Obbligo di vaccinare i ragazzi in età scolare
Con le modifiche introdotte dalla l. 31.7.2017, n. 119, di conversione del d.l. 7.6.2017, n. 73, cd. decreto Lorenzin, per i minori di età compresa tra zero e sedici anni sono state previste sei vaccinazioni obbligatorie in via permanente (anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse, anti-Haemophilus influenzae tipo b) e quattro vaccinazioni obbligatorie sino a diversa e successiva valutazione ministeriale (anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite, anti-varicella). Se il rispetto dell’obbligo costituisce requisito d’accesso a nidi e materne (quindi nella fascia d’età da zero a sei anni), la mancata vaccinazione non preclude invece l’iscrizione alle scuole dell’obbligo. Per le famiglie inadempienti si prevedono per multe da 100 a 500 euro, mentre è stato soppresso l’obbligo delle ASL di segnalare le famiglie inottemperanti alla procura presso il Tribunale per i minorenni (come previsto nel testo originario del d.l.).
Alla vigilia della decretazione d’urgenza del giugno 2017 e della successiva legge di conversione e modifica, la normativa primaria sviluppatasi in materia fra il 1939 ed il 1991 prevedeva quattro vaccinazioni pediatriche obbligatorie: contro la difterite (l. 6.6.1939, n. 891), il tetano (l. 5.3.1963, n. 292), la poliomielite (l. 4.2.1966, n. 51) e l’epatite B (l. 27.5.1991, n. 65).
Come suggerisce la loro stessa scansione cronologica, si trattava di interventi legislativi episodici e privi di collegamento sistematico, accomunati dalla condivisione del divieto di ammissione alla scuola per i bambini non vaccinati. Il divieto, confermato dal regolamento di medicina scolastica di cui al d.P.R. 22.12.1967, n. 1518, è stato poi revocato con il d.P.R. 26.1.1999, n. 355, pur residuando un obbligo in capo all’autorità scolastica di controllo delle certificazioni vaccinali e di segnalazione delle omissioni alle amministrazioni sanitarie per quanto di competenza. Fino al 1981 era inoltre prevista una sanzione penale per i genitori inadempienti che però, a seguito della l. 24.11.1981, n. 689, è stata depenalizzata in sanzione amministrativa.
Così riconfigurata, la categoria dei vaccini obbligatori ‒ non concretizzandosi nella costrizione fisica all’atto medico, ma implicando, in caso di inadempimento, la sola irrogazione di una sanzione pecuniaria in capo ai genitori del minore, cui si affiancava, in presenza di determinate condizioni, lo strumento previsto dall’art. 333 c.c.1 ‒ ha finito con il costituire un tertium genus sia rispetto ai trattamenti sanitari coercitivi di cui all’art. 34 della l. 23.12.1978, n. 833 (che prevedono l’assoggettamento del paziente al trattamento terapeutico prescindendo dalla sua volontà di collaborazione); sia rispetto ai trattamenti sanitari necessitati (intesi come atti medici volti ad intervenire su dei soggetti affetti da determinate patologie e giustificati da valutazioni di urgenza e gravità clinica).
Nel 1998, nuovi studi epidemiologici hanno indotto le autorità sanitarie ad aggiungere nel piano sanitario nazionale (PSN) altre cinque vaccinazioni, «raccomandate» ma non imposte (diversamente dalle precedenti quattro): si trattava delle vaccinazioni antimorbillo, anti-rosolia, anti-parotite, anti-pertosse ed anti-Haemophilus influenzae.
Il superamento del divieto di ammissione alla scuola dei bambini non vaccinati (venuto meno nel 1999) ha tuttavia reso impercettibile la differenza tra vaccinazioni obbligatorie e vaccinazioni raccomandate, anche perché la somministrazione avveniva con sieri polivalenti che comprendevano entrambe le tipologie di vaccinazione.
Nel contesto sin qui descritto, caratterizzato da una ampia diffusione della pratica della vaccinazione ‒ giunta verso la metà del primo decennio del 2000 a livelli percentuali conformi alla soglia del 95% indicata dall’OMS come minima necessaria per ottenere la cd. immunità di gregge ‒ sono intervenute alcune novità di rilievo, ovvero: i) l’affermazione di significativi movimenti di opinione fortemente contrari alla immunizzazione mediante vaccino2; ii) la regionalizzazione del sistema sanitario nazionale3, culminata nella l. cost. 18.10.2001, n. 3, che ha attribuito alle regioni la potestà legislativa concorrente in materia di sanità e di istruzione.
