Nuove tendenze nell’archeologia
Nella seconda metà del 20° sec. l’archeologia ha modificato profondamente caratteri e obiettivi. Le possibilità di conoscenza si sono ampliate a dismisura, dilatando gli orizzonti della ricerca sull’universo intero delle tracce materiali dell’umanità. Di conseguenza, l’archeologo è colui che riconosce, acquisisce, classifica, interpreta e comunica i dati provenienti dalle analisi storico-culturali, stratigrafiche, tipologiche e tecnologiche dei resti materiali mobili e immobili lasciati dalle società trascorse, ricostruendone i modi di vita e la loro evoluzione nel tempo. L’archeologo opera sulle stratificazioni, depositi tridimensionali che il tempo ordina secondo una sequenza che va ricostruita, distinguendo le componenti materiali e immateriali delle tracce, entrambe fisicamente e concettualmente significative. Al di là degli aspetti procedurali, il problema di fondo dell’archeologia resta quello di come recuperare dalle tracce percepibili dai sensi informazioni anche su quei fenomeni storici invisibili, che derivano da sistemi di conoscenze, credenze, ideologie e percezione della realtà, che sono il terreno d’indagine della cosiddetta archeologia cognitiva.
I cambiamenti che hanno investito la disciplina possono essere sintetizzati secondo diverse prospettive.
1. Nella prospettiva temporale l’attenzione non è più rivolta all’antico come luogo privilegiato del passato, ma all’intero arco di tempo dell’esperienza umana. Non ci sono barriere cronologiche per un’archeologia interessata a tutte le manifestazioni della presenza dell’uomo, dalla sua prima comparsa sino ai nostri giorni. L’archeologia costituisce pressoché l’unica fonte di informazioni per la preistoria – che copre oltre il 99% della vita umana sul pianeta –, ma è ormai chiaro che i suoi metodi possono contribuire alla conoscenza dei periodi anche a noi più vicini, all’interno di quella minima frazione della storia dell’uomo nella quale si concentra la maggior parte della sua esperienza. Passato e antico descrivono quindi due approcci differenziati, poiché il primo è una categoria temporale, che si carica di volta in volta di aspetti storici che ne marcano la distanza rispetto al presente; il secondo è una categoria sostanzialmente culturale, che può dilatarsi o restringersi per abbracciare fasi temporali di diversa ampiezza.
I metodi di analisi delle tracce materiali si applicano a ogni categoria di oggetti e contesti (manufatti, stratificazioni, paesaggi). La discriminante non sta più nella cronologia dell’ambito di studio, ma nella coerenza e congruità del potenziale informativo delle testimonianze rispetto alle domande storiche. Di qui una nuova riflessione sull’uso e sul possibile abuso delle fonti (materiali, scritte, orali) a partire da ciò che esse non dicono, contribuendo così a dissolvere le gerarchie fra sistemi di fonti che condizionano la prassi della ricerca storica e archeologica.
2. Nella prospettiva spaziale l’archeologia non conosce più orizzonti geografici invalicabili. Ma l’espansione delle ricerche ha ulteriormente frammentato le varie branche del sapere archeologico: la preistoria, che trae origine e linfa dalle scienze naturali, l’archeologia delle civiltà antiche, nata dall’antiquaria e dalla filologia, l’archeologia post-classica, sviluppatasi piuttosto dall’alveo della storia, e l’archeologia dei nuovi mondi, più strettamente connessa all’antropologia. Ciò rende più centrale il ruolo delle metodologie archeologiche, intese come minimo comun denominatore della disciplina nelle sue diverse specializzazioni.
3. Da sempre concentrata sugli aspetti culturali delle testimonianze materiali, l’archeologia ha manifestato una maggiore attenzione per il loro inquadramento ecologico. L’archeologia ambientale, che opera per la ricostruzione dei paesaggi storici, rappresenta uno dei caratteri peculiari di questa tendenza, studiando il contesto naturale nel quale si sviluppano le attività umane e le relazioni instaurate fra gruppi sociali e ambiente, con le conseguenti capacità di adattamento e di trasformazione della natura. La morfologia del territorio, il clima, la qualità dei terreni e le loro risorse (fauna, flora, cave e miniere) costituiscono infatti uno degli elementi che determinano i modi in cui si organizzano le comunità umane, i loro comportamenti economici e le forme della sussistenza, e orientano la nascita degli insediamenti e il loro sviluppo, letto anche attraverso i reperti di natura biologica, che rendono possibile l’inquadramento ecologico e storico dei siti indagati.
