Olimpiadi invernali: Garmisch-Partenkirchen 1936
Numero Olimpiade: IV
Data: 6 febbraio-16 febbraio
Nazioni partecipanti: 28
Numero atleti: 646 (566 uomini, 80 donne)
Numero atleti italiani: 44 (39 uomini, 5 donne)
Discipline: Bob, Hockey, Pattinaggio, Pattinaggio artistico, Sci alpino, Sci nordico
Numero di gare: 17
Giuramento olimpico: Wilhelm Bogner
Il Comitato olimpico attribuì i Giochi del 1936 alla Germania, nazione risalita da pochi anni a un livello di vita soddisfacente, dopo le lotte e sofferenze patite in seguito alla sconfitta nella Prima guerra mondiale. Le prove estive furono assegnate a Berlino, le invernali alla bavarese Garmisch-Partenkirchen. La decisione non fu criticata in alcun modo, qualcuno si sorprese, nessuno si lamentò, dato che Adolf Hitler e il suo Partito nazionalsocialista avevano vinto regolarmente le elezioni. I nazisti puntavano molto anche sullo sport per mostrare al mondo intero la potenza e la capacità organizzativa tedesche. Leni Riefenstahl fu incaricata di filmare i Giochi e la grande regista, agevolata da notevoli mezzi tecnici e dalla sua straordinaria sensibilità, realizzò due lungometraggi ancora oggi universalmente oggetto di ammirazione.
Per i nuovi Giochi furono annunciate con buon anticipo delle novità molto attese: la staffetta 4 x 10 km per lo sci di fondo, e la discesa e lo slalom per lo sci alpino, riservati anche alle donne. L'ingresso dello slalom alle Olimpiadi diede una certa soddisfazione anche ai norvegesi, i quali, pur non avendo campioni in questa disciplina, potevano vantarsi di averla inventata nella loro regione di nome Telemark. Slalom è infatti parola norvegese composta da sla "piegato, non diritto", lam "traccia dello sci". In quel momento, nelle prove chiamate, dunque 'impropriamente', alpine, era tedesca la campionessa al mondo, Christl Cranz, e forti erano anche i sui colleghi maschi.
La scelta di Garmisch-Partenkirchen piacque molto ai dirigenti e agli atleti italiani dopo le delusioni patite a Lake Placid a causa del maltempo, delle difficoltà di preparare gli sci per una neve sempre bagnata, diversa da quella a cui si era abituati, e infine delle difficoltà derivate, anche rispetto all'organizzazione degli allenamenti, dalla lunga trasferta oceanica su nave. Le speranze agonistiche degli italiani erano ora fondate soprattutto sugli sciatori delle prove alpine ‒ che erano allenati dall'austriaco residente in Italia Leo Gasperl, molto noto per aver ottenuto il primato di velocità sul chilometro lanciato ‒ e sugli alpini della pattuglia militare impegnati nella faticosa sfida dimostrativa di fondo e tiro a segno. In particolare si puntava su alcuni campioni che l'inverno precedente si erano battuti da leoni ai concorsi della Federazione internazionale di sci: Vincenzo Demetz, terzo nella 15 km di fondo, Giacomo Scalet sesto nella 50 km chiamata ancora Gran fondo e Giacinto Sertorelli, terzo in discesa e secondo in combinata discesa-slalom. La rappresentativa azzurra era accompagnata da numerose autorità: il conte Alberto Bonacossa, stimato membro del CIO, il generale Giorgio Vaccaro, segretario generale del CONI, l'ingegnere Gianni Albertini, commissario tecnico degli sciatori, Renato Ricci, presidente dell'Opera Balilla e della Federazione italiana sport invernali.
Avendo avuto la fortuna di assistere, appena quindicenne, a quella edizione dei Giochi, ne ho conservato un ricordo fantastico e indelebile. Quando arrivammo nevicava fitto, ma nessuno si lamentava, anzi!, perché fino alla vigilia la neve quasi non c'era. I fiocchi dondolanti nell'aria arricchirono la bella, colorita e sontuosa coreografia della cerimonia d'apertura. Era tutto uno sventolio di bandiere, suoni di fanfare, grida e applausi, una folla di 50.000 persone. Hitler, al centro della tribuna, in uniforme e con un berretto a visiera dichiarò ufficialmente aperti i Giochi. Gli stavano vicini il segretario del partito Joseph Göbbels, altri gerarchi e il maresciallo dell'aria Hermann Göring affiancato dalla consorte. La Riefensthal ‒ bellissima donna, che era stata prima ballerina, poi attrice e anche alpinista sulle pareti delle Dolomiti ‒ era molto indaffarata a salire e scendere da trespoli, scale e dare ordini per le riprese. Alfiere del tricolore era il goliardo feltrino Adriano Guarnieri, che nei Littoriali si era guadagnato il titolo campione del mondo degli universitari. Il giuramento olimpico fu pronunciato da un fondista dal volto fierissimo, Willy Bogner, che poi in gara, nella 18 km, ottenne un risultato buono ma non eccezionale. Dopo aver prestato servizio durante la guerra, sposatosi con una donna bella e intelligente si dedicò alla moda sportiva, portando al successo un marchio che ora è gestito dal figlio, Willy Bogner jr., a sua volta sciatore olimpico, nel 1960 a Squaw Valley.
