OLIGOPOLIO
L'o. è una forma di mercato che si caratterizza per una significativa interdipendenza strategica fra imprese: un'impresa oligopolistica prende le sue decisioni tenendo conto delle decisioni, e delle azioni, che essa ritiene prenderanno le imprese rivali. Ciò dipende dal fatto che alcune imprese, in virtù delle loro dimensioni o di altri fattori, sono in grado d'influenzare direttamente il prezzo dei beni attraverso le loro decisioni e azioni. Accanto a queste di solito convive un numero più o meno grande di imprese con un potere di mercato assai minore.
L'inizio della teoria dell'o. risale al lavoro di A.A. Cournot del 1838, ma l'analisi di questa forma di mercato si è sviluppata molto più recentemente anche a seguito di trasformazioni economiche strutturali che hanno reso sempre più difficile studiare il comportamento dei mercati ricorrendo ai tradizionali concetti di concorrenza e monopolio. Le trasformazioni più significative sono state il processo di concentrazione industriale, che ha portato alla formazione di grandi imprese, e il processo di differenziazione crescente dei beni e dei servizi prodotti. Al di là di un generico consenso su alcune caratteristiche dei mercati oligopolistici, esistono differenti approcci all'analisi dell'o. che, a loro volta, derivano da diverse impostazioni teoriche generali. Si può tracciare una distinzione fra analisi dell'o. appartenenti all'alveo dell'economia marginalista che trovano la loro origine nel lavoro di Cournot e analisi dell'o. che si riallacciano all'economia politica classica, a Marx e Schumpeter. Alla base di questi due approcci vi è una diversa concezione della concorrenza: da un lato la tradizionale concezione statica del marginalismo che si concentra soprattutto sulla numerosità delle imprese per definire e differenziare concorrenza e o.; dall'altro lato, una concezione dinamica che privilegia l'analisi del processo concorrenziale evidenziando i differenti caratteri che esso assume in concorrenza e in regime di o. (per un'illustrazione delle differenze analitiche e metodologiche fra questi due approcci all'analisi dell'o., v. Sylos Labini 1989; Rothschild 1990).
Da Cournot alla teoria dei giochi. − L'evoluzione dell'analisi dell'o. che va dal lavoro di Cournot alle moderne applicazioni della teoria dei giochi è tutta circoscrivibile entro l'approccio marginalista. I modelli di questo tipo si concentrano essenzialmente sul problema statico della determinazione dell'equilibrio, essendo dato e costante il numero delle imprese operanti nel mercato.
Nella concezione marginalista di concorrenza perfetta − che proprio Cournot contribuì a rendere precisa e rigorosa − la numerosità degli agenti che operano sul mercato è il fondamentale elemento caratterizzante. Sia il numero dei produttori sia quello degli acquirenti è abbastanza grande da far sì che nessun singolo agente sia in grado d'influenzare significativamente la quantità complessiva del bene scambiata nel mercato. Ne deriva che per ogni singolo agente il prezzo del bene è un dato (gli agenti sono detti price-takers).
Nell'analisi di Cournot, l'o. si distingue dalla concorrenza perfetta per la numerosità delle imprese che operano sul mercato: un numero relativamente ristretto di imprese fronteggia un numero relativamente elevato di acquirenti. Gli acquirenti restano price-takers mentre le imprese cessano di esserlo in quanto il loro numero ridotto le rende capaci d'influenzare i prezzi dei beni: ciò fa sorgere l'interdipendenza strategica fra imprese. Cournot si concentrò su un caso di duopolio, un mercato in cui vi sono solo due imprese che offrono un bene omogeneo venduto allo stesso prezzo. Ognuna delle due imprese ha per obiettivo la massimizzazione del profitto; esse prendono decisioni in modo completamente indipendente l'una dall'altra (non c'è collusione fra imprese). Il prezzo p che assicura l'equilibrio di mercato dipende dalla funzione di domanda (nota) e dall'offerta globale O, che è data dalla somma delle produzioni delle due imprese, ognuna delle quali, nel decidere la quantità da produrre che massimizza il suo profitto, deve necessariamente tener conto delle azioni dell'altra. Infatti il profitto dell'impresa 1 dipende dal prezzo p che, dipendendo a sua volta dalla quantità totale offerta, è necessariamente influenzato anche dalla quantità che l'impresa 2 decide di produrre. Per Cournot, ognuna delle due imprese fa un'ipotesi su quanto produrrà la sua rivale e, di conseguenza, decide quanto produrre essa stessa.
