NUMERI
. È il quarto libro del Pentateuco e della Bibbia, così detto per una servile traduzione, passata in quasi tutte le lingue, del titolo'Αριϑμοί, che porta nella versione greca dei LXX e che meglio si tradurrebbe "censimenti", dai varî censimenti riferiti nei primi capitoli. Gli Ebrei lo chiamano dalla prima parola Wayedabber ("E disse"), o più acconciamente dal contenuto bamidbar ("nel deserto"); narra infatti gli avvenimenti di quasi quarant'anni passati dal popolo ebreo nel deserto, inserendovi alcuni gruppi di leggi, come fa l'Esodo, di cui può dirsi la continuazione. Luoghi e tempi delle cose narrate lo diffondono naturalmente in tre parti. La prima (I, 1-X, 10) narra gli ultimi fatti avvenuti ai piedi del Sinai; disposizioni per la partenza (20 giorni). La seconda (X, 11-XX, 13) i fatti avvenuti nel deserto di Cades Barne (38 anni). La terza (XX, 14-XXXVI, 13) i fatti da Cades Barne alle rive orientali del Giordano e le lotte con le popolazioni che contrastano il passo (5 mesi). (Per la critica letteraria, v: pentatelco).
Dalla monotonia di 38 anni di vita randagia nel deserto (seconda parte) emergono pochi fatti, che sono per lo più variazioni d'uno stesso motivo fondamentale, originato dalla difficoltà di approvvigionare d'acqua e di viveri tanta moltitudine in quei luoghi inospitali; di qui malcontento del popolo, agitazioni, reazione del condottiero, Mosè. Celebre fra gl'incidenti di questo genere quello accaduto a Meriba (cap. XX), ch'ebbe una lunga. Ripercussione nella tradizione e nella letteratura posteriore (cfr. Salmi, LXXX; XCV; CVI). Allora anche Mosè fu coinvolto nella colpa e nell'ira divina punitrice (Numeri, XXVII, 14; Deuteronomio, XXXII, 51). La concisione e certo riserbo del racconto sembrano tirare un velo sulla gravità del fatto; ma la predicazione dei profeti, e più tardi degli apostoli, ne trasse una lezione importante per i destini d'Israele (Amos, V, 24, seg.; Ezechiele, XX, 5-22; Geremia, VII, 21-28; Ebrei, III, 7-19; Corinzî, X, 1-11). Altro fatto importante nella storia religiosa fu l'erezione d'un serpente di bronzo su asta di legno conrto il morso di serpi velenose (cap. XXI); difatti sino ai tempi di Mosè si importava un serpente di bronzo onorato dagli Israeliti nel tempio all'epoca della monarchia (distrutto al tempo di Ezechia; II [IV] Re, XVIII, 4), e Gesù Cristo stesso vide in quel fatto un simbolo della propria sorte ed efficienza (Giovanni, III, 14 seg.).
Per la storia letteraria hanno grande importanza alcuni frammenti d'antichissimi canti nazionali, che vengono citati all'occasione (capitoli XXI-XXIV) con accenni a raccolte già esistenti, come "il libro delle battaglie di Jahvè" (= le battaglie del popolo d'Israele assistito dal suo Dio). Il colore locale v'è assai spiccato.
Grande interesse letterario ha pure tutto l'episodio di Balaam, che nei quattro oracoli, ottimi esempî di poesia ebraica, canta le glorie d'Israele e i suoi fulgidi destini. Ma qui al motivo nazionale s'aggiunge il religioso, non solo nel colorito messianico del quarto oracolo (balaam, V, p. 895), ma anche perché ci viene adombrato il trionfo della religione d'Israele, col suo profetismo che ne è il massimo esponente, sul paganesimo dei popoli circostanti.
Più vasto orizzonte politico ci aprono tre brevi oracoli, messi come in appendice ai quattro principali di Balaam. Predicono il primo l'estinzione degli Amaleciti, il secondo la deportazione dei Cinei sotto gli Assiri; l'ultimo, il più lungimirante, ma anche il più oscuro di tutti, parla di un'invasione per mare dall'Occidente (lett. "dalle parti di Chittim") a soggiogare l'Assiria (qui già = "Siria"). L'accenno alle navi s'applicherebbe meglio alla conquista romana che alla macedone, e la medesima frase (navi di Chittim) in Daniele, XI, 30 indica certo i Romani; la Volgata qui stesso (Numeri, XXIV, 24) traduce "verranno triremi dall'Italia". Sarebbe nella Bibbia il più antico accenno alla futura potenza di Roma. Ma l'oracolo conchiude: "ed anch'esso (l'invasore d'Occidente) perirà". La caducità degl'imperi terreni è elemento sostanziale del messianismo ebraico, che sulle rovine di essi vede innalzarsi il regno eterno del Messia (cfr. Daniele, VII).
Bibl.: Commenti ai Numeri (si hanno solo in serie con gli altri libri della Bibbia; i più utili fra i recenti (di varie direzioni) sono: F. de Hummelauer, Parigi 1899 (in latino, in Cursus S. Script.); G. B. Gray, Edimburgo 1903 (in Internat. crit. Comm.); L. E. Binns, Londra 1927 (in Westminster Comm.). - Sui luoghi menzionati: E. H. Palmer, The Desert of Exodus, Londra 1871; trad. ted. col titolo: Der Schauplatz der vierzigjährigen Wüstenwanderung Israels, Gotha 1876; Fr. E. Hoskins, From the Nile to Nebo, Filadelfia 1912; J. Wiegand, Sinai, Berlino 1920. Per Cades Barne in particolare: H. C. Trumbull, Kadesh-Barnea, New York 1884; Palestine Exploration Fund, 1914-15; Revue biblique, 1922, pp. 55-81. Si veda anche A. Musil, Arabia Petraea, Vienna 1907, p. 298; Biblica, VIII (1927), p. 250.