Finita la festa di apertura, sempre alla presenza di Hitler si disputò il primo incontro di hockey (disciplina nella quale era presente per la prima volta l'Italia). E si cominciò a parlare delle gare, della discesa più di altre perché la pista Kreutzeck, piena di gobbe, faceva paura più o meno a tutti. Gli italiani in gara, che si erano allenati a Madonna di Campiglio lungo la gibbosa discesa del Pancugol, che maggiormente ricordava quella olimpica, erano Vittorio Chierroni, Adriano Guarnieri, Giacinto Sertorelli e Rolando Zanni. Ma si sussurrava che anche l'universitario milanese Federico Pariani, riserva del quartetto, fosse pronto perché Chierroni aveva un problema a un ginocchio. La discesa, hockey a parte, fu la prima sfida, per maschi e femmine nello stesso giorno. La graduatoria non avrebbe assegnato medaglie perché si trattava della prima presenza di una prova alpina ai Giochi Olimpici e i responsabili dello sci mondiale avevano giudicato più opportuno premiare i migliori della sola combinata, discesa e slalom. Tuttavia, tecnici, allenatori, dirigenti, atleti, pubblico e giornalisti giudicavano la discesa una sfida a sé perché nessun atleta poteva in alcun modo risparmiarsi in questa prova, mentre se mai nello slalom poteva esserci cautela. In ambedue la graduatorie, maschile e femminile, contrariamente a ogni pronostico (per quanto c'era chi sosteneva che le discipline alpine fossero state ammesse ai Giochi solo dopo che i norvegesi si erano sentiti all'altezza dei campioni delle Alpi) a imporsi furono due norvegesi, Laila Schou Nilsen, capace pure di librarsi dal trampolino anche se praticamente non esistevano vere gare di salto per donne, e Birger Ruud, fuoriclasse ineguagliabile e forse ineguagliato nella storia del salto.
Laila Nilsen, non ancora ventenne, era un'atleta polivalente: prima dello sci aveva praticato con notevole successo il pattinaggio di velocità e seppe distinguersi anche in tornei di tennis. La pista era ostica, ripida, lunga, certamente non levigata, con decine e decine di cunette e gobbe. Tutti pensavano che avrebbe trionfato Christl Cranz e non pochi avrebbero scommesso su una medaglia dell'italiana Paula Wiesinger, che invece quel giorno andò proprio male, superata anche da Frida Clara che fu sedicesima in oltre 6′. Tutte e due le altre italiane in gara, Nives Dei Rossi e Isaline Crivelli, andarono oltre i 7′. Poi ci fu lo slalom e Christl Cranz seppe imporsi guadagnando la combinata davanti alla connazionale Käthe Grasegger. Schou Nilsen, per un soffio, si aggiudicò la medaglia di bronzo che accolse con salti di giubilo a braccia alzate. Delle italiane Clara fu dodicesima, Wiesinger sedicesima e Dei Rossi ventiquattresima. Squalificata la milanese Crivelli per salto di porta nello slalom.
Il successo di Birger Ruud, vincitore del salto a Lake Placid quattro anni prima, nella discesa maschile destò stupore anche fra i nordici. In un'intervista il campione diede una spiegazione non proprio tecnica della sua vittoria: "io sono saltatore, non sapevo tanto curvare e così ho fatto meno pista degli altri e ho impiegato meno tempo di tutti". Il tempo di Ruud fu 4′47″, secondo arrivò il tedesco Franz Pfnür, in 4′51″, terzo Gutzy Lantschner, in 4′56″. Solo quarto uno dei favoriti della vigilia il fuoriclasse francese Emile Allais. Gli italiani Chierroni e Guarnieri si piazzarono dodicesimi, con lo stesso tempo, e vennero giudicati 'buoni', ma soprattutto si parlò molto della stupenda e sfortunata prova di Giacinto ('Cinto') Sertorelli, arrivato nono. Allora non esistevano punteggi di merito e l'ordine di partenza delle non molte gare internazionali era deciso in base a risultati conosciuti e a qualche notizia in possesso dei rappresentanti delle nazioni in giuria. A Garmisch i concorrenti erano stati divisi in tre gruppi di merito, gli italiani erano in quello B, il secondo. Sertorelli si lanciò con veemenza, come pare fosse per lui abitudine, e dopo metà pista raggiunse addirittura l'avversario partito un minuto prima di lui, ma mentre stava per superarlo questi gli cadde davanti facendolo cadere a sua volta nella neve profonda, dalla quale faticò alquanto a rialzarsi. Nello slalom se la cavò discretamente, anche se non era la sua specialità e in combinata finì onorevolmente settimo. Chierroni fu diciassettesimo, giusto prima di Guarnieri.
