessa alternativamente a due fori normali della testa della vite, ovvero in un portastanghe al lato della testa stessa che mercé un saltarello o cricco riporta la stanga all'inizio della corsa senza rimuoverla dalla vite e senza sforzo come nel primo caso. Questi due tipi vengono però oggi sostituiti dai torchi a leva multipla (fig. 8), costruiti tutti in ferro, nei quali la leva, azionata a braccia di uomo, a mezzo di una forca con due salterelli manovranti su un piatto applicato alla testa della vite, permette il funzionamento utile sia nell'andata sia nel ritorno, presentando altresì il vantaggio di ottenere sforzi di pressione assai superiore e minore ingombro del locale per essere la leva assai più corta. Se ne hanno altresì a ingranaggi, azionati a braccia d'uomo o a forza inanimata, di diversi tipi, a seconda delle case costruttrici, nei quali il movimento della vite si ottiene attraverso ingranaggi a denti o elicoidali, con aumento però di attriti.
Tutti i torchi a vite sono a due o tre o quattro colonne e di diametri di viti, di piatti e di altezza utile variabili, per dare maggiore o minore pressione.
Nella categoria dei torchi idraulici o presse, la meccanica olearia ha fatto recentemente notevoli progressi. Si hanno presse per fiscoli come nel caso dei torchi a vite e per gabbie di ferro. Per il diverso principio del funzionamento, con minore perdita di attriti, si hanno sforzi utili più rilevanti assai che nei torchi a uite, mentre occupano uno spazio minore: sono perciò da preferirsi a questi ultimi ove si disponga di forza motrice inanimata con cui azionare le pompe alimentatrici che in genere non conviene azionare a braccia d'uomo. Ora l'uso dei fiscoli di vegetale nelle presse, essendo stato risolto il problema della minore superficie di scolamento delle gabbie di ferro con l'aumento di fori o con altre disposizioni recenti che permettono l'adozione delle gabbie stesse anche nelle prime pressioni, va sempre più restringendosi, data la spesa annuale non indifferente del consumo di essi, a parte la maggiore facilità del carico nelle gabbie per l'eliminazione delle difficoltà inerenti al mantenimento della verticalità della torre dei fiscoli sotto la pressione, ecc.
Anche le presse idrauliche sono a varie colonne, isolate o in batterie. Nel primo caso quelle a gabbie sono fornite generalmente di due gabbie che si spostano su due pezzi di binario a destra e sinistra o ruotano intorno a una colonna a revolver per il carico, lo scarico e l'alternanza sotto la pressione, ottenendosi con ciò guadagno di tempo.
Nel caso della batteria il servizio delle gabbie viene fatto a mezzo di un carrello fornito di binarietto trasversale che si sposta lungo la batteria portandosi dinnanzi a ciascuna pressa fornita sul suo piatto di binarietto corrispondente (figg. 9-11).
Le pompe che azionano le presse sono a uno o più corpi: aspiranti e prementi, se aspirano l'acqua dalla cassa su cui sono piazzate, verticalmente od orizzontalmente, o soltanto prementi, se l'acqua da spingere nel corpo delle presse scende da un deposito sovrastante, staccato. Ve ne sono di quelli che servono per la bassa pressione, per avviare il funzionamento delle presse sollecitamente, e per l'alta pressione. Talora sullo stesso castello della pompa si trovano i corpi ad alta pressione nel numero corrispondente a quello delle presse e uno a bassa pressione, combinato con sistema speciale di robinetteria, da servire alternativamente per tutte le presse, dato che il funzionamento di quest'ultimo è limitato a un breve tempo e di solito automaticamente cessa a 50 atmosfere. Altre pompe più moderne sono a doppio corpo. In tutte poi la pressione massima o regtilata da valvole di sicurezza onde non venga a provocare le rotture dei corpi di pressa.
In qualche grande oleificio a presse numerose si adotta il sistema dell'accumulatore, che per altro non è preferito, potendo un guasto di esso arrestare il funzionamento di tutte le presse.
Per la raccolta del liquido che esce sotto la pressione dei torchi e per la separazione dell'olio si usano nei comuni e antiquati oleifici recipienti formati da bigonci di legno oppure da conche di terracotta, situati per lo più in una buca davanti ai torchi, coperta da una cateratta di legno, e negli oleifici moderni o rimodernati apparecchi detti separatori automatici e centrifughi.
Fra i separatori automatici, il più pratico e diffuso è quello Bracci (fig. 12) di costruzione e d'uso semplici, senza concorso di forza motrice ed economico.
È basato sull'azione combinata della differenza di densità dell'olio dall'acqua di vegetazione, sulla pressione idrostatica e sui vasi comunicanti. Consta: a) di un primo cilindro verticale di banda stagnato aperto nella parte superiore e munito di un tubo laterale partente dal fondo per lo scarico dell'acqua; b) di un secondo cilindro interno consimile aperto da ambo le parti e munito di un imbuto rovescio saldato internamente nella parte superiore e aperto all'estremità per l'uscita dell'olio, che viene raccolto nello spazio compreso fra la parte conica e cilindrica e condotto all'esterno mediante un cannello e un robinetto attraversante la parete del primo cilindro; c) di un imbuto largo, dritto, a collo sottile forato all'estremità, passante entro l'imbuto rovescio e terminante a una certa distanza dal fondo del primo cilindro che riceve il liquido oleoso che scende dai torchi e che mediante un setaccio è libetato dai materiali solidi. L'apparecchio è riempito d'acqua fino allo sfioratoio e il liquido oleoso che zampilla dai fori dell'imbuto conduttore, per l'azione suaccennata, viene a sceverarsi dalle gocciolette oleose che salgono rapidamente traverso la colonna d'acqua del cilindro interno e traboccano nel deposito, e da questo defluisce, appena raggiunto il livello del cannello aperto superiore, all'esterno; mentre l'acqua di vegetazione si scarica dallo sfioratoio laterale a un livello più basso di quello dell'olio. Il robinetto inferiore serve per scaricare in fine di lavoro, di partita, l'olio meno limpido che rimane sotto il cannello aperto e nella parte estrema dell'imbuto rovescio (con aggiunta di acqua al fondo dell'apparecchio). L'acqua di vegetazione si scarica dal fondo da un apposito foro chiuso da un tappo a vite e, svitando il cannello e il robinetto superiore, si smonta tutto l'apparecchio per la pulizia quando occorra, da un giorno all'altro. L'olio, senza restare a contatto con l'acqua morchiosa che lo pregiudica, si raccoglie abbastanza limpido, scevro d'acqua di vegetazione che, potendo contenere una minima porzione di gocciolette oleose intimamente emulsionate, prima di essere mandata all'inferno, può venire liberata da gran parte di esse facendola passare prima da una vaschetta a sfioratoio.
