TOMASI, Oddone
– Nacque a Rovereto, all’epoca città dell’Impero austro-ungarico, il 12 febbraio 1884, da Ferdinando e da Lydia Wohlauf, originaria di Znaim/ Znojmo in Moravia.
Il padre, di professione ingegnere, era nato nel 1836 e apparteneva a un’agiata famiglia borghese di Serravalle (Trento), imparentata con i Tolomei di Rovereto (Tolomei, 1948). Nel 1889 Ferdinando si trasferì con la moglie e i figli a Firenze, dove il piccolo Oddone frequentò le prime classi della scuola elementare. Rientrato a Rovereto, dal 1895 al 1898 fu iscritto alla Scuola reale superiore elisabettina, negli stessi anni in cui la frequentava Luigi Bonazza; come quest’ultimo e al pari di molti altri artisti trentini, da Giorgio Wenter Marini a Fortunato Depero, da Tullio Garbari a Carlo Cainelli, Oddone si avvicinò all’arte sotto la guida del professore di disegno, il pittore goriziano Luigi Comel (A. Comel, Artisti trentini in erba a Rovereto, Udine 1974). Proseguì quindi la propria formazione superiore presso l’Institut Lutz di Krobühl nel cantone di San Gallo in Svizzera (1899-1900), poi alla Handels-Akademie di Innsbruck (1900-01) e infine a Trento presso la Reale scuola professionale (1902-03). Presa coscienza della propria vocazione artistica, continuò gli studi in tal senso, iscrivendosi all’Accademia di belle arti di Roma, dove si trattenne un solo anno, dal 1903 al 1904. Deluso dai metodi d’insegnamento ivi praticati, nel 1905 si trasferì a Monaco di Baviera, ma non riuscì a iscriversi alla locale Accademia: venne invece ammesso alla scuola privata del pittore sloveno Anton Ažbe, che tuttavia morì nell’agosto dello stesso anno. Nella città bavarese visitò quell’anno la mostra commemorativa di Franz von Lenbach, che divenne uno dei suoi artisti di riferimento. Nel frattempo Tomasi superò l’esame d’ammissione all’Akademie der bildenden Künste di Vienna, dove entrò nell’estate del 1905. Nella capitale austriaca seguì per quattro anni i corsi di pittura di Christian Griepenkerl, improntati a un severo tradizionalismo, diplomandosi nel 1908. L’anno successivo passò alla Spezialschule für Malerei, diretta con metodi assai più liberali dal bolzanino Alois Delug. Si perfezionò sotto la sua direzione fino al 1913, praticando la pittura all’aperto e lo studio della natura propugnati dal professore nella nuova sede della sua scuola, la cosiddetta Malerakademie Delug, eretta a Grinzing dall’architetto Friedrich Ohmann.
Del periodo studentesco sono preziosa testimonianza undici taccuini di schizzi, studi accademici e caricature, oggi conservati in una collezione privata di Trento. Dalla loro consultazione si apprende che nel settembre del 1906 il pittore soggiornò con il compagno di studi carinziano Karl Truppe a Tragno presso Chizzola, nella residenza estiva della famiglia Tomasi, e che l’anno successivo raggiunse Padova e Venezia, dove visitò la VII Biennale. Quell’anno viaggiò anche attraverso la Moravia e il Burgenland, toccando la città natale della madre e il lago di Neusiedl. Sempre nel 1907 partecipò all’Esposizione artistica Pro Lega nazionale di Rovereto, mentre l’anno successivo espose a Innsbruck nella mostra del Kunstverein.
Tra le prime opere ‘finite’ emergono tre disegni a gessetti di diversa ispirazione: Maria da Mongardino, un lavoro del soggiorno romano, si colloca in una dimensione simbolista, mentre Il fornaio, datato 1907, presenta un approccio al tema del lavoro tipico della scuola monacense; il coevo Ritratto del farmacista Beppe Bertagnolli (Rovereto, Mart) rivela infine lo spessore esistenziale della ricerca di Tomasi, evidente anche in un dipinto a olio come L’albino, datato 1908. Dello stesso anno è la Veduta di Crosano, un mesto crepuscolo di ascendenza segantiniana. Una pennellata più sciolta e materica si manifesta nei ritratti della sorella Elvira e dello scultore Andrea Malfatti, del 1909. Sono però il disegno e la xilografia le tecniche in cui Tomasi eccelleva: tra le calcografie, caratterizzate da una spiccata propensione alla sintesi e al forte risalto chiaroscurale, prevale il tema del paesaggio trentino e lagunare.
