SALA (della), Oddone
SALA (della), Oddone. – Nacque a Pisa, nel 1270 o poco prima, da Chianne del fu Oddone, facoltoso mercante di mare, e da una certa Guida, ancor viva nel 1290.
Il cognome della Sala indica la provenienza da una località della Versilia: ad inurbarsi, forse all’inizio del Duecento, fu Bernardo, bisavolo del Sala, il cui figlio Oddone, prima della metà del secolo, era già perfettamente inserito in città. Chianne di Oddone fu membro autorevole del Popolo.
Oddone della Sala entrò nel convento domenicano cittadino di S. Caterina qualche tempo prima del 1290; nel 1291 fu assegnato allo Studium di logica del convento di Spoleto, e nel 1295 fu inviato allo Studium in naturis del convento perugino. Secondo la Cronica conventuale di S. Caterina, compilata a fine Trecento da fra Domenico da Peccioli, egli studiò anche a Parigi. Nel 1299 era lettore nel convento di Prato, allorché il capitolo provinciale tenutosi a Pistoia il 29 giugno lo inviò a Pisa come priore. Questo suo priorato fu però assai breve: il 14 marzo 1300 Bonifacio VIII lo nominò vescovo di Terralba (diocesi suffraganea della metropoli sarda di Arborea-Oristano).
A guadagnargli il favore del pontefice fu, assai probabilmente, il legame parentale con la famiglia mercantile pisana dei Falconi, socia della compagnia di Oddone Gaetani, uno dei banchieri di fiducia di Bonifacio. La consacrazione vescovile fu affidata dal papa all’arcivescovo pisano Giovanni dei conti di Poli, in ufficio dall’anno precedente e anche lui domenicano (nonché priore provinciale negli anni del percorso di studi di Oddone).
Sala fu titolare di Terralba per breve tempo. Due anni dopo, il 1° settembre 1302, Bonifacio VIII lo trasferì a Pola, in Istria. Il nuovo ufficio durò per cinque anni e mezzo, ma non ne è rimasta documentazione. Nel marzo 1308 Clemente V riportò Sala in Sardegna, ponendolo a capo della sede metropolitica di Arborea: qui, il 14 febbraio 1309 presiedette un concilio provinciale. Nel giugno 1311 è peraltro attestato a Pisa, e non si sa se in seguito sia rientrato in sede. Nella primavera del 1312 Sala partecipò con ogni probabilità alle due ultime sessioni del concilio di Vienne (tenutesi il 3 aprile e il 5 maggio). Maturò allora la decisione papale, annunciata il 10 maggio, di trasferire Giovanni di Poli alla sede arcivescovile cipriota di Nicosia, e assegnare la cattedra pisana a Sala.
Il fatto che al posto di costui, ad Oristano, fosse inviato un altro frate domenicano, suggerisce che tutte e tre le nomine facessero parte di un’unica operazione, gradita e forse addirittura perorata da Giovanni di Poli (negli ultimi anni, quasi sempre lontano da Pisa) e da Sala, che aveva finalmente l’occasione di coronare la serrata carriera vescovile percorsa negli anni precedenti, assumendo la guida della Chiesa della propria città natale.
Il nipote ex sorore Chianne Falconi, canonico di Terralba, operò a Pisa come suo vicario sin dai primi giorni di giugno, mentre Sala vi arrivò solo a settembre, dopo aver ricevuto ad Avignone il pallio di metropolita (il 7 giugno), e aver atteso che il papa rispondesse alle suppliche da lui presentategli. In esse è facile riconoscere il programma di azione del nuovo arcivescovo pisano.
Da un lato, egli si proponeva di recuperare all’arcivescovato il controllo della chiesa di S. Piero a Grado (vero e proprio santuario dell’apostolo e di s. Clemente, e perciò meta di affollati e lucrosi pellegrinaggi); dall’altro, egli aspirava a lasciare un’impronta sul capitolo della cattedrale, attraverso l’istituzione di una nuova prebenda, legata alla dignità del primiceriato. Inoltre, richiedendo al papa di poter tenere stabilmente accanto a sé due frati domenicani, egli mostrava di voler mantenere stretti legami con il convento pisano di S. Caterina. Il papa rispose affermativamente il 13 luglio 1312; pertanto, pochi mesi dopo aver preso possesso della sede (dove è attestato da metà settembre), Sala riuscì ad affermare il pieno controllo su S. Piero a Grado, e a convincere il capitolo della cattedrale ad accogliere nel proprio seno, come primicerio, il suo giovane pronipote Andreotto di Oddino.
