OLIMPIA ('Ολυμπία, Olympia)
Sorge in una valle sulla riva destra del fiume Alfeo, che ivi, accresciuto dal Cladeo, suo affluente di destra, si dirige con larghi meandri al mare, distante 10 km., attraverso una pianura bassa e uniforme. Per ragioni principalmente del culto, al quale era consacrata la località, con un vasto territorio circostante, Olimpia non ebbe mai carattere di centro abitato vero e proprio: la città (per la protostoria etnica e religiosa, v. pisa), visse di una vita fittizia, in esclusivo rapporto con le pratiche religiose e con le periodiche celebrazioni dei giuochi olimpici (v. olimpici, giuochi), e rimase per il resto sotto la dipendenza politica e amministrativa di Elide, capitale della regione. Importante oggi solo per i suoi resti monumentali, Olimpia è per il viaggiatore una delle stazioni più interessanti e più suggestive, come fu già uno dei centri religiosi più venerati e più illustri di tutto il mondo greco.
Dopo avere vissuto secoli di splendore, Olimpia, con la fine dell'età classica, cessava completamente la sua vita materiale e ideale insieme, restando ben presto affatto dimenticata nel campo della cultura. Pausania però aveva dedicato ai monumenti di Olimpia, da lui visitata nel 173 d. C., ben due libri (il 5° e il 6°) della sua Periegesi. Le prime scoperte della Grecia antica, avvenute per opera di viaggiatori europei sullo scorcio del sec. XVII, fecero ricordare agli studiosi il nome di Olimpia. Bernardo di Montfaucon, un precursore nel campo degli studî archeologici, proponeva al cardinale Querini, nominato nel 1723 arcivescovo di Corfù, di effettuare colà degli scavi. Tale proposta non sortì alcun effetto, al pari di un progetto simile formulato pochi anni dopo dal Winckelmann. Sebbene dopo di allora viaggiatori e archeologi avessero preso a visitare e a riconoscere il sito di Olimpia, i primi scavi non furono tentati che nel 1829, da parte della Expédition scientifique de Morée, diretta da A. Blouet e Duboise. Quegli scavi non durarono che sei settimane (maggio-giugno 1829): i risultati furono tuttavia notevoli, poiché, essendosi messe le mani sopra il tempio di Zeus, furono rintracciati importanti avanzi architettonici dell'edificio e furono ricuperate alcune delle metope, più o meno frammentarie, che si conservano al Museo del Louvre.
Nel 1852 E. Curtius proponeva di effettuare lo scavo completo e sistematico di Olimpia. L'idea del Curtius poté essere accettata solo nel 1875 dal governo germanico, che si assunse gli oneri dell'impresa. A partire da quell'anno i lavori di scavo si proseguirono intensamente fino al 1880, sotto la direzione dello stesso Curtius e di altri fra i più i llustri archeologi tedeschi (G. Hirschfeld, A. Boetticher, G. Treu, A. Furtwaengler, ecc.), nonché degli architetti Fr. Adler e W. Dörpfeld. I risultati scientifici di quegli scavi si trovano estesamente descritti nella grandiosa pubblicazione ufficiale Ausgrabungen von Olympia, in cinque volumi (Berlino 1876-1881).
A prescindere da quella che era considerata l'area sacra, certamente tanto vasta quanto oggi indeterminata, s'indica come la classica Altis, ricordata dagli scrittori, un'area di terreno in forma di quadrilatero irregolare, compresa tra la riva destra dell'Alfeo a sud, il Cladeo a ovest e la collina di Kronos, o Kronion a nord, estrema propaggine di un sistema collinoso che si prolunga verso est. Il quadrilatero immediatamente alla base della collina (di oltre m. 200 per 175 circa), già delimitato da muri di cinta di età greca e romana, comprende i principali luoghi ed edifici sacri del santuario. Ci limitiamo qui a segnalare i monumenti di maggiore importanza, incominciando dagli edifici sacri, con riferimento alle rispettive lettere della piantina a p. 276.
