NUCLEO (XXV, p. 14)
Negli ultimi quindici anni, lo studio del nucleo atomico ha fatto sostanziali progressi, senza che si sia ancor giunti ad una comprensione generale della sua struttura e delle leggi che la governano, paragonabile a quella raggiunta sin dal 1928 per l'atomo. Progressi sostanziali sono stati fatti, sia nello studio delle proprietà dei nuclei stabili esistenti in natura e nella misura delle relative costanti, sia nella dinamica nucleare, nella realizzazione cioè e nello studio di nuove trasmutazioni, nell'ottenimento di nuovi nuclei instabili, nell'approfondimento delle nostre conoscenze sulle reazioni nucleari già prima note. In entrambi i campi, il progresso è stato costantemente condizionato, da un lato, dalla realizzazione di sempre più grandi macchine acceleratrici per il bombardamento dei nuclei stabili con particelle di sempre maggiore energia, dall'altro, dai risultati ottenuti nella scoperta e nello studio della complessa fenomenologia della radiazione cosmica. È stato anzi soprattutto lo studio dei raggi cosmici che ha illuminato di nuova luce il problema centrale della fisica del nucleo: il problema cioè di stabilire la natura e le leggi delle forze che tengono unite nel nucleo le particelle elementari che lo compongono.
Nel corso della seconda Guerra mondiale, la ricerca fisica ha in gran parte deviato dal suo scopo proprio, che è l'indagine e la comprensione dei fatti naturali, per dedicarsi, con mezzi materiali e forze umane colossali, ad una applicazione tecnica di un particolare tipo di reazione nucleare, la scissione degli elementi pesanti. Il clamoroso e terrificante successo di questo sforzo ha bruscamente richiamato l'attenzione di ognuno sul lavoro, prima oscuro ed ígnorato, dei fisici e sulle immense e preoccupanti possibilità che si aprono a chi conosca l'intima struttura della materia. In tal modo, purtroppo, una falsa idea si è formata nella mente della generalità delle persone non colte, sul significato e sui problemi della scienza e ciò sarà certamente la causa di un profondo cambiamento nelle condizioni di lavoro dei fisici. Ma il reale contributo portato per tale via alla fisica del nucleo consiste nell'aver realizzato, con le pile atomiche, delle sorgenti di neutroni più intense per molti e molti ordini di grandezza delle più intense sorgenti prima disponibili. Si è in tal modo reso possibile lo studio accurato anche di processi molto poco probabili che prima sfuggivano completamente all'osservazione. Ciò determinerà senza dubbio, nel giro di pochi anni, un nuovo balzo in avanti delle nostre conoscenze sulla struttura del nucleo.
In ciò che segue, verranno esposti sostanzialmente i principali risultati ottenuti dalla fisica del nucleo nel periodo che va dal 1935 ad oggi. Ove la chiarezza lo richieda, verranno però anche brevemente richiamati fatti già noti anteriormente al 1935.
Costituenti nucleari. - Ciascun nucleo è caratterizzato innanzi tutto dai valori della sua massa e della sua carica elettrica. La carica elettrica nucleare è sempre positiva ed esattamente uguale ad un multiplo intero Ze della carica -e dell'elettrone. Il numero intero Z coincide col numero degli elettroni contenuti nell'atomo neutro ed è quindi il numero atomico dell'elemento in questione. Due atomi i cui nuclei abbiano la stessa carica elettrica e massa differente appartengono allo stesso elemento chimico e sono detti isotopi. Se si assume come unità per la misura delle masse nucleari la sedicesima parte della massa atomica del più leggero isotopo stabile dell'ossigeno (scala fisica delle masse), allora le masse di tutti i nucleì risultano espresse da numeri molto prossimi a numeri interi. L'intero più prossimo alla massa di un nucleo dato prende il nome di numero di massa A del nucleo in questione. Queste proprietà fondamentali dei nuclei, dimostrate dall'esperienza, trovano una spiegazione immediata nell'ipotesi, formulata da D. Ivanenko e W. Heisenberg all'indomani della scoperta del neutrone e confermata in seguito da tutto lo studio delle trasmutazioni nucleari, che ciascun nucleo sia un sistema complesso costituito da un numero Z di nuclei d'idrogeno o protoni e da un numero N = A − Z di neutroni. Siccome infatti nella scala fisica delle masse, sia il protone, sia il neutrone hanno massa assai prossima all'unità, la massa M di un nucleo così composto risulta assai prossima al numero intero A = N + Z, mentre la carica elettrica nucleare, dovuta esclusivamente ai protoni, risulta proprio uguale a Ze. Oltre che dal numero e dalla carica elettrica dei suoi costituenti, un nucleo è caratterizzato anche dai valori del suo momento meccanico intrinseco (spin), del suo momento magnetico e del suo momento elettrico di quadrupolo. Vedremo in seguito i progressi realizzati in questi ultimi tempi nella determinazione di queste gran dezze.