4. Il riconoscimento che fonti scritte e materiali costituiscono sistemi di dati indipendenti, prodotti da processi sociali diversi, induce a cercare il livello al quale operare la sintesi fra questi due sistemi, senza istituire correlazioni frettolose e senza forzare i dati, evitando di cercare riscontri archeologici a ogni singola testimonianza letteraria e viceversa. Una maggiore parità tra approccio storico e approccio archeologico ha potuto orientare i metodi tradizionali delle diverse discipline verso ricostruzioni storiche globali, fondate su solide analisi di singoli contesti. In queste ricostruzioni l’archeologia ha trovato legittimazione come una disciplina nella quale i dati della cultura artistica e della cultura materiale, della topografia storica e della storia istituzionale, dello studio delle forme economiche e delle forme del pensiero, delle analisi ambientali di carattere scientifico e della lettura antropologica del rapporto tra natura e cultura, convergono equilibratamente verso un’unica finalità storica. L’archeologia globale non mira infatti a una comprensione totale delle tracce archeologiche, destinata a rimanere illusoria, quanto piuttosto alla globalità dell’approccio, cioè alla raccolta di insiemi di informazioni, che le diverse fonti, archeologiche e non, mettono a disposizione per rispondere, ciascuna per le proprie possibilità, alle domande dello storico.
Le esperienze sviluppate nell’ambito della preistoria e in contesto extraeuropeo hanno fatto maturare un rapporto più stretto tra ottiche storiche e antropologiche. Anche se gli archeologi non possono fondare le proprie interpretazioni sulla base di esperienze compiute all’interno di comunità primitive (esiste comunque una moderna etnoarcheologia), i loro studi possono fondarsi sull’analisi della cultura materiale delle comunità del passato con l’ambizione di giungere a generalizzazioni applicabili a contesti analoghi e contermini. Se l’universo dei testi ci mette prevalentemente in relazione con le élite e con i fenomeni di maggiore dinamismo sociale, l’apporto delle fonti archeologiche può bilanciare l’obiettivo verso l’analisi dei fenomeni di lunga durata inquadrati nel divenire storico.
Le ottiche antropologiche integrano l’approccio storico, favorendo l’identificazione dei meccanismi di funzionamento delle società in una prospettiva sincronica, ma non si sostituiscono a esso. Pur interrogandosi anche sugli elementi di stabilità, l’archeologia valuta nella loro evoluzione storica il ruolo di categorie fondamentali, quali i processi sociali di produzione, accumulazione e distribuzione della ricchezza, o le forme in cui si manifesta il potere con i suoi strumenti di coercizione economica, politica, militare e ideologica.
5. Il rapporto che lega la natura fisico-chimica dei reperti archeologici alle loro forme e funzioni è stato molto approfondito. Dallo studio della forma l’interesse si è esteso a quello della materia, grazie all’applicazione di tecnologie scientifiche sofisticate, che guardano le cose entrando nel corpo della materia per descriverne la natura. Con atteggiamento di scienziato, per interpretare le fonti materiali l’archeologo raccoglie i dati, formula ipotesi di spiegazione, le sottopone a verifica mediante esperimenti, propone descrizioni e costruisce modelli, consapevole che il superamento della reticenza della fonte archeologica dipende dal tipo di domande che le vengono sottoposte e dai metodi impiegati per ottenere le risposte. Tra questi, i metodi archeometrici, attraverso misure e caratterizzazioni che individuano la presenza di resti nel sottosuolo, l’origine e l’età dei manufatti, le tecnologie mediante le quali la materia prima è stata trasformata e quelle necessarie per garantirne la conservazione hanno conquistato un ruolo di primo piano. L’archeometria si configura come un settore dell’archeologia, che usa i metodi delle scienze esatte e naturali pur partecipando delle finalità storiche proprie delle scienze umane, con l’accortezza di non ridurre la complessità qualitativa della storia umana, anche nei suoi aspetti materiali, a puri criteri di misurabilità: la scientificità dell’attività storiografica non può essere semplicemente ricalcata su quella delle scienze sperimentali.
6. In rapporto alla storia dell’arte l’archeologia ha operato nel senso di una ricomposizione del patrimonio di manufatti nell’ambito dei prodotti del lavoro umano, osservando la cultura artistica anche nell’ottica della cultura materiale, cioè dei saperi relativi alle forme di approvvigionamento, scelta, manipolazione, trasformazione, uso, riuso e scarto della materia. È evidente che forma e stile danno alla materia una qualità che consente di esprimere messaggi che vanno ben al di là della dimensione materiale. La cultura artistica, e in particolare quella figurativa, non si esaurisce tuttavia nella storia delle forme, come la cultura materiale non si identifica nello studio delle tecniche. Le infinite serie dei manufatti incorporano la fatica dell’uomo, ma anche le sue conoscenze, i suoi comportamenti, i valori culturali condivisi da gruppi sociali, calati nel tempo storico che li ha prodotti. Di qui l’attualità del concetto di contesto, che aiuta a riequilibrare l’attenzione della ricerca e della tutela da ciò che è unico ed eccezionale alla rete di relazioni culturali che ne definiscono il senso e il valore e i cambiamenti nel corso del tempo.
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