Heraĩon (a) o tempio di Era. È il più antico degli edifici sacri costruiti sul suolo dell'Altis, ed è perfettamente orientato da est a ovest. Da quanto rimane in situ (lo stilobate con poche colonne e parti di colonne; v. fig. e v. grecia, XVII, p. 856) lo Heraĩon si riconosce come un tempio dorico anfiprostilo, esastilo, perittero, del tipo arcaico allungato (6 colonne sulle fronti, 16 sui lati lunghi; dimens. 17,35 × 48,63), con pronao e opistodomo in antis, e cella divisa in tre navate da due file di colonne minori. Durante lo scavo del tempio, nell'interno, fu recuperato il celebre gruppo di Ermete e Dioniso, opera originale di Prassitele, da Pausania veduto e ricordato nel medesimo luogo. Il tempio, costruito in pietra soltanto nella parte inferiore, era nella parte superiore in mattoni crudi. Le colonne originarie, come pure gran parte della trabeazione, erano di legno, secondo le norme dell'architettura dorica primitiva. Ai tempi di Pausania sussisteva ancora una delle colonne lignee originarie, le quali venivano sostituite con altre di pietra, di mano in mano che si rendevano inservibili. Il che vale a spiegare la grande varietà delle sagome dei capitelli riconosciuti come appartenenti al tempio. Un grande disco di terracotta policroma (diam. m. 2,24), rintracciato nello scavo, costituiva l'arcaico acroterio centrale dell'edificio sulla fronte principale di levante.
Un altro tempio dorico, di cui quasi più nulla rimane, e assai più piccolo del precedente (m. 20,67 × 10,62) è il Metrō???on (b) o tempio di Cibele, la Magna Mater dei Romani. Tempio esastilo, con undici colonne sui lati lunghi, perittero e anfiprostilo, costruito non prima della fine del sec. V a. C. Malgrado l'incertezza intorno alle origini e alla storia del tempio, si sa che dopo un periodo di abbandono esso fu dedicato al culto di Augusto. Onde si deduce la scarsa popolarità goduta in Olimpia dal culto orientale di Cibele.
I cosiddetti tesori (ϑησαυροί [c]). Mentre lo Heraĩon e il Metrō???on sorgevano ambedue sullo stesso piano dell'Altis, comune anche al grande tempio di Zeus, edifici minori sorgevano sopra la terrazza artificiale a ridosso della collina di Kronos, collegata con l'Altis da una rampa di nove gradini (utilizzata dal pubblico dei pellegrini per godere gli spettacoli delle solenni processioni e detta perciò il Théatron). Sulla terrazza, assai più larga che profonda, si riconoscono tuttora i resti di ben undici piccoli edifici sacri, specie di tempietti, strettamente addossati l'uno all'altro per ragioni di spazio. Si tratta di tempietti votivi, che, secondo un costume diffuso in tutto il mondo greco, venivano innalzati nell'area sacra di celebri santuarî, come omaggio di una collettività alla divinità titolare: a Olimpia, quindi, in onore di Zeus. I tempietti, tutti con la fronte rivolta a sud, si succedono da est a ovest, anche cronologicamente, secondo il nome delle città dedicanti, in quest'ordine:1. Gela, 2. Megara, 3. Metaponto, 4. Selinunte, 5. Cirene, 6. Sibari, 7. Bisanzio, 8. Epidamno, 9. Siracusa, 10. Samo (incerto), 11. Sicione (qualche altro tempietto è andato distrutto in antico). L'elemento italo-greco era, come si vede, largamente rappresentato. Il tesoro più antico, quello dei Gelesi, si adornava in origine di una ricca e originale trabeazione in terracotta policroma, di cui numerosi frammenti si recuperarono durante gli scavi. Del tesoro dei Megaresi fu recuperata una parte di frontone scolpito con scena di gigantomachia. Più recente di tutti, il tesoro dei Sicionî fu costruito fra il 479 e il 470 a. C.
