OGLERIO di Lucedio
OGLERIO di Lucedio. – Secondo la tradizione, nacque a Trino, non lontano da Vercelli, tra il 1130 e il 1140.
Ricoprì forse la carica di priore presso l’abbazia cistercense di Rivalta, in diocesi di Tortona, tra il dicembre 1198 e l’agosto 1202. Nel 1205 fu eletto abate di Lucedio, cenobio cistercense in diocesi di Vercelli, fondato dai marchesi di Monferrato nel 1123 e legato alla linea di La Ferté, succedendo a Pietro da Magnano, scelto quale abate di La Ferté stessa.
Nel marzo 1210 chiese e ottenne per la sua abbazia un diploma di protezione dall’imperatore Ottone IV, in cui furono confermati numerosi diritti, tra i quali il permesso di navigare e pescare liberamente lungo il fiume Po e un’esenzione generale sui pedaggi. Il 28 dicembre 1211, a seguito di un arbitrato, chiuse un contenzioso e siglò un accordo con il Comune di Vercelli, cedendo al canevario cittadino i diritti che l’abbazia di Lucedio deteneva sui mulini e sulle acque di Trino vercellese e ricevendo in cambio la somma di 122 lire pavesi. Il 25 maggio 1212, su richiesta del marchese Guglielmo VI di Monferrato, Innocenzo III incaricò gli arcivescovi di Filippi e di Serre di restituire all’abate di Lucedio il monastero di Chortaïton, presso Tessalonica, che, donato tra il 1204 e il 1205 all’abbazia vercellese dal padre di Guglielmo, Bonifacio I, era stato sottratto in un secondo tempo ai monaci cistercensi dall’imperatore latino Enrico d’Hainault, per cattiva amministrazione.
Sono attestati diversi incarichi che Oglerio svolse per conto dell’ordine di Cîteaux e della sede apostolica. Per due volte, nel 1207 e nel 1208, fu inviato dal capitolo generale cistercense, insieme a Baiamonte, abate del monastero piacentino di Chiaravalle della Colomba, a verificare se la canonica di S. Michele di Cameri, in diocesi di Novara, possedesse le condizioni economiche e giuridiche necessarie per poter essere trasformata in abbazia e incorporata nell’ordine, in dipendenza dall’abbazia milanese di Morimondo. Nel 1211, probabilmente intorno ad aprile, il vescovo eletto di Novara, Gerardo da Sesso, che poco tempo dopo sarebbe diventato cardinale vescovo di Albano e legato apostolico, lo incaricò di visitare e correggere il monastero femminile di S. Maria di Zebeto, colpito da interdetto in quanto le monache si rifiutavano di accordare l’obbedienza dovuta all’abbazia di S. Maria di Acqui. Il 2 gennaio 1212, insieme ai vescovi Aliprando di Vercelli e Giacomo di Torino, fu scelto da Innocenzo III quale giudice delegato nell’annosa causa tra la pieve di S. Evasio di Casale, in diocesi di Vercelli e la canonica di S. Germano di Paciliano circa l’esercizio di alcuni diritti pievani, tra cui il battesimo dei bambini. Sempre in quell’anno fu sanzionato dal capitolo generale di Cîteaux per non essersi recato all’annuale riunione degli abati, disattendendo le indicazioni del suo visitatore.
Mantenne la carica di abate fino alla morte, il 10 settembre 1214.
A differenza di diversi predecessori e successori il suo nome non si trova nel martirologio dell’abbazia di Lucedio, anche se una nota obituaria risulta erasa in corrispondenza del giorno della sua dipartita. Il culto locale, attestato almeno dal 1577, fu confermato ufficialmente da Pio XI l’8 aprile 1875, da celebrarsi presso l’ordine cistercense e nelle diocesi di Vercelli, Casale e Biella. Le spoglie mortali, tumulate originariamente presso l’abbazia, dopo la soppressione della stessa nel 1784 furono traslate presso la chiesa parrocchiale di Trino vercellese.
Di Oglerio si conservano due opere, il cui principale testimone risulta un manoscritto del XIII secolo dell’abbazia cistercense piemontese di Staffarda, ora conservato presso la Biblioteca nazionale di Torino (ms. E.V.4). Sul codice pose l’attenzione il cardinale cistercense Giovanni Bona (m. 1674), che per primo segnalò l’esistenza del Tractatus in laudibus Sancte Dei Genitricis (cc. 1-68v) e identificò nell’abate di Lucedio l’autore dell’Expositio super Evangelium in Coena Domini (cc. 71-141), fino a quel momento attribuita a Bernardo di Chiaravalle. Il codice fu oggetto di edizione da parte di Giovanni Battista Adriani (Beati Oglerii de Tridino abbatis monasterii Locediensis ordinis Cisterciensium in diocesi Vercellensi Opera quae supersunt ad ortographiam ms. codicis Bibliothecae regii Taurinensis athenaei, Torino 1873). Il Tractatus, anteriore all’elezione abbaziale del 1205, risulta diviso in 13 sermoni preceduti da un prologo. Se nella sua interezza l’opera rimase quasi sconosciuta, grande successo ebbe invece un suo estratto, pervenuto in diverse recensioni, spesso con il titolo di Planctus beate Marie Virginis, e con ‘incipit’ Quis dabit capiti meo aquam (Ger. 9, 1). Si tratta di una forma innovativa di lamentatio in prima persona messa sulle labbra della Madonna che dialogando con un narratore risponde alle domande riguardanti la passione di Cristo. Attribuito di volta in volta a Bernardo di Chiaravalle, Agostino o Anselmo di Bec, il Planctus divenne uno delle più popolari opere a carattere religioso della fine del Medioevo. Esso presenta una estesissima tradizione manoscritta tra XIII e XV secolo ed è stato oggetto di volgarizzamenti, di adattamenti in varie lingue e di diverse edizioni a stampa, tanto da avere, in particolare in ambito francese e inglese, una notevole influenza sulla produzione successiva di questo genere letterario. L’Expositio super Evangelium in Coena Domini, un commento ai capitoli 13-15 del vangelo di Giovanni, fu composta da Oglerio durante il periodo abbaziale. È divisa, secondo la partizione del manoscritto di Staffarda, in 14 sermoni preceduti da un prologo. Nel sermone 13 Oglerio professa esplicitamente la sua fede nell’Immacolata concezione di Maria.
Edizioni: Sermoni sull’Ultima Cena del Signore. Antologia, a cura di M. Capellino, Vercelli 1980; In praise of God’s holy mother. On our Lord’s words to his disciples at the Last supper, a cura di D.M. Jenni, Kalamazoo 2006.
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