Nello sci nordico erano favoriti i norvegesi, che furono invece duramente sconfitti nelle prove di fondo. Gli svedesi addirittura sbalordirono nella 18 e nella 50 km. Nella prima delle due gare Erik August Larsson ebbe un vantaggio di quasi 1 minuto sul norvegese Oddbjørn Hagen e di oltre 2 sul finlandese Pekka Niemi. Nella Gran fondo gli svedesi ebbero quattro atleti sulla pista e quattro ai primi posti, con Elis Wiklund medaglia d'oro. Quinto fu il finlandese Klaus Karppinen. Gli azzurri si comportarono bene, guadagnando in ambedue le gare il tredicesimo posto, che a quei tempi significava essere "vincitore fra i non nordici", con il gardenese Vincenzo Demetz nella prima e il longilineo altoatesino Giovanni Kasebacher nella seconda. Benino anche gli altri: Severino Menardi sedicesimo, Giulio Gerardi diciannovesimo, Tobia Senoner diciassettesimo e Giacomo Scalet ventiduesimo. Nella 18 km partecipò anche un giovane piemontese, Raffaele Nasi, soltanto cinquantaduesimo.
Serrata fu la battaglia (così la definirono tutti i giornali) nella prima staffetta olimpica, incerta fino al traguardo e sorprendentemente ottima per il quartetto italiano, quarto, grazie a una stupenda prima frazione del piemontese Gerardi (nato e cresciuto nella Valle Stura), posizione poi tenacemente ed egregiamente difesa da Menardi, Demetz e Kasebacher. Le medaglie se le aggiudicarono nell'ordine Finlandia, Norvegia e Svezia. Quinta fu la Cecoslovacchia e sesta la Germania, grazie a una frazione ricca di veemenza agonistica di Willy Bogner, risalito dalla nona alla sesta posizione.
La Norvegia recuperò parzialmente alla delusione del fondo guadagnando tutte e tre le medaglie della combinata nordica e due nel salto, lasciandone una soltanto alla Svezia. Il salto fu vinto nuovamente dal fuoriclasse Birger Ruud, per altro gran favorito. I concorrenti erano 48, gli italiani due, Bruno Da Col di Cibiana in Cadore e Mario Bonomo di Asiago. Il primo, in giornata non felice, si classificò trentasettesimo, mentre Bonomo terrorizzò i 100.000 spettatori quando lo videro, a metà volo, ruotarsi in avanti e precipitare sulla neve a testa in giù. Fortunatamente il danno maggiore lo patirono gli sci, ambedue andati in frantumi.
Passando a parlare degli sport del ghiaccio, l'Italia fu ancora assente nel pattinaggio di velocità e nell'artistico individuale mentre nella gara a coppie debuttarono onorevolmente i milanesi Anna ed Ercole Cattaneo, moglie e marito, noni fra 18 concorrenti. I vincitori furono i tedeschi Maxi Herber ed Ernst Baier che in seguito dominarono la scena mondiale, guadagnando titoli fino al 1940 e continuando poi a esibirsi sempre con molto successo. I trionfatori delle prove singole furono gli stessi di quattro anni prima, l'austriaco Karl Schäfer (secondo il tedesco Ernst Baier) e la straordinaria Sonja Henie. La velocità, limitata ancora al maschile, ebbe un dominatore nel norvegese Ivar Ballangrud, il quale soltanto nei 1500 m si 'limitò' alla medaglia d'argento, lasciando l'oro al suo connazionale Charles Mathisen. Fu dunque il pattinaggio ad arricchire il medagliere di quel paese rendendolo, nonostante le defezioni nello sci, il più ricco dei Giochi.