Tempio di Zeus (d). Il culto di Zeus vigeva in Olimpia sino dai tempi preistorici, intimamente collegato con un grande altare allo scoperto, che aveva il dono di essere un altare divinatorio (βωμὸς μαντεῖος), e su cui si accumulavano liturgicamente le ceneri delle vittime. L'altare, di cui non rimane più traccia, sorgeva in prossimità del tempio di Era, a sud-est. Forse in età arcaica lo stesso Heraĩon era tempio di Zeus e di Era insieme. La massima divinità titolare del luogo ebbe più tardi il suo santuario, più grande di tutti gli altri, nella vasta area del recinto dell'Altis: là dove il tempio fu costruito fra il 470 e il 460 o 456 a. C., su disegni di Libone di Elide (v.). Anche questo tempio era di stile dorico, perittero, anfiprostilo, con 6 colonne sulle fronti e 16 sui lati lunghi (dimens. m. 27,66 × 64,10), con una larga rampa di accesso a est. Anche nella cella si ripeteva lo schema costruttivo tradizionale. In fondo alla navata centrale sorgeva su alta base, protetta da un'artistica balaustrata, la statua colossale, seduta, di Zeus, capolavoro di scultura e di tecnica crisoelefantina, di mano di Fidia (v.).
La magnificenza del tempio si rivelava anche all'esterno nella ricchezza delle sculture architettoniche, frontoni e metope, recuperate quasi al completo in seguito agli scavi, e raccolte nel locale museo. La scena rappresentata sul frontone orientale - composta di 21 figure (13 figure umane e due quadrighe), come l'altra sul frontone opposto - esprime i preparativi della corsa di Pelope e di Enomao; quella sul frontone occidentale la lotta selvaggia dei Lapiti e dei Centauri alle nozze di Piritoo (v. frontone). Le metope, in numero di dodici (sei per ciascuna fronte della cella interna), rappresentavano le fatiche di Eracle, e cioè: il leone di Nemea; l'idra di Lerna; gli uccelli di Stinfale; il toro di Creta; la cerva cerinite; l'amazzone; il cinghiale di Erimanto; i cavalli di Diomede; Gerione; Atlante e l'Esperide; la cattura di Cerbero; le stalle di Augia. La tradizione, riferita da Pausania, riteneva i frontoni opera degli scultori Peonio e Alcamene, degli ultimi decennî del sec- V, attribuendo il frontone orientale a Peonio, l'occidentale ad Alcamene. Nonostante qualche recente teoria in contrario, tutto induce a riconoscere in quelle sculture lo stile di artisti piuttosto anteriori che posteriori alla fioritura di Fidia; scultori peloponnesiaci, fors'anche di origine locale, dell'Elide.
Filippeĩon (e). Aggiungiamo tra i luoghi di culto il tempietto votivo detto Filippeĩon, un edificio rotondo, perittero, ideato, sembra, dallo stesso Filippo e portato a compimento sotto Alessandro, a esaltazione della dinastia macedone; era all'angolo nordovest dell'Altis. L'edificio, lussuosamente decorato in stile corinzio, conteneva le statue, in avorio e oro, di Filippo, del padre Aminta e del figlio Alessandro, della moglie Olimpiade e della sorella Euridice, opere di Leocare (v. heroon). Di altri luoghi sacri e altari allo scoperto, tra cui importantissimo il Pelópion (f), o recinto sacro di Pelope, l'eroe locale, a sud dell'Heraĩon, non rimane alcun sicuro ricordo monumentale.
