FIFANTI, Oderigo (Odarrigo, Oddo)
Figlio di Arrigo, nacque a Firenze probabilmente verso la fine del XII secolo, da un ceppo familiare di origine signorile che proprio in quel tempo si diramava nei casati dei Fifanti, dei Giudi e dei Bogolesi. Se la sua famiglia era tra le principali della città, annoverando in quegli anni vari membri che ricoprirono la carica di console ed essendo proprietaria di case e di una torre nel sestiere di S. Pier Scheraggio nella parrocchia di S. Maria sopra Porta, il F. ne risulta secondo la tradizione cronistica il più noto esponente. Il grado di veridicità dei fatti riportati dalle fonti narrative non è valutabile con riscontri documentari, ma i quattro episodi biografici che lo riguardano appaiono comunque plausibili e lo qualificano come personaggio esemplare di quel ceto di cavalieri che rivestirono il ruolo di capiparte politici e militari nelle lotte di fazione cittadine.
"Huomo, valoroso" secondo la definizione dello Pseudo Brunetto Latini, il F. viene considerato dai cronisti fiorentini uno tra i maggiori responsabili della divisione di Firenze nelle fazioni dei guelfi e dei ghibellini. Si racconta che nel 1216,mentre partecipava a un banchetto offerto da Mazzingo dei Mazzinghi, insultò Uberto degli Infangati che si era irritato, unitamente a Buondelmonte dei Buondelmonti, per l'insolente scherzo di un giullare che gli aveva sottratto il tagliere sul quale i due stavano mangiando: dall'offesa che di rimando scagliò contro di lui l'Infangati (la celebre frase "Tu menti per la gola", provocazione verbale considerata particolarmente infamante) nacque una rissa conclusasi con il ferimento del F. da parte del Buondelmonti, che lo colpì con una coltellata al braccio.
L'episodio per la sua gravità richiedeva un patto di riconciliazione solenne tra i due contendenti oppure la vendetta. Il F., dopo un consulto consortile tenuto con gli Uberti, gli Amidei, i Lamberti e i conti da Gangalandi nella chiesa di S. Maria sopra Porta, optò per la prima soluzione: venne così deciso di sanare la discordia obbligando il Buondelmonti a prendere in sposa la nipote del F., figlia di Lambertuccio degli Amidei. Ma quando ormai le nozze erano imminenti, Buondelmonte ruppe il patto, preferendo la figlia di Forese Donati, spinto a ciò dall'intrigante madre di costei. L'impegno tradito provocò la dura reazione dei parenti della giovane e dei loro consorti ed amici, che in una nuova concitata riunione decisero che il traditore dovesse essere punito con la morte. Due mesi dopo, il giorno di Pasqua, il Buondelmonti veniva assalito in un agguato presso il ponte Vecchio e pare fosse proprio il F. a dargli il colpo di grazia con il pugnale: "e questa morte - chiosa il Villani - fu la cagione e cominciamento delle maledette parti guelfa e ghibellina in Firenze" (Nuova cronica, VI, 38).
Per quanto l'episodio si imponesse nella memoria collettiva della città come la causa che innescò la secolare piaga delle divisioni faziose, esso non dovette apparire in sé poi così eccezionale, sia perché i racconti cronistici mostrano già negli antefatti due gruppi contrapposti di famiglie eminenti, sia perché in quella società era diffusa la pratica della vendetta. Divisasi la città in "parte del Guelfo" e "parte del Ghibellino", e in quest'ultima ricoprendo il F. con il proprio gruppo familiare un ruolo di primo piano a fianco degli Uberti, egli e gli altri congiurati, per sottrarsi alla pena che il Comune di Firenze, sostenitore del "guelfo" Ottone IV, voleva loro infliggere per il delitto, si schierarono con il "ghibellino" Federico di Svevia, con il quale alcuni di essi avevano già stretti rapporti; questa adesione, alla quale si tenne sempre fede, conferirà ai maggiorenti ghibellini di Firenze - e dunque anche al F. ed ai suoi parenti - grazie alle crescenti fortune dello Svevo, un ruolo dominante in città fino alla metà del XIII secolo, anche se in seguito costituirà la principale causa della repentina e definitiva decadenza dei Fifanti e degli altri.