All’esposizione degli allievi dell’Accademia allestita a Vienna nel luglio del 1910 l’artista presentò due tele, Vendetta ed Emigranti, alcuni «studi di teste» e uno schizzo raffigurante «la piazza del duomo di Trento al chiaro di luna» (Lindoro, 1910). Dal 1911 si dedicò anche all’attività didattica, sia come assistente di disegno professionale alla Fortbildungsschule für Buchbinder, sia come insegnante di disegno a mano libera al Reform-Realgymnasium. Nel 1912 eseguì la pala della Madonna del geranio per la chiesa di S. Margherita a Trento, sua prima opera di destinazione pubblica: la tela, ispirata a un componimento di Giovanni Pascoli, è connotata da un suggestivo effetto di controluce (Brunner, 1912). Riporta la stessa data la tela Verso Emaus, che nel 1919 si trovava in collezione Wirl a Innsbruck e fu offerta in vendita senza esito al costituendo Museo nazionale di Trento (de Gramatica, 2013, pp. 185 s.). Nel luglio del 1913 espose alla mostra annuale dell’Accademia il dipinto Dante e Virgilio (Il terzo canto dell’Inferno), frutto di un lungo lavoro preparatorio sulle singole figure e sull’orchestrazione chiaroscurale, che riscosse lusinghieri giudizi sulla stampa viennese.
Nella capitale dell’Impero Tomasi ritrasse su carta, tra gli altri, il musicista Rubinstein, la cantante Augustin e l’industriale Lemberger (Gerola, 1930, p. 30). Nel biennio 1914-15 soggiornò a Trento, dove fu chiamato come supplente di disegno all’i. r. Ginnasio superiore. Agli anni Dieci risalgono numerosi ritratti a matita e a carboncino, che furono le sue opere più apprezzate per verosimiglianza fisionomica ed eleganza di stile: tra i più notevoli si ricordano quelli del suo maestro Alois Delug, del pittore Edoardo Del Neri e del senatore veneziano Pompeo Gherardo Molmenti, tutti eseguiti nel 1911, cui vanno aggiunti quelli dello scrittore austriaco Peter Rosegger, del 1913, e di Cesare Battisti, di incerta datazione. Fu eseguito a Vienna nel 1913 anche il ritratto a olio del conte Lattanzio Firmian, noto ritrattista e amico di Tomasi, che si conserva nel castello di Mezzocorona (Melchiori, 1989). Al 1914 risalgono altri due ritratti notevoli: quello dello scultore lodigiano Ettore Archinti e quello del caricaturista torinese Eugenio Colmo, in arte Golia. Nel dicembre del 1914 Tomasi partecipò con dodici opere alla mostra organizzata a Trento a beneficio delle vedove e degli orfani dei primi caduti in guerra.
Lo scoppio del conflitto fu causa di gravi sofferenze per la famiglia di Oddone, politicamente schierata con l’irredentismo: nel 1915 i genitori e le sorelle Ilda e Lidia furono arrestati a Gleno presso Egna, in casa dei nonni, e internati a Katzenau, dove il padre morì il 13 novembre 1916. Il fratello minore Arrigo fuggì in Italia e si arruolò volontario negli alpini. Oddone riparò con la sorella Elvira a Vienna e qui trascorse gli anni della guerra in ristrettezze economiche. Frattanto la villa di Tragno, vicina alla linea del fronte, veniva ridotta in rovina. A questo periodo risalgono alcune nature morte e numerosi studi e bozzetti per una Deposizione in forma di trittico, che doveva costituire l’opus magnum del pittore, ma che rimase incompiuta (Wenter Marini, 1926).
Dopo l’annessione del Trentino al Regno d’Italia, il pittore si adeguò al nuovo clima nazionalistico: lo attestano alcune opere, come il ritratto di re Vittorio Emanuele III contro lo sfondo di Trento, tratteggiato dal vero nel novembre del 1918, sul quale il sovrano appose la propria firma (Sette, 1930) e che fu tradotto in litografia; il ritratto a matita del cugino Ettore Tolomei, del 1920; il dipinto dello stesso anno dal titolo L’annessione, noto in due redazioni; e la grande tela Sentinella al Brennero, del 1921 (Trento, Associazione nazionale Alpini). Evitò tuttavia di partecipare direttamente al dibattito inteso a legittimare l’italianizzazione dell’Alto Adige. Al 1920 risale inoltre il ritratto dell’attore berlinese Harry Walden, disegnato da Tomasi a Vienna: solo quell’anno l’artista fece definitivamente ritorno in patria, senza tuttavia interrompere i rapporti con alcuni amici e colleghi austriaci, in particolare Karl Truppe, con il quale sarebbe rimasto in contatto per tutta la vita.