Sebbene talora spiccatamente rivestiti di un carattere sacro, distinguiamo dai veri e proprî luoghi di culto i seguenti:
Pritaneo (g). Era un edificio a pianta quadrata, con divisioni simmetriche, solo in parte assegnato al culto, a nord-ovest dello Heraĩon; con una sala terrena, centrale, occupata dall'ara di Vesta, e con una o più sale per banchetti, poiché nel Pritaneo, amministrato da sacerdoti, erano ricevuti a banchetto i vincitori dei giuochi olimpici e i visitatori stranieri di riguardo.
Buleuterio (h). Di età assai remota, forse anche più del precedente, era il Buleuterio, sede della bulè, consesso di cittadini addetti all'amministrazione del santuario e all'alta direzione dei giuochi. Il Buleuterio constava, come tuttora è dato riconoscere sul terreno, di tre parti distinte, e cioè di due lunghe aule rettangolari absidate, ciascuna a due navate (con fila di colonne lungo l'asse longitudinale), e d'un vano quadrato intermedio più piccolo, non comunicante: le tre parti avevano un unico allineamento frontale, a est, munito di colonnato. Il vano centrale si ritiene fosse un recinto scoperto, con nel mezzo il simulacro di Zeus Hórkios, tutore della santità dei giuramenti, davanti al quale erano condotti a giurare gli atleti prima dell'inizio dei giuochi.
Palestra (i, lungo il lato ovest dell'Altis, come i due edifici segnati, l e m): imponente edificio a pianta quadrata, con grande cortile centrale di m. 41 di lato, chiuso dentro un colonnato continuo, con ambienti varî retrostanti, per uso verosimilmente degli atleti.
Theokoléon (l): residenza ufficiale del collegio dei sacerdoti addetti, sembra, all'interpretazione degli oracoli e a particolari servizî divini. Planimetricamente era un cortile quadrato, chiuso intorno da piccole celle, come quelle di monaci, abitate, si ritiene, dai theokóloi o theēkóloi. L'edificio risulta notevolmente modificato e ingrandito in età romana; la parte originaria, molto antica, rimane aderente, come un'appendice, al grande edificio posteriore costruito di seguito più a est. All'angolo sud-est del Theokoléon si vedono i resti d'una chiesa bizantina, sul sito della quale si ritiene sorgesse il laboratorio (ἐργαστήριον) di Fidia.
Il successivo Leōnídaion (m) così denominato da un Leonide (v.) di Nasso, che ebbe a innalzarlo a proprie spese, si può considerare come il più meridionale degli edifici del santuario, ed è il più prossimo all'ingresso principale del recinto sacro. Costruzione monumentale di m. 74 × 80, esso presentava un porticato, esterno continuo, ionico, di 138 colonne, e un porticato interno, dorico, intorno a un cortile centrale. Tra i due colonnati è una complessa distribuzione di ambienti, nei quali ricevevano ospitalità i forestieri di qualche conto, e dove in età romana risiedevano i magistrati romani di Olimpia.
Il complesso edilizio dell'Altis comprendeva anche una serie di costruzioni minori. A ovest del Pritaneo un Ginnasio (n) per gli esercizî di atletica leggiera. Immediatamente a sud del Buleuterio un porticato (o), o Stoà, lungo m. 78, in cui si vorrebbe riconoscere la Proedria ricordata da Pausania: probabile ufficio degli Ellanodici (ἡλλανοδίκαι), giudici supremi dei giuochi. All'angolo sud-est del recinto lo Hellanodíkaion (p), residenza ufficiale degli Ellanodici. Di seguito, sul lato est, il cosiddetto Portico di Eco (q), a doppio colonnato, lungo 96 m., detto anche Poikíle Stoà, cioè "portico variopinto", per le pitture onde si adornava. All'estremo nord del recinto, fra il tempio di Era e il Metrŏ???on, i resti di una grandiosa costruzione romana con grande abside centrale (r): la cosiddetta Esedra di Erode Attico, monumentale ninfeo, già sovraccarico di sculture, del 150-160 circa d. C.; era alimentato da un grandioso acquedotto che, prendendo le mosse da grande distanza, terminava dietro l'abside appoggiata alle pendici del Kronion. Altre importanti costruzioni romane erano la Casa di Nerone dietro lo Hellanídikaion, e le Terme, in vicinanza del Cladeo. Finalmente, all'angolo nord-est, fuori del recinto, si stendeva lo Stadio (s), per le corse a piedi: località di nessuna importanza monumentale, poiché la spianata, rettangolare (di m. 212 × 32) aveva intorno una gradinata non di pietra, ma di semplice terra battuta. Notevoli tuttavia i resti del sottopassaggio con vòlta a botte (t) dal recinto sacro allo Stadio. Immediatamente a sud si stendeva l'Ippodromo (v.).
