numero
numero ente matematico primitivo, la cui nozione ha origine dall’operazione intuitiva del contare, dalla quale risulta la successione dei numeri naturali (uno, due, tre ecc.), nei quali oggi si fa rientrare lo zero. È possibile dare una caratterizzazione assiomatica dei numeri naturali, per esempio mediante gli assiomi di Peano (→ N, insieme dei numeri naturali; → Peano, assiomi di), a partire dai quali possono essere definite le operazioni e la struttura algebrica di N. A partire dal sistema dei numeri naturali, mediante successivi ampliamenti (→ ampliamento), si costruiscono il sistema dei numeri interi (→ Z, insieme dei numeri interi), dei numeri razionali (→ Q, insieme dei numeri razionali), dei numeri reali (→ R, insieme dei numeri reali), dei numeri complessi (→ C, insieme dei numeri complessi).
La nozione di numero naturale e, almeno in forma primitiva, quella di frazione di numeri naturali (numeri razionali) sono presenti già nelle manifestazioni più arcaiche del pensiero matematico. La scoperta, a opera dei pitagorici, dell’incommensurabilità del rapporto fra diagonale e lato di un quadrato (numeri irrazionali) segnò una svolta importante, e influì profondamente su tutto lo sviluppo successivo della matematica greca. Anziché estendere il campo numerico al di là dei numeri razionali, i greci assunsero infatti un atteggiamento di generale sfiducia circa la possibilità di esprimere quantitativamente i rapporti fra grandezze e adottarono perciò quello stile rigorosamente geometrizzante che caratterizza tutte le loro speculazioni in ambito matematico. Con Eudosso di Cnido (iv secolo a.C.) si giunse comunque all’elaborazione di una teoria geometrica delle proporzioni fra grandezze (accolta poi da Euclide nel libro v degli Elementi) che, per eleganza e rigore, regge bene il confronto con la fondazione ottocentesca del concetto di numero reale. Sul piano filosofico, i greci concepirono sempre il numero come elemento costitutivo della realtà. Sebbene in forme assai diverse, condivisero questa tesi i pitagorici (per i quali il numero è l’essenza di tutte le cose), Platone, che concepisce il numero come principio di ordine e che nell’ultima fase del suo pensiero avrebbe elaborato, secondo alcuni, l’assai discussa dottrina delle idee-numeri, e Aristotele, che definisce il numero «una pluralità misurata o una pluralità di misura».
L’aritmetica e l’algebra, che i greci avevano trascurato o comunque relegato in secondo piano, fioriscono durante il medioevo grazie al contributo dei matematici indiani e arabi. A una minore consapevolezza epistemologica fanno riscontro, nell’opera di questi autori, una maggiore spregiudicatezza sul piano tecnico e un maggiore interesse per gli aspetti computazionali della matematica. Mentre gli indiani non esitarono a introdurre i numeri irrazionali, gli arabi assunsero, nel complesso, un atteggiamento di maggiore cautela; ma è comunque attraverso la mediazione degli arabi che, tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna, i numeri irrazionali entrarono a far parte del bagaglio tecnico della rinascente matematica europea. Solamente con I. Newton (Arithmetica universalis, 1707), tuttavia, ne verranno chiarite la natura e le proprietà. Perplessità maggiori suscita, nel corso dei secoli xvi e xvii, l’impiego dei numeri negativi, che con i naturali formano i numeri interi; la loro nozione, associata alle pratiche commerciali, era emersa già nel medioevo. La gran parte dei matematici giudicava il loro uso insensato. Di diverso avviso è però Cartesio: egli giudica assurda la pretesa di rappresentare quantità minori di zero; tuttavia ne dà una giustificazione indiretta, basata sul fatto che da un’equazione se ne può sempre ottenere un’altra le cui radici sono maggiori di quelle dell’equazione originale di una qualunque quantità prefissata; in tal modo, una equazione con soluzioni negative può sempre essere trasformata in una con radici positive. Ulteriori problemi derivarono dall’introduzione dei numeri immaginari e dei numeri complessi, che fecero la loro comparsa nelle indagini sulle equazioni cubiche condotte dagli algebristi italiani del Cinquecento (G. Cardano, R. Bombelli). Nonostante le vivaci discussioni e i progressi di ordine tecnico, l’esatta natura di questi nuovi enti numerici resterà a lungo oscura; ancora all’inizio del Settecento, G.W. Leibniz definisce il numero immaginario «meraviglia dell’analisi, mostro del mondo ideale, quasi anfibio tra l’essere e il non essere». I numeri complessi furono pienamente accettati solamente dopo la loro interpretazione geometrica a opera, separatamente, del matematico danese C. Wessel, di J.-R. Argand e soprattutto di C.F. Gauss, con il quale la teoria dei numeri complessi ebbe un notevole sviluppo (→ Argand-Gauss, piano di). Verso la fine dell’Ottocento, la definizione assiomatica della continuità della retta portò alla definizione rigorosa di numero reale (razionale e irrazionale) mediante le sezioni (R. Dedekind) o le successioni (G. Cantor, K. Weierstrass) di infiniti numeri razionali. In questo processo di aritmetizzazione della matematica si colloca anche la definizione assiomatica di numero naturale a opera di Dedekind e di G. Peano, la dimostrazione che l’intero sistema dei numeri può essere logicamente fondato a partire dalla nozione di numero naturale, e la generalizzazione, con Cantor, del concetto di numero ai numeri transfiniti (ordinali, cardinali), vera e propria sfida alla tradizionale diffidenza dei matematici nei confronti dell’infinito attuale.
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