Si dimostra che il modello di Cournot ha una soluzione di equilibrio: una coppia di output (O*1, O*2), e il corrispondente prezzo di equilibrio p*, che assicura la massimizzazione del profitto per entrambe le imprese. Tale equilibrio è anche stabile (per maggiori dettagli, si vedano, per es., Friedman 1983, pp. 19-46, e Zamagni, 19902, pp. 441-48).
Avendo risolto il modello di duopolio, Cournot considerò un caso con n imprese, dimostrando che il prezzo di equilibrio diminuisce al crescere di n. Più precisamente, ptende al prezzo di equilibrio in concorrenza perfetta per n che tende all'infinito. Cournot suppose che le imprese oligopolistiche prendessero decisioni sulla quantità da produrre. In una recensione al libro di Cournot, J. Bertrand (1883) obiettò che, in realtà, le imprese oligopolistiche considerano il prezzo come variabile indipendente. Bertrand sviluppò un modello basato su questa ipotesi alternativa mantenendo però le altre ipotesi di Cournot. Si dimostra che l'equilibrio di Bertrand coincide con l'equilibrio di concorrenza perfetta a meno che le imprese non scelgano di praticare una politica collusiva, cioè di prendere accordi circa il prezzo e/o le quantità del bene. F.Y. Edgeworth (1897) sviluppò e qualificò ulteriormente il modello di Bertrand (per maggiori dettagli, Zamagni 19902, pp. 448-51).
Il metodo seguito da Cournot può essere descritto facendo ricorso al concetto di curva di reazione. La curva di reazione di un'impresa oligopolistica descrive come essa vari la produzione al variare della quantità che suppone produrranno le imprese rivali, essendo nota la curva di domanda collettiva.
Nel modello di Cournot le curve di reazione delle due imprese sono caratterizzate dal fatto che la quantità che un'impresa ipotizza sia prodotta dall'impresa rivale è costante. In altre parole si assume che l'impresa rivale non modifichi la propria produzione in risposta alle decisioni prese dall'altra. Sotto queste ipotesi, si dimostra che l'equilibrio di Cournot si trova in corrispondenza dell'intersezione fra le due curve di reazione.
Il metodo delle curve di reazione fu sviluppato da H. von Stackelberg (1933 e 1934), abbandonando l'ipotesi che la quantità prodotta dall'impresa rivale sia fissa e ipotizzando che essa vari in funzione della quantità che l'altra impresa decide di produrre: l'impresa 1 suppone che 2 produrrebbe y se essa producesse x; che 2 produrrebbe y1 se essa producesse x1, e così via. Stackelberg introdusse anche un'analisi più articolata delle tipologie di comportamento delle imprese. Più precisamente, un'impresa oligopolistica può comportarsi da leader oppure da satellite. Un'impresa leader prende decisioni (di prezzo o di quantità) alle quali l'impresa satellite si adegua passivamente.
In un caso di duopolio si configurano tre possibili situazioni: a) 1 è leader e 2 è satellite, o viceversa; b) sia 1 che 2 sono leaders; c) sia 1 che 2 sono satelliti. L'equilibrio che si realizza sul mercato dipende dall'ipotesi sul comportamento delle due imprese; in particolare si ottiene un equilibrio di Cournot se entrambe le imprese si comportano da satellite. Se invece le imprese si comportano entrambe da leader si determina una situazione di disequilibrio di Stackelberg che conduce all'eliminazione di una delle due imprese oppure a una qualche forma di accordo collusivo. Nei casi in cui una sola impresa è leader, si determinano posizioni di equilibrio per essa più vantaggiose (per maggiori dettagli, Napoleoni 1956, pp. 1083-98; Friedman 1983, pp. 107-10; Zamagni 19902, pp. 451-55).
