FIESCHI, Obizzo
Nacque intorno alla metà del secolo XII, figlio di Ruffino del ramo ligure dei conti di Lavagna.
La famiglia del F., di nobili origini, entrò a far parte della vita pubblica di Genova a partire dalla metà del XII secolo: solo nel 1166 la consorteria nobiliare dei Fieschi aveva infatti giurato obbedienza e sostegno militare a favore del Comune genovese. Dei tre fratelli del F. solo uno, Ugo, si sposò mentre gli altri due, Ibleto ed Alberto, abbracciarono la carriera ecclesiastica, divenendo rispettivamente vescovo di Albenga ed arcidiacono della Chiesa di Parma. Una ipotizzata appartenenza alla nobile famiglia parmense dei Sanvitale, erroneamente attribuitagli nel passato, è da ritenere completamente infondata.
Il F. è ricordato una prima volta nel 1178 quando figura fra i canonici della cattedrale di Parma. In seguito divenne prevosto della stessa cattedrale, incarico che non ricopriva più nel 1188, quando al suo posto compare un'altra persona. Il F. continuò comunque ad occuparsi di questioni pertinenti alla locale vita ecclesiastica. Riottenne successivamente la prevostura (come prevosto è infatti ricordato in un atto del 13 dic. 1192). Il F. risulta vescovo eletto di Parma nel dicembre 1194; con tale qualifica compare ancora in un diploma imperiale di Enrico VI emesso il 29 maggio 1195, mentre il successivo 14 giugno risulta già confermato. Il 20 genn. 1196 compariva come testimone nella tregua fra le città padane sottoscritta nella chiesa di Borgo San Donnino.
Successivamente il F. venne invitato a procedere contro il marchese Guglielmo Pelavicino, i cui servi avevano derubato il legato papale, cardinale Pietro di Capua, di passaggio per le sue terre. Il 20 apr. 1198 Innocenzo III minacciò il F. e il vescovo di Piacenza, di toglier loro il vescovato se Pietro di Capua non avesse avuto soddisfazione. Dato il tiepido impegno dimostrato il F. fu, nell'agosto successivo, privato di qualsiasi giurisdizione sul clero e sulla chiesa di Borgo San Donnino, e poco dopo scomunicato insieme con i cittadini di Parma e Piacenza. Una volta risolta la questione, lo stesso pontefice si impegnò affinché Borgo San Donnino ritornasse sotto la giurisdizione parmense. Nel novembre 1201 il F. ricevette da Innocenzo III notifica ed invito a pubblicare la scomunica emessa dal papa contro i Cremonesi disobbedienti al loro vescovo, e sempre il F. fu incaricato, nel 1204, di sciogliere la città dalla scomunica e di curarne gli atti relativi.
Il F. agì sempre in accordo con le linee prescelte dalla S. Sede in occasione dei dissidi che opposero quest'ultima all'Impero: il 16 genn. 1212 papa Innocenzo III gli ordinò di trasferire al vescovo di Cremona la giurisdizione che Piacenza, sostenitrice dell'imperatore Ottone IV, esercitava su Crema. Nello stesso periodo insieme con l'abate di S. Giovanni e con l'arcidiacono della cattedrale fu incaricato dal pontefice di risolvere una questione posta dal vescovo di Vercelli in merito all'elezione dell'arcivescovo di Milano: si dovevano in particolare indagare le precedenti modalità seguite nella scelta del metropolita, stabilendo le consuetudini locali circa il ruolo ed i diritti degli ecclesiastici della diocesi. Il 29 ottobre dello stesso anno il papa ammonì la città di Alessandria perché abbandonasse il suo appoggio ad Ottone IV, e la minacciò di incaricare altrimenti il F. di amputarla della Chiesa di Acqui, fino a toglierle il titolo episcopale. Nell'aprile 1213 egli fu a Ravenna, insieme con i visitatori pontifici di Lombardia, ed i vescovi di Ivrea, Mantova, Bologna, Reggio, ma non sappiamo per quale motivo essi si riunirono.
Nel mese di maggio, Innocenzo III ordinò al F., all'arcidiacono della cattedrale ed a Guido da Bagnolo canonico parmense, di avocare alla S. Sede la causa in atto tra il monastero di Nonantola e la chiesa di Modena a proposito della chiesa di Spilamberto. Sempre dalla S. Sede il F. fu invitato nel 1214 ad adoperarsi per la liberazione dei luoghi santi e in seguito fu inviato a Piacenza, che era stata scomunicata ed interdetta per non essersi impegnata nella preparazione della crociata, al fine di assolvere i Piacentini dalle sanzioni papali. Il 22 dic. 1216 papa Onorio III gli ordinò di provvedere insieme con altri al sostentamento del vescovo di Bobbio, in esilio per aver difeso la sua Chiesa. Nel 1217, sempre su richiesta papale, il F. fu a Modena per giudicare i contrasti sorti fra Modenesi e Ferraresi in merito al passaggio per il Po, risolvendo la questione a favore di Modena. Il 21 apr. 1218 sempre Onorio III lo incaricò di applicare una sentenza riguardante il conferimento di una prebenda della Chiesa piacentina a favore di un canonico modenese. Il 18 giugno successivo insieme con altri vescovi ricevette dal pontefice l'ordine di scomunicare ed interdire il podestà ed il Comune di Bologna, abusivamente impadronitisi di alcune terre provenienti dall'eredità di Matilde di Canossa, terre spettanti in realtà alla S. Sede e che da questa erano state attribuite in feudo a S. Torelli di Ferrara.
