NUT
Dea egiziana del cielo, concepita originariamente come un ponte liquido che attraversava il cielo e su cui navigavano il sole e le stelle. Il suo simbolo geroglifico è un vaso globulare che, in qualche caso, ella reca sul capo. Era sposa di Gheb, il dio della terra, ma, essendo venuta a contesa con lui per aver divorato i suoi figli (il sole e le stelle), ne fu separata dal dio dell'aria Shu.
Rappresentazioni di questo mito appaiono assai di frequente sia su papiri sia in templi e tombe, ma in esse è scomparso ogni aspetto narrativo e drammatico e la scena appare un puro diagramma illustrativo di una condizione cosmologica sempre presente (e in effetti il dramma originario si ripete ogni giorno al tramonto e all'alba). La dea compare sia in figura di vacca, sia in aspetto antropomorfo, come una donna nuda oppure ricoperta di un abito a zig-zag che ricorda la sua origine acquatica, col corpo marcato e appoggiata al suolo con i piedi e con la punta delle mani. Sotto di lei è disteso Gheb, mentre Shu, in piedi tra loro, la sorregge con le mani alzate. Sul suo corpo navigano le stelle e il sole che ella divora alla sera per partorire di nuovo al mattino (e le due scene sono rappresentate contemporaneamente, senza la preoccupazione di rendere una successione cronologica).
Un testo cosmologico del cenotafio di Sethos I ad Abido (H. Frankfort, The Cenotaph of Sethi I at Abydos, i, Manchester 1933, p. 83, tav. lxxxiv), riferendo il mito cui sopra si è accennato e per il quale la dea è stata posta a confronto con Kronos, chiama N. "la scrofa che divora i suoi porcellini" e con questo epiteto è connessa una rappresentazione forse unica del British Museum (n. 11976). Si tratta di una statuetta di età tarda in ceramica invetriata, rappresentante una scrofa con i suoi piccoli; sullo zoccolo è l'iscrizione "N. la grande, la madre degli dèi".
Per la identificazione delle stelle con le anime dei morti N. è anche divinità funeraria e nei sarcofagi tardi è rappresentata nell'interno del coperchio (il cielo del sarcofago), con le mani protese verso l'alto, cioè nel gesto con cui si appoggia alla terra.
Aveva un tempio ad Hat Shemyt, città non lontana da Heliopolis.
Bibl.: A. Rusch, Die Entwicklung der Himmelgöttin Nut zu einer Totengottheit in Mitt. der Vorderasiat.-äg. Gesellschaft, 27, 1, Lipsia 1922; H. Bonnet, in Bilderatlas zur Relingiosgeschichte hrsg. v. H. Haas, 2-4 Lief.: Ägyptische Religion, Lipsia 1924, figg. 1-3, 19-20, 125; H. Grapow, Die Himmelsgöttin Nut als Mutterschwein, in Zeitschrift für Ägyptische Sprache und Altertumskunde, LXXI, 1935, pp. 45-47; Fr. Daumas, Sur trois représentations de Nout à Dendara, in ASAE, LI, 1951, pp. 373-400; id., Le symbolisme de la lumière dans le temple de Dendara, in La revue du Caire, XIV, 28, n. 146 gennaio 1952, pp. 83-111; M. Sracmans, Nout et Kronos, in Archiv Orientální, XX, 1952, pp. 410-416; H. Bonnet, Reallexikon der ägyptischen Religionsgeschichte, Berlino 1952, s. v.; M. Weiersberg, Das Motiv der "Himmelsstütze" in der altägyptischen Kosmologie, in Zeitschrift für Ethnologie, LXXXVI, 1961, pp. 113-140.