I modelli originariamente elaborati da Cournot, Bertrand, Edgeworth e Stackelberg sono stati successivamente sviluppati sia introducendo curve di reazione più sofisticate sia considerando casi in cui i beni offerti sono eterogenei (su ciò v. Friedman 1983, pp. 50-179). Il filone di ricerca maggiormente sviluppatosi è quello basato sulla teoria dei giochi (v. giochi, Teoria dei, App. IV, ii, p. 74). I modelli di Cournot, Bertrand, Edgeworth e Stackelberg si prestano bene a essere formulati e risolti in termini di teoria dei giochi (per un'introduzione all'applicazione della teoria dei giochi all'o., v. Gibbons 1992; Costa-Mori 1992).
Il modello di duopolio di Cournot può essere descritto come un gioco statico non cooperativo con informazione completa: il modello è statico nel senso che ognuno dei giocatori (le due imprese) sceglie la propria strategia (quanto produrre) simultaneamente, avendo a disposizione lo stesso ammontare di informazioni. La funzione obiettivo (pay-off) delle due imprese è il profitto; ogni impresa conosce la funzione obiettivo dell'altra. La soluzione di equilibrio del modello è un equilibrio di Nash, cioè una coppia di strategie (s*1, s*2) dove s*1 costituisce la migliore scelta per l'impresa 1 se l'impresa 2 adotta la strategia s*2. Il modello di Stackelberg con un'impresa leader, per contro, può essere formulato come un gioco dinamico non cooperativo con informazione completa e perfetta. Il modello è dinamico nel senso che l'impresa leader decide per prima la propria strategia (quanto produrre) mentre l'impresa satellite decide la sua strategia solo successivamente, quando conosce le decisioni dell'impresa leader. L'informazione è perfetta perché le imprese conoscono, a ogni singolo stadio, la storia precedente del gioco. Anche l'equilibrio di Stackelberg, diverso dall'equilibrio di Cournot, è un equilibrio di Nash.
Nei giochi ripetuti i giocatori possono ripetere più volte il gioco, avendo osservato e appreso i risultati del gioco precedente. L'applicazione di giochi ripetuti ai modelli di o. determina la possibilità di soluzioni di equilibrio in cui si ha una certa collusione fra imprese.
Nel modello di Cournot, per es., le imprese potrebbero realizzare una soluzione migliore di quella che, in un gioco non ripetuto, rappresenta l'equilibrio di Nash. Se si ammette la possibilità di ripetere il gioco, le imprese possono raggiungere un diverso e più vantaggioso equilibrio di Nash cooperando fra loro, cioè attraverso la collusione (per una rassegna degli studi recenti sui comportamenti collusivi, v., per es., Tirole 1988, pp. 413-68; Grillo-Silva 1989, pp. 192-99).
In altre applicazioni della teoria dei giochi all'analisi dell'o., infine, viene abbandonata l'ipotesi di completa e perfetta informazione da parte delle imprese. L'informazione è incompleta nel senso che non tutti i giocatori conoscono le funzioni obiettivo degli altri; l'informazione è imperfetta in quanto i giocatori non conoscono la storia precedente del gioco (per maggiori dettagli, v. Ulph 1987).
L'analisi dinamica dell'oligopolio. − L'approccio teorico che fu proprio dell'economia politica classica si caratterizza per una concezione della concorrenza vista come un processo dinamico di continua lotta fra imprese per ampliare la propria quota di mercato. Nel processo concorrenziale le innovazioni tecnologiche e i vantaggi derivanti dalle economie di scala svolgono un ruolo cruciale. Nella concezione classica − condivisa da Marx (1867) e ripresa e sviluppata da J. Schumpeter (1942) − la concorrenza non è quindi concepita e descritta come una struttura di mercato − definibile, in particolare, in base al numero di imprese − ma come un processo e un modo di comportamento delle imprese (su ciò v., per es., McNulty 1968).
Su questi presupposti analitici si è sviluppata una teoria dell'o. in cui questa forma di mercato non viene caratterizzata e distinta dalla concorrenza sulla base di elementi quali la numerosità delle imprese ma piuttosto sulla base dell'esistenza di barriere che, in varia misura, riducono e modificano il processo competitivo fra imprese, rendendo soprattutto difficile l'entrata nel mercato di nuove imprese. L'analisi dell'o. incentrata sull'importanza delle barriere all'entrata fu iniziata e sviluppata negli anni Cinquanta da J. Bain e P. Sylos Labini, sebbene in modo autonomo l'uno dall'altro. F. Modigliani contribuì alla conoscenza e diffusione dei lavori di Bain e Sylos Labini con un suo articolo pubblicato nel 1958 (per una rassegna del dibattito più recente sulle barriere all'entrata, v. Grillo-Silva 1989, pp. 207-28).