Pochi anni dopo quel celebre fatto di sangue il F. si rese di nuovo protagonista di un episodio che avrebbe avuto gravi ripercussioni per Firenze. Nel novembre del 1220, riuniti intorno all'accampamento di Federico II giunto a Roma per essere incoronato imperatore da papa Onorio III, si ritrovarono i grandi feudatari toscani insieme con molti dei maggiorenti del partito ghibellino delle principali città italiane nella speranza che l'imperatore fosse con loro prodigo di privilegi. A capo della folta delegazione fiorentina, secondo la testimonianza del Villani, vi era il Fifanti. Ma le concessioni dal sovrano fatte ai Pisani e, di contro, la scarsa considerazione mostrata verso Firenze dovettero provocare l'invidiosa reazione dei Fiorentini verso i Pisani che, offesi, replicarono aggredendoli con le armi. Durante la notte il F., a capo di una folta schiera di seguaci, attaccò l'accampamento degli avversari gettandovi lo scompiglio ed uccidendone molti. Per ritorsione il Comune di Pisa fece immediatamente sequestrare tutti i beni dei mercanti fiorentini presenti nella loro città con grave danno per questi e per i rapporti fra i due Comuni: "e così avenne che' Fiorentini non possendo più sostenere l'onta e 'l danno che faceano loro i Pisani, cominciarono loro guerra" (Villani, Nuova cronica, VII, 2).
L'ultima notizia sulla vita del F. è ancora connessa con le lotte di fazione cittadine. Dopo un periodo abbastanza lungo di convivenza pacifica, verso la fine degli anni Trenta la tensione a Firenze salì di nuovo: la contesa sempre più aspra tra Federico II e Gregorio IX fece sì che l'aristocrazia cittadina si schierasse con l'uno o con l'altro e le ostilità ripresero, frazionandosi dapprima in una serie di scontri tra famiglie rivali, tra i più clamorosi dei quali risulta essere stato nel 1238 il vittorioso assalto portato dai Giandonati alla torre dei Fifanti. Negli anni seguenti, mentre i ghibellini si avviavano a prendere il totale sopravvento in città, gli scontri assunsero sempre più l'aspetto di una guerra civile con episodi bellici nel contado. Una prima scaramuccia terminò senza vinti né vincitori e l'intervento pacificatorio del vescovo Ardingo parve riportare la calma tra i contendenti; ma nel novembre 1241, mentre tutti i principali esponenti ghibellini si erano recati a Campi per prestare aiuto alla famiglia amica dei Bertaldi, vennero assaliti dai guelfi capeggiati dai Buondelmonti che avevano progettato un agguato allo scopo di catturare i capi dello schieramento avverso, i fratelli Farinata e Neri Piccolino degli Uberti. Fallito il principale obiettivo, i guelfi si accanirono con particolare ferocia contro quelli che non erano riusciti a sventare l'imboscata: tra questi l'ormai maturo capoparte F., che venne ucciso, come è peraltro testimoniato dal necrologio di S. Reparata, che riporta il suo nome tra i defunti del giorno 29 novembre.
Secondo il commentatore Benvenuto da Imola a lui si riferisce Dante quando chiede a Ciacco quale sia stata la destinazione nell'aldilà, insieme con altri eminenti capiparte fiorentini, di un certo Arrigo ricevendone la risposta "Ei son tra l'anime più nere" (Inferno, VI, 77-87).
Fonti e Bibl.: Sanzanome, Gesta Florentinorum, in Quellen und Forschungen zur ältesten Geschichte der Stadt Florenz, a cura di O. Hartwig, Marburg 1875, p. 20; R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV,Berlin 1908, pp. 50, 52; Pseudo Brunetto Latini, Cronica fiorentina compilata nel sec. XIII, in Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, a cura di A. Schiaffini, Firenze 1954, ad annum; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, I, Parma 1990, l. VI, cap. 38; l. VII, cap. 2; P. Santini, Società delle torri in Firenze, in Arch. stor. ital., s. 4, XX (1887), p. 32; R. Davidsohn, Storia di Firenze, II, Firenze 1969, pp. 61-64, 108-111, 337, 388 s.; S. Raveggi - M. Tarassi, - D. Medici, - P. Parenti, Ghibellini, guelfi e popolo grasso…, Firenze 1978, p. 27; Enciclopedia Dantesca, II,pp. 865 s.