Il 10 marzo 1313 giunse a Pisa l’imperatore Enrico VII, che vi risiedette per alcuni mesi. Sala si mostrò pronto a collaborare con lui, e ne ricevette, oltre che il titolo onorifico di princeps et secretarius, un diploma (emanato il 19 maggio 1313) nel quale fu inserito il testo di tutte le precedenti concessioni imperiali e marchionali in favore della sede vescovile pisana, con l’aggiunta del diritto di fondare «sulle terre dell’arcivescovato poste intorno a S. Piero a Grado, tanto verso Pisa quanto verso Porto Pisano e la foce dell’Arno (...) un insediamento, i cui abitanti e i loro eredi fossero, in perpetuo, totalmente soggetti al presule e ai suoi successori e completamente esenti da ogni giurisdizione del comune pisano e di chiunque altro» (Archivio di Stato di Pisa, Diplomatico, Atti pubblici, sub data). Sala intendeva dunque realizzare qui una ‘signoria vescovile’, e iniziò a promuovere il popolamento dell’area.
Alla morte di Enrico VII, l’arcivescovo non fu (a quanto si sa) toccato dalla reazione anti-domenicana descritta da Ferreto Ferreti, e probabilmente fu lui a celebrare in duomo, il 2 settembre 1313, le solenni esequie dell’imperatore, le cui spoglie mortali erano testé giunte in città. Egli dovette poi esercitare una sostanziale supervisione sull’allestimento del mausoleo e sul culto memoriale del defunto imperatore.
Nei mesi successivi Sala (e con lui l’intera famiglia della Sala) appoggiò il governo di Uguccione della Faggiola, chiamato a Pisa nell’autunno del 1313; dopo la vittoriosa battaglia di Montecatini del 29 agosto 1315, l’arcivescovo celebrò in duomo la solenne liturgia di ringraziamento. Nell’aprile 1316 Uguccione fu però bruscamente esautorato, e Sala si trovò in tal modo privato dell’ultimo protettore rimastogli. Ciò lo mise in una posizione di isolamento nei confronti del nuovo regime politico instauratosi in città (dal quale furono esclusi, fra gli altri, i Lanfranchi, a lui molto legati); l’arcivescovo fu anzi accusato di essere il mandante dell’assassinio del canonico della cattedrale Ugolino Buonconti, nipote del famoso Banduccio.
Nell’estate 1317 (non a caso dopo il fallimento di una congiura ordita da alcuni Lanfranchi) Sala si risolse a lasciare Pisa, ritirandosi dapprima nel castello arcivescovile di Montevaso (nelle colline pisane) e quindi, all’inizio del 1318 imbarcandosi a Livorno alla volta di Avignone, dove nel frattempo erano arrivate le accuse lanciate contro di lui dal capitolo e dai Buonconti. I suoi vicari rimasero a Pisa fino al febbraio 1319, poi abbandonarono anch’essi la città.
Il 27 marzo 1320 si tenne nel palazzo arcivescovile una assemblea del clero pisano, convocata dal nuovo capitano generale del Comune Gherardo di Donoratico allo scopo di assicurarsi la lealtà e l’appoggio della Chiesa locale a fronte dell’azione di diffamazione e screditamento che, si diceva, Oddone stava svolgendo presso la curia papale.
Nel giugno dello stesso anno Giovanni XXII autorizzò Sala a lasciare la curia, dopo averlo assolto da tutte le accuse. Senza ripassare da Pisa, il presule andò ad installarsi a Montevaso (dove è attestato dal mese di ottobre 1320), e qui svolse un’inchiesta sull’inusitata assemblea del 27 marzo, dalla quale era stato costituito un altrettanto inusitato comitato di cinque capitani del clero pisano. A inizio 1321 si arrivò ad un qualche accordo fra l’arcivescovo e il Comune, anche se Sala non tornò in città; ma nell’estate 1322, in concomitanza con i nuovi e più forti poteri assegnati a Ranieri di Donoratico (zio di Gherardo, che era morto prematuramente due anni prima) e con il deciso schierarsi di Pisa a fianco di Castruccio Castracani, vi fu una nuova e definitiva rottura, segnata dal trasferimento di Sala entro le mura di Firenze.
