LANDI, Obizzo (detto Verzuso, Vergiuso o Versuzio)
Nacque nella seconda metà del XIII secolo da Ruffino Zuccario, esponente del ramo della famiglia Landi che esercitava la signoria su Rivalta nel Piacentino, morto nel 1316.
Il L. salì alla ribalta della vita politica piacentina nella situazione di crisi seguita all'avvento dell'imperatore Enrico VII, da cui seppero trarre vantaggio principalmente i Visconti, avviatisi alla formazione del loro Stato regionale.
A Piacenza, dopo la fine dell'ennesimo intervallo di signoria di Alberto Scotti e della residua autonomia cittadina travagliata dalle lotte tra Scotti e Landi, Galeazzo Visconti divenne vicario imperiale con il favore di Enrico VII e il 10 sett. 1313 si fece nominare signore perpetuo della città da un Consiglio generale in cui erano rappresentati soltanto i fazionari ghibellini (principalmente Anguissola e Landi).
Il governo visconteo si caratterizzò ben presto per la durezza della repressione e per l'esosità fiscale - finalizzata alla costruzione delle fortificazioni di Piacenza - che colpiva le proprietà ecclesiastiche con taglieggiamenti e confische. La Chiesa reagì inviando il legato Bertrand du Poujet, appoggiando numerose rivolte di matrice guelfa e infine condannando per eresia, il 14 marzo 1322, Galeazzo Visconti. La violenta scossa al potere visconteo costituì il terreno per l'entrata in scena del L. a capo della congiura antiviscontea.
Il racconto del monzese Buonincontro Morigia - che trova riscontro in diversi altri cronisti coevi - ha tramandato una interpretazione romanzesca e avventurosa dei moventi della congiura, che oggi si ritiene destituita di ogni fondamento ma che, proprio per queste sue caratteristiche, è stata alla base del "racconto storico" popolare di Luigi Marzolini. Secondo la narrazione di Buonincontro, tutto avrebbe tratto origine dal tentativo di Galeazzo Visconti di insidiare la moglie del L., Bianchina, durante l'assenza del marito: invitata presso la dimora del signore piacentino, Bianchina vi si sarebbe recata, ma, per sua sicurezza, accompagnata da un buon numero di parenti e servitori. Davanti alle esplicite profferte del Visconti, avrebbe preso tempo per rifugiarsi nel castello familiare di Rivalta e informare il marito, che avrebbe allora deciso di vendicarsi dell'oltraggioso comportamento di Galeazzo. Il più informato cronista piacentino coevo, Guerino, tace su tale episodio, riferito con qualche perplessità anche da Poggiali.
Questa narrazione, verosimilmente leggendaria, ben si può inserire nel quadro della crescente animosità nei confronti del Visconti, cui la voce popolare attribuiva ogni genere di crimine e immoralità, soprattutto dopo che alla persistente arroganza e violenza si era aggiunta la condanna per eresia, ancorché essa fosse frutto di un deliberato atto politico. Piuttosto gli eccessi di Galeazzo rappresentarono l'elemento decisivo per coagulare più forze attorno alla ribellione iniziata dal L., che poteva anche essere di origine personale.
I fatti affidabilmente documentati indicano che il L., dopo aver dichiarato la propria ribellione, dal 20 apr. 1322 fu assediato nel castello di Rivalta, da cui riuscì a fuggire eludendone il blocco. Nel giugno seguente Galeazzo Visconti fu obbligato a lasciare Piacenza nelle mani della moglie, Beatrice d'Este, e di Manfredo Landi per recarsi a Milano dove suo padre, Matteo, era in fin di vita; dopo la morte di questo, alla fine di giugno, Galeazzo fu proclamato signore di Milano, dove fu costretto a trattenersi per ricomporre divisioni familiari e per cercare di prendere in mano il controllo del potere.
Così, se anche il 6 luglio seguente il castello di Rivalta fu conquistato da Manfredo Landi per i Viscontei, nel frattempo il L. si portò segretamente ad Asti, dove entrò in contatto con Bertrand du Poujet per proporgli di sostenerlo in un colpo di mano finalizzato alla cacciata dei Viscontei da Piacenza: il legato pontificio decise di appoggiare il tentativo - da cui in caso di riuscita avrebbe tratto vantaggio e in caso di fallimento non avrebbe compromesso ulteriormente la sua situazione - e mise a disposizione del L. cavalieri e fanti in numero imprecisato ma presumibilmente adeguato soltanto a un'azione rapida e non a un lungo assedio. Infatti, pur tenendo conto delle qualità di condottiero del L. e della sua perfetta conoscenza del territorio, soltanto solidi appoggi all'interno di Piacenza dovettero rendere possibili gli avvenimenti della notte tra l'8 e il 9 ott. 1322.
Quella notte alcuni uomini infiltratisi in città praticarono una piccola breccia nelle mura urbane, in una zona mal sorvegliata dove erano in corso lavori, e fecero entrare le truppe del L. che, incontrando pochissima resistenza, puntarono direttamente sull'attuale piazza dei Cavalli e sui palazzi del potere, mentre numerosi insorti, evidentemente già preparati, invadevano le strade gridando contro i ghibellini e inneggiando al potere della Chiesa. Beatrice d'Este, Manfredo Landi, gli Anguissola e gli altri principali aderenti viscontei riuscirono fortunosamente a fuggire, e Piacenza passò sotto il governo papale.