Nel processo concorrenziale le imprese che per prime attuano con successo una certa strategia (in primo luogo, ma non solo, l'introduzione di nuove tecnologie più efficienti) assumono una posizione di privilegio (maggiore profittabilità e/o maggiori quote di mercato) rispetto alle altre. Questa situazione permane fintanto che altre imprese − già esistenti o nuove − non riescono a imitare le strategie adottate dalle imprese in posizione di vantaggio. Quando prevale un regime di concorrenza non esistono significative barriere che impediscano l'imitazione e la diffusione delle strategie più efficienti, pertanto le posizioni di vantaggio godute da alcune imprese sono necessariamente di durata relativamente breve.
È lo stesso processo concorrenziale che crea le condizioni per l'insorgere di ostacoli (barriere) di natura più stabile che caratterizzano l'oligopolio. Il processo di concentrazione, da un lato, porta alla formazione di imprese di grandi dimensioni le quali, in quanto tali, possono adottare tecniche produttive che non possono essere impiegate da imprese di minore dimensione. Dall'altro lato, il processo di differenziazione dei beni e dei servizi rende più difficile la competizione fra un'impresa e l'altra in quanto esse non producono più beni e servizi immediatamente sostituibili fra loro.
La natura delle barriere è, quindi, diversa a seconda del tipo di mercato oligopolistico. In particolare esistono barriere di tipo diverso nell'o. concentrato e nell'o. differenziato. L'o. concentrato, in cui si producono beni essenzialmente omogenei, è prevalente nei settori industriali che producono mezzi di produzione in cui si ha un elevato grado di concentrazione industriale: poche grandi imprese svolgono una funzione di leader e fissano il prezzo al quale il bene prodotto viene venduto. Le grandi imprese sono quelle tecnologicamente avanzate, accanto alle quali convivono imprese più piccole e meno efficienti.
Nell'o. concentrato esistono barriere tecnologiche le quali, da un lato, rendono impossibile adottare le stesse tecniche delle imprese leader da parte delle imprese più piccole e, dall'altro lato, impediscono l'entrata di nuove imprese. Nuove imprese che volessero entrare nel mercato potrebbero farlo in modo conveniente solo adottando tecniche e dimensioni delle imprese leader già esistenti. Ciò, tuttavia, determinerebbe un sensibile aumento della quantità globalmente offerta e, di conseguenza, una significativa riduzione del prezzo che renderebbe non più profittevole l'entrata nel mercato. Le nuove imprese, pertanto, si astengono dall'entrare nel mercato.
L'o. differenziato si caratterizza per il fatto che i beni offerti non sono omogenei. Nell'o. differenziato non esistono apprezzabili differenze tecnologiche e di scala fra imprese; grande importanza hanno tutte quelle spese e attività finalizzate a differenziare i prodotti e a conservare i propri clienti. Nei settori industriali che producono beni durevoli di consumo tende a prevalere un o. misto, una sorta di combinazione fra o. concentrato e differenziato. Le forme differenziate di o. assumono importanza crescente nelle moderne economie avanzate a causa di una progressiva differenziazione dei gusti dei consumatori e di innovazioni tecniche che rendono la produzione industriale più flessibile e più facilmente adattabile alla domanda.
Nell'o. differenziato esistono innanzi tutto barriere interne che impediscono alle imprese già esistenti di conquistare significative quote di mercato a scapito l'una dell'altra. Ma esistono anche barriere esterne generate dal fatto che una nuova impresa, per entrare nel mercato, dovrebbe sostenere assai elevate spese di vendita (pubblicità, campagne promozionali, ecc.) per riuscire a sottrarre quote di mercato significative alle imprese già esistenti. Spese così elevate si scontrano però con la difficoltà di conquistare quote di mercato sufficientemente ampie da consentire il loro recupero.