Stabilitosi a Trento, riprese a dipingere e a disegnare, immergendosi spesso nei paesaggi alpini di Castelrotto. Nel maggio del 1921 organizzò una mostra personale al Lyceum di Milano, dove espose dipinti, bozzetti e disegni.
I ritratti della madre e di Cesare Battisti vennero elogiati per la loro «finezza non pedantesca» in una recensione anonima apparsa il 28 maggio 1921 sul Corriere della sera, ma una stroncatura della stessa mostra fu pubblicata da Michele Biancale su Il Tempo. Essa provocò la reazione di Giorgio Wenter Marini, il quale prese le difese del pittore sulle pagine di Il nuovo Trentino, dichiarando fuorviante il paragone con Gustav Klimt e Franz von Stuck proposto in negativo dal critico romano. La produzione di Tomasi rimase infatti estranea agli stilemi della secessione.
Con l’architetto Wenter Marini esisteva già un legame di amicizia fondato sul comune retroterra culturale mitteleuropeo: ne nacque un sodalizio artistico, che si tradusse nella comune adesione al Circolo artistico trentino e nel coinvolgimento del pittore nel cantiere della chiesa di S. Ilario presso Rovereto, ove Tomasi fu impegnato nella decorazione della facciata e nell’esecuzione di una pala d’altare dedicata al Sacro Cuore di Gesù (1923). A S. Ilario l’artista lavorò fianco a fianco con il pittore Luigi Bonazza e con lo scultore Stefano Zuech: anche quest’ultimo era una vecchia conoscenza dei tempi di Vienna, come attesta un suo ritratto che Tomasi dipinse nel 1918 (Rovereto, collezione privata).
Il pittore trascorreva la stagione estiva in una casa di villeggiatura sul lago di Caldonazzo, ereditata dallo zio Francesco: quella villa Stella che, ricostruita dopo le distruzioni belliche su progetto di Wenter Marini, divenne un piccolo cenacolo culturale e fu decorata dallo stesso Wenter e da Tomasi con graffiti e pitture murali. Nella vicina cappella il pittore eseguì tra il 1926 e il 1927 decorazioni a graffito e a mosaico di soggetto francescano. Proseguiva, frattanto, la produzione di finissimi ritratti su carta, tra i quali si segnalano quello del poeta dialettale Bepi Mor, del 1922 (Trento, Museo storico), e quello dell’architetto Ettore Sottsass sr. (ubicazione ignota). Di grande intensità sono alcune immagini della madre, che si scalano tra il 1918 e il 1928 e che culminano nell’Autoritratto con la madre (1928): la serie trova forse il paragone più adeguato con i pastelli dello stesso soggetto realizzati pochi anni prima da Umberto Boccioni. Un secondo ritratto a sanguigna di Pompeo Gherardo Molmenti, che si conserva alla Biblioteca del Museo Correr di Venezia, reca la data del 1927.
Tomasi partecipò alle prime ‘sindacali’ di Bolzano e nel 1923 alla mostra del Circolo artistico trentino allestita a Ca’ Pesaro. Nel 1924 vinse il concorso per la decorazione della ricostruita chiesa di Samone in Valsugana, indetto dall’Opera di soccorso per le chiese rovinate dalla guerra, ma dovette rinunciarvi per motivi di salute (Fabris, 2011). Da allora diradò l’attività all’aperto e si dedicò prevalentemente alla grafica e alla progettazione di manufatti artigianali in legno d’olivo, prodotti dalla ditta Calzà di Arco, lavorando con la sorella Lidia, con la pittrice Erminia Bruni Menin e con Wenter Marini nel Gruppo di Tragno, che nell’estate del 1927 partecipò alla Terza mostra delle arti decorative di Monza. Lo stesso anno il pittore fu nominato socio ordinario dell’Accademia roveretana degli Agiati.
Nel 1928, in occasione dell’adunata regionale dei costumi delle Tre Venezie, ideò i bozzetti per i costumi del Basso Sarca, della Val d’Adige e della Valsugana, oggi conservati al Museo degli usi e costumi di San Michele all’Adige. Si trattava di modelli di nuova concezione, giacché nelle zone interessate non era sopravvissuta una peculiare tradizione nell’abbigliamento popolare. I bozzetti, acquerellati dal pittore Luigi Pizzini, si aggiudicarono il primo premio del concorso annesso all’adunata, per la categoria ‘monotipi’, e vennero poi tradotti in capi di abbigliamento commercializzati in un negozio di Trento (San Giuseppe, 1996-1998, pp. 273-343).