Condizioni di stabilità dfi nuclei. - Accurate misure delle masse nucleari dovute soprattutto ad F. W. Aston, K. T. Bainbridge, J. Mattauch hanno però dimostrato che tali masse non sono esattamente rappresentate da numeri interi. Particolarmente degno di nota è il fatto che entrambi i costituenti elementari dei nuclei, il protone e il neutrone, hanno massa sensibilmente maggiore di una unità. Se indichiamo con mp la massa del protone e con mn la massa del neutrone, si ha precisamente:
Per la massa M del nucleo composto da Z protoni ed N neutroni si trova inoltre che è sempre soddisfatta la relazione:
cioè la massa di ogni nucleo è sempre minore della somma delle masse delle particelle che lo compongono. Alla differenza (sempre positiva) tra la somma delle masse dei costituenti e la massa effettiva del nucleo si dà il nome di difetto di massa. L'importantissimo significato di questo risultato sperimentale appare chiaro nella luce di una delle più note conseguenze della teoria della relatività di Einstein: il principio di equivalenza tra massa ed energia. Secondo tale principio, la scomparsa della massa di quiete m deve in ogni caso essere accompagnata dalla comparsa di una quantità E di energia data dalla relazione:
essendo c la velocità di propagazione della luce nel vuoto. Viceversa, l'assorbimento da parte di un qualunque sistema di una quantità E di energia, deve in ogni caso essere accompagnata da un aumento m della massa di quiete del sistema stesso, dato ancora dalla relazione precedente. I difetti di massa positivi, che sono in tutti i nuclei esistenti in natura, sono dunque null'altro che una immediata conseguenza della loro stabilità: significa che tra le particelle che li costituiscono si esercitano delle forze attrattive, di guisa che è necessario compiere un lavoro per allontanarle definitivamente le une dalle altre. La differenza tra la somma delle masse dei costituenti allo stato libero e la massa effettiva del nucleo, moltiplicata per c2, esprime l'energia totale di legame del nucleo: cioè il lavoro che è necessario compiere per disgregare il nucleo nei suoi costituenti, od anche l'energia che si può ricavare nel sintetizzare, a partire da questi ultimi, il nucleo in questione. La figura 1 dimostra graficamente l'andamento del difetto di massa in funzione del numero A di particelle costituenti il nucleo (numero di massa). Come si vede, il difetto di massa è press'a poco proporzionale ad A: l'energia di legame per particella assume un valore press'a poco costante e pari a circa 8 MeV. Si osservi inoltre che il difetto di massa dei nuclei più pesanti raggiunge un valore pari a quasi il doppio della massa del protone.
a) Scissione in più nuclei distinti. - L'esperienza ha però dimostrato che non è sufficiente che sia soddisfatta la [1] perché un nucleo sia stabile. Si immagini infatti di raggruppare le particelle componenti in due (o più) gruppi in un modo qualsiasi: perché il nucleo sia stabile occorre evidentemente che tra questi gruppi di particelle si esercitino delle forze attrattive. In caso contrario i varî gruppi potranno andare ciascuno per suo conto ed il nucleo in questione avrà la possibilità di scindersi. Occorre dunque per la stabilità che il difetto di massa del nucleo in questione sia sempre maggiore della somma dei difetti di massa dei frammenti in cui il nucleo stesso può pensarsi suddiviso, in tutti i modi possibili.
Che la scissione effettivamente avvenga tutte le volte che è energeticamente possibile, è dimostrato dall'esperienza. Essa però non avviene istantaneamente e il nucleo mostra in genere una certa temporanea stabilità. Si tratta, come in ogni altro caso in cui siano in gioco singole particelle elementari, di un processo il cui fondamentale carattere statistico non è mascherato da operazioni di media automaticamente eseguite nel corso del processo di osservazione. Un nucleo instabile ha una certa probabilità costante di disintegrarsi per ogni unità di tempo; non si può però dire in che instante avverrà effettivamente la disintegrazione di un particolare esemplare di quel tipo di nucleo. Se ad un certo istante è presente un certo numero N di nuclei instabili tutti uguali tra loro, dopo un certo tempo T caratteristico del tipo di nucleo ed indipendente da N, la metà in media dei nuclei si sarà scissa mentre l'altra metà sarà rimasta inalterata (legge delle disintegrazioni radioattive; v. radioattività). Il tempo T, che prende il nome di periodo di dimezzamento, può assumere un qualsiasi valore, tra frazioni minime di secondo e miliardi di anni: può essere tanto breve da far sì che la stessa esistenza, anche temporanea del nucleo in questione possa essere messa in discussione, o così lunga da far sì che il nucleo si comporti praticamente in tutto e per tutto come un nucleo stabile.