Per quanto riguarda la determinazione del prezzo nei mercati oligopolistici, l'analisi non è tanto rivolta alla determinazione delle usuali condizioni marginaliste di massimizzazione quanto all'analisi dei meccanismi attraverso i quali le imprese dominanti stabiliscono un prezzo che pone il mercato in uno ''stato di riposo'', cioè una situazione in cui nessuna nuova impresa è indotta a entrare e nessuna impresa già presente è indotta a uscire dal mercato.
Tipicamente, un mercato in o. concentrato è caratterizzato da stati di riposo durante i quali le imprese leader più efficienti guadagnano extra-profitti mentre le imprese più piccole realizzano un saggio del profitto che esse reputano il minimo accettabile per restare in quel mercato. Il prezzo che garantisce una situazione del genere dipende da diversi fattori: a) l'estensione assoluta del mercato; b) l'elasticità della domanda; c) le tecnologie adottate dalle varie imprese; d) i prezzi dei fattori variabili e delle macchine (per dettagli sulla determinazione del prezzo in o., v. Sylos Labini 19674, pp. 62-90).
A differenza di quanto avviene nelle analisi di tipo marginalista, il problema della determinazione del prezzo di equilibrio non rappresenta l'aspetto centrale dell'analisi dinamica dell'oligopolio. Maggiore attenzione è prestata al problema della variazione dei prezzi e, ancor più, ai problemi del progresso tecnico e dello sviluppo. In o. i fattori che determinano la variazione dei prezzi sono parzialmente diversi a seconda che si consideri il lungo o il breve periodo. Nel lungo periodo i prezzi tendono a decrescere con l'espansione della domanda e con la riduzione dei costi di produzione. Nel breve periodo sono soprattutto le variazioni dei costi diretti (o variabili) che determinano variazioni dei prezzi. Nel lungo periodo, l'espansione di un mercato favorisce l'entrata di grandi imprese più efficienti grazie alle economie di scala di cui possono godere e, pertanto, il prezzo del bene prodotto tende a essere più basso che in un mercato meno ampio in cui l'entrata di grandi imprese è meno favorita. D'altro canto la riduzione dei costi di produzione, determinata dal progresso tecnico, costituisce un altro fattore che opera nel senso della riduzione dei prezzi. Nel breve periodo, sono le variazioni dei costi diretti che determinano le variazioni dei prezzi. I costi diretti possono mutare a causa di variazioni della produttività oppure a causa di variazioni dei prezzi dei fattori variabili, cioè lavoro e materie prime (v. Sylos Labini 1992, pp. 118-159 e 180-204).
In un mercato oligopolistico, le imprese leader che hanno la capacità di fissare i prezzi, operano cercando d'impedire che le frequenti oscillazioni dei costi diretti − e i conseguenti tentativi di adeguare i prezzi a tali variazioni − producano altrettanto frequenti e pericolose perturbazioni del mercato. Un metodo semplice e rapido per reagire alle variazioni dei costi è l'applicazione del cosiddetto principio del costo pieno, che consente di riprodurre il più rapidamente possibile la situazione preesistente alla variazione dei costi diretti.
Il principio del costo pieno, nella sua formulazione più semplice, può essere espresso nel modo seguente:
p=v+qv
dove p è il prezzo, v è il costo diretto (dato dalla somma del costo del lavoro e del costo delle materie prime) e q è un mark-up che le imprese applicano sul costo diretto. La quantità qv dev'essere tale da coprire i costi fissi unitari e garantire un profitto unitario:
dove x è la quantità prodotta, k il costo fisso totale, k/x il costo fisso unitario e π il profitto unitario.
Nel variare i prezzi, le imprese leader fanno riferimento ai costi diretti in quanto le loro variazioni (soprattutto quelle relative ai prezzi delle materie prime) sono assai più uniformi e generalizzate delle variazioni dei costi totali (costi diretti più costi fissi) poiché i costi fissi sono fortemente differenziati fra imprese di diversa produttività.