Dopo che, il 23 ottobre, il L. fu nominato da papa Giovanni XXII rettore della città ad tempus, il 27 novembre Bertrand du Poujet entrò solennemente in Piacenza. Per espandere e consolidare il proprio ruolo, in un primo momento il L. cercò anche di far nominare il nipote Ruffino al vescovado di Piacenza, vacante dal 1317. Questa scelta non fu però approvata dal papa, probabilmente per l'ancora troppo giovane età di Ruffino, e la cattedra piacentina andò a Bernardo del Cario, zio materno di Ruffino, divenuto poi vescovo di Mantova. Nel giugno 1323 il L. ricevette un donativo di 10.000 lire dal Comune quale ricompensa per aver strappato Piacenza alla dominazione viscontea. Il L. assunse anche il comando della crociata antiviscontea, scontrandosi sull'Adda con Marco e Luchino Visconti in una battaglia in cui morì il fratello Oberto. Occupò quindi Monza e assediò Milano con un esercito numeroso ma composto principalmente di mercenari forestieri; il blocco attorno alla città lombarda si sarebbe prolungato fino all'esaurimento delle risorse dei crociati, mentre gli aiuti forniti ai Visconti dagli Scaligeri, dagli Estensi e da Ludovico il Bavaro consentirono a Marco Visconti di rovesciare il fronte, liberare Milano dall'assedio e costringere il L. a rifugiarsi a Monza. Quando anche Monza si arrese, il 10 dic. 1324, egli si salvò con la fuga.
Anche a Piacenza il L. venne a trovarsi in crescente difficoltà, isolato politicamente sia rispetto ai suoi familiari e agli altri ghibellini piacentini, che lo ritenevano un traditore, sia rispetto ai fazionari guelfi, che non potevano riporre fiducia in lui a causa del suo passato. Così, ancor prima che le operazioni militari in Lombardia si risolvessero in un fallimento, il L. fu privato della rettoria piacentina già nel maggio 1323, mentre i Landi e gli altri eminenti ghibellini piacentini subirono l'ennesima espulsione e si rifugiarono come ribelli alla Chiesa nel castello di Rivergaro, ma vi furono sconfitti dal legato pontificio: tra questi ribelli figurava anche Niccolò, fratello del Landi.
Emarginato e in declinante fortuna, il L. continuò a svolgere l'attività di condottiero per conto del Papato al seguito di Bertrand du Poujet: nel 1326 nel Modenese militò contro Rainaldo Bonacolsi e dal 1327 si portò in Toscana. In quell'anno fu a Firenze con 350 cavalieri bolognesi e partecipò alla presa di Santa Maria a Monte; quindi fu schierato a contrastare Castruccio Castracani, impegnato ad assediare Pistoia.
Matteo Griffoni dà notizia della morte del L. e della sua sepoltura in Bologna ("Dominus Verçusius de Lando de Placentia decessit Bononiae et fuit sepultus Bononiae ad monasterium fratrum Minorum sancti Francisci") al 1328, ma la data è senz'altro errata. Il L. si trovava infatti ancora a Firenze nel gennaio del 1329, al comando di un drappello di sessanta cavalieri, e morì verosimilmente a Bologna verso la fine di quell'anno. Induce a crederlo il suo testamento, datato al 3 nov. 1329 e redatto dal notaio Bonagrazia Bambolari di Bologna, che si conserva in copia presso l'Archivio di Stato di Piacenza: da esso si desume il lascito universale a favore del figlio Bertrando (che morì nel 1364, fatto assassinare da Francesco Scotti, pronipote di Alberto, a seguito di una controversia per l'uso delle acque del Trebbia a Rivalta) e si ricava che il vero nome della di lui moglie era Ermelina.
Fonti e Bibl.: B. Morigia, Chronicon Modoetiense, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XII, Mediolani 1728, coll. 1119-1121; Storie pistoresi (1300-1348), a cura di S. Adrasto Barbi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XI, 5, pp. 108, 124; P. Azario, Liber gestorum in Lombardia, a cura di F. Cognasso, ibid., XVI, 4, pp. 30 s.; M. Griffoni, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, ibid., XVIII, 2, p. 38; Chronica tria Placentina a Iohanne Codagnello ab anonymo et a Guerino conscripta, a cura di B. Pallastrelli, Parmae 1859, pp. 419 s.; Fondo Landi. Archivio Doria Landi Pamphilj. Carteggio, a cura di R. Vignodelli Rubrichi, Parma 1974, ad ind.; Fondo Landi. Archivio Doria Landi Pamphilj. Regesti delle pergamene, 865-1625, a cura di R. Vignodelli Rubrichi, ibid. 1984, ad ind.; C. Poggiali, Memorie storiche di Piacenza, VI, Piacenza 1759, pp. 177-209, 219 s.; L. Marzolini, Bianchina Landi, ossia La cacciata di Galeazzo Visconti da Piacenza: racconto storico del sec. XIV, Piacenza 1946; M.R. Poggioli, La famiglia Landi e le vicende politiche di Piacenza nella prima metà del Trecento, in Boll. stor. piacentino, LXXXVII (1992), 1, pp. 59 s.; P. Castignoli, La signoria di Galeazzo I Visconti (1313-1322), in Storia di Piacenza, III, Dalla signoria viscontea al principato farnesiano (1313-1545), Piacenza 1997, pp. 21-24; Id., Il governo del legato pontificio cardinale Bertrando del Poggetto (1322-1336), ibid., pp. 27-30; Id., Dal governo di Azzone all'ascesa al potere di Gian Galeazzo (1336-1385), ibid., p. 54; D. Ponzini, Organizzazione ecclesiastica e vita religiosa, ibid., pp. 312, 339.