Minato dalla tubercolosi già da alcuni anni, Tomasi morì in un sanatorio di Arco, villa Montenegro, il 1° gennaio 1929. L’anno successivo gli venne dedicata una retrospettiva nell’ambito della mostra sindacale di belle arti tenutasi al palazzo della Filarmonica di Trento.
Fonti e Bibl.: Lindoro, Giovani artisti trentini a Vienna, in L’Alto Adige, 30 luglio 1910; G. Brunner, Una nuova opera d’arte, in Il nuovo Trentino, 5 ottobre 1912; Catalogo dell’esposizione d’arte antica e moderna a beneficio del fondo di soccorso per le vedove e gli orfani dei trentini caduti in guerra, Trento 1915, pp. 11 s.; G. Wenter Marini, O. T., in Il nuovo Trentino, 2 giugno 1921, p. 2; Id., Arte e concetto ispiratore in O. T.: studio critico, Trento 1926; A. Lancellotti, La III Mostra delle arti decorative a Monza, in Giornale di Sicilia, 3-4 settembre 1927; G. De Manincor, Guida del Museo del Risorgimento trentino, Trento 1930, p. 124; G. Gerola, Artisti trentini all’estero, Trento 1930, pp. 29 s., figg. 83, 86; L. Sette, La mostra di ritratti di artisti trentini contemporanei al Circolo Sociale, in Studi trentini di scienze storiche, XI (1930), p. 75; G. Wenter Marini, O. T., in Emporium, 1931, vol. 74, pp. 380 s.; A. Frachetti, Tradizioni e costumi trentini, in Trentino, VIII (1932), 6-7, pp. 237-242; T. O., in U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, XXXIII, Leipzig 1939, p. 262; E. Tolomei, Memorie di vita, Milano 1948, pp. 33 s., 57 s., 261, 302, 317, 336, 341, 346, 431, 519, 542, 558; O. T. pittore, a cura di D. Wolf, Trento 1952; G. Adami, Ferdinando Tomasi (1836-1916), in I Quattro Vicariati, IX (1965), 2, pp. 65-88; G. Polo, Ricordo di un pittore: O. T., in Economia trentina, 1971, n. 4, pp. 71-75; N. Rasmo - L. Lambertini, Mostra dell’incisione trentina dalle origini ai giorni nostri (catal.), Trento 1971, pp. 74 s.; O. T., 1884-1929 (catal.), a cura di B. Passamani, Trento 1973; S. Weber, Artisti trentini e artisti che operarono nel Trentino, a cura di N. Rasmo, Trento 1977, pp. 355 s.; G. Belli, O. T., in Grafica 1900-1950 Alto Adige - Tirolo - Trentino (catal., Bolzano-Trento-Innsbruck), a cura di G. Ammann, Bolzano 1981, pp. 98-101; L. Melchiori, Il castello e l’eremitaggio di S. Gottardo a Mezzocorona, Mezzocorona 1989, p. 92; C. San Giuseppe, L’iconografia del costume popolare: invenzione e tradizione nell’opera di O. T. e Fortunato Depero, in Studi trentini di scienze storiche. Sezione seconda, LXXV-LXXVII (1996-1998), pp. 273-346; Dizionario degli artisti trentini tra ’800 e ’900, a cura di F. Degasperi - G. Nicoletti - R. Pisetta, Trento 1998, pp. 448-451; O. T. (catal.), a cura di G. Nicoletti, Trento 2002; V. Fabris, La Valsugana orientale e il Tesino, II, Borgo Valsugana 2011, p. 200; F. de Gramatica, Giuseppe Gerola e le collezioni del castello del Buonconsiglio, in Muse trentine. Materiali per la storia di collezioni e di musei, a cura di L. Dal Prà - M. Botteri, Trento 2013, pp. 181-231; Il Cenacolo di Villa Stella, a cura di W. Perinelli, Caldonazzo 2014; Artisti in Valsugana tra Ottocento e Novecento (catal., Borgo Valsugana), a cura di I. Dusatti, Scurelle 2015, pp. 72-77; R. Festi, La collezione di opere d’arte della Cassa rurale Alta Valsugana, Pergine Valsugana 2018, pp. 25 s., 137 s.