Il F. tenne in grande considerazione, oltre al titolo di vescovo, anche quello comitale che egli volle riaffermare con insistenza in diversi atti del 1206, 1209, 1211, 1223. Al momento della discesa in Italia dell'imperatore Ottone IV, il F. gli andò incontro, e il 30 marzo 1210 era fra i suoi accompagnatori nel corso della permanenza di questo nella città di Imola. Proprio in quel giorno il F. ottenne, dalla Cancelleria di Ottone IV, oltre alla conferma dei privilegi già ottenuti dal predecessore Enrico VI, nuove concessioni di particolare importanza, quali il riconoscimento che gli esiliati dal territorio della giurisdizione episcopale fossero considerati come esiliati dal distretto parmense, che podestà e consoli della città non potessero intromettersi nelle cause ecclesiastiche, e che qualsiasi magistrato cittadino dovesse avere conferma ed investitura del proprio incarico dalle mani del vescovo. Quando l'imperatore giunse però a Parma gli ufficiali comunali protestarono vivamente contro le concessioni appena fatte a favore del F., appellandosi alle clausole contenute nella pace di Costanza che nel porre fine, nel 1183, alle lotte fra le città lombarde e Federico I Barbarossa, aveva puntualmente definito le prerogative ed i privilegi spettanti ai liberi Comuni. A tali obiezioni l'imperatore rispose da Lodi il 26 maggio, dichiarando nullo qualsiasi privilegio emesso in contrasto con tali concessioni. Il vescovo ricorse di nuovo ad Ottone IV ottenendo un nuovo privilegio, emanato da S. Salvatore di Pavia il 17 ago. 1210, che dichiarava impregiudicati i diritti dell'episcopio rispetto al precedente privilegio emesso in favore del Comune. L'atteggiamento contraddittorio di Ottone era dovuto alla continua ricerca di favore e consenso perseguita dall'imperatore, di conseguenza i contrasti fra vescovo e Comune continuarono con toni molto accesi. Nel 1214 fu redatta una dichiarazione che stabiliva la soggezione paritaria dei Parmensi all'autorità del vescovo e del Comune; ma nel 1217 il F. scomunicò quanti avevano falsamente diffuso la notizia di una sua benedizione al carroccio della città, impegnata nella difesa dell'alleata Cremona.
La stessa situazione si ripresentò al tempo di Federico II: nel 1219 il comune, dopo aver inviato un'ambasceria all'imperatore, ottenne un diploma di conferma dei privilegi cittadini, conferma in seguito annullata in quanto il F. ricorse anch'egli all'imperatore ottenendo un nuovo diploma che proclamava intangibili i diritti dell'episcopio. La politica del Comune ebbe però la meglio: al vescovo venne negata la facoltà di investire gli ufficiali comunali, ed anche la giurisdizione della Chiesa sul contado. Il F. vide ridimensionati anche i suoi diritti giurisdizionali limitati solo alle cause matrimoniali, alle inquisizioni in materia di usura e di manomissione, alla decretazione sulle cause minori. In questa occasione il F. ricorse direttamente al papa, ottenendo che la questione fosse demandata al vescovo di Bologna; nel maggio 1220 egli si recò quindi prontamente a Bologna con una ricca documentazione riguardante i suoi diritti, il suo titolo di comes per volere imperiale, i precedenti riguardanti l'investitura degli ufficiali comunali, l'esclusiva giurisdizione episcopale sul contado ed una minuziosa elencazione del podestà rurali di investitura vescovile. Il giudizio del vescovo di Bologna non fu pronunciato a causa del volontario allontanamento del procuratore del Comune di Parma, ma il papa comunicò al F., il 2 giugno, di aver emesso sentenza a suo favore, ed il 17 novembre esortò addirittura Filippo II re di Francia, a sequestrare i beni dei parmensi presenti nel Regno fino a che il Comune di Parma non si fosse piegato ai suoi voleri. Nonostante la durezza di tale sentenza il Comune non modificò il suo atteggiamento, nemmeno quando Federico II affiancò il pontefice nella condanna dei Parmensi ostili al loro vescovo. Il F. fu infatti costretto all'esilio, come apprendiamo da una lettera del pontefice del primo marzo 1221, e rimase lontano dalla sua sede fino al raggiungimento di un compromesso formalizzato il 10 luglio dello stesso anno.
Il F. morì a Parma il 22 maggio 1224, e fu sepolto nel coro della cattedrale della sua città; il cronista Salimbene da Adani lo ricorda come: "Pulcher homo et honesta persona", definizione che può essere considerata come il suo migliore epitaffio.
Al di là della partecipazione avuta nelle locali vicende politiche del tempo, il F. si dimostrò molto sollecito nel dirigere la diocesi e nel conservare ed accrescere il patrimonio della sua Chiesa. Il suo impegno nell'acquistare, vendere, permutare, ripetere ricognizioni feudali è riccamente documentato, ed altrettanto conosciuta è la sollecitudine per il buon funzionamento del servizio religioso.
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