L'importanza monumentale di Olimpia risiedeva notoriamente non soltanto nei suoi edifici e nelle sue immagini di culto, ma anche nelle molte opere d'arte di carattere votivo, specialmente di scultura, onde il santuario era disseminato. Largamente sparse sul terreno si trovano tuttora numerose basi di pietra e di marmo, adibite originariamente a reggere delle statue, di cui non si è trovata più traccia in seguito alla sistematica opera secolare di distruzione. Tali opere statuarie, in marmo e in bronzo, eseguite dai migliori scultori greci fioriti tra il sec. VI a. C. e l'età romana, erano per lo più statue di atleti vincitori dei giuochi. Ma non mancavann anche le statue votive di divinità. Numerose statue di Zeus, denominate dialettalmente Zanes, sorgevano ai piedi della gradinata dei tesori (z). Presso l'angolo sud-est del tempio maggiore poi, sorgeva, eretta su alta base triangolare (z′), la statua celebre della Nike, volante, scolpita da Peonio di Mende e dedicata a Giove da parte dei Messenî e dei Naupattî in ricordo di una loro vittoria sugli Spartani. La statua, mancante solo del capo, è oggi una delle maggiori attrattive del locale museo (presso la riva del Cladeo). Quivi anche si conserva ed è esposto tutto il residuo materiale di scavo, dal vasellame fittile e dalle statuette votive in bronzo e in terracotta, di età preistorica, sino ai frammenti marmorei di più o meno tarda età imperiale romana.
Bibl.: Pausania, libri V e VI, e relative edizioni commentate di J. G. Frazer (in ingl.), Londra 1898, e di H. Hitzig e H. Bluemner (in ted.), Berlino 1896-1910; E. Curtius e Fr. Adler, Ausgrabungen zu Olympia, voll. 5, Berlino 1876-1881; A. Boetticher, Olympia, ivi 1886; A. Flasch, in A. Baumeister, Denkmäler d. klass. Altertums, XXIX, Monaco-Lipsia 1889, s. v.; E. Buschor e R. Hamann, Die Skulpturen des Zeustempels zu Olympia, Marburgo 1924; H. Schrader, Phidias, Francoforte 1924; W. Hyde, Olympic Victor Monuments, Washington 1921; E. Norman Gardiner, Olympia. Its History a. Remains, Oxford 1925; G. Rodenwaldt, Bemerkungen zu den Sculpturen von Olympia, in Archaeol. Jahrb., 1926, p. 207 segg.; W. H. Schuchhardt, Ersatzfiguren im Westgiibel des Zeustempels in Olympia, in Arch. Anzeiger, 1930, p. 525 segg.
Ulteriore bibliografia generale e particolareggiata dei singoli monumenti di Olimpia, in Katalog der Bibliothek des deutschen archaeol. Institus in Rom, di E. Merklin e Fr. Matz, Berlino-Lipsia 1930, pag. 97 segg.
Una trattazione sommaria di questioni topografiche su Olimpia, è contenuta in Baedeker, Grèce, Lipsia 1910, pag. 301 segg., e in G. Fougères, Grèce, nuova ed., Parigi 1932, pag. 337 segg.