OCCUPAZIONE
. Diritto privato. - L'occupazione è un modo di acquisto della proprietà, e consiste nell'impossessarsi di una cosa con l'intenzione di farla propria. Questa intenzione è necessaria; perciò non è occupazione nel senso giuridico della parola, sebbene lo sia nel senso volgare, il sedersi su una panca del pubblico giardino o del vagone ferroviario, e simili atti con i quali alcuno s'impossessa temporaneamente di una cosa, senza intenzione di farla propria. Possono formare oggetto di occupazione solo le cose che sono in commercio, cioè che possono formare oggetto di scambio tra gli uomini (non, quindi, le cose demaniali) e che, nel momento in cui l'atto di occupazione si compie, non appartengono in proprietà a nessuno (articolo 711 cod. civ.).
Si disputa se questo modo di acquisto della proprietà sia applicabile anche alle cose immobili. Teoricamente, non se ne dovrebbe dubitare, non facendo la legge alcuna distinzione, e non essendovi motivo, in linea di principio, di farne. Praticamente la questione ha poca importanza, perché nell'odierno assetto della proprietà immobiliare, tutti gl'immobili appartengono o a singoli privati o a enti collettivi, pubblici o privati. Può darsi che un immobile sia abbandonato dal proprietario, per evitare l'imposta o per altro motivo; in tal caso, l'immobile può essere acquistato con l'occupazione. Si noti però, che un immobile non si può ritenere abbandonato, solo perché il proprietario non vi compia più alcun atto di possesso, e anche dichiari pubblicamente la sua intenzione di abbandonarlo; è necessario un atto scritto e trascritto (art. 1314, n. 3; 1933, n. 3 cod. civ.). Il semplice fatto dell'abbandono non basta a far perdere il diritto di proprietà; solo quando altri abbia posseduto l'immobile per il tempo necessario ad acquistarne la proprietà (prescrizione acquisitiva o usucapione) il primo proprietario la perde. Il codice civile prevede tre specie di occupazione: la caccia, la pesca e l'invenzione.
Caccia e pesca. - L'esercizio della caccia e della pesca è regolato da leggi speciali che impongono restrizioni nel pubblico interesse (v. caccia; pesca). Dal punto di vista del diritto privato, basta osservare che con la caccia e con la pesca si acquista la proprietà degli animali selvatici che vivono in stato di libertà. Il cacciatore e il pescatore non fanno proprî gli animali se non quando se ne siano impossessati; il solo fatto di averli feriti e d'inseguirli non basta, a meno che la ferita sia mortale e l'inseguimento immediato. In alcuni casi, anche gli animali mansuefatti possono essere oggetto di occupazione. Ciò avviene quando tali animali siano fuggiti e siano entrati nel fondo altrui; se il proprietario non li insegue e non li reclama entro venti giorni, il proprietario del fondo può farli proprî (art. 713 cap.). Per gli sciami d'api, il termine è di due giorni (art. 713). Non è ammesso il diritto d'inseguimento per i colombi, pesci, conigli che passano da una ad altra colombaia, peschiera, conigliera, senza esservi attirati con arte o frode (art. 462).
Invenzione. - Le cose che non hanno mai avuto un proprietario (res nullius) e quelle che, avendolo avuto, siano state abbandonate (res derelictae) diventano proprietà del primo che se ne impadronisce. Non bisogna confondere le cose abbandonate con quelle smarrite. Chi trova una cosa smarrita non solo non ne acquista la proprietà, ma deve restituirla al proprietario, e se non lo conosce, deve consegnarla all'autorità, se non lo fa, commette un delitto punito dal codice penale (art. 647).
Se compie il proprio dovere, ha diritto a un premio, che è del decimo del valore, quando il valore della cosa non sia superiore alle lire 2000, del vigesimo se maggiore. Quando il proprietario non si presenti, o comunque non si trovi, allora soltanto la cosa diventa di proprietà di chi l'ha trovata (art. 715-719).
Per le cose gettate in mare, per quelle che il mare rigetta, per le piante e le erbe che crescono sulla riva del mare, per le navi abbandonate il codice della marina mercantile contiene disposizioni speciali.
Merita speciale menzione, tra le cose che si acquistano con l'invenzione, il tesoro. Si chiama tesoro qualunque oggetto o insieme di oggetti mobili di pregio, che sia nascosto o sotterrato, e del quale nessuno possa provare di essere il padrone (art. 714 cap.). Il tesoro non è una res nullius, perché una volta ha avuto un proprietario; non è una res derelicta, perché il proprietario, pur nascondendolo, non ha avuto intenzione di abbandonarlo; non è una cosa smarrita, perché, per sua stessa definizione, è impossibile trovarne il proprietario. La legge lo considera come parte o accessione del fondo nel quale si trova, e perciò di regola esso appartiene al proprietario del fondo; se però è stato scoperto per caso da un terzo nel fondo altrui, spetta (art. 714) per metà al ritrovatore (iure occupationis) e per metà al proprietario del fondo (iure soli). Chi si appropria, avendo trovato un tesoro, la parte spettante al proprietario del fondo, commette un delitto punito dal codice penale (art. 647). Leggi particolari, e specialmente la legge 20 giugno 1909, n. 364, regolano la scoperta di oggetti di valore artistico, storico o archeologico. Per le miniere vedi questa voce.
Il regolamento dell'occupazione, tranne alcune particolari disposizioni relative agli animali mansuefatti (cod. civ. articoli 713, 462), serba ancora, nel codice civile italiano, basi romane. Particolarmente il regolamento romano del tesoro è passato integro nel codice civile italiano e tutte le questioni che si agitano in questo campo (requisiti del tesoro e della sua scoperta, carattere del diritto dell'inventore e di quello del proprietario del fondo, ecc.) ricevono piena luce dalle fonti del diritto romano e dalla storia del tesoro.
Bibl.: P. Bonfante, Corso di diritto romano. La proprietà, II, ii, Roma 1928, pp. 55-67, 95-115. Sull'istituto del tesoro v. specialmente S. Perozzi, Contro l'istituto giuridico del tesoro, in Monitore dei Tribunali, Milano 1890; id., Tra la Fanciulla d'Anzio e la Niobide, in Riv. dir. comm., 1910; M. Pampaloni, Il concetto giuridico del tesoro, in Studi per l'VIII centenario dell'università di Bologna, Roma 1899; P. Bonfante, La vera data di un testo di Calpurnio Siculo e il concetto romano del tesoro, in Mélanges Girard, Parigi 1912 (Scritti giuridici, II, Torino 1918, p. 904 segg.); G. Rotondi, I ritrovamenti archeologici e il regime del tesoro, in Scritti giuridici, I, Milano 1922, p. 339 segg.
Diritto internazionale. - L'occupazione è nel diritto internazionale un modo originario di acquisto della sovranità territoriale. I territorî occupati divengono territorî proprî dell'occupante e ln tutto e per tutto sottoposti all'autorità di questo. Tuttavia, perché l'occupazione sia lecita e produttiva dell'effetto giuridico anzidetto, è necessario il concorso di alcune condizioni.
Anzitutto occupabili sono soltanto i territorî nullius, e cioè non sottoposti alla sovranità di alcun altro soggetto internazionale, poiché i territorî cadenti sotto la sovranità altrui potranno acquistarsi in altri modi, pur essi disciplinati dal diritto internazionale, ma non in questo, per cui è caratteristico ed essenziale il riferirsi a territorî sui quali non sussiste alcuna sovranità, o perché non furono mai appropriati, o perché furono derelitti dall'antico sovrano. Anche i territorî abitati da popolazioni barbare possono pertanto essere oggetto di occupazione e venire per mezzo di questa appropriati, difettando quelle popolazioni, almeno secondo l'opinione dominante, di personalità internazionale, e nessuna sovranità a esse spettando sui territorî che abitano.
Deve in secondo luogo trattarsi di territorî appropriabili. Perciò sono occupabill i dominî di terraferma e le acque adiacenti, formanti le cosiddette acque territoriali; del pari le regioni polari, quando si tratti di terre coperte di ghiacci; e inoltre si ritengono per analogia occupabili anche i territorî costituiti da ghiacci perenni. Non può invece essere oggetto di occupazione l'alto mare, data la sua inappropriabilità.
In terzo luogo l'occupazione deve essere reale ed effettiva. La pura scoperta di una nuova terra, il piantar la bandiera su un territorio, l'operarvi un temporaneo sbarco di truppe non è oggi più sufficiente perché la sovranità su quel territorio si acquisti. Occorre che il territorio sia realmente sottoposto all'autorità dell'occupante, e questo sia in grado di farvi sentire dovunque la sua autorità.
Alcuni scrittori hanno propugnato il concetto dell'unità geografica o continuità territoriale, come pure fu detta, sostenendo che, quando è stata occupata una parte di un'isola o la costa di un continente, tutta l'isola e tutto il territorio retrostante devono ritenersi realmente occupati. Ma questa dottrina fu respinta dalla pratica internazionale, che considera occupate solo quelle porzioni di territorio che effettivamente siano tali. È però evidente che ciò non significa per nulla pretendere, cosa che non sarebbe nemmeno praticamente possibile, che ogni anche più piccola particella e ogni punto intermedio del territorio sia in qualche modo occupato; è soltanto il territorio nel suo complesso quello che deve essere occupato.
L'occupazione poi deve essere stabile e permanente, e compiuta con l'animus di appropriarsi quei territorî. Un'occupazione temporanea, per altri scopi, potrà dar luogo ad altre figure giuridiche internazionali, non a quella di cui ora trattiamo, e non esclude e non impedisce che un altro soggetto in pari tempo occupi per proprio conto e per impadronirsene quei territorî tuttora senza sovrano.
Per l'art. 34 dell'Atto di Berlino del 26 febbraio 1885 (abrogato dalla convenzione di S. Germano del 10 settembre 1919), "la potenza che d'ora innanzi prenda possesso di un territorio sulle coste del continente africano situato al difuori dei suoi attuali possedimenti, o che, non avendone fino allora posseduti, venga ad acquistarne, e del pari la potenza che vi assuma un protettorato dovrà accompagnare l'atto rispettivo con una notificazione rivolta alle altre potenze firmatarie del presente atto, per metterle in grado di far valere, ove sia il caso, i loro diritti". La norma è quanto mai opportuna, ma non è entrata nel diritto internazionale consuetudinario, onde vincola solo gli stati firmatarî della convenzione, e nessun obbligo generale sussiste invece a questo riguardo.
Bibl.: C. Salomon, L'occupation des territoires sans maître, Parigi 1889; G. Jèze, Étude théorique et pratique sur l'occupation, Parigi 1896; L. Cavaré, Quelques notions générales sur l'occupation pacifique, in Rev. gén. de droit international, 1924, p. 339 segg.