Un esempio di instabilità di questo tipo, noto fin dagli inizî della fisica nucleare, è quello offerto dalla radioattività α (v. radioattività). Uno dei due frammenti è costituito in tal caso da due protoni e due neutroni ed è identico al nucleo stabile dell'atomo d'elio. In tutti i casi noti di radioattività α si trova effettivamente che il difetto di massa del nucleo radioattivo è minore della somma dei difetti di massa del nucleo residuo e del nucleo d'elio. Ma se partendo dai dati sperimentali relativi ai difetti di massa si cerca di stabilire quali nuclei sono instabili rispetto alla emissione di una particella α, si trova che ciò deve avvenire per tutti i nuclei il cui numero di massa supera un certo limite situato in prossimità di A - 140. In realtà, ad eccezione di un isotopo del samario, tutti i nuclei esistenti in natura fino ad A = 210 non mostrano apprezzabile radioattività α: è questo un esempio di periodi di dimezzamento talmente lunghi da far sì che gli elementi in questione si comportino come elementi completamente stabili. Un altro caso di instabilità rispetto alla scissione in due frammenti è quello scoperto nel 1939 dai fisici tedeschi O. Hahn e F. Strassmann. Esaminando dal punto di vista chimico gli isotopi radioattivi che si producono bombardando l'uranio con neutroni di bassa energia, essi poterono dimostrare in modo sicuro che il nucleo d'uranio di massa 239 è instabile rispetto alla scissione in due frammenti pressoché uguali. Questa reazione nucleare è anzi accompagnata dalla liberazione di un'ingente quantità di energia (v. bomba atomica, in questa App.).
b) Esistenza di livelli energetici nucleari. Isomeria nucleare. - La condizione che il difetto di massa di un nucleo sia maggiore della somma dei difetti di massa dei frammenti in cui il nucleo stesso può pensarsi suddiviso, comunque tale suddivisione venga pensata, non è neppur essa condizione sufficiente per la stabilità. Un nucleo atomico stabile rispetto alla emissione di particelle, può non esser stabile rispetto all'emissione di quanti di radiazione: in altre parole, un nucleo di dati A e Z può in generale esistere in stati quantici o livelli energetici diversi, dei quali, a causa dell'interazione col campo elettromagnetico, è stabile solo il livello fondamentale, corrispondente al minimo contenuto energetico. Come nel caso di un atomo, questi livelli energetici costituiscono una successione discreta; ciò è provato dal fatto che la radiazione emessa dai nuclei eccitati nel passare allo stato fondamentale è sempre costituita da una o da più righe monocromatiche.
Nel passare dallo stato di energia E2 allo stato di energia E1(E1 〈 Z2) viene emesso, secondo la relazione generale di Bohr, un quanto di radiazione la cui frequenza ν è data da:
essendo h la costante di Planck (h = 6,62•10-27 erg sec). Nel caso degli elettroni atomici le differenze di energia tra i varî livelli sono di pochi voltelettroni o al massimo di alcune decine o centinaia di voltelettroni, di guisa che le frequenze della radiazione emessa cadono nel visibile o nell'ultravioletto per gli elettroni più esterni, e nel campo dei raggi X, per gli elettroni più interni degli elementi medî e pesanti. Le energie in gioco nel caso dei livelli nucleari sono invece in genere molto maggiori e comprese, grosso modo, tra o,1 e 10 MeV. Corrispondentemente più elevate sono le frequenze della radiazione emessa e comprese tra 1019 e 1022 sec.-1. Queste radiazioni vengono com'è noto complessivamente indicate col nome di raggi γ. I raggi γ di frequenza più elevata che si conoscano, tra quelli d'origine nucleare, sono emessi dal nucleo di berillio di numero di massa 8, nel passare da un livello eccitato a 17,2 MeV allo stato fondamentale.
Anche l'emissione di quanti γ dal nucleo è un fenomeno a carattere statistico. Un nucleo eccitato, instabile per emissione di raggi γ possiede anch'esso, come un nucleo instabile per emissione di particelle α, una certa temporanea stabilità: il periodo di dimezzamento per il passaggio allo stato fondamentale è però di solito molto breve, dell'ordine di 10-15 sec., di guisa che la diseccitazione segue in pratica immediatamente alla formazione del nucleo in questione. Vi sono però dei casi in cui la probabilità di transizione dallo stato eccitato allo stato fondamentale è assai minore: ciò avviene, come ha dimostrato C. F. von Weizsäcker, quando la differenza in energia tra i due livelli è assai piccola e la transizione è accompagnata da una forte variazione dello spin nucleare. Il periodo di dimezzamento è in tal caso assai più lungo e confrontabile con quello delle ordinarie trasmutazioni radioattive. Lo stato eccitato viene allora detto stato metastabile ed il nucleo considerato nello stato eccitato viene detto isomero del nucleo stesso nello stato fondamentale. (Vedi anche radioattività, in questa App.).
Le nostre conoscenze sullo schema dei livelli energetici dei varî nuclei sono per ora abbastanza scarse: solo per alcuni nuclei leggeri lo studio delle varie reazioni e trasmutazioni nucleari e delle radiazioni emesse ha permesso di individuare con sufficiente sicurezza un certo numero di livelli, che per altro non hanno rivelato sinora alcuna regolarità nella loro disposizione. In nessun caso inoltre è stato possibile fino ad oggi la previsione teorica di essi, in quanto manca una teoria generale soddisfacente della costituzione dei nuclei. Il materiale sperimentale che si va accumulando costituisce per ora solo una base, su cui la futura teoria dovrà essere edificata.
c) Trasmutazioni β. - La stabilità rispetto alla scissione in frammenti minori e rispetto all'emissione di raggi γ non è però ancora sufficiente perché si possa affermare che un determinato nucleo è effettivamente stabile. Ciò risulta particolarmente evidente se ci si riferisce al diagramma protoni-neutroni, pubblicato alla pag. 17 del volume XXV di questa Enciclopedia. Se si riportano in tale diagramma tutti i nuclei esistenti in natura, si vede ch'essi si dispongono tutti lungo una fascia ristretta, corrispondente ad un numero Z di protoni press'a poco uguale al numero N di neutroni. Questa regola, che per la stabilità del nucleo, Z ed N debbano essere approssimativamente uguali, è assai ben soddisfatta per i nuclei leggeri, mentre al crescere del numero di massa si osserva una deviazione sistematica nel senso che la percentuale dei neutroni va regolarmente crescendo, da 50%o fino a circa 61%.