Qui, nel palazzo vescovile (allora vuoto per sedevacanza), egli allestì un gigantesco processo per eresia e disobbedienza contro tutti i reggitori avvicendatisi alla testa del Comune e del Popolo di Pisa dal marzo 1320 in poi, nonché contro quasi tutta la Chiesa pisana nelle sue varie articolazioni (ad eccezione dei conventi mendicanti). Le schermaglie giudiziarie, nel corso delle quali gli avvocati inviati a Firenze dal Comune e dalla Chiesa di Pisa controbatterono punto per punto alle accuse lanciate da Sala, sono documentate fino alla metà di gennaio del 1323.
Di lì a poco, Sala dovette recarsi di nuovo ad Avignone. Il 23 maggio 1323 Giovanni XXII avocò alla curia romana tutte le cause che coinvolgevano l’arcivescovo pisano, e il 6 giugno 1323 dopo averlo assolto da ogni addebito lo promosse alla dignità di patriarca di Alessandria, assegnandogli nel contempo, come fonte effettiva di sostentamento, l’amministrazione dell’abbazia di Montecassino, da poco elevata a sede diocesana. La cattedra arcivescovile pisana fu affidata dal papa ad un altro frate domenicano, il fiorentino Simone Saltarelli. L’arcivescovo uscente e quello ‘entrante si incontrarono ad Avignone nel mese di settembre 1323.
Da quel momento si perdono le tracce di Sala fino al 3 luglio 1325, quando ricompare a Napoli, nel monastero di S. Pietro a Maiella, intento a dettare, «malato nel corpo ma sano di mente e intelletto» (Annali Pisani, 1868, pp. 584 s.) (e con la puntigliosità che lo contraddistingueva) l’elenco dei crediti da lui vantati nei confronti delle Chiese diocesane di Cassino e di Pisa, nonché di quanti, negli anni precedenti, lo avevano inutilmente accusato di fronte al papa.
Morì sicuramente di lì a poco.
I suoi nipoti chierici ancora in vita erano stati ormai estromessi dalla Chiesa pisana, mentre quelli laici non furono mai più chiamati a ricoprire incarichi di governo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Pisa, Diplomatico, Atti pubblici, 1313 maggio 19; Miscellanea Manoscritti, 12; Pisa, Archivio storico diocesano, Arcivescovi: Diplomatico, ad annos; Mensa, 8; Curia, Atti Straordinari, 1-2; Pisa, Biblioteca Cateriniana, ms. 78: Cronica conventus antiqua Sancte Katerine de Pisis, c. 19v. A.F. Mattei, Ecclesiae Pisanae Historiae, Lucae 1771, II, pp. 57-67; Appendix Monumentorum, nn. V-VI, pp. 20-27; Annali Pisani di Paolo Tronci, Pisa 1868, pp. 584 s.; Les Registres de Boniface VIII, a cura di G. Digard et al., Paris 1884-1939, nn. 4781 s.; Regestum Clementis papae V, Roma 1885-1892, nn. 8471-8473; Jean XXII, Lettres communes, a cura di G. Mollat, Paris 1904-1947, nn. 11235, 17405 s., 17614 s.; D. Scano, Codice diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna, I, Cagliari 1940, nn. 292 s., 323 s., 331; Acta capitulorum provincialium provinciae romanae (1243-1344), a cura di Th. Käppeli - A. Dondaine - I. Taurisano, Roma 1941, ad ind.
M. Ronzani, “Figli del Comune” o fuorusciti? Gli arcivescovi di Pisa di fronte alla città-stato fra la fine del Duecento e il 1406, in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo. Atti… Brescia… 1987, a cura di G. De Sandre Gasparini et al., II, Roma 1990, pp. 773-835; M. Vidili, Cronotassi documentata degli arcivescovi di Arborea dalla seconda metà del secolo XI al concilio di Trento, Oristano, 2010, pp. 94-98; M. Ronzani, La Chiesa pisana al tempo di Enrico VII: gli arcivescovi domenicani Giovanni dei Conti di Poli e Oddone della Sala, in Enrico VII, Dante e Pisa a 700 anni dalla morte dell'imperatore e dalla Monarchia, a cura di G. Petralia - M. Santagata, Ravenna 2016, pp. 75-92.