In prima approssimazione si potrebbe ritenere che le imprese tendano a far variare i prezzi proporzionalmente alla variazione dei costi diretti (cioè a mantenere costante il mark-up q), ma in realtà il mark-up non resta costante. Esso tende a variare inversamente al variare dei costi diretti: diminuisce quando i costi aumentano e cresce quando i costi diminuiscono. La traslazione delle variazioni dei costi diretti sui prezzi è quindi parziale. Essa, inoltre, è anche asimmetrica, nel senso che quando i costi diretti aumentano l'aumento dei prezzi è percentualmente maggiore della diminuzione dei prezzi che segue una riduzione dei costi. Questa asimmetria è coerente con gli interessi delle imprese oligopolistiche che tentano di recuperare nella misura massima possibile gli aumenti dei costi diretti e tentano di guadagnare quanto più possibile dalla loro riduzione.
Per quanto riguarda le variazioni dei prezzi in risposta ad aumenti dei costi diretti, la ragione principale che impedisce alle imprese di traslare completamente il loro aumento sui prezzi è la minaccia della concorrenza estera. Imprese concorrenti estere che non abbiano subito gli stessi aumenti di costo potrebbero conquistare quote di mercato mantenendo più bassi i loro prezzi. Per quanto riguarda le riduzioni dei costi, il motivo principale della diminuzione meno che proporzionale dei prezzi è soprattutto il fatto che, proprio per le caratteristiche strutturali dell'o., le diminuzioni dei costi diretti tendono a essere diversificate (maggiori riduzioni nelle imprese più efficienti e minori riduzioni nelle altre). Pertanto, le imprese leader non abbassano i prezzi proporzionalmente alla loro (maggiore) riduzione dei costi perché così facendo rischierebbero di espellere le imprese meno efficienti, creando pericolosi vuoti di mercato che potrebbero essere colmati da nuove grandi imprese concorrenti. Del resto, una limitata diminuzione dei prezzi è vantaggiosa per le imprese leader anche perché essa fa aumentare i loro extra-profitti.
L'analisi dell'o. è stata applicata anche a concreti sistemi economici. Sylos Labini, per es., ha applicato la sua teoria dell'o. allo studio dell'economia italiana e di altri sistemi economici, fornendo stime empiriche a sostegno delle sue argomentazioni analitiche (v. Sylos Labini 1992, pp. 251-99).
Dall'approccio dinamico all'analisi dell'o. discende una costante e forte attenzione per il problema del progresso tecnico e per le caratteristiche che esso tende ad assumere in tale forma di mercato. Di particolare interesse è l'analisi degli effetti distributivi delle innovazioni tecnologiche (su ciò v., per es., Sylos Labini 1967n,4, pp. 167-230).
Soprattutto in o. concentrato, le differenziazioni fra imprese generalmente impediscono un ampio e rapido processo di diffusione del progresso tecnico. Quando un'innovazione è adottabile solo da poche imprese avanzate, i suoi benefici tendono a restare circoscritti in queste imprese. Si hanno sia più elevati profitti per le imprese che più elevati redditi per i lavoratori in esse occupati; questi ultimi, infatti, riescono a ottenere più agevolmente aumenti retributivi proprio grazie al fatto che le imprese guadagnano profitti elevati. Ciò si traduce nel fatto che le innovazioni in o. tendono ad avere un effetto limitato sui prezzi e, pertanto, limitati effetti esterni sia su altre imprese e industrie sia sui redditi dei lavoratori che esse occupano.
Questa è un'importante differenza strutturale fra o. e concorrenza. In concorrenza, dove tutte le imprese in un'industria sono sostanzialmente simili, le innovazioni tecnologiche tendono a diffondersi in modo relativamente rapido e conducono a riduzioni dei prezzi che hanno effetti diffusi sulle altre industrie e sui redditi reali dei lavoratori.
Il prevalere di condizioni oligopolistiche tende a favorire l'insorgere di condizioni dualistiche, cioè rilevanti differenziazioni fra settori e imprese più avanzati con redditi reali elevati e settori e imprese meno produttivi con redditi reali più bassi. Questo impianto analitico è stato usato anche per fornire una chiave interpretativa del dualismo a livello internazionale fra paesi industrializzati, dove prevalgono mercati oligopolistici, e paesi in via di sviluppo per lo più agricoli, dove prevalgono condizioni più vicine a quelle concorrenziali (per una recente rassegna sullo sviluppo diseguale e i rapporti fra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, v. Dutt 1990, pp. 156-213).
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