I separatori centrifughi (fig. 13) di adozione recentissima, sono basati sullo stesso principio delle scrematrici del latte, cui assomigliano, e oggi se ne hanno di diverse case tutte straniere (Hignette, De-Laval, Lanz, Westfalia, ecc.) con poche differenze di particolari e in concorrenza fra loro.
Con questi apparecchi la separazione dell'olio avviene meccanicamente e si può dire totalmente e, specie per i grandi oleifici, si è resa sollecita una delle operazioni alla quale era da attribnirsi non poco carico sulla qualità dell'olio, specie se applicata senza separatori automatici. Si studiano ancora dei perfezionamenti ulteriori e il modo di ridurne il costo elevato e non alla portata di tutti i produttori medî e piccoli, per la grande maggioranza dei quali, a parte la questione economica, rimane sempre la difficoltà dell'azionamento, essendo necesssario per il funzionamento del separatore disporre di forza motrice inanimata.
Procedimenti d'estrazione. - Per ricavare l'olio contenuto nella polpa (mesocarpo) dell'oliva e in piccola parte nella mandorla, si seguon0 processi meccanici impiegando gli ordegni e gli utensili su descritti. Le olive variano assai nel contenuto di polpa, di nocciolo, quindi di acqua, olio e tessuto solido, in ragione delle varietà del clima, del terreno, delle cure colturali e del decorso più o meno favorevole delle condizioni meteoriche e parassitarie. Come grande media si hanno per le olive da olio (cioè a parte quelle cosiddette eduli che si destinano per consumo diretto confezionate in salamoia o essiccate) le seguenti proporzioni:
Con l'estrazione meccanica negli oleifici l'olio che si ricava è l'80-85% di quello effettivamente contenuto. Il processo meccanico odierno dell'estrazione consta di tre operazioni: molitura o frangitura delle olive, pressione della pasta, separazione dell'olio.
La molitura si effettua nei comuni oleifici nei frantoi a macelli, o con questi preceduti da frantumatori nella maggior parte degli oleifici moderni e rimodernati; la pressione o torchiatura, con i torchi a vite a fiscoli e i torchi idraulici a fiscoli o, più generalmente, a gabbie di ferro. La doppia molitura con due corrispondenti pressioni corrisponde al procedimento più conveniente, sia dal lato del maggior rendimento sia da quello della migliore qualità dell'olio; l'unica molitura fondo, usata nei grandi oleifici a tipo antico, rende difficoltose le due pressioni che seguono per la soverchia fluidità della pasta, e la terza molitura e pressione, che talora si pratica negli oleifici di piccola entità, se le due operazioni precedenti sono condotte bene, non compensa le spese e richiede troppo tempo.
Il lavoro s'inizia con la prima molitura, non troppo spinta, col frantoio a macelli, meglio con i frantumatori; quindi la pasta si ingabbia entro i fiscoli di giunco o le gabbie di ferro distribuendola uniformemente nei primi, suddividendola in strati leggieri a mezzo di dischi o tramezzi di cocco o di crine nelle seconde, effettuando la prima pressione in torchi di moderata forza e con lentezza, impiegando in media un'ora o poco più. La pasta pressata, che si riduce all'incirca del 40-50% di peso, si scarica nelle madie e si rimolisce nei frantoi a macelli, triturandola ulteriormente, ma senza esagerare, in quanto i detriti di nocciolo formano un drenaggio utile per facilitare l'uscita dell'olio. Si fa il caricamento come prima in fiscoli più resistenti (di cocco o di manilla) o nelle gabbie di ferro per la 2ª pressione, prolungando alquanto di più la durata di essa e, se sono presse idrauliche, iniziando la pressione con corpi di pompa a bassa pressione. Nella prima pressione si ricava dalla metà a due terzi dell'olio e il resto si ottiene dalla seconda torchiatura: nel complesso dal 18 al 22% in peso; il residuo solido, detto sansa, è circa il 40% in peso delle olive lavorate. Perché il diagramma del lavoro si compia con regolarità e sollecitudine, è necessario che l'attrezzamento degli ordegni frangenti sia in rapporto studiato di numero e di capacità con i torchi e fra i torchi di prima e di seconda pressione.
L'altra operazione della separazione dell'olio, negli oleifici antiquati viene praticata a mano a mezzo di scodelle fonde e piane dette nappi, previo riposo di qualche ora, per affioramento nei sottini; negli oleifici moderni si effettua a mezzo dei separatori automatici e centrifughi. La separazione con i centrifughi può essere convenientemente accoppiata con quelli automatici, riducendo il lavoro dei primi, aumentandone il rendimento orario, rendendo meno frequente lo smontaggio per la pulizia e permettendo l'uso di apparecchi di minore potenza e insieme di minor costo. Mentre, d'altra parte, con i separatori automatici - salvo casi di mosti oleosi molto densi - si ricava oltre la metà di olio abbastanza limpido o che diviene tale dopo una sollecita chiarificazione, senza aerazione, schiuma né aspetto velato, che si prolunga spesso assai.
Chiarificazione. - L'olio appena separato dall'acqua di vegetazione si presenta più o meno torbidiccio per la presenza di materiali sospesi (detriti di polpa, di nocciolo, di mandorla, ecc.), che debbono essere eliminati con la chiarificazione; la quale si effettua comunemente con riposi e decantazioni, in numero di 2 a 3, a distanza fra loro. Il primo travaso si fa entro le 24 ore; il secondo dopo tre o quattro giorni dal primo e il terzo, se occorre, dopo 6 o 7 giorni dal secondo. I travasi si fanno nel chiaritoio in conche troncoconiche rovesce di capacità assortite, di terra cotta per lo più, o meglio di bande stagnate che sono più maneggevoli e si prestano meglio ai lavaggi. Le fondate si ripassano nel frantoi sulla sansa fresca, volta a volta. Volendo rendere l'olio limpido, si ricorre alla filtrazione, cioè al passaggio dell'olio torbido attraverso cotone carta ben deodorata e asciutta, mediante i filtri; dei quali se ne hanno diversi tipi a funzionamento per gravitazione e per pressione. I più antiquati sono, fra quelli a gravitazione: il tipo a manica o calza di tela, ormai poco usato; quello a cotone tipo Barese, consistente in una cassa parallelepipeda di bandone stagnato, portante sul fondo delle tazzine forate che si riempiono di cotone, attraverso il quale passa l'olio torbido lasciandovi i materiali sospesi; il tipo Bracci a filtrazione graduale, di forma leggermente tronco-conica con al fondo delle tazzine forate come nel precedente che costituiscono il terzo strato del cotone; un secondo e un primo strato vengono formati da tramezzi forati sovrastanti e alquanto distanziati fra loro. L'olio lascia nel primo strato di cotone più soffice i materiali più grossolani, nel secondo quelli più fini e nel terzo quelli minutissimi che sfuggono dal secondo. Quando il funzionamento del filtro rallenta si cambia il primo strato di cotone e, occorrendo, il secondo e l'apparecchio riprende il suo funzionamento orario che varia con le dimensioni del filtro.
Per le piccole e medie produzioni se ne costruiscono di due dimensioni di capacità rispettive di uno e due ettolitri e di kg. 25 a 40 di rendimento medio d'olio all'ora. L'apparecchio, semplicissimo, è montato su un treppiede e sotto alle tazzine l'olio viene raccolto da un piatto quasi a contatto col fondo delle tazzine, con che si evita l'aerazione all'olio che è assai larga nel tipo Barese.
Della categoria di quelli agenti per pressione si hanno il filtro a cotone Aloi (fig. 14), nel quale l'olio da chiarificare scende da un recipiente posto in alto e passa attraverso uno strato di cotone tra due falsi fondi forati entro un recipiente tronco-conico per pressione idrostatica; i filtri-presse a tela, nei quali l'olio viene spinto per caduta da un recipiente posto in alto, o per mezzo di una pompa premente, attraverso grossa tela frapposta in tramezzi di ferro robusti serrati in un'intelaiatura orizzontale; e filtri identici a carta (fig. 15), tipo Iltis, Mannino, ecc.
Raffinazione. - Oltre ai materiali sospesi nell'olio se ne trovano di quelli disciolti, specie derivanti da guasti e alterazioni subite dalle olive per cattiva conservazione e da errati e trascurati procedimenti nell'estrazione, che inducono nell'olio stesso difetti più o meno gravi: di muffa, riscaldato, o fermentato, morchino, rancido, di terra, ecc.; con acidità libera e volatile più o meno elevata, presenza di sostanze albuminoidi, resinose, ecc. Tali prodotti, che possono rendere l'olio inadatto agli usi alimentari, si eliminano oggi mediante la raffinazione, che si opera in stabilimenti appositi detti raffinerie, con processi industriali.
Essa consta di tre operazioni successive: la prima è la deacidificazione o neutralizzazione, con la quale si asportano gli acidi liberi e volatili dell'olio a mezzo di soluzioni di soda caustica, dosate in base al contenuto percentuale di acidi volatili in acido oleico. Il trattamento si fa in grandi recipienti cilindrici di ferro terminanti con fondo conico munito di robinetto di scarico, a doppia parete (neutralizzatori), nella quale si fa passare del vapor d'acqua per riscaldare l'olio e facilitare la combinazione della soda con gli acidi grassi, ossia la formazione dei grumi saponosi, a temperatura variabile a seconda dei particolari dei procedimenti adottati nelle varie raffinerie. Col riposo poi si scaricano detti grumi (paste saponose) dal fondo e l'olio neutralizzato si fa passare in altri grossi recipienti per sottoporlo alla seconda operazione della decolorazione.
Questa si effettua a mezzo di terra speciale detta da sbianca (misto di silicati idrati di alluminio, potassa, magnesio, calcio ecc.), ridotta in polvere impalpabile, in recipienti pure a doppia parete per il riscaldamento a vapore e con agitatore, la quale si pone nella massa dell'olio in proporzioni determinate dalla pratica e agitando fino a che dai robinetti spia si rileva il grado voluto di decolorazione. Dopo di che l'olio si fa attraversare un filtro-pressa a tela, sulla quale rimane la terra, e passare alla terza operazione detta deodorazione.
Essa si pratica in recipienti detti colonne deodoratrici, a pareti smaltate nell'interno e rivestite di materiale coibente all'esterno per conservare la temperatura più o meno elevata, a seconda del modo speciale seguito nelle diverse raffinerie, del vapore soprarriscaldato generato in caldaia a vuoto che si fa passare attraverso la massa dell'olio e che asporta tutti i prodotti volatili, cattivi odori, ecc., richiamati dal vuoto in alto e ricadenti in vasche d'acqua per la condensazione, impedendone la diffusione nell'aria libera. L'olio così perfettamente deodorato e previamente neutralizzato e decolorato va a depositarsi nelle vasche apposite, pronto per le spedizioni. Di solito, nella raffineria stessa si procede a ravvivarlo con aggiunta di olio naturale nelle proporzioni studiate per il migliore gradimento del consumatore.
Conservazione dell'olio. - Rientra nell'ambito dell'oleificio, perché l'olio estratto dalle olive e chiarificato, come è stato detto, richiede accortezze e cure per la sua buona conservazione: accortezze per la tenuta dei locali e per la natura e la capacità dei recipienti, di cui è già stato accennato, e per le cure relative durante la permanenza nel magazzino. L'olio, invero, in questo continua a spogliarsi dei materiali sospesi più minuti, delle mucillaggini soprattutto, le quali per la lieve differenza di densità con l'olio stentano a lungo a depositarsi, e occorre, quando si giudica abbiano raggiunto il fondo, il che è facilitato da una temperatura di 15°-16° nell'ambiente, procedere a travasare l'olio che al contatto prolungato della fondata si altererebbe più o meno sensibilmente. E se un primo travaso non bastasse, se ne ripeterà un secondo dopo un certo tempo, possibilmente prima del colmo dell'estate, per impedire che la leggiera fondata per la soverchia fluidità dell'olio possa risalire nella massa dell'olio stesso. Occorrerà poi avere cura di non tenere scolmati i recipienti a lungo e che siano ben coperti.
Trattamento dei residui dell'estrazione dell'olio. - Tali residui sono: la sansa, l'olio d'inferno e le morchie. La sansa è la parte solida che rimane dopo l'ultima torchiatura della pasta delle olive. È in peso circa il 40% delle olive lavorate e contiene un'altra porzione d'olio variante dal 6 al 12%, materia polposa (circa il 50%), e detriti ossei (circa il 40%). Si dispone perciò a trattamenti per sfruttarla nelle sue parti. Per ricavarne l'olio si assoggetta al processo meccanico del frullino e più comunemente a quello dei solventi chimici. Il frullino risulta: di un frantoio a macelli per lo più a una sola macina; di una vasca cilindrica detta sciarbo o sciarbottatoio, munita di un agitatore verticale con annesso al fondo un doppio rastrello, e di una serie di vasche di levigazione, a sezione rettangolare o circolare, a gradinata, non meno di tre, comunicanti a mezzo di un tubo sfioratoio, addossato o praticato nello spessore della parete divisoria, aperto presso il fondo della più alta e immettente dall'alto in quella sottostante, per modo da fare una caduta dell'acqua di circa m. 1,50 a 1,80 fra l'una e l'altra. La sansa fresca o conservata, come già detto, viene macinata nel frantoio alquanto a secco e impastata poi con acqua e stemperata ben bene. Il pastone poi si scarica e si manda nella vasca dello sciarbo preventivamente piena d'acqua e quivi col rimaneggiamento dell'agitatore verticale, mosso come il frantoio a forza idraulica, la parte polposa viene a liberarsi da quella ossea che va a depositarsi al fondo; allorché si giudica che la separazione sia completa, si avvia la parte che galleggia, versando acqua nello sciarbo, verso le sottostanti vasche a gradinate, fino a che defluisce limpida. Nella caduta, le parti solide, bucchiette con parti di polpa, affondano momentaneamente, ma presto risalgono alla superficie, mentre si attiva il passaggio dell'acqua, che trascina ancora un po' di bucchietta, ecc., sempre più fine, dal fondo del primo sfioratoio alla seconda vasca sottostante e così dalla seconda alla terza, ecc. Le bucchiette raccolte nelle vasche, vengono bollite in caldaia e pressate (entro fiscoli di sparto, di solito) in torchi robusti, ottenendo pertanto dell'olio più o meno verde detto lavato. Frattanto si sarà scaricato lo sciarbo dai detriti di nocciolo nel sottostante nocciolaio e poi riempito di nuovo di acqua; mentre nel frantoio si sarà preparata nuova sansa impastata per proseguire il lavoro. Il panello di bucchiette torchiate contiene ancora dell'olio che può essere ricavato con i solventi chimici.
Lo sfruttamento delle sanse con solventi chimici è più comune e si fa in opifici o sansifici industriali appositi, raramente presso il produttore con piccoli apparecchi. I solventi in uso sono il solfuro di carbonio e il tricloruro di etilene o trieline. Quest'ultimo non essendo infiammabile, né esplosivo come il primo, è ora preferito. Un sansificio al solfuro o al trieline, consta di varî locali e annessi: magazzini e cortili per deposito di sanse, per la loro essiccazione, sala di estrazione, sala della caldaia del vapore, vasche del solvente e della refrigerazione, deposito dell'olio estratto, ecc.; i quali accolgono il macchinario costituito: dall'essiccatoio, generalmente a fuoco diretto, della sansa che abbia sostenuto una previa triturazione con frangipanelli o disintegratore, per sfruttarla meglio col solvente; dai cilindri estrattori o digestori, nei quali la sansa viene disoleata dal solvente spintovi a mezzo di pompa dal deposito; dagli alambicchi o distillatori, nei quali il solvente proveniente dagli estrattori viene distillato, liberando l'olio in esso disciolto; da serpentini immersi nelle vasche dell'acqua corrente per condensare i vapori del solvente del distillatore e degli estrattori prima di scaricare la sansa esausta; da apparecchi di sicurezza applicati agli estrattori, ecc. Le operazioni consistono: nel carico degli estrattori con sansa essiccata fino a contenere il 5% o di umidità; nel passaggio del solvente attraverso la sansa di due o tre estrattori successivi fino a esaurimento dell'olio e delle materie coloranti; passaggio nel distillatore per l'evaporazione del solvente; lavaggio della sansa esausta degli estrattori con vapore in serpentino e scarico successivo della sansa liberata da tracce di solvente; scarico ogni tanto dell'olio dal distillatore; ritorno del solvente vaporizzato attraverso i serpentini refrigerati nella vasca del solvente stesso. Gli estrattori, il distillatore e le tubature sono chiusi e lutati a tenuta del solvente, di cui nonostante ciò si ha una perdita dal 0,5 al 0,7% della sansa lavorata. L'olio ricavato varia dal 6 al 9% della sansa, di cui una parte a bassa acidità da raffinare e destinare per usi commestibili. Residua la sansa esausta, di cui il 50-60% serve per combustibile nello stesso sansificio, il resto è usato nelle fornaci, ecc., o può essere assoggettato all'utilizzazione odierna dalla distillazione secca, da cui si ricava: carbone duro in frantumi da ridursi, polverizzandolo e comprimendolo, in mattonelle o in cannelli; pirolignito di calcio o acido acetico, alcool metilico e catrame vegetale.
Altra utilizzazione della sansa d'oliva è per mangime, previa disossatura a evitare inconvenienti e danni per gli animali; operazione per la quale esistono oggi varî apparecchi meccanici (disossatori Bracci, Barbieri, fig. 16, Tortorelli, ecc.). La sansa disossata contiene una media del 12% di grassi, 9% di proteina grezza, 35% di idrati di carbonio, 25% di fibra greggia, con rapporto nutritivo di 1 a 12. Conservata in silos, o essiccata con essiccatoi e convenientemente dosata con gli altri mangimi meno concentrati di grasso e arricchiti di proteina per restringere il rapporto nutritivo, se generalizzata, può costituire una risorsa di grande valore, specie nell'inverno, per l'allevamento del bestiame.
Altro residuo importante, eccetto che negli oleifici con separatori centrifughi, è l'olio d'inferno, ricavato dalle acque di vegetazione dopo la raccolta dell'olio a mano (con i separatori automatici il rendimento è assai minore) nella misura variabile da 1 a 2% delle olive lavorate. A causa della fermentazione di tali acque grasse a contatto con le morchie, l'olio d'inferno ha un'acidità elevata e cattivo odore. Oggi si vende nelle ralfinerie a prezzi proporzionati al contenuto dell'acidità; quello a bassa acidità viene dopo la raffinazione smerciato come commestibile, il resto serve per usi industriali (saponeria, per ardere, per ungere le lane, fabbricazione del rosso turco, ecc.).
Le morchie sono costituite dalle fondate dell'olio in conservazione, non ben chiarificato all'atto dell'immagazzinamento, e ancora più o meno ricche d'olio. Si libera l'olio con l'ebollizione in acqua o con la cottura al forno se si tratta di piccole quantità; con trattamento con acido solforico concentrato e altri mezzi chimici se in quantità maggiore.
Capimorti. - Sono: le sanse e le bucchiette esaurite, e i noccioli atti per combustibile, ridotti in forma di bricchetti o mattonelle e meglio per la distillazione secca in via di applicazione come già s'è detto; il morchione, bene indicato per concime; le ceneri di sansa e noccioli ricchissimi di potassa (circa il 17 a 18%), ecc.
Bibl.: G. Mortara, Il mercato mondiale dell'olio d'oliva, in L'olivicolotre, X (1933), n. 4; id., Il mercato italiano dell'olio d'oliva, in L'olivicoltore, X (1933), n. 6; S. Baglioni, L'olio d'oliva nell'alimentazione. Potere nutritivo e proprietà fisiologiche, in Agricoltore d'Italia, 1933; E. Pantanelli, La natura dell'olio in rapporto alla sua azione fisiologica, in L'olivicoltore, XI (1934) n. 1.
Per l'oleificio: F. Bracci, Gli olii vegetali con particolare considerazione all'olio d'oliva, Pescia 1928; id., Le presse a gabbie ed a fiscoli nell'estrazione dell'olio, estratto dal Coltivatore, Casalmonferrato 1928, n. 14; id., Nuove presse a gabbie per la prima estrazione dell'olio d'oliva, ibid., 1931; Le macchine e gli attrezzi per l'estrazione dell'olio d'oliva, in Atti del Congresso nazionale di meccanica agraria, Roma 1932.
Industria e commercio delle olive.
Una buona porzione delle olive viene adibita per consumo diretto. I contadini addetti alla raccolta delle olive, mangiano le olive mature nell'oliveto, così come cadono dalle piante, con o senza uso di sale, ma generalmente le olive sono preparate in varî modi, prima di essere adoperate. I Romani, che ne erano assai ghiotti le usavano in tutti i banchetti come antipasto o alla fine del pranzo, preparate e confezionate variamente e con aromi forti e numerosi. Le olive commestibili si distinguono in verdi e nere, hanno un valore alimentare discreto e più le nere che le verdi. La loro composizione media risulta per % di: acqua 75; sostanze azotate 0,7; sostanze amidacee 8; sostanze grasse 15; cellulosa 0,9; sostanze minerali 0,4.
Varietà Principali. - In genere presentano frutto grosso, edule. Sono in numero limitato in confronto a quelle da olio e le varietà oggetto di grande commercio interno e più di esportazione si riducono a un numero ristrettissimo. Fra le principalissime e più diffuse della Spagna sono: la Gordal o Sivigliana e la Manzanilla; della Francia: la Verdale, Lucques, Picholine e Amellou; della Grecia: la Pelion e Kalamata; dell'Algeria e Tunisia: la grossa di Hamma, Besbassi e altre dei distretti di Saint-Denis, Costantina e Piccola Kabilia; della California: la Mission Olive e altre varietà europee; dell'Italia: l'Ascolana, Bella di Spagna; S. Agostino o d'Andria; Giarraffa. Ma diverse altre se ne hanno in Portogallo, in Australia, in Turchia e dappertutto poi discretamente numerose ma meno diffuse e poco note e di apprezzamento e uso più locale e familiare, pur presentando caratteri tali da renderle meritevoli di considerazione e profitto. Così in Italia, oltre le ricordate, vi sono: la varietà Cucca e Morellona in Toscana; Intossa negli Abruzzi; la Carolea, Tubercolosa e Cumignana nelle Calabrie; la Manna e Carroga in Sardegna, ecc.; oltre alle varietà da essiccare, specialmente: Maiatica o Paesana, Gaetana o Itrana, Dolce del Marocco e S. Francesco della Lucania e altre sparse qua e là negli oliveti di tutta la penisola.
Produzione e commercio. - Le statistiche dànno cifre della produzione delle olive per consumo diretto che non sono e non possono essere che assai approssimative, dato che le popolazioni agricole, che coltivano l'olivo, consumano e preparano olive per uso familiare fuori controllo. In Spagna si ritiene raggiunga i 346 mila quintali (media 1920-29) annui; in Francia oltre i 60-70 mila (secondo altre notizie raggiungerebbe la metà del raccolto dei dipartimenti del sud); in Grecia 290 mila quintali (media 1924-29); in Algeria e Tunisia poco meno che altrettanto; in California rappresenterebbe pressoché tutto il raccolto, poche essendo ancora le olive destinate per l'olio, e così nell'Australia; in Italia fino al 1930 si calcolava all'incirca su 50 mila quintali, ma nel 1931 su 126 mila e nel 1932 su 187 mila quintali, dato l'incremento e il migliore accertamento statistico. Meno incerte sono le cifre del commercio di esportazione. La Spagna esporta in media da 200 a 250 mila q. di olive verdi confezionate e nelle annate migliori raggiungerebbe, si afferma, i 300 mila q. La Francia varî anni or sono ne esportava per oltre 35 mila; la Grecia (olive nere in salamoia) 55 mila e l'Italia nel triennio 1926-28 q. 17.000 circa, salendo a poco più di 20 mila quintali di olive (in salamoia e secche) nel 1932, per un importo di circa 5 milioni di lire. L'Inghilterra, non avendo olive che dalle colonie, ha investito ingenti capitali in Spagna, Francia e Grecia per il confezionamento e il commercio delle olive commestibili. In Italia vi sono poche, ma importanti ditte, nell'Ascolano, nelle Puglie, nella Campania, in Lucania e in Sicilia.
Preparazione. - La maniera di preparare le olive commestibili varia a seconda che si tratta di quelle verdi o di quelle nere.
Olive verdi. - Contenendo principî astringenti, dovuti a varî acidi organici (tannico, gallico) e prodotti amari (tannati, malati, ecc.), non possono essere usate se non private di tali principî e rese, come si dice, dolci. L'indolcimento è quindi una delle prime operazioni necessarie. Esso viene praticato in varî modi; di cui alcuni hanno carattere casalingo, riguardando piccole quantità di frutto per consumo familiare, e altri carattere industriale, dato che interessano la preparazione di quantità più o meno elevate di olive con intento commerciale. Accenneremo solo a questi ultimi. Le olive debbono essere staccate a mano e deposte con precauzione nel paniere o sacchetto portato da ogni operaio o operaia. Meglio sarebbe se le pareti dei panieri di vimini fossero ricoperte di tela in modo da impedire graffiature o ammaccature.
Le stesse cure e per le stesse ragioni debbono essere usate per il trasporto al locale dove si debbono lavorare, osservando bene di tenere sempre divise le diverse varietà fra loro e di fare un primo scarto per eliminare le olive guaste, punte, ecc. Per la scelta secondo la grossezza delle olive si rende necessaria una seconda e più attenta separazione in gruppi a seconda del volume; ciò che vien fatto a mano e per le forti quantità e le qualità a polpa non troppo facilmente ammaccabile, con attrezzi appositi; specie, cioè, di cernitoi di varia forma detti dai Francesi trieurs e dagli Americani olive-graders. Tali cernitoi sono dei vagli posti uno di seguito all'altro in leggiero piano inclinato, con fori di diametro differente, di grandezze sempre maggiori. Nel primo vaglio, a fori più piccoli della grossezza minima delle olive, viene operata una selezione dalle foglie o altro materiale estraneo; nel secondo tratto, a fori un po' più grandi della grossezza minore, passa un primo gruppo; nell'altro successivo e negli altri due tratti, a fori più larghi, passano le olive più grosse che si raccolgono in recipienti al disotto. Ovvero i cernitoi sono costituiti da un cilindro di 60-80 cm. di diametro, sempre posto in piano leggermente inclinato, formato da bacchette metalliche a curva elicoidale a scartamento tale da operare la selezione di tre o quattro grossezze delle olive. Il cilindro è mosso a mano con lentezza. La questione della grossezza è importante per le olive commestibili, sia per assicurare una maggior ricchezza di polpa, sia per soddisfare la vista; ma non è detto che tutte le olive da tavola debbono essere e siano grosse; e molte delle varietà assai pregiate come la Verdale, la Picholine, l'Amellou, dell'Algeria, sono di modesta grossezza. Ciò che interessa è infatti il rapporto fra la polpa e il nocciolo (cioè che questo sia piccolo assai in confronto della grossezza della polpa); importa altresì che questa sia delicata di sapore. Le migliori varietà, spagnole, tunisine, italiane, algerine, hanno un rapporto di circa 5 a 1 e 4 a 1 fra polpa e nocciolo. Assicurato lo scarto delle olive guaste, di quelle avanzate in maturazione e a polpa rammollita, contuse e troppo piccole; liberate dai peduncoli e dai materiali estranei, raggruppate in lotti di una medesima varietà e di uniforme grossezza, si passa all'indolcimento che, come abbiamo accennato, viene operato in varie maniere.
Indolcimento all'ascolana. - È uno dei sistemi più comuni e antichi, seguito in Italia e più precisamente nell'Ascolano, che, come si sa, è la regione ove si fa larga produzione e grande commercio di olive verdi e donde il sistema stesso ha preso il nome. Si prepara una liscivia o specie di ranno, versando acqua ben calda sopra una mescolanza di 4 parti di cenere e di una di calce viva in polvere, entro tini o bigonci, muniti al fondo di un foro e tappo, donde si spilla la liscivia stessa; la quale deve risultare di una determinata densità, circa di 6° o 7° Bé. (Si usa spesso, invece di un semplice areometro, per misurare la concentrazione della liscivia, un uovo fresco, legato a un filo, che deve galleggiare appena; ma non è un sistema troppo sicuro). Entro detta liscivia, poi, in conche di terracotta o di legno, s' immergono le olive già scelte, con precauzione, per impedire ammaccature e avendo cura di sottrarle al contatto dell'aria, mettendo alla cima un panno con un peso, e vi si lasciano per un tempo variabile da 10 a 12 ore e più secondo la qualità delle olive e la concentrazione della liscivia. Per essere più sicuri del punto giusto d'indolcimento, nel periodo di tempo predetto, si saggiano di tanto in tanto le olive, tagliandole trasversalmente e osservando il colore della polpa; la quale sarà in buona parte imbrunita verso la buccia e allorquando l'imbrunimento sarà giunto a due terzi circa dello spessore della polpa stessa, si potrà togliere la liscivia. S'intende che questa è una regola assai generica e che il vero punto giusto non si può cogliere che con la pratica. Tolta la liscivia, le olive debbono essere lavate bene, il che si fa tenendole immerse in acqua pura per parecchi giorni cambiando spesso l'acqua e fino a che, assaggiandole, non si senta più la presenza di liscivia. Il cambiamento dell'acqua può farsi anche in modo continuo e automatico. Occorre evitare in tutte le operazioni di contundere le olive e di regola non debbono essere mai maneggiate con le mani ma con le mestole di legno a spigoli arrotondati. Le olive indolcite vengono poste a conservare in bagni di sale da cucina sempre più concentrati, cominciando da un primo di grammi 30 circa di sale per litro, nel quale si tengono per pochi giorni per passarle in altra salamoia con 40-60 grammi per un tempo più lungo e quindi in un terzo bagno salato da 80 a 100 grammi per litro di acqua (questo specialmente per le olive da esportare). La salamoia deve essere preventivamente bollita e raffreddata. Si aggiunge poi di solito nel bagno qualche rappetto di finocchio silvestre che conferisce alle olive un aroma piacevole, delicato.
Indolcimento alla Picholine. - È, si può dire, il sistema ascolano usato in Francia. Vi fu introdotto nel sec. XVIII dai fratelli italiani Piccolini che possedevano vaste proprietà a Saint-Chomas. Qualche volta per accrescere la forza della cenere si aggiunge alla miscela di 4 parti di cenere e una di calce, una parte di carbonato sodico, ovvero della soda del commercio in cristalli e calce grassa a parti uguali. Al solito, in ogni modo, la concentrazione della liscivia ottenuta dev'essere circa di 6° a 7° Bé e l'immersione delle olive in essa non deve andare oltre le dodici ore, perché altrimenti v'è il pericolo che la polpa si rammollisca e imbrunisca. Nel resto si opera come nel sistema ascolano.
Indolcimento alla sivigliana. - Si usano soluzioni di soda o potassa caustica con 2° o 3° Bé, che agiscono rapidamente nella neutralizzazione dei principî astringenti e amari delle olive (in 4 a 6 ore), richiedendo però dei saggi preventivi e larga pratica, giacché non tutte le varietà e i lotti di una varietà stessa di olive si comportano nello stesso modo e v'è pericolo di un rammollimento della polpa a breve scadenza. Di solito si cerca di attenuare l'azione della soda caustica con l'aggiunta di carbonato sodico da 30° a 50° Bé; e prolungando alquanto la durata dell'immersione nella liscivia.
Olive schiacciate e farcite. - In Francia si usa di preparare le olive verdi schiacciate (cassées), abbastanza su larga scala, utilizzando diverse varietà. Le olive, dopo essere state indolcite alla Picholine e prima di esser messe in salamoia, vengono spezzate e, per meglio dire, passate fra due cilindri scanalati che comprimono la polpa e la fanno distaccare dal nocciolo senza rompere questo.
La salamoia è la stessa di cui sopra. Peraltro tali olive non si conservano a lungo e debbono quindi essere consumate presto. In Spagna, ad Ascoli, ecc., dalle olive già poste in salamoia si asporta, mediante un apposito ordegno, il nocciolo, e il posto lasciato vuoto da questo si riempie con pezzetti di peperone, tartufi, acciughe e altro e le olive, dette farcite, si ripongono poi in barattoli eleganti di vetro entro bagno di sale abbastanza concentrato.
Olive nere. - La preparazione di queste olive ha il vantaggio di richiedere meno cure nell'indolcimento e di poter essere effettuata in un periodo più lungo, essendo la maturazione delle olive graduale e non di breve durata.
Le olive nere possono essere preparate in bagno di sale come le verdi, oppure seccate al forno.
Per il primo caso si debbono raccogliere a maturazione alquanto avviata, ma quando ancora la polpa è sufficientemente dura. L'indolcimento si ottiene con l'immersione, più o meno prolungata, nell'acqua semplice, cambiando l'acqua stessa ogni giorno; poi le olive si passano nella salamoia, nelle identiche condizioni indicate per le olive verdi. Per affrettare l'approntamento delle olive nere per il consumo in attesa delle olive preparate normalmente come sopra, a Nyons usano assoggettare una parte delle medesime a delle punture a mezzo di un rullo fornito di punte fini, quindi vengono stratificate con sale. Così l'amaro sparisce rapidamente e le olive in breve tempo sono pronte per essere consumate. Nel periodo durante la vendita e il consumo vengono, per essere conservate, poste in acqua salata e al momento di mangiarle si condiscono spesso con olio. Per il più sollecito indolcimento si possono mettere le olive, anziché nell'acqua semplice, in acqua salata resa alcalina con un po' di carbonato sodico e successivamente nella consueta salamoia. In California si fa addirittura un trattamento alle olive nere quasi identico a quello delle verdi. Anche per queste olive nere, in genere, sono preferibili le grosse alle piccole ed è importante pure la classificazione per varietà, grossezza e stato di maturazione.
Le olive nere secche debbono essere ben mature e preferibilmente appassite sulla pianta. Esse si prestano a svariati modi di preparazione, specialmente per gli usi casalinghi, per cui esse sono utilizzate su larga scala e si può dire che non v'è famiglia colonica e padronale che non abbia la sua provvista di olive nere secche. Così c'è chi fa appassire le olive al sole, chi al forno, ponendole in cannicci su leggiero strato e spolverandole con sale fino, aggiungendo aromi diversi, come aglio, regamo, scorza di arancio, ecc., stratificate con sopra un po' di sale (ma non in quantità eccessiva perché altrimenti non sono più gradevoli al gusto), in vasi di terracotta o in panieri. Talora invece vengono poste sott'olio e sott'aceto. Nei paesi dove fa freddo abbastanza, si preparano, esponendole per vario tempo all'aria, e si hanno così le olive gelate. Vi sono delle varietà di olive che, giunte a maturazione, e se specialmente appassite sulla pianta, sono del tutto dolci, tanto che vengono consumate dalla povera gente senza nessuna preparazione e al più condite al piatto con l'olio, sale, pezzetti di aglio, regamo, ecc. Per conservarle, se non sono appassite dalla raccolta, si espongono per breve tempo all'aria per farle aggrinzire leggermente e poi si trattano come è detto sopra.
Le olive nere, sia in bagno di sale sia secche, formano del pari oggetto di notevole commercio, sia in Francia sia in Grecia, Spagna, Portogallo, Turchia e per ultimo anche in Italia. Da noi sono rinomate le olive di Ferrandina, in Lucania, e per cui si coltivano delle varietà apposite. Con la varietà Gaetana vengono preparate specialmente le olive in bagno di sale e con la varietà Ferrandina le olive secche. Per queste si scelgono le olive più grosse, sane e ben mature, e si fanno appassire leggermente all'aria, poi si sbollentano tuffandole in acqua bollente per pochi minuti e, dopo asciugate, si essiccano al forno (alla temperatura di circa 40°, corrispondente a quella che rimane dopo la cottura del pane), deponendole in leggiero strato su cannicci o cassette e al solito spolverandole con sale e aromatizzandole leggermente con regamo o mortella. Le spedizioni delle olive in salamoia vengono fatte in botti da 5 a 6 hl., in barili di legno, in scatole di latta e in barattoli di vetro. Le botti si adoperano per le grandi partite, i barili per le medie e più specialmente per il traffico interno; e ciò sia per le olive già indolcite e pronte per il consumo, sia per il ritiro dai produttori delle olive da confezionare; che in questo caso sono spedite in bagno di sale debole perché non si alterino nel viaggio, che si cerca sempre di affrettare più che sia possibile. Per l'esportazione si usano, per lo più, scatole o barattoli posti in casse di legno o barili; per le olive secche ceste e cestini. È necessario e utile porre ogni cura nella preparazione delle olive, che dovranno essere poste nei recipienti per ordine di varietà e di grossezza. In Spagna delle olive della varietà Gordale o Sivigliana scelte fra le più grosse, del peso di 15 a 17 grammi ciascuna, si fa una classe a parte che viene denominata patron, per distinguerla da quelle meno grosse che si denominano reina Gordal o reina soltanto, e le olive farcite sono disposte nei barattoli di vetro, a collo strozzato, con il riempimento verso l'esterno; in modo, cioè, che esso risulti ben visibile. Il prezzo rimunerativo delle olive per uso della tavola, merita l'attenzione degli olivicoltori italiani, ai quali non fanno difetto le buone varietà da diffondere; d'altra parte, la preparazione di tali olive non presenta alcuna difficoltà. Comunque, l'esercizio di questo ramo d'industria può essere diviso dalla produzione delle olive; ciò che rappresenta un vantaggio sia per il produttore, sia per il confezionatore.
Bibl.: G. Castelli, Le olive verdi ascolane nell'antichità, Ascoli 1901; F. Chapelle e Ruby, Les olives de table, in Revue de viticulture, Parigi 1909; E. Chiaromonte, Produzione e commercio d'importazione d. olive da tavola nella Repubblica Argentina, in Boll. Ministero agricoltura, 1910; Per una maggiore diffusione delle olive da tavola, in Atti del IX congresso internazionale di olivicoltura, Bari 19-22 ottobre 1925, Spoleto 1927.