Per effetto della combinata interazione di questi due fattori causali, negli anni a seguire la materia delle vaccinazioni pediatriche ha risentito di una accentuata diversificazione delle politiche regionali, di cui è paradigmatico il confronto tra la l. reg. veneto 23.3.2007, n. 7, che sospendeva l’obbligatorietà delle quattro vaccinazioni storiche, pur continuando a offrirle gratuitamente alla popolazione4; e la d.g.r. Emilia Romagna 13.3.2009, n. 256, che faceva obbligo ai servizi sociosanitari territoriali di segnalare all’autorità giudiziaria i nominativi dei genitori inadempienti, quando si era «in presenza di una scelta consapevole, espressione di dissenso verso le vaccinazioni». La stessa Regione Emilia Romagna (di lì a poco seguita da altre amministrazioni regionali), con la l. reg. 25.11.2016, n. 19, ha espressamente subordinato l’accesso ai servizi educativi all’adempimento degli obblighi vaccinali «prescritti dalla normativa vigente», e quindi alle quattro vaccinazioni storiche5.
Svolgendo uno sguardo d’insieme, può comunque affermarsi che il sistema delle vaccinazioni, fino ai più recenti interventi legislativi del 2017, appariva prevalentemente improntato ad un principio di responsabilizzazione dei genitori verso una scelta libera, informata e consapevole, raccomandata dalle istituzioni ma svincolata dall’obbligatorietà e dalla coercizione. Ne è riprova la scelta compiuta dal piano nazionale prevenzione vaccinale (PNPv) 2012/2014, il quale, prendendo atto delle scelte operate dalle varie realtà regionali, ha inteso avviare un percorso di graduale superamento dell’obbligo vaccinale, attraverso politiche sperimentali in grado di garantire un’adeguata copertura vaccinale attraverso sistemi informativi e persuasivi; e analogo orientamento ha ispirato il PNPv 2017/2019, varato pochi mesi prima del decreto Lorenzin, il quale ha mantenuto una posizione interlocutoria sull’obbligo vaccinale e sull’eventualità del suo superamento, evidenziando la necessità di generare «una normazione aggiornata» in grado di garantire «la protezione degli individui e delle comunità, con misure correlate, come, ad esempio, l’obbligo di certificazione dell’avvenuta effettuazione delle vaccinazioni previste dal calendario per l’ingresso scolastico»; e precisando che «l’approccio da adottare non doveva più essere quello coattivo, tipico degli interventi tradizionali di prevenzione, bensì proattivo, di promozione e adesione consapevole da parte del cittadino».
La lunga apatia del legislatore nazionale, causa prima di un sistema di regole affidato a disomogenei interventi legislativi regionali, è stata improvvisamente scossa dal d.l. 7.6.2017, n. 73, cd. decreto Lorenzin.
Le ragioni della straordinaria necessità e urgenza del provvedimento sono state ravvisate nella tendenza, riscontrata nelle statistiche epidemiologiche, alla riduzione, in alcune aree del territorio nazionale, delle coperture vaccinali al di sotto della soglia del 95%, obiettivo percentuale raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per impedire la circolazione e la trasmissione degli agenti patogeni.
Scopo dichiarato della decretazione di urgenza è stato, dunque, quello di assicurare il mantenimento di un’adeguata e omogenea copertura vaccinale, in linea con il conseguimento degli obiettivi del PNPv 2017/2019 e con il rispetto degli obblighi assunti dall’Italia a livello europeo e internazionale.
Sintetizzandone in contenuti innovativi, il d.l. n. 73/2017 ha reso obbligatorie e gratuite per i minori di età fra zero e sedici anni dodici vaccinazioni, comprese le quattro vaccinazioni storiche, vale a dire: anti-difterite, tetano, poliomielite, epatite B, pertosse, Haemophilus influenzae tipo b, meningococcica B, meningococcica C, morbillo, rosolia, parotite, varicella.
In caso di inosservanza dell’obbligo vaccinale, nonostante l’avvenuta contestazione dell’autorità sanitaria, è stata prevista per genitori o tutori la sanzione amministrativa da 500 a 7.500 euro, nonché la segnalazione alla procura della repubblica presso il Tribunale per i minorenni, ai fini di eventuali interventi limitativi della responsabilità genitoriale. L’accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia è stato precluso ai bambini non vaccinati. Per gli altri gradi di istruzione, l’autorità scolastica è stata investita dell’obbligo di segnalazione all’ASL dell’omessa vaccinazione.