L'esperienza ha mostrato in qual modo siano instabili i nuclei che nel diagramma protoni-neutroni vengono a cadere al di sopra o al di sotto della ristretta fascia sopra considerata. Essi sono instabili rispetto alla trasformazione di un neutrone nucleare in un protone o rispettivamente di un protone in un neutrone: processi di questo tipo lasciano inalterato il numero totale A di particelle nel nucleo, mentre le percentuali delle due specie di particelle vanno variando fino a rientrare nei limiti della stabilità, sopra definiti. In ambedue i processi, ciò che si altera è la carica nucleare Z: il nucleo si trasforma cioè in un suo isobaro (avente ugual numero di massa), appartenente all'elemento che nel sistema periodico segue o precede immediatamente l'elemento dato. Per il principio generale della conservazione della carica elettrica, una variazione della carica elettrica nucleare deve sempre essere accompagnata da una variazione di carica uguale e di segno contrario verificantesi altrove, sì che la carica totale si mantenga invariata. Così, la trasformazione di un neutrone nucleare in un protone è accompagnata dalla comparsa all'esterno del nucleo di un elettrone negativo, mentre la trasformazione inversa, di un protone in un neutrone, può essere accompagnata o dalla comparsa di un elettrone positivo fuori dal nucleo, oppure dalla sparizione di uno degli elettroni negativi circumnucleari (generalmente uno appartenente all'anello K). Il primo dei tre processi citati si identifica dunque con la radioattività β-, nota fin dagli inizî della fisica del nucleo e prodotta artificialmente da Fermi nel 1934 in quasi tutti gli elementi, mediante bombardamento con neutroni; il secondo s'identifica con la radioattività β+, prodotta artificialmente da Joliot e Curie pure nel 1934, bombardando con particelle α gli elementi leggeri, mentre l'ultimo processo, detto della cattura K, fu previsto teoricamente da H. Yukawa nel 1935 e scoperto poi effettivamente da L. W. Alvarez nel 1937. (Si veda, per maggiori particolari, la voce rdioattività, in questa Appendice).
Semplici considerazioni energetiche, basate sui difetti di massa, fanno vedere che due isobari contigui, aventi cioè numeri atomici differenti di una unità, non possono mai essere entrambi stabili: quello di massa atomica maggiore si trasforma nell'altro per radioattività β o per cattura K. La esistenza in natura di numerose coppie e di alcune terne di isobari sembra tuttavia smentire questa asserzione. Delle sei coppie di isobari contigui conosciute, due comprendono però un isobaro radioattivo β- con periodo di dimezzamento molto lungo (K40 e Rb87), la terza un isotopo instabile per cattura K (Os187); delle altre tre nulla di preciso si sa ancora, ma vi sono serî argomenti indiretti per ritenere che anch'esse comprendano un elemento instabile con vita media molto lunga e si tratti quindi di radioattività molto difficilmente osservabili. In tutti gli altri casi, si tratta di coppie o terne di isobari non contigui, ciascuno dei quali è stabile, avendo difetto di massa maggiore del difetto di massa di entrambi gli isobari (instabili) contigui. Particolarmente notevole è il fatto che questi isobari stabili sono sempre costituiti da un numero pari di protoni e da un numero pari di neutroni: ciò significa che gli isobari con Z ed N pari sono in generale assai più stabili di quelli con Z ed N dispari.
L'esistenza delle trasmutazioni β suggerisce un nuovo punto di vista sotto cui considerare la struttura interna di un nucleo. Mentre nel caso dell'atomo il parametro fondamentale che determina tutte le proprietà fisico-chimiche dell'atomo stesso è il numero atomico Z, risulta ora chiaro che il parametro fondamentale che determina le principali proprietà di un nucleo atomico è costituito dal numero di massa A del nucleo stesso. Il protone e il neutrone appaiono dunque come stati quantici diversi di un'unica particella elementare pesante, il cosidetto nucleone. Ciò che caratterizza un nucleo è il numero di nucleoni che lo costituiscono: ogni nucleo possiede in generale uno o più stati stabili, nei quali la metà circa dei nucleoni costituenti è allo stato di protone e nei quali può passare dagli altri stati instabili, tramite i processi di radioattività β- e β+ e di cattura K.
