OBOLO
. Antichità. - È nel sistema greco una piccola unità ponderale e monetale, corrispondente a1/6 della dramma e a 1/12 dello statere. Il suo nome ὀβολός deriva da ὀβελός, "spiedo", e come il suo sinonimo ὀβελίσκος designò primitivamente i lingotti di ferro e di rame che ebbero funzione monetale. Come moneta, l'obolo si coniò prevalentemente in argento e si hanno gli oboli eginetici, attici, orcomenî, delfici, ecc. L'obolo siracusano si distingue dalla litra, che ha all'incirca egual peso (1/5 della dramma e 1/10 dello statere), dal tipo della ruota, laddove la litra ha l'octopus. L'obolo di Sicione, di Zacinto e di altre zecche della Locride e della Focide è segnato da un O; in Arcadia da un O Δ, abbreviazione di ὀδελός, forma dialettale di ὀβελός, in uso anche a Delfo, a Megara e a Taranto. Come la dramma, così si trova l'obolo d'oro, e infatti gli ὀβελοὶ χρυσοῖ sono menzionati negl'inventarî del tesoro di Eleusi. L'obolo si suddivide in 8 calchi e i suoi multipli sono: il diobolo, il triobolo, ecc., sino al decobolo, non tutti coniati.
L'obolo-moneta è d'argento sino all'età postalessandrina, e di tale moneta s'intende parlare quando non v'è altra designazione. Più tardi l'obolo si coniò anche in bronzo. Sotto i Lagidi si denominò obolo la piccola unità di bronzo, e oboli di bronzo si hanno per Metaponto e, nell'età imperiale, per Chio e per Seleucia di Siria.
Luciano denomina obolo la moneta che Caronte esigeva da ciascuna ombra per farle attraversare lo Stige; in età romana dunque tale voce è correntemente usata nel senso vago e letterario di moneta spicciola e di minimo valore.
Bibl.: v. nummo.
Medioevo. - Venne detta obolo la metà del denaro, chiamata anche medaglia (v.), e assunse varî nomi relativi al denaro: obolo di bianchetto, di viennese, ecc.; oboli furono dette anche monete dei principati cristiani d'Oriente: di Chiarenza, di Corinto, di Gerusalemme, di Negroponte, di Tebe, ecc. Quando queste monete erano di piccolissime dimensioni venivano dette obolini.
Bibl.: E. Martinori, La moneta, ecc., Roma 1915, s. v.
L'obolo di S. Pietro.
L'obolo di S. Pietro (detto già denarius o census S. Petri) è un contributo spontaneo dei fedeli al papa, successore di S. Pietro, per metterlo in grado di sovvenire ai bisogni della cattolicità. Come tributo annuo che alcuni stati nordici corrispondevano al papa (Romfeoh, Romescot, Römergeld), ebbe origine in Inghilterra nel sec. VIII e cessò man mano col progredire della Riforma protestante. Nella sua forma attuale di Opera dell'obolo di S. Pietro, organizzata in quasi tutte le diocesi del mondo per raccogliere ogni anno le offerte dei fedeli da inviarsi al papa, fu iniziata a Parigi nel 1859 dal conte di Montalembert con la costituzione di un comitato cattolico del "denier de St. Pierre" e di là si diffuse prima a Torino e a Vienna, poi in tutti i paesi d'Europa e delle due Americhe e nei paesi di missioni. Nel 1878 Leone XIII ne affidò l'amministrazione a una commissione dipendente dal prefetto dei Palazzi Apostolici. Dal 1870 al 1880 fu oggetto di vivaci discussioni alla camera italiana, pretendendo gli uni di riscontrarvi una questua proibita, gli altri una manifestazione religiosa d'indole politica. Oggi è compreso fra i beni della S. Sede, amministrati da una commissione cardinalizia presieduta dal cardinale segretario di stato.
Bibl.: S. Margotti, S. Pietro e l'Italia, Torino 1867; Ph. Woker, Das kirchl. Finanzwesen der Päpste, Nördlingen 1878; Atti ufficiali della Camera, n. 635, p. 2464; C. Daux, L'obolo di S. Pietro, trad. ital., Roma 1909; H. Thurston, Peterspence, in The catholic Encyclopedia, XI, New York 1911.