Significative modifiche sono state introdotte dalla legge di conversione 31.7.2017, n. 119, che ha ridotto le vaccinazioni obbligatorie da dodici a dieci; ha esteso l’obbligo vaccinale a tutti i minori stranieri non accompagnati; ha introdotto un sistema di monitoraggio che permette al Ministro della salute di sospendere l’obbligatorietà di alcune vaccinazioni; ha soppresso l’obbligo di segnalare i genitori obiettori alla procura per i minorenni; ha fortemente ridotto la sanzione amministrativa; ha incluso gli affidatari tra gli obbligati all’osservanza dell’obbligo vaccinale; ha ampliato e meglio delineato gli interventi diretti a diffondere la «cultura delle vaccinazioni» e a promuovere l’adesione volontaria e consapevole alle vaccinazioni previste dal PNPv; ha inserito previsioni dedicate alla materia degli indennizzi di cui alla l. 25.2.1992, n. 210, a tutela dei «…soggetti che, a causa delle vaccinazioni indicate nell’articolo 1, abbiano riportato lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica»; ha assegnato funzioni di verifica e di impulso alla Commissione per il monitoraggio dell’attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA), a garanzia del conseguimento degli obiettivi del calendario vaccinale nazionale; ha ammesso l’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Governo a norma dell’art. 120, co. 2, Cost., e dell’art. 8 l. 5.6.2003, n. 131, in presenza «di specifiche condizioni di rischio elevato per la salute pubblica».
Di tutte le novità introdotte in sede di conversione, va in particolar modo segnalata la scelta di limitare la prescrizione in via permanente a sole sei delle dieci vaccinazioni previste (anti-poliomelitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse e anti-Haemophilus influenzae tipo b), circoscrivendo l’obbligatorietà delle rimanenti quattro (anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite e anti-varicella) ai tre anni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (6.8.2017).
La somministrazione di queste ultime può essere procrastinata anche oltre il triennio, mediante apposito decreto del Ministro della salute, da emanarsi a seguito di uno specifico monitoraggio e dell’acquisizione del parere del Consiglio superiore di sanità, dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), dell’Istituto superiore di sanità e – per quanto qui maggiormente interessa – della conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Se, dunque, il decreto Lorenzin non aveva riconosciuto – almeno esplicitamente – spazi di concertazione e collaborazione con le regioni nell’attuazione degli obblighi vaccinali, tale vuoto può dirsi colmato dalla legge di conversione6, mediante una forma di coinvolgimento che consente di ritenere rispettato il principio di leale collaborazione tra Stato e regioni.
Anche grazie a queste significative rettifiche, l’intervento normativo ha superato positivamente un primo vaglio di costituzionalità7, sollecitato dal ricorso presentato dalla Regione veneto ai sensi dell’art. 127 Cost. La reiezione del ricorso è stata argomentata dalla Corte sotto i profili: i) della sussistenza dei presupposti per la decretazione d’urgenza; ii) della mancata violazione delle attribuzioni regionali, legislative e amministrative, in materia di tutela della salute e di istruzione; iii) della mancata lesione del principio di autodeterminazione personale in materia sanitaria, garantito dagli artt. 2, 3 e 32 Cost. e da diverse fonti giuridiche sovranazionali.
Segnando una inversione di tendenza rispetto all’indirizzo politico prevalente negli ultimi anni, il legislatore del 2017 ha dunque riconfermato e rafforzato l’obbligo, mai formalmente abrogato, per le quattro vaccinazioni già previste dalle leggi dello Stato, e l’ha introdotto per altre sei vaccinazioni che già erano tutte offerte alla popolazione come «raccomandate».
L’obbligatorietà si realizza, tuttavia, attraverso modi e forme che privilegiano lo spazio della informazione e del confronto tra l’autorità e i cittadini: in caso di mancata osservanza dell’obbligo vaccinale, l’art. 1 del decreto Lorenzin prevede, infatti, un procedimento volto in primo luogo a fornire ai genitori (o agli esercenti la potestà genitoriale) ulteriori informazioni sulle vaccinazioni e a sollecitarne l’effettuazione.
A tal fine è previsto un apposito colloquio tra le autorità sanitarie e i genitori, allo scopo di favorire la comprensione reciproca e l’adesione consapevole all’obbligo di legge ‒ solo al termine del quale, e previa concessione di un adeguato termine, potranno essere inflitte le sanzioni amministrative previste, peraltro assai mitigate in seguito agli emendamenti introdotti in sede di conversione. La legge individua nelle ASL territorialmente competenti i soggetti deputati alla verifica dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale ed alle gestione del percorso di recupero dei casi di inottemperanza.
Ulteriore temperamento al regime di obbligatorietà risiede nella predisposizione di un sistema di monitoraggio periodico, le cui risultanze possono motivare l’espunzione dal regime di obbligatorietà di alcuni vaccini (e segnatamente di quelli elencati all’art. 1, co. 1-bis), alla luce del mutare dei dati e degli orientamenti emersi nelle sedi scientifiche appropriate.
Il co. 3-bis dell’art. 1 conferisce all’AIFA il compito di predisporre e trasmettere al Ministero della salute una relazione annuale sui risultati del sistema di farmacovigilanza e sui dati degli eventi avversi per i quali è stata confermata un’associazione con la vaccinazione.
In ciò l’AIFA sarà coadiuvata dalla Commissione tecnico-scientifica, all’uopo integrata da esperti indipendenti e dall’Istituto superiore di sanità.