Natura delle forze nucleari. - Il problema centrale della fisica del nucleo è oggi, come si è già detto, quello di comprendere la natura delle forze che tengono unite nel nucleo le particelle elementari che lo compongono. Per quanto molte ipotesi siano state avanzate e siano stati fatti parecchi tentativi di teoria, il problema non è stato fino ad ora soddisfacentemente risolto, né sembra prossimo ad una soluzione definitiva. S'è tuttavia potuto stabilire, relativamente alle forze nucleari, un certo numero di conclusioni sicure che derivano quasi immediatamente dall'esperienza. Ad esse sostanzialmente ci atterremo.
a) Sistematica dei nuclei stabili. - Il semplice esame del diagramma protoni-neutroni e della curva dei difetti di massa permette di giungere ad alcuni risultati qualitativi della più grande importanza. Consideriamo separatamente le forze che si esercitano tra protone e neutrone, le forze tra neutrone e neutrone e le forze tra protone e protone. Per ciò che riguarda queste ultime, è noto che tra due protoni si esercita innanzi tutto la repulsione elettrostatica, secondo la legge di Coulomb: è però da ritenersi; che alle più brevi distanze anche tra due protoni si esercitino delle forze di altra natura, più specificatamente nucleari; quando si parla di forze protone-protone s'intende riferirsi a queste ultime e non in generale alla repulsione coulombiana.
Il semplice fatto che la zona di stabilità dei nuclei nel piano protonineutroni (cioè gli stati del nucleo per i quali l'energia di legame è maggiore) corrisponda ad un numero di protoni approssimativamente uguale al numero dei neutroni, dimostra che le forze tra nucleoni diseguali (forze protone-neutrone) sono forze attrattive decisamente prevalenti sulle forze tra nucleoni uguali (forze protone-protone e neutrone-neutrone). Permette inoltre di concludere che le forze tra protone e protone e quelle tra neutrone e neutrone sono dello stesso ordine di grandezza: se infatti ad esempio le seconde prevalessero sulle prime, l'equilibrio sarebbe spostato verso un numero di neutroni maggiore del numero dei protoni e viceversa. Effettivamente, come si è già detto, al crescere del numero di massa, la percentuale dei neutroni va regolarmente aumentando da 50% fino a 61% circa: un semplice calcolo fa vedere però come questo fatto si possa integralmente imputare all'esistenza tra i protoni della repulsione coulombiana, che si oppone all'azione delle forze specificatamente nucleari.
Altre informazioni importanti si ricavano da una statistica dei nuclei stabili, relativamente alla parità o disparità del numero Z di protoni e del numero N di neutroni in essi contenuto. Il risultato della statistica è riassunto nella tabella seguente, relativa a 272 nuclei stabili.
Gli unici quattro casi di nuclei stabili del tipo dispari-dispari sono nuclei molto leggeri, contenenti un egual numero di protoni e di neutroni. Ad eccezione di essi, tutti i nuclei dispari-dispari sono instabili e si trasformano, come si è già detto, per radioattività β, in un loro isobaro contiguo del tipo pari-pari. Da ciò e dal fatto che i nuclei pari-pari hanno generalmente momento meccanico intrinseco (spin) nullo, si deduce che, sia i protoni, sia i neutroni nucleari tendono a costituire delle coppie con spin antiparalleli. Ammesso che si possa parlare dell'esistenza nel nucleo di livelli energetici dei singoli nucleoni, ciascuno di questi livelli deve dunque esser doppio, corrispondentemente a due possibili orientazioni dello spin della particella. Le forze tra le particelle nucleari dipendono così, oltre che dalla distanza, anche dalla orientazione dei relativi spin.
b) Raggi nucleari. - Ulteriori dati relativi alle forze nucleari si traggono dalla misura dei cosiddetti raggi dei nuclei. Il raggio di un nucleo è definito nel modo seguente. S'immagini di studiare l'andamento della forza che si esercita tra il nucleo in questione ed un'altra particella carica, per esempio un protone o una particella α, in funzione della distanza tra i centri delle due particelle. A distanza relativamente grande, tale forza non è altro che la repulsione coulombiana tra le due cariche elettriche, le quali si comportano praticamente come se fossero puntiformi. Al diminuire della distanza si giunge però ad un valore R critico di questa, al quale la legge di forza incomincia a scostarsi sensibilmente dalla legge di Coulomb, in quanto incominciano ad entrare in gioco le forze propriamente nucleari e la struttura particolare del nucleo che si considera. Questa distanza critica è per definizione il raggio del nucleo in questione.
Si può risalire al valore del raggio di un nucleo, studiando per esempio la legge con cui un fascio di particelle α o di protoni di energia nota viene sparpagliato nell'attraversare una sottile foglia dell'elemento in questione (Rutherford). Anziché particelle cariche, si può usare allo stesso scopo un fascio di neutroni monocromatici (Amaldi): l'esperienza in tal caso è concettualmente (ma non tecnicamente) più semplice, in quanto basta determinare la sezione d'urto per diffusione dell'elemento, cioè, in altre parole, la distanza minima dal centro del nucleo alla quale tra nucleo e neutrone incidente si esercitano delle forze. Le misure eseguite, hanno dimostrato che i raggi nucleari sono approssimativamente proporzionali alla radice cubica del numero di massa:
ove: ro = 1,42•10-13 cm, è il cosiddetto raggio del nucleone. Le forze nucleari sono dunque forze a raggio d'azione molto breve: esse vanno a zero al crescere della distanza dal centro del nucleo molto più rapidamente ad esempio della forza repulsiva elettrostatica tra protone e protone. Inoltre, il volume del nucleo risulta in base alla [3] proporzionale al numero A di nucleoni presenti nel nucleo stesso. Ciò significa che la densità della materia nucleare assume in tutti i nuclei praticamente lo stesso valore.
