NURI
Sito lungo la riva sinistra del Nilo, di fronte all'antica Napata, nel paese di Kush. Esso fu scelto da Taharqa (690-664 a.C.) per farvi erigere il proprio monumento funerario abbandonando la necropoli regale di el-Kurru (v.).
La piramide di Taharqa fu costruita in due fasi successive e prevedeva un rivestimento di arenaria. L'ampliamento fu deciso in un momento successivo allo scavo dell'infrastruttura, il cui asse, proprio per questo motivo, non è centrato rispetto alla piramide. L'accesso alla parte sotterranea della tomba avviene da E attraverso una rampa di cinquantuno scalini. Si passa poi a un vestibolo da cui si entra nella sala del sarcofago, divisa in tre navate da due file di tre possenti pilastri. La navata centrale ha il soffitto a botte e il pavimento reca al centro una depressione rettangolare destinata all'alloggiamento del sarcofago. Nelle pareti delle due navate laterali si aprono quattro nicchie. Tutt'intorno è scavato un corridoio rialzato al quale si accede dalla parete di fondo della sala del sarcofago e dal pianerottolo al termine della rampa di accesso.
Il risultato è l'isolamento dell'unità strutturale camera-vestibolo dal terreno circostante. Il richiamo all'Osirèion di Abido, voluto dal sovrano Seti I della XIX dinastia, appare evidente anche se non puntuale: in entrambi i casi si tratta di strutture sotterranee con un nucleo centrale separato dal terreno circostante. Nell’Osirèion il richiamo all'isola primordiale dalla quale avrebbe avuto inizio la creazione è ribadito dal fatto che l'elemento di separazione è un vero e proprio fossato sotterraneo. La tomba di Taharqa non sarebbe altro che un riadattamento dell'idea espressa con chiarezza dall’Osirèion. L'interpretazione simbolica dell'infrastruttura, già avanzata in precedenza (Schiff Giorgini, 1965) e recentemente rifiutata (Hakem, 1988), risponderebbe a una volontà di imitare il passato rintracciabile in tutta l'attività costruttiva di Taharqa. Non va inoltre dimenticato che, proprio in quel periodo, gli elementi costitutivi dell’Osirèion venivano trasposti e rielaborati nell'immensa tomba del facoltoso quarto profeta di Ammone Montemhat a Tebe, che sarebbe poi servita da modello per tutti gli altri ipogei della necropoli dell'Asasif (v.).
Il successore di Taharqa, Tanutamani, scelse di farsi seppellire a el-Kurru, ma con Atlanersa (655-645 a.C.) N. tornò a essere la necropoli dei sovrani kushiti che continuarono a farvisi seppellire fino alla metà del IV sec. a.C. Il rilievo occidentale su cui si trovava la piramide di Taharqa fu adibito a ospitare gli ipogei delle regine; i sovrani furono invece inumati sul rilievo orientale, uno accanto all'altro, cominciando da S.
Le tombe di re e regine differiscono tra loro soltanto per le maggiori dimensioni delle prime rispetto alle seconde. Quasi tutte comprendevano una sovrastruttura (piramide, cappella e muro di cinta) e un'infrastruttura (rampa di accesso e appartamento funerario). Nel corso di tre secoli le variazioni tipologiche cui furono sottoposte le tombe dei sovrani sono di scarso rilievo. La piramide aveva forte pendenza e un riempimento di detriti; le assise dei blocchi di rivestimento in arenaria erano disposte in modo che ogni faccia del monumento risultasse composta da una serie di piccoli gradini. La cappella poggiava sul lato orientale della piramide e aveva una nicchia sulla parete di fondo nella quale era collocata una stele con scena e iscrizione in geroglifico; di fronte si trovava una tavola per offerte. Nelle tombe più antiche l'infrastruttura era decorata con testi e figure ispirati al repertorio funerario egiziano.
Sebbene le oltre cinquanta tombe reali di N. fossero state già saccheggiate in antico, sono stati ritrovati molti oggetti appartenenti ai corredi funerari. Alcuni erano iscritti e grazie a essi è stato possibile identificare il proprietario dell'ipogeo.
Tra questi, numerosi sono gli ushabti, variabili in tipologia, materiale e dimensioni da sovrano a sovrano. Tra gli esemplari più belli vi sono quelli di Taharqa: realizzati in granito, alabastro o arenaria mostrano caratteristiche che li rendono diversi gli uni dagli altri. Ve ne sono di fattura estremamente grossolana e di finemente lavorati. In alcuni, Taharqa è rappresentato con le caratteristiche somatiche delle genti africane rintracciabili nella ritrattistica reale kushita; in altri il suo viso ha i lineamenti idealizzati proprî del modo rappresentativo classico dell'arte egizia.
Nelle tombe di Anlamani e di Aspelta furono ritrovati anche i sarcofagi in granito grigio (Museo di Khartum, inv. 1868, e Museum of Fine Arts di Boston, inv. 23.729). Entrambi sono la trasposizione in pietra dei c.d. sarcofagi a cassa lignea utilizzati in quel periodo in Egitto. Le superfici fittamente decorate recano teorie di geni e testi funerarî in geroglifico. Sulla sommità del coperchio si trova l'effigie di un falco affrontata a quella acefala di un felino (impossibile dire se si tratti di un leone o di una sfinge): quest'ultimo motivo non è attestato nell'iconografia funeraria egizia e forse è collegabile con la funzione regale del defunto.
Molte delle stele e delle tavole per offerte furono asportate dalle cappelle e riutilizzate in epoca cristiana nella costruzione di una chiesa a E della piramide di Taharqa.
Accanto sorsero anche alcuni edifici civili per far spazio ai quali non si esitò a radere al suolo le sovrastrutture delle tombe di alcune regine.
Bibl.: G. A. Reisner, The Kings of Ethiopia after Tirharqa. Preliminary Report on the Harvard-Boston Excavations at Nûri, in Harvard African Studies, II, 1918, pp. 1-64; id., Known and Unknown Kings of Ethiopia, in BMusFA, XVI, 1918, pp. 67-82; D. Dunham, Royal Cemeteries of Kush. II, Nun, Boston 1955; M. Schiff Giorgini, Première campagne de fouilles à Sedeinga, 1963-1964, in Kush, XIII, 1965, p. 123; A. M. A. Hakem, Meroitic Architecture. A Background of an African Civilization, Khartum 1988, pp. 279-282.