ROTONDO, Nunzio
ROTONDO, Nunzio. – Nacque a Palestrina l’11 dicembre 1924 da genitori musicisti – il padre, Antonino, sassofonista e clarinettista in orchestre di varietà, la madre, Palmira Bonanni, corista – ma crebbe musicalmente a Roma, dove studiò tromba e pianoforte complementare al conservatorio di S. Cecilia. Rotondo appartiene alla generazione di giovani musicisti non romani che si trovarono a fare musica nella capitale negli anni della guerra, quando l’attività professionale era ostacolata da una grave carenza di strutture. A diciannove anni fu comunque a fianco di un giovane Armando Trovajoli nell’orchestra EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) diretta da Piero Rizza. Nel dopoguerra si andò distinguendo, tra orchestre e jam sessions, sulla scena sempre più vivace della città, coordinata dal locale Hot Club Roma. Nel 1949 si fece apprezzare in jam sessions con Louis Armstrong e nel 1950 con gli orchestrali di Benny Goodman e Duke Ellington. Con i pianisti Umberto Cesàri e Armando Trovajoli, Rotondo fu uno dei protagonisti sulla scena italiana negli anni della ricostruzione. Si dovette a lui e a pochi altri l’affermazione nella penisola del nuovo bebop statunitense. Il successo riscosso dal suo quintetto in un importante concerto fiorentino del 30 maggio 1950 testimoniò questa precoce maturità stilistica.
La formazione più significativa diretta nei primi anni Cinquanta fu un sestetto, che allineava tra gli altri il pianista Ettore Crisostomi, il chitarrista Carlo Pes e il batterista Gil Cuppini.
Il gruppo debuttò nel dicembre 1951 e suscitò un tale interesse che il 29 marzo 1952 (pochi giorni dopo un’importante seduta discografica) si esibì alla salle Pleyel di Parigi, al salon du Jazz in rappresentanza dell’Italia, dove suonò tra l’altro Stelle filanti, uno dei suoi temi più belli, riscuotendo notevole consenso.
Nel maggio 1952 un referendum della rivista Musica Jazz lo consacrò jazzista più popolare in Italia, e nel giugno 1953 la rivista gli dedicò la copertina, caso unico per un musicista italiano (è stato anche l’unico jazzista italiano ad apparire sulla copertina del Radiocorriere). La crescente fama di Rotondo fu alimentata dalle apparizioni concertistiche, salutate dall’entusiasmo del pubblico e della critica, più che dalla produzione discografica, piuttosto discontinua (con una lunga pausa tra il 1954 e il 1959) seppure di costante, alta qualità artistica. A cavallo degli anni Cinquanta Rotondo si affermò come «la prima star del jazz italiano» (Mazzoletti, 2010, p. 410). Scrisse le musiche per il documentario 44141 Cronaca (1958, regia di Claudio Triscoli) e interpretò i temi di Piero Piccioni per i film Congo vivo (1962, Giuseppe Bennati) e Un tentativo sentimentale (1963, Massimo Franciosa e Pasquale Festa Campanile).
Gran parte della fortuna di Rotondo fu legata all’attività radiofonica. Mentre negli anni Cinquanta gli appuntamenti in pubblico si fecero via via più radi, il musicista preferì non allontanarsi da Roma per poter lavorare negli studi RAI, rinunciando a una carriera internazionale. Presente in radio in modo sporadico già dal 1953, dal 1957 il trombettista guidò un programma, Ballate con Nunzio Rotondo, che andava in onda il lunedì alle 23:15 sul programma nazionale e il venerdì alle 22 sul secondo.
Il gruppo fisso venne all’occasione arricchito da ospiti, tra cui Bill Smith e Jula de Palma. Dalla fine del 1958 si affiancarono i francesi Raymond Fol al pianoforte e Gilbert Rovère al contrabbasso.
Nel suo nuovo programma Appuntamento con Nunzio Rotondo (dal 1959 Una tromba tutto jazz), che ebbe per sigla Stelle filanti, il trombettista suonò e programmò dischi del miglior jazz moderno.