c) Saturazione delle forze nucleari. Forze di scambio. - Il fatto che al crescere del numero di massa restino costanti, sia l'energia di legame per particella, sia la densità media della materia nucleare, permette di giungere ad una conclusione di notevole importanza: risulta evidente che ciascun nucleone non interagisce nello stesso modo con tutte le altre particelle nucleari, ma interagisce soltanto con alcune di esse. Si supponga infatti che avvenga il contrario e che ciascun nucleone sia press'a poco ugualmente legato a ciascuno degli altri (A-1) nucleoni presenti. Al crescere del numero di massa, l'energia di legame dovrebbe allora crescere proporzionalmente al numero dei legami, cioè proporzionalmente ad A (A = 1)/2: l'esperienza indica invece ch'essa cresce proporzionalmente ad A. Le forze nucleari sono dunque forze a molto breve raggio d'azione e che mostrano saturazione. Questo carattere delle forze nucleari è del resto confermato dall'esame del tratto iniziale della eurva dei difetti di massa. L'energia di legame per particella, che è di 1,09 MeV per il deutone e di 2,55 MeV per l'H3, sale a ben 7,05 MeV per la particella α, per p0i ridiminuire fino a poco più di 5 MeV per i nuclei successivi. La non esistenza di un nucleo stabile di 5 particelle (una particella α più un protone o un neutrone) e di 8 particelle (due particelle α) conferma che il sistema in cui le forze nucleari sono ormai saturate è la particella α. Ciò è d'accordo con l'esistenza nel nucleo di livelli protonici e neutronici doppî, in corrispondenza di due possibili orientazioni degli spin e dimostra che le forze nucleari dipendono dall'orientazione di questi: in caso contrario infatti il sistema saturato sarebbe il deutone anziché la particella α.
Non è ancor oggi ben chiaro quale sia il meccanismo che dà origine a forze tra nucleoni, aventi tale carattere di saturazione. Di questo tipo sono ad esempio le forze di valenza che tengono uniti gli atomi nelle molecole ordinarie: il meccanismo da cui queste derivano è tipicamente quantistico e non ha analogo classico. Esse sono una conseguenza della indistinguibilità di due elettroni, per cui ad esempio non è possibile dire, nel caso della molecola biatomica dell'idrogeno a quale dei due nuclei appartenga ciascuno dei due elettroni in essa presenti. L'indistinguibilità ha per conseguenza la comparsa dí un termine aggiuntivo nell'espressione dell'energia di legame del sistema, il cui effetto è equivalente a quello di una forza attrattiva tra i due atomi. Forze di questo tipo prendono il nome di forze di scambio, in quanto il termine in questione s'interpreta come derivante dal fatto che i due atomi si scambiano i due elettroni con una determinata frequenza.
Il fatto che le forze di scambio siano forze che mostrano saturazione, ha suggerito l'ipotesi, avanzata contemporaneamente da W. Heisenberg e da E. Majorana, che anche le forze nucleari siano forze di scambio. L'interazione alla Heisenberg esprime la possihilità di scambio tra due nucleoni diseguali della carica elettrica e dello spin, mentre la interazione alla Majorana contempla la possibilità di scambio della sola carica elettrica. Entrambi i tipi di interazione dànno luogo a saturazione, ma mentre la prima prevede come sistema saturato il deutone, la seconda porta correttamente alla saturazione solo nel caso della particella α. Per quanto oggi si ritenga generalmente che le forze nucleari siano effettivamente forze di scambio, è tuttavia risultato che nessuno dei due tipi di interazione ora considerati può da solo dar conto della struttura dei nuclei.
d) Indagini dirette sulla natura delle forze. - Ai risultati sin qui esposti relativamente alla natura delle forze nucleari si è giunti sostanzialmente per via indiretta, sulla base della curva dei difetti di massa. La natura delle forze nucleari è stata però indagata anche in modo diretto, studiando nei fenomeni d'urto l'interazione tra due nucleoni. Lo studio della distribuzione angolare, nello sparpagliamento subìto da un fascio collimato di protoni monoenergetici nell'attraversare idrogeno (urto protone-protonej eseguito indipendentemente e per varî valori dell'energia delle particelle incidenti da diversi gruppi di ricercatori americani, ha dato informazioni dirette sulle forze protone-protone. L'interazione neutrone-protone è stata analogamente studiata, inviando un fascio di neutroni di elevata energia contro i protoni dell'idrogeno ed osservando la distribuzione angolare dei protoni di rinculo, per mezzo della camera di Wilson (Dee e Gilbert), di contatori proporzionali (Amaldi e recentemente Segre e coll.), di lastre fotografiche (Powell). Altre informazioni importanti sono state tratte dallo studio del più semplice nucleo composto, il deutone. La dissociazione di tale nucleo nei suoi costituenti per mezzo di raggi γ di sufficiente energia (fotodisintegrazione del deuterio) ha permesso una misura molto precisa della sua energia di legame, e lo studio della distribuzione angolare dei fotoprotoni potrà dare in avvenire delle informazioni preziose per il confronto con l'esperienza delle varie teorie delle forze nucleari. Per quanto da queste esperienze non si possano trarre delle conclusioni univoche sui caratteri e sull'andamento delle forze in studio, esse sembrano tuttavia abbastanza concordi, in definitiva, nell'indicare che tali forze siano effettivamente forze di scambio.
e) Modelli nucleari. - In assenza di quella teoria generale del nucleo atomico che si potrà avere soltanto quando sia definitivamente risolto il problema delle forze nucleari, sono stati successivamente proposti diversi "modelli" di nucleo, quale orientamento per una teoria fenomenologica di particolari processi od ausilio nel calcolo approssimato di talune grandezze. Questi modelli, ai quali dedicheremo soltanto un rapido cenno, si possono suddividere in tre gruppi. A un primo gruppo appartengono tutti quei modelli che si basano sull'ipotesi che si possa parlare di livellienergetici di una singola particella elementare nel nucleo (cosa molto improbabile date le forti interazioni tra particella e particella). L'insieme dei nucleoni viene trattato con un gas degenere, e delle forze nucleari si tiene conto imponendo che il gas rimanga limitato in una ristretta zona di spazio pari al volume nucleare (modello a gas degenere). Oppure si fissa l'attenzione su di un singolo nucleone e si schematizza l'azione su di esso degli altri costituenti nucleari con un potenziale continuo opportunamente scelto, esattamente come si fa per un elettrone atomico, nella trattazione statistica dell'atomo, secondo il modello di Hartree e Fermi. Nei modelli del secondo gruppo, si tiene invece conto, almeno parzialmente, del fatto fondamentale che i singoli costituenti nucleari interagiscono fortemente fra loro, di guisa che non si puó parlare di stati quantici di una singola particella nel nucleo, ma solo di stati quantici del nucleo, dipendenti in modo essenziale dalle variabili relative a tutte le particelle nucleari. A questa categoria appartiene il cosiddetto "modello a particelle α", suggerito inizialmente dal fatto che la particella α è il sistema in cui le forze nucleari appaiono ormai saturate, e dalla evidente periodicità, con periodo quattro, del primo tratto della curva dei difetti di massa. Si è però ben pregto dovuto riconoscere che la presenza di particelle α come tali all'interno dei nuclei è molto improbabile e ci si è dovuti limitare, soprattutto nel caso di nuclei medî e pesanti, alla considerazione nel nucleo di specie di "condensazioni" temporanee ed instabili di gruppi di quattro nucleoni ripetenti la struttura della particella α.
Al terzo gruppo appartengono quei modelli in cui la materia nucleare viene addirittura trattata come una struttura continua. Il più celebre di questi modelli è il cosiddetto modello a goccia di Bohr, che ha dato risultati in buon accordo con l'esperienza, soprattutto nel caso di nuclei medî e pesanti. Esso parte dall'analogia formale tra un nucleo e una goccia di liquido, dipendente dal fatto che in entrambi la densità è indipendente dal numero delle particelle (nucleoni o, rispettivamente, molecole) presenti, mentre l'energia di legame è semplicemente proporzionale a questo numero: in entrambi, infatti, le forze tra particella e particella decrescono molto rapidamente con l'aumentare della distanza.
Questo modello ha avuto ed ha tuttora un'importanza molto notevole, in quanto, per mezzo di considerazioni statistiche e termodinamiche, ha permesso di chiarire il meccanismo delle reazioni nucleari. Secondo il Bohr, ogni reazione nucleare ha luogo in due fasi successive e indipendenti. nella prima fase la particella incidente penetga nel nucleo e viene da esso catturata: la sua energia va molto rapidamente suddivisa tra tutti i costituenti nucleari. Nella seconda fase, dopo un intervallo di tempo assai lungo rispetto a quello che impiegherebbe la particella incidente ad attraversare il nucleo in assenza di interazione, l'energia in eccesso o viene riemessa dal nucleo composto sotto forma di un quanto γ, con un processo di emissione affatto indipendente dal processo di cattura, oppure si concentra casualmente su di una singola particella nucleare, la quale viene così ad acquistare un'energia sufficiente ad uscire dal nucleo. Nel modello a goccia, i movimenti dei nucleoni nel nucleo sono trattati come i moti di agitazione termica delle molecole in una goccia di liquido e l'emissione di particelle dal nucleo eccitato viene trattata sostanzialmente come una evaporazione. Il più notevole successo del modello a goccia è stata la trattazione fenomenologica della scissione degli elementi pesanti, fatta da N. Bohr e Wheeler nel 1939.
f) Forze nucleari e teorie mesoniche. - Nel 1935 il fisico giapponese H. Yukawa propose una nuova teoria delle forze nucleari che doveva, alcuni anni dopo, acquistare una inattesa notorietà. L'idea fisica fondamentale su cui si basa tale teoria può esporsi in poche parole nel modo seguente. La elettrodinamica quantistica spiega il meccanismo attraverso il quale si genera l'attrazione o la repulsione coulombiana tra due cariche elettriche, partendo dalla considerazione degli stati virtuali (non soddisfacenti alla conservazione dell'energia) del sistema costituito dalle due cariche e dal circostante campo elettromagnetico: tramite uno di questi stati virtuali, ciascuna delle due cariche può emettere un quanto di radiazione che viene assorbito dall'altra. Da simili processi di scambio trae origine la forza coulombiana. Yukawa tentò di spiegare le forze nucleari con un meccanismo affatto simile, ma per dar conto del breve raggio d'azione di tali forze, fu portato ad ammettere che due nucleoni possano scambiarsi, anziché un quanto di radiazione, una particella carica (positiva o negativa) di massa uguale a circa 140 masse elettroniehe. Un paio d'anni dopo, particelle cariche di massa intermedia tra quella dell'elettrone e quella del protone venivano scoperte nella radiazione cosmica. Ad esse venne dato il nome di mesoni e si tentò di identificarle senz'altro con le particelle di Yukawa (v. radiazione cosmica, in questa App.).
Risultò tuttavia abbastanza presto che non era possibile spiegare le caratteristiche delle forze nucleari per mezzo di esse. La loro massa risultò essere assai prossima a 200 masse elettroniche: valore cui corrisponderebbe un raggio d'azione delle forze nucleari sensibilmente più breve di quello sperimentale. Esse sono poi instabili, in quanto disintegrano molto rapidamente in un elettrone e, probabilmenie, altre due particelle sprovviste di carica elettrica: ma il periodo di dimezzamento che secondo Yukawa doveva essere dell'ordine di 10-8 sec., risultò invece dell'ordine di 10-6 sec. Altre ancora più sensibili discrepanze si trovarono studiando le interazioni di tali particelle con la materia. Si può pertanto senz'altro affermare che i mesoni ordinarî della radiazione cosmica, detti oggi mesoni μ, non sono le particelle di Yukawa. E non lo sono probabilmente neppure i mesoni π, di massa pari a 313 masse eiettroniche e periodo di dimezzamento dell'ordine di 10-8 sec., recentemente scoperti da G.P.S. Occhialini e C.F. Powell con la tecnica delle lastre fotografiche e prodotti ora artificialmente con il grande ciclotrone di Berkeley.
La teoria mesonica delle forze nucleari nelle sue varie forme non è riuscita sino ad oggi a stabilire un collegamento coerente tra i varî dati sperimentali fondamentali che costituiscono ormai il banco di prova di ogni teoria: il raggio d'azione delle forze nucleari, il difetto di massa del deutone, i momenti magnetici del protone e del neutrone, le sezioni d'urto e le distribuzioni angolari nell'urto protone-protone e protone-neutrone. Nonostante ciò, e pur incontrando non poche serie difficoltà di principio, essa costituisce un punto di vista che potrà ancora essere fecondo di risultati (v. per maggiori particolari mesone, in questa App.).
Altre proprietà dei nuclei. - Abbiamo già detto come un nucleo sia caratterizzato, oltre che dal suo numero di massa e dalla sua carica elettrica, anche dallo spin, dai valori del suo momento magnetico e del suo momento elettrico di quadrupolo. Queste grandezze costituiscono un dato assai importante per la comprensione della struttura interna del nucleo. Per ciò che riguarda i momenti magnetici nucleari, dei grandi progressi sono stati realizzati mediante l'impiego di nuovi metodi di misura. L'originario metodo di Stern e Gerlach, della diffusione in campo magnetico inomogeneo di raggi di vapore, è stato trasformato in un metodo di risonanza da I. I. Rabi e collaboratori, i quali fanno agire sul fascio di raggi di vapore, già separato dal campo magnetico inomogeneo, un campo magnetico alternato a radiofrequenza, il quale per un opportuno valore di qUuest'ultima induce delle transizioni tra l'una e l'altra delle possibili orientazioni del momento magnetico nucleare.
Un analogo metodo di risonanza, applicabile però non a raggi di vapore, ma ai nuclei atomici quali si trovano nella materia allo stato ordinario, è stato più recentemente ideato e realizzato da F. Bloch. Tale metodo sfrutta un fenomeno che viene di solito indicato col nome di induzione nucleare e che rappresenta l'unico caso fino ad oggi conosciuto, in cui la struttura interna dei nuclei contenuti nei corpi materiali si manifesta macroscopicamente in modo diretto.
Per ciò che riguarda i risultati ottenuti con questi e simili metodi, ci limitiamo a dire che mentre è risultato che tutti i nuelei del tipo paripari hanno momento magnetico nullo, un buon numero degli altri, sottoposto a misura, ha permesso di riconoscere l'esistenza di alcune notevoli regolarità. In particolare sono stati determinati con grande precisione da Rabi il momento magnetico del protone e da Arnold e Roberts il momento magnetico del neutrone. I valori trovati, espressi in unità nucleari (i magnetone nucleare
ove h è la costante di Planck, e la carica elettrica ed M la massa del protone, c la velocità della luce nel vuoto) sono rispettivamente:
Il segno meno davanti al momento magnetico del neutrone significa che questo è orientato antiparallelamente al momento meccanico intrinseco (come se il neutrone possedesse una carica elettrica negativa).
Se la carica elettrica nucleare fosse distribuita nel nucleo con perfetta simmetria sferica, allora il momento elettrico nucleare di ogni ordine risulterebbