SANVITALE, Obizzo (
de Sancto Vitale, Obitius, Obizo, Opiço). – Nacque a Parma, forse nel secondo o terzo decennio del XIII secolo, da Guarino di Anselmo Sanvitale e Margherita di Ugo Fieschi.
Ebbe sei fratelli, cinque maschi – Ugo, Alberto, Anselmo, Guglielmo, Tedisio (Teseo) – e una femmina, Cecilia. L’appartenenza familiare a gruppi potenti, da parte paterna quanto materna, giocò un ruolo chiave nella sua ascesa ecclesiastica e politica.
Con i Rossi, i da Correggio e i Pallavicino, infatti, i Sanvitale furono tra le casate che, a partire dal XII secolo, segnarono maggiormente la storia di Parma. Attestati sin dall’XI secolo (con il cognomen Guidoni Anselmi), ebbero nel complesso un profilo più urbano che rurale, anche se la loro denominazione cognominale potrebbe derivare tanto dalla chiesa urbana omonima, presso la quale risiedevano, quanto da un luogo incastellato a 20 km da Parma (di pertinenza del monastero di S. Giovanni Evangelista) presso il quale tennero beni dal 1136 circa. In ogni caso, i Sanvitale non appartenevano all’alta aristocrazia, ma facevano parte del gruppo di possessores inurbati dal contado e ricoprirono numerose cariche nella prima età comunale (Buxolus, giudice e podestà imperiale di Parma, 1162; Giovanni, membro del consiglio cittadino, 1182; Guido, canonico della cattedrale, 1187; Gerardo, avvocato dei consoli, 1196, e poi giudice e avvocato del Comune, 1215). Ebbero comunque possessi fondiari, castelli e diritti signorili importanti sin dal XII secolo, all’inizio dislocati perlopiù lungo il medio corso del fiume Enza (a sud-est della città), a Montechiarugolo e a Beneceto (a est dell’abitato di Parma). Soltanto nella seconda metà del Duecento, grazie alla fortunata politica matrimoniale e militare di uno dei fratelli di Obizzo, Tedisio, i Sanvitale estesero beni e diritti anche verso sud, dalla val Baganza (Sala, Maiatico) all’Appennino (Pietramogolana presso Berceto, che Obizzo infeuderà nel 1295 al nipote Gianquirico, figlio di Tedisio).
Della giovinezza di Obizzo Sanvitale sappiamo solo che studiò diritto canonico sotto la direzione di Giovanni di Donna Rifiuta, arciprete della cattedrale al quale sottrasse in seguito la cattedra vescovile. La discendenza dai Fieschi favorì la sua carriera ecclesiastica, che decollò dopo che lo zio materno Sinibaldo divenne papa (Innocenzo IV, 1243). Nel contesto del ferreo controllo degli episcopati emiliani, costui impose Alberto Sanvitale come vescovo di Parma (fine 1243) e Obizzo divenne subito dopo canonico della cattedrale di Parma.
Negli anni immediatamente successivi, l’ascesa del clan Sanvitale fu subitanea. Ugo, fratello di Obizzo, già console di giustizia e podestà della Mercadancia, fu nominato nel 1244 primo capitano del Popolo di Parma, e peraltro rimosso dopo soli tre giorni di ‘signoria di fatto’, la prima in città, per l’ostilità dell’oligarchia dominante. Fuoruscito a Piacenza nel 1245 (insieme con i Rossi), in dissenso aperto con Federico II, Ugo Sanvitale vi rientrò dopo la vittoria di Borghetto Taro (15 giugno 1247), episodio che segnò il definitivo sganciamento della città dall’alleanza federiciana e il suo inserimento nel campo guelfo.