Il Ministro della salute trasmetterà poi la predetta relazione alle Camere.
Il co. 6-bis dell’art. 1 richiama il ruolo chiave dell’AIFA nella procedura, estesa ai vaccini indicati nel calendario vaccinale nazionale, della negoziazione obbligatoria del prezzo dei farmaci rimborsati dal Servizio sanitario nazionale, da attuarsi mediante la contrattazione con le aziende farmaceutiche.
Il meccanismo di coazione all’obbligo della vaccinazione si realizza attraverso la regola principale per cui la presentazione della documentazione attestante l’assolvimento dell’obbligo vaccinale costituisce requisito d’accesso ai servizi educativi per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia, ivi incluse quelle private non paritarie. La stessa regola non vale per gli altri gradi di istruzione, e precisamente per quelli dell’obbligo scolastico e per i centri di formazione professionale regionale. Importa segnalare, tuttavia, che risulta in via di evoluzione la definizione sia della data di effettiva decorrenza dell’obbligo di presentazione della documentazione a pena di decadenza dall’iscrizione; sia della disciplina transitoria (relativa alla documentazione sostitutiva idonea a comprovare l’adempimento dell’obbligo vaccinale) applicabile in attesa della definitiva messa a regime delle norme8.
I dirigenti scolastici e i responsabili dei servizi educativi per l’infanzia, dei centri di formazione professionale regionale e delle scuole private non paritarie sono tenuti, all’atto dell’iscrizione del minore di età compresa tra zero e sedici anni e del minore straniero non accompagnato, a richiedere ai genitori/tutori/affidatari la documentazione attestante l’assolvimento dell’obbligo vaccinale (art. 3); e gli stessi dirigenti scolastici sono chiamati a segnalare l’omessa presentazione della documentazione nei termini previsti alle ASL, le quali attiveranno la procedura per il recupero dell’inadempienza e l’eventuale applicazione delle sanzioni.
Ferme restando le disposizioni vigenti in materia di formazione delle classi e fatta salva la segnalazione alla ASL competente, di norma, i minori che si trovino nelle condizioni di omissione o differimento delle vaccinazioni per accertato pericolo per la salute dovranno essere inseriti in classi nelle quali siano presenti solo minori vaccinati o immunizzati.
Il legislatore ha dunque ritenuto di poter imporre l’obbligo vaccinale agendo sul percorso educativo scolastico: ciò in quanto l’iscrizione alla scuola dell’infanzia prima, e a quella dell’obbligo dopo, è stata vista come uno snodo di inevitabile interazione con la comunità cittadina, che dovrebbe agevolare l’induzione, coattiva o persuasiva, alla pratica della prevenzione.
La legge stabilisce altresì che venga istituita con decreto del Ministro della salute, d’intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, l’anagrafe nazionale vaccini, allo scopo di monitorare l’attuazione dei programmi vaccinali sul territorio nazionale e di acquisire con maggiore puntualità i dati relativi alle coperture vaccinali, sopperendo anche ad eventuali deficit informativi delle anagrafi vaccinali regionali attualmente esistenti. Nella banca dati verranno acquisiti i nominativi dei soggetti vaccinati e da sottoporre a vaccinazioni; i nominativi dei soggetti immunizzati naturalmente e di quelli per i quali sussistono ragioni che consentono l’omissione o il differimento dei vaccini; nonché notizie sul numero di dosi e sui tempi delle somministrazioni effettuate, oltre che sugli eventuali effetti indesiderati registrati.
Si tratta, evidentemente, di uno strumento essenziale per l’attuazione di quegli interventi graduati e mirati che il nuovo corso normativo si propone di rearealizzare, ma anche in grado di introdurre una notevole semplificazione degli adempimenti documentali a carico delle famiglie.
La l. n. 119/2017 fa salva l’adozione da parte dell’autorità sanitaria di interventi di urgenza ai sensi dell’art. 117 del d.lgs. 31.3.1998, n. 112 (art. 1, co. 6): in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, il potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti spetterà al sindaco; negli altri casi, l’adozione di analoghi provvedimenti, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetterà allo Stato o alle regioni, in considerazione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali.
L’analisi comparatistica consente di cogliere un’ampia varietà di approcci e di strategie operative nel panorama delle diverse tradizioni giuridiche statali. A fronte di un generale favore per le politiche di diffusione delle pratiche vaccinali ‒ basato sulle evidenze statistiche e sperimentali delle autorità competenti (e specialmente dell’OMS) e sull’idea generalizzata secondo la quale la vaccinazione costituisce una misura indispensabile per garantire la salute individuale e pubblica ‒ diversi sono gli strumenti prescelti dai vari ordinamenti per conseguire gli obiettivi comuni.