Nel 1963 l’ancora sconosciuto pianista Franco D’Andrea diventò il cardine del nuovo quartetto radiofonico, con il bassista Maurizio Majorana e il batterista Roberto Podio: fu questo il più stabile e significativo tra i gruppi del trombettista. Nel tempo esso subì vari cambiamenti, con l’aggiunta del sassofonista argentino Gato Barbieri e l’avvicendarsi del bassista Dodo Goya e del batterista Franco Mondini. Tra i musicisti stranieri, va segnalata la presenza del pianista Mal Waldron. Nei primi anni Sessanta il jazz visse alla radio italiana una breve età dell’oro: i palinsesti erano ricchi di programmi antologici e didattici, tra cui la Coppa del jazz, Concerto in jazz, Giornalino del jazz. Rotondo ne fu spesso protagonista o ospite di riguardo. Per esempio da metà agosto 1965 il secondo programma varò un ciclo di nove puntate di lezioni sul jazz, con un pubblico di studenti in studio. Il gruppo di base era quello di Rotondo, cui si aggiungevano via via vari ospiti. In quell’anno il trombettista si esibì anche a Stoccarda nell’ambito di programmi di scambio tra le radio europee: per l’occasione suonò con Martial Solal, Niels-Henning Ørsted Pedersen e Charlie Antolini. Per quanto positivo, il riscontro della sua esibizione non bastò a convincerlo ad abbandonare la sicurezza degli studi RAI. Il 20 aprile 1969 Rotondo portò per la prima volta il jazz alla Radio Vaticana.
L’intensa attività in studio, a fronte di sporadiche apparizioni pubbliche, favorì alcune apparizioni televisive (per esempio nel Mattatore) e la composizione di colonne sonore per il piccolo schermo, come i titoli di testa del telefilm Nero Wolfe (1969) o la musica per il programma di medicina Ai confini della vita (1975).
Ritiratosi dal lavoro in RAI, negli anni Ottanta-Novanta il trombettista tornò al concertismo attivo, di norma circoscritto alla scena romana (nel 2000 collaborò anche con Lucio Dalla a uno spettacolo sugli standard del jazz). Nel 2005 e 2007 la Twilight Music pubblicò in CD due antologie del raro materiale radiofonico di Rotondo.
Morì a Roma il 15 settembre 2009.
Il successo negli anni di crescita del jazz italiano; il consenso di critica e pubblico nei concerti; la parsimonia delle registrazioni discografiche e la loro (a tutt’oggi) difficile reperibilità; il ritiro nella postazione ‘invisibile’ della radio, insieme a una naturale inclinazione ‘provinciale’ e alla totale dedizione alla musica: l’insieme di questi fattori ha creato intorno a Rotondo un’aura di mistero. Il suo stile è stato correttamente accostato a quello di Miles Davis, che in effetti è rimasto il suo riferimento. L’ambito delle frasi è circoscritto al registro medio, esplorato con timbro ampio e morbido, attraversato da occasionali crepe interne che donano un inedito senso di fragilità, che può ricordare Bix Beiderbecke. Nella prima fase della carriera, fino al ritiro radiofonico, la cantabilità di Rotondo spiccava per una certa attitudine all’introversione. The man I love registrato nel 1950 è considerato una pietra miliare nel jazz italiano: un distillato di lirismo venato di amarezza, una tonalità emotiva del tutto nuova nel nostro jazz, segno di una forte personalità artistica. L’originalità del pensiero di Rotondo si manifestò anche nell’organico del gruppo che incise nel 1953, comprendente il clarinetto basso solista (Aurelio Ciarallo), strumento allora rarissimo nel jazz e che qui apparve con ben cinque anni d’anticipo sui primi esempi statunitensi moderni.
La sintesi di melodia distesa e pensosità della sua tromba trovò piena maturazione nei dischi registrati tra il 1953 e il 1959, spesso a fianco del pianista Romano Mussolini: spiccano le rivisitazioni di standard del jazz insieme ad alcune composizioni originali, tra cui Garineipaulus (1959). Le registrazioni RAI degli anni Sessanta-Settanta, pubblicate solo di recente, manifestano un nuovo dinamismo nel fraseggio e un uso drammatico delle pause, che peraltro non compromettono quel senso di straniata e commossa sospensione che conferisce al suo stile un tratto inconfondibile. Per la scrittura di colonne sonore, anziché adagiarsi su soluzioni corrive, Rotondo si spinse perfino su terreni sperimentali, come nell’informale, lacerante sigla di Nero Wolfe. In definitiva Rotondo spicca come il trombettista, e in generale il solista, dalla statura emotiva ed espressiva più complessa nel jazz italiano fino agli anni Settanta.
Fonti e Bibl.: A. Zoli, Storia del jazz moderno italiano. I musicisti, Roma 1983, pp. 37 s.; M. Piras, Il radicamento del jazz in Italia, in Italia Millenovecentocinquanta, a cura di G. Salvetti - B.M. Antolini, Milano 1999, pp. 319-321; A. Mazzoletti, Il jazz in Italia. Dallo swing agli anni Sessanta, Torino 2010, pp. 402-413.