Cappellano di Parma (1251) e vescovo titolare di Tripoli (1254-61), Obizzo Sanvitale visse negli anni Cinquanta presso la Curia romana: ciò favorì la sua successione nell’episcopato parmense dopo la morte del fratello Alberto (1257), battendo – grazie all’appoggio del cardinale Ottobono Fieschi – la concorrenza del suo antico maestro Giovanni di Donna Rifiuta, eletto dal capitolo, e di Guglielmo Della Gente, abate di Leno (Brescia) e soprattutto fratello di Giberto Della Gente, all’epoca signore di Parma grazie all’appoggio del Popolo e della Mercadancia.
Non a caso Giberto Della Gente (tra il 2 giugno e il 4 novembre 1257) l’accusò di amministrazione disonesta e incapace dei beni episcopali. L’obiettivo del nuovo vescovo era quello di creare, attraverso la concessione di terre, una nuova rete di clientele intorno alla quale consolidare la pars Ecclesie; ma effettivamente non mancarono scelte infelici nella designazione dei vassalli, come la concessione di metà del castello di Boretto e dei diritti signorili oltre il fiume Enza a Giacomino da Beneceto, rivelatosi poi inadatto. In ogni caso, papa Urbano IV non diede seguito alle denunce di Della Gente che, nel frattempo, si era avvicinato al partito imperiale.
Obizzo si dimostrò inizialmente rispettoso delle direttive impartite dalla Sede apostolica. Prestò obbedienza a Cacciaconte, eletto vescovo di Cremona (1258) per volontà di Alessandro IV contro il candidato ghibellino Giovanni Bono dei Giroldi; nel sinodo provinciale di Ravenna, convocato dall’arcivescovo e legato papale Filippo Fontana a proposito dell’avanzata dei Tartari (1259), si mise in luce come difensore degli ordini mendicanti, dei quali favorì l’insediamento in Parma, così come appoggiò organizzazioni laicali-religiose dalle finalità antiereticali, come l’Ordine della Milizia della Vergine Gloriosa detto anche dei frati Gaudenti (1261). Inizialmente il suo atteggiamento fu tollerante, se non accondiscendente, anche nei confronti di Gerardo Segarelli, fondatore nel 1260 del movimento francescano radicale dei frati minimi o apostoli.
Concesse infatti nel 1269 quaranta giorni di indulgenza a chi avesse offerto elemosine alle donne del movimento, guidato a Parma da Guido Putagio (di famiglia capitaneale specializzata nel professionismo funzionariale) e inserito dal Comune di Parma fra i gruppi religiosi destinatari di sovvenzioni pubbliche (1266). Successivamente, il gruppo venne isolato e bollato come eterodosso, e Segarelli fu infine bruciato in piazza (1300). Nessun provvedimento fu invece preso contro Benvenuto, detto Asdente, calzolaio divenuto noto per le doti divinatorie, ma rivelatosi in realtà, dopo un attento esame condotto dallo stesso Sanvitale nel 1284, semplice conoscitore e commentatore di testi profetici sacri e profani.
Negli anni Sessanta e Settanta Sanvitale non trascurò il governo ecclesiastico della diocesi. Nel 1262 e nel 1263 istituì, insieme al canonico Giacomo Grossi, due benefici in cattedrale; si occupò di cenobi femminili (S. Giovanni in Borgo San Donnino e S. Ulderico a Parma), regolando il numero delle monache ammesse; nel 1264 arbitrò una lite tra il capitolo della cattedrale e Alberto e Giovanni Bosio custodi del coro. Il 25 maggio 1270 consacrò il battistero e il 22 marzo 1273 fece promulgare gli Statuti della Chiesa di Parma. Nel 1274 prese parte al Concilio di Lione. Nel 1276 e nel 1286 fu invece in lite con il monastero di S. Alessandro di Parma, per i diritti su alcune chiese. Nel 1282, in occasione di una grave carestia, donò denaro al Comune perché distribuisse grano.