Ad un estremo, si trovano esperienze che ancora di recente hanno conosciuto obblighi vaccinali muniti di sanzione penale (Francia); all’estremo opposto si collocano politiche di programmazione promozionale massimamente rispettose dell’autonomia individuale (come nel Regno Unito); nel mezzo, si ravvisa una varietà di scelte diversamente modulate, che comprendono ipotesi in cui la vaccinazione è considerata requisito di accesso alle scuole (come avviene negli Stati Uniti, in alcune comunità autonome in Spagna e tuttora anche in Francia) ovvero casi in cui la legge richiede ai genitori (o a chi esercita la responsabilità genitoriale) di consultare obbligatoriamente un medico prima di operare la propria scelta, a pena di sanzioni pecuniarie (Germania).
A questa diversa intensità di vincoli si accompagna una altrettanto varia individuazione del numero dei vaccini proposti o richiesti.
Il sistema nazionale italiano trova un punto di contatto essenziale con l’orientamento della comunità internazionale nella condivisione del fine ultimo della pratica preventiva, che è quello di limitare il più possibile la circolazione di agenti patogeni, così da proteggere la salute sia del destinatario dell’obbligo, sia degli altri soggetti non vaccinati (per scelta o necessità).
Questa costante spiega perché ‒ pur nell’oscillazione tra metodi coercitivi e metodi persuasivi, questi ultimi prevalenti sul finire degli anni novanta ‒ siano rimasti invariati nel tempo alcuni presidii normativi minimi, intesi a garantire che tutte le vaccinazioni fossero oggetto di offerta attiva, rientrassero nei livelli essenziali di assistenza (anche nel recente relativo aggiornamento del 2017) e fossero somministrate gratuitamente, secondo le cadenze previste dai calendari vaccinali.
Il tema dei trattamenti immunitari (come, più in generale, quello del diritto alla salute) costituisce punto di intersezione con diversi ambiti scientifici e con variegate influenze filosofiche e sociologiche, che ne rendono evidente la dimensione tipicamente multidisciplinare.
Mai come in questo caso, la tecnica giuridica, messa a servizio del fine politico, risente dell’impronta culturale delle scelte che essa realizza. Il diritto si confronta con la complessità della società tecnologica e pluralista e il dibattito che ne consegue si dipana in un continuum di enunciazioni dal forte sapore assiologico, nell’ambito delle quali è difficile discernere l’argomento tecnico da quello di impronta etica o ideologica.
va da sé che le scelte di sintesi spettano al decisore politico, ma su di esse incidono tanto la scienza immunologica ‒ nel definire gli obiettivi da raggiungere – quanto considerazioni di tipo sociologico e statistico in grado di indicare l’impatto sociale, l’efficacia delle metodiche prescelte e le possibili reazioni che i consociati potranno manifestare rispetto all’adozione di una certa strategia di politica preventiva.
Nella varietà delle competenze interpellate, il ruolo del giurista dovrebbe essere quello di definire il problema, evidenziando quali interessi e ragioni contribuiscono alla sua formulazione; comprendere gli obiettivi, indicando le diverse opzioni di politica del diritto ad essi sottesi; proporre le possibili e più appropriate soluzioni normative.
Con riguardo alla individuazione del problema e delle sue soluzioni, risulta decisivo il punto di vista maturato dalla comunità medico-scientifica sulla utilità della profilassi e sulla necessità di incrementarne la diffusione sino ad una soglia minima di sicurezza.
Questo primo ambito del problema, riferito alla appropriatezza del rimedio vaccinale, risulta dominato dal sapere medico-scientifico, il quale viene opportunamente colto, sia pure negli sviluppi evolutivi e con criteri di prudente flessibilità, come fondamento dell’intervento normativo oltre che come garanzia della ragionevolezza e della non arbitrarietà delle scelte pubbliche9.
Il concetto guida che sta alla base della impostazione scientifica è quello dell’immunità di gregge, intesa come l’immunità che si ottiene quando la vaccinazione di una porzione della popolazione (il cd. gregge) offre una protezione agli individui non protetti. La percentuale di copertura vaccinale che gli immunologi stimano possa conseguire questo effetto è di almeno il 95% della popolazione.
I dubbi che vengono espressi sul versante della appropriatezza terapeutica della profilassi riguardano, essenzialmente, i temuti effetti collaterali delle vaccinazioni; il carattere asseritamente obsoleto e superfluo di pratiche preventive destinate a morbosità non più diffuse nella popolazione; il movente esclusivamente economico che sarebbe alla base della vaccinazione di massa10.
Una volta definiti gli obiettivi di tipo medico-scientifico, si pone il problema della scelta tra i diversi metodi di diffusione della pratica vaccinale, ed è qui che emergono le più consistenti ragioni di dissenso. È infatti nutrita la schiera di osservatori critici che ritengono preferibile, sul piano della efficacia e dei risultati (indipendentemente, quindi, da considerazioni ulteriori di carattere etico o ideologico), la strada dell’informazione e dell’adesione volontaria a quella della imposizione della scelta immunitaria; ed altrettanto preferibile il metodo della collaborazione e della sensibilizzazione a quello della emarginazione del minore dalla vita scolastica e di relazione.
Le diverse opzioni devono tuttavia considerare che da un’eventuale diversificazione del grado di immunizzazione sul territorio deriverebbe che bambini costretti a frequentare classi in cui fosse bassa l’immunità di gregge si vedrebbero esposti a pericoli per la loro salute, ai quali invece non andrebbero incontro bambini appartenenti a famiglie stanziate in aree del territorio nazionale con un maggior indice di adesione ai vaccini. donde un evidente effetto discriminatorio e, sul piano giuridico, un vulnus alla omogeneità della garanzia del diritto costituzionale alla salute.
Strettamente connesso all’alternativa tra una linea di paternalismo “forte” ed una visione strategica più libertaria, è il dibattito in ordine alle cause che avrebbero determinato il brusco calo delle vaccinazioni, attestatesi in tempi recenti, in alcune aree del nostro paese, ben al di sotto della soglia di sicurezza: il campo si diparte, in questo caso, tra quanti ascrivono il calo percentuale all’insuccesso nel lungo periodo della politica della informazione volta a promuovere l’adesione volontaria al vaccino; e quanti riconducono il fenomeno alla mancata attuazione della politica di informazione e persuasione attiva alla vaccinazione, i cui rilevanti costi e investimenti si sarebbero ben presto rivelati incompatibili con i tagli alla spesa sanitaria imposti dalla spending review.
Un ulteriore punctum dolens della l. n. 119/2017 viene colto nel divieto di frequentazione della scuola materna che essa introduce in via sanzionatoria. Ha suscitato perplessità, innanzitutto, la scelta compiuta dalla nuova normativa di scriminare i minori di età da zero a sei anni, rispetto a quelli da sei a sedici, ponendo solo per i primi il divieto di accesso/la decadenza dall’iscrizione scolastica e, in tal modo, osservano i critici, disconoscendo l’importanza socio-educativa fondamentale della formazione impartita dalla scuola per l’infanzia.
Ai rilievi in esame può contrapporsi, tuttavia, la constatazione della obiettiva maggiore esposizione al contagio che si verifica nei primi anni di vita e nel contatto ravvicinato tipico dei contesti ambientali scolastici dell’infanzia, il che rende oggettive e non trascurabili le differenze che il fenomeno epidemiologico presenta nei diversi casi considerati11.
Resta da considerare che la possibilità di accedere agli asili nido (anche in termini di offerta) non è la stessa in tutte le regioni e i comuni italiani, in quanto i dati Istat registrano notevoli differenze geografiche con riferimento al bacino di utenza realmente coperto dal servizio, il che lascia prevedere che solo una parte della popolazione sarà effettivamente raggiunta dall’effetto coercitivo del provvedimento.
Meglio argomentate appaiono, invece, le perplessità sulla idoneità del mezzo impositivo prescelto e sul delicato bilanciamento che con esso viene ad operarsi tra due diritti parimenti di rilevanza fondamentale, come quello alla salute (art. 32 Cost.) e quello all’accesso scolastico universale (art. 34 Cost.). In stretta connessione a tale tematica, la posizione dei diretti destinatari della vaccinazione è presa in specifica considerazione nel dibattito sviluppatosi in ordine all’adeguatezza degli attuali strumenti di rappresentanza legale del minorenne, i quali, secondo alcuni osservatori, andrebbero rivisitati in funzione delle scelte di tutela della sua salute che si attuano anche attraverso la pratica vaccinale.
Più precisamente, di fronte a valutazioni in molti casi condizionate da orientamenti culturali od opzioni religiose degli esercenti la potestà, è avvertita l’esigenza di individuare con precisione un organo pubblico che possa garantire il rispetto dei diritti del minore, eventualmente supplendo al ruolo del genitore o integrandone, se non correggendone, la volontà. La riflessione nasce dalla consapevolezza che gli strumenti giuridici previsti in materia dal nostro ordinamento vanno raccordati con le più avanzate acquisizioni del diritto di matrice sovranazionale, che puntano ad una maggiore salvaguardia ‒ oltre che della salute del minore e del suo diritto di accesso ai servizi medici ‒ anche della sua legittima pretesa ad essere informato e ascoltato e, laddove capace di discernimento, ad esprimere liberamente la propria opinione su tutte le questioni che lo riguardano, ivi inclusa quella di accedere o meno alle cure vaccinali12.
La Corte costituzionale, nella sua pronuncia n. 5/2018, riconosce che tra i valori costituzionali coinvolti, oltre alla libertà di autodeterminazione, esiste anche l’interesse del bambino, che esige tutela finanche nei confronti dei genitori; e la stessa tematica trova risconto in alcune pronunzie della Corte di cassazione rese in materia di vaccinazioni obbligatorie, secondo le quali la vaccinazione non può essere rifiutata per una generica convinzione o per ignoranza del genitore, ma devono essere di volta in volta indicate specifiche ragioni che la possono rendere pericolosa per la salute del minore13.
Sotto lo specifico profilo qui considerato, colpisce quindi che, in caso di omessa vaccinazione, nel contesto del colloquio informativo che ASL competente è tenuta ad attivare con i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, con i tutori o con i soggetti affidatari, al fine di sollecitare l’adempimento dell’obbligo di legge, né la l. n. 119/2017, né le circolari attuative abbiano disposto la convocazione, almeno concorrente, del minore capace di discernimento; il quale, dunque, vedrebbe violati, al contempo, il suo diritto all’autodeterminazione e all’informazione, entrambi fondati sull’art. 32 Cost.
Per concludere, il più generale sfondo tematico nel quale si compendiano buona parte dei profili critici sin qui menzionati è quello del bilanciamento tra la salute pubblica (individuale e collettiva) e l’esercizio delle libertà e dei diritti fondamentali (diritto all’autodeterminazione in materia di salute ed all’istruzione), apprezzabili alla luce dei principi di solidarietà, prevenzione e precauzione.
Il tema è risalente e di non pronosticabile soluzione, se è vero che già in assemblea costituente si era acceso un serrato dibattito sulla nozione stessa di «trattamenti sanitari obbligatori» e sul ruolo del legislatore in materia, nel corso del quale vennero a confronto posizioni eterogenee sul rapporto tra l’obbligatorietà dei trattamenti sanitari, la tutela della collettività e la libertà del singolo, di cui si colgono tracce nel contenuto polisemico dell’art. 32 Cost.
La materia della immunizzazione vaccinale è un tipico banco di prova del cd. metodo del balancing of interests, rispetto al quale la Costituzione italiana (art. 32) ammette la compressione delle scelte individuali per esigenze connesse alla tutela del preminente interesse alla salute collettiva. Proprio percorrendo questo crinale argomentativo, la pronuncia della Corte costituzionale n. 5/2018 ha conclusivamente ritenuto che il preminente interesse alla immunità di gregge rende ragionevole il contemperamento di istanze individuali e generali realizzato dalla l. n. 119/2017, tanto più che l’assetto regolatorio raggiunto è aperto alla possibilità di interventi correttivi o modificativi, dettati dalla evoluzione delle conoscenze e dell’andamento del fenomeno epidemiologico.
La Corte – richiamandosi ad un filone giurisprudenziale inaugurato agli inizi degli anni novanta – ha quindi ribadito che il trattamento sanitario, oltre ad essere finalizzato a preservare chi vi si sottopone, può interessare anche lo stato di salute della comunità (soprattutto nelle patologie ad alta diffusività); ed una particolare attenzione a questa dimensione sociale del diritto alla salute la impone il fondamentale principio di solidarietà, quale corollario del principio personalista direttamente evincibile dalla duplice considerazione dell’individuo, come singolo e come componente della comunità sociale, che si ricava dall’art. 2 Cost.
va da sé che il principio di solidarietà trova un limite nel rispetto dei concomitanti criteri vuoi di proporzionalità con le esigenze di tutela della salute altrui; vuoi di tollerabilità delle conseguenze provocate dal trattamento sanitario, il cui superamento può giustificare il riconoscimento di un equo indennizzo ai sensi della l. n. 210/1992, ovvero la tutela
risarcitoria, se il pregiudizio dipende da colpa dell’amministrazione.
Il punto di equilibrio scrutinato dalla Corte sul fronte della ponderazione tra diritti di pari rango in conflitto tra loro, fa inoltre percepire l’assenza di acquisizioni definitive e la temporaneità degli assetti normativi conseguiti. Sottolineando il carattere temporaneo dell’obbligo ‒ giustificabile in un determinato contesto di livelli di protezione ritenuti insufficienti e non adeguatamente tutelanti per la salute pubblica ‒ la Corte lascia intendere che ad una evoluzione positiva del fenomeno epidemiologico debba corrispondere una riconversione dell’obbligo vaccinale in forme di mera «raccomandazione»; ed in proposito la Corte tiene a evidenziare che, se è vero che lo strumento di monitoraggio e flessibilizzazione si applica solo a quattro dei dieci vaccini imposti obbligatoriamente dalla legge, nondimeno, analoghe variazioni degli indicatori sanitari, nei dati relativi alle reazioni avverse e alle coperture vaccinali, potrebbero suggerire al legislatore di prevedere un identico meccanismo di allentamento del grado di coazione anche per le ulteriori sei vaccinazioni indicate al co. 1, dell’art. 1.
Si tratta, quindi, di un percorso in via di evoluzione ‒ segnato da una linea continua di dialogo tra scienza e diritto ‒ nel quale il metodo della obbligatorietà va graduato secondo logiche di cautela e di precauzione, che tengano conto del carattere controvertibile e falsificabile delle conoscenze acquisite e, tra queste, finanche del sapere tecnico-scientifico14.
1 Va detto, tuttavia, che la giurisprudenza di merito, nelle numerose occasioni in cui è stata chiamata a pronunciare provvedimenti sulla potestà genitoriale a seguito di episodi di disobbedienza all’obbligo delle vaccinazioni, ha fatto ricorso in misura ampiamente prevalente a pronunce declaratorie del non luogo a provvedere, nella forma del rigetto del ricorso ex artt. 330 e 333 c.c. promosso dal P.M. minorile, mentre facevano eccezione i soli casi in cui il rifiuto delle vaccinazioni non risultava frutto di una scelta informata, ponderata e consapevole dei genitori, ma rivelava un comportamento negligente, se non pregiudizievole per la salvaguardia della salute del minore, quindi sintomatico di inidoneità al ruolo genitoriale. Tale impostazione ha ricevuto l’avallo della giurisprudenza di legittimità e costituzionale, così consolidandosi la tesi per cui la mancata osservanza dell’obbligo vaccinale poteva giustificarsi nei casi in cui non era desumibile da fatti concreti un pericolo reale per il bene-salute del minore, affidato alla tutela dei genitori.
2 I cd. movimenti NO VAX, che affermano la pericolosità dei vaccini e i collegamenti tra le vaccinazioni e l’autismo.
3 Si ricordano in particolare il d.l. 30.12.1992, n. 502, il d.lgs. 7.12.1993, n. 517 e la l. 13.5.1999, n. 133.
4 Impostazione, questa, seguita anche dalle regioni Lombardia e Piemonte.
5 Analoga posizione ha assunto, poco dopo, anche la Regione Toscana con la proposta di l. 26.1.2017, n. 164.
6 Come peraltro messo in evidenza nella pronuncia C. cost., 18.1.2018, n. 5.
7 Si veda la già citata C. cost. n. 5/2018.
8 La l. n. 119/2017 ha ammesso in via provvisoria l’idoneità dell’autocertificazione. Il 5.7.2018 è intervenuta una circolare congiunta del Ministero della salute e del Ministero dell’istruzione, che ha esteso al 2018/2019 l’idoneità dell’autocertificazione come documentazione sufficiente ai fini della iscrizione a nidi e materne. Il 3.7.2018 sono stati approvati in Senato (e attendono di essere esaminati alla Camera) due emendamenti al cd. decreto Milleproroghe con i quali è stato rinviato all’anno scolastico 2019/2020 l’obbligo di presentazione del certificato vaccinale a pena di esclusione da nidi e materne.
9 Questa impostazione filo-scientifica, in cui la ragionevolezza scientifica assurge ad autonomo parametro di costituzionalità, sembra emergere anche in C. cost. n. 5/2018.
10 I critici della strategia della immunità di gregge rilevano anche che, se il singolo decide in autonomia di vaccinarsi, egli si protegge dal contagio per l’effetto dell’immunizzazione
indotta da quel vaccino, indipendentemente dalla diversa scelta effettuata dai terzi. La volontà di questi ultimi non è quindi censurabile, in quanto frutto di autodeterminazione e priva di effetti pregiudizievoli per i soggetti immunizzati. Dunque, il trattamento vaccinale obbligatorio finisce per voler salvaguardare quella ristrettissima collettività di soggetti ai quali, per ragioni fisiologiche o patologiche, il trattamento immunitario non può essere somministrato o che, sebbene abbiano ricevuto il vaccino, non hanno sviluppato una risposta immunitaria. di questi soggetti, però, il d.l. n. 73/2017, anche attraverso i suoi lavori parlamentari, nulla precisa né in relazione al numero, né in relazione ai benefici e alle relative problematiche, il che rivela la possibile incongruenza di una normativa che, celando i suoi effettivi destinatari, comprime i diritti fondamentali del singolo in nome di un interesse generale non adeguatamente indagato.
11 Si veda in tal senso Cons. St., parere del 26.9.2017, n. 2065, § Iv.31.
12 Si pensi alla Convenzione sui diritti del fanciullo, ratificata dall’Italia con l. 27.5.1991, n. 176 e alla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo, ratificata dall’Italia con l. 20.3.2003, n. 77.
13 Cass., 18.7.2003, n. 11226; Cass., 8.7.2005, n. 14384; Cass., 26.6.2006, n. 1474.
14 Interessanti spunti sul modo nel quale va inteso il principio di precauzione si colgono in Cons. St., parere n. 2065/2017, cit.