L'hockey destò entusiasmo, in particolar modo fra gli sportivi italiani presenti sulle tribune. Le rappresentative erano 15, divise in due serie di qualificazione simili agli attuali playoff del basket e della pallavolo: le due migliori di ogni girone guadagnavano la finale. Le favorite erano Canada, USA, Cecoslovacchia e Inghilterra, la cui squadra era costituita per due terzi da giocatori sì inglesi, ma residenti in Canada. In Italia l'hockey era ancora poco diffuso e le formazioni più forti erano ambedue milanesi, i Diavoli Rossoneri e il Milano. La prima partita italiana fu contro la Germania e i tedeschi vinsero 3-0, anche, si disse, per il continuo e acclamante sostegno del pubblico. Clamorosa fu due giorni dopo la vittoria per 2-1 ottenuta contro gli Stati Uniti dalla nostra squadra, formata dal portietre Gerosa e poi da Rossi, Trovati, Mussi, Scotti, Dionisi, Zucchini I, Zucchini II e Maiocchi. Prima dell'incontro tecnici, giocatori e un centinaio di tifosi americani presenti nello stadio erano convinti di uno scontato successo. Gli italiani invece scesero sul ghiaccio senza complessi e si batterono subito attaccando e difendendosi con intelligente bravura. I primi due tempi si conclusero a reti inviolate, nel terzo e ultimo tempo gli americani riuscirono a segnare ma proprio prima della fine gli azzurri pareggiarono. Nel primo tempo supplementare di 10 minuti il punteggio non mutò e si passò a un nuovo tempo che finì con la vittoria degli azzurri. Purtroppo inutile perché l'Italia cedette poi, se pure con grande dignità, alla Svizzera per 1-0 e fu esclusa dal girone finale. Vinse con diffusa sorpresa l'Inghilterra, impostasi 2-1 sul Canada, ritenuto imbattibile.
Nella storia di questi Giochi vanno ricordate ancora tre sfide, due nel bob e una con gli sci, la peculiare 'prova dimostrativa di fondo e tiro', riservata a pattuglie militari.
Nel bob gli italiani avevano tre equipaggi, due nel due e uno nel quattro, abbastanza validi. I campioni erano gli Stati Uniti, la Svizzera e anche i ricchi inglesi che praticavano lo sport a St. Moritz e si battevano nelle poche piste esistenti. I concorrenti furono 23 nel due e 18 nel quattro. Gli americani si imposero nel due ma non ebbero medaglie nel quattro, mentre a Lake Placid avevano dominato, gli elvetici ebbero l'oro nel quattro e ambedue gli argenti, mentre gli inglesi dovettero accontentarsi di un bronzo. Gli equipaggi italiani si piazzarono a mezza via, nel due all'undicesimo posto con Edgardo Vaghi e Dario Poggi, al dodicesimo con Antonio Brivio e Carlo Solveni; nel quattro al decimo posto con Brivio, Solveni, Dell'Oro, Menardi; l'altro equipaggio italiano, pilotato dal cortinese De Zanna volò letteralmente fuori pista, fortunatamente senza gravi conseguenze per gli atleti.
Pur non prevedendo medaglie di onore olimpico, la prova dimostrativa di fondo e tiro era molto sentita dalle nove nazioni partecipanti, fra le quali era l'Italia che presentò sette alpini, quattro in pista, il capitano Enrico Silvestri, dal viso scavato e dagli occhi appassionati, il sergente Luigi Perenni, i soldati Sisto Scilligo e Stefano Sertorelli, fratello del discesista Giacinto. Ma vanno ricordate anche le riserve, il tenente Vida, il caporale Schranz e il soldato Bonora. La sfida fu una grande soddisfazione per l'Italia. Sulla neve furono leggermente più veloci i finlandesi, ma gli alpini ressero bravamente il confronto. E al tiro furono più rapidi e più precisi. Soltanto 14″ divisero le due pattuglie all'arrivo: 2h28′35″ l'Italia, 2h28′49″ la Finlandia; terza la Svezia in 2h35′24″.
Fu tripudio tricolore sul campo ed esaltazione in patria, anche perché nello stesso tempo le truppe italiane combattevano e avanzavano in Abissinia 'per la conquista di un impero'. La vittoria degli alpini fu comunicata a Mussolini da Renato Ricci con un telegramma poi riportato da tutti i giornali, e analogo trionfante avviso fu inviato al generale Negri, comandante della Divisione Alpini in Africa. I quotidiani diedero notizia del successo con titoli a piena pagina e poi con colonne e colonne di aggettivi e sostantivi plaudenti al temperamento combattivo, al coraggio, alla tenacia, all'ardimento e allo stile dell'atletismo italiano. Fu deciso di far rientrare in patria i vincitori in treno e farli proseguire fino a Roma fermando il convoglio in ogni capoluogo di provincia in modo che i campioni potessero essere acclamati. Alla sosta a Trento ho assistito di persona: c'era folla, non poteva mancare la musica di una fanfara. Il treno si arrestò e i vincitori, in divisa di alpino, si affacciarono modestamente sorridenti e poi salutarono alla romana. La gente li acclamava, ne gridava i nomi. Sorrideva anche Stefano Sertorelli, solitamente grave. Quando il treno ripartì la gente moltiplicò le grida entusiaste mentre la banda riprendeva a suonare l'inno degli alpini. Fu questo l'epilogo di un'edizione dei Giochi invernali sotto molti aspetti memorabile.