Contemporaneamente, Sanvitale era però anche un capoparte, alla guida di una delle due fazioni nelle quali si era suddivisa la pars Ecclesie a Parma: la pars dd. de Corigia (filopopolare) e la pars episcopi, che si appoggiava alla nobiltà e riprendeva le istanze del partito imperiale, pur senza coincidervi. La pars Ecclesie civitatis Parme d’altronde era sorta a metà secolo in maniera non spontanea, ma come creazione artificiale del pontefice in funzione antifedericiana, e radunava tutte quelle famiglie con cui i Fieschi avevano intessuti legami parentali, ma che continuavano ad avere motivi di contrasto fra di loro, come nel caso dei Rossi e dei Sanvitale.
Come vescovo e come capofazione, Obizzo si trovò in conflitto con il Comune per diverse ragioni. Da un lato perché quest’ultimo era portavoce degli orientamenti delle Arti e, dal 1266, della Società della Croce, un’associazione guelfa e di popolo sorta con il diretto sostegno di Carlo d’Angiò. Sotto questa luce va letta ad esempio la sua opposizione nel maggio del 1260 alla vendita da parte dei suoi fratelli, Ugo e Anselmo, del casamentum di famiglia, sito nella vicinia di S. Vitale iusta palacium communis: il Comune perseguiva infatti una politica di esproprio e di acquisto degli edifici che si affacciavano sulla platea communis, per allontanare l’aristocrazia consolare dal nuovo centro politico della città. Dall’altro lato pesavano gli strascichi del pesante conflitto giurisdizionale che aveva coinvolto Chiesa locale e Comune agli inizi del secolo e che si era concluso con un concordato nel 1221: i patti non sempre venivano rispettati, come Sanvitale avrebbe lamentato ancora nel 1282 e nel 1286.
La contesa anzi si inasprì: sotto il suo episcopato, il Comune produsse una serie minuziosa di norme tendenti a diminuire i privilegi e le esenzioni degli ecclesiastici e ad allontanarli dagli affari civili. Non si trattava peraltro solo della manifestazione del contrasto tra due poteri in concorrenza per la giurisdizione, bensì della lotta tra schieramenti dell’élite locale.
Le vicende politiche locali risultavano inserite in un più ampio quadro di influenze, sia per gli interessi allargati di numerose famiglie parmensi, ben radicate nel contado e dotate di forti legami con le aristocrazie di altre città padane, sia per le ingerenze di poteri signorili esterni in via di affermazione, sia, infine, per l’attenzione sempre viva del Papato al controllo delle Chiese locali. Sanvitale tessé perciò alleanze in ambito padano; in particolare favorì la politica espansionistica del marchese Azzo d’Este (insediato nelle vicine Reggio, Modena e Ferrara) per arginare il progressivo consolidamento dei rivali da Correggio, prima Guido e poi il figlio di questi Giberto. Fu capace anche di guidare spedizioni militari, come quella (1271) condotta nel Reggiano contro Giacomo da Palù (de Palude), membro di una delle principali famiglie parmensi di fede ghibellina.
In prosieguo di tempo, alcuni episodi resero particolarmente critici i rapporti tra il Comune e il vescovo. Nel 1287 e nel 1292 i due capitani del Popolo in carica, Guido Lovisini e Bassano Aroldi, furono accusati di aver falsificato le liste dei membri della Società dei Crociati, l’appartenenza alla quale garantiva solidarietà e privilegi giudiziari, ma dietro di loro si vide la mano del vescovo e della sua parte nobiliare, che in quel modo avevano tentato di rispondere a una serie di statuti comunali antimagnatizi miranti a delegittimare le solidarietà familiari e clientelari, sulle quali contava la nobiltà, a favore dell’unica solidarietà politica considerata legittima, ovvero quella del populus. Pesò inoltre la condanna a morte, comminata nel 1295 dal Comune, di un converso benedettino accusato di aver ucciso una donna: il vescovo scomunicò il podestà, i giudici, i notai e tutti coloro che si erano intromessi nella causa, ma il Comune si difese inviando una legazione ad Anagni e accusando a sua volta il vescovo «de certis operibus» (Chronicon parmense..., a cura di G. Bonazzi, in RIS2, IX, 9, 1902-1904, p. 70). Bonifacio VIII, indotto dal cardinale Gerardo Bianchi, con lettera del 23 luglio 1295 decretò il trasferimento di Sanvitale alla chiesa arcivescovile di Ravenna, una promozione dal chiaro sapore di rimozione.
Obizzo non lasciò subito Parma, ma fu costretto a farlo poco dopo a seguito di un tumulto, alimentato da voci di tradimento, fuggendo prima a S. Eulalia e a Reggio, e poi a Ravenna. Il Comune cacciò quindi il podestà, accusato di avere cercato di proteggere Sanvitale, e bandì i sostenitori della pars episcopi, vescovo compreso. Non si concretizzò tuttavia il prevedibile scontro tra il Comune e i fuorusciti appoggiati dagli Estensi; gli estrinseci parmensi anzi a poco a poco si allontanarono dal marchese, e Sanvitale stesso, da Ravenna, si rivolse a Roma per ottenere la restituzione della terra di Argenta che aveva consegnato ad Azzo nel quadro degli accordi per la conquista di Parma.
L’arcivescovo non approfittò della riammissione in città della pars episcopi favorita da Giberto da Correggio, che alla morte del padre Guido (gennaio 1299) intese proporsi agli occhi della cittadinanza come conciliatore dei conflitti di parte, una strategia che gli consentì di ottenere nel medesimo anno la signoria della città e di tenere a bada i Rossi.
Obizzo morì nel 1303 ad Orvieto mentre si trovava in viaggio per recarsi in visita a Bonifacio VIII. Fu qui sepolto presso l’altare maggiore della chiesa dei frati minori sotto l’iscrizione: «Opizzo Dei gratia Archiepiscopus Sancte Ravennatensis Ecclesiae Aghiae Anastasis».
Uomo ‘quasi militare’, colto e istruito, specialmente in diritto canonico, e grande esperto dell’ufficio ecclesiastico, ma anche abile nel gioco degli scacchi, Obizzo appariva dotato di un pragmatismo politico sconfinante nell’opportunismo. «Cum clericis clericus, cum religiosis religiosus, cum laycis laicus, cum militibus miles, cum baronibus baro, magnus barator, magnus dispensator, largus, liberalis et curialis»: questo l’efficace ritratto che ci ha lasciato Salimbene de Adam (Cronica, I, 1966, p. 168).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Parma, Diplomatico, Atti privati, cass. 8, nn. 160 e 179; cass. 9, n. 163; cass. 44, n. 2639; cass. 52, n. 3145; cass. 59, n. 3545; Sanvitale, buste 868, 872; Parma, Archivio vescovile, Diplomatico, pergamena non inventariata (ex n. 82) n. 174; L.A. Muratori, Delle antichità estensi ed italiane, I, Modena 1717, p. 65; Statuta Communis Parmae ab anno MCCLXVI ad annum circiter MCCCIV, a cura di A. Ronchini, Parma 1857, pp. 37, 42, 44, 81, 83, 101, 115 s., 140 s., 213, 219, 259 s., 263; Chronicon parmense ab anno MXXXVIII usque ad annum MCCCXXXVIII, a cura di G. Bonazzi, in RIS², IX, 9, Città di Castello 1902-1904, pp. 20-85; Le carte degli archivi parmensi del sec. XII, a cura di G. Drei, III, Parma 1950, 148; Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, I, Roma-Bari 1966, pp. 51 s., 85-88, 135, 164-170, 271, 276, 538-542, 553, 558, 737; II, pp. 390-393, 949, 1117-1119; Liber iurium communis Parme, a cura di G. La Ferla Morselli, Parma 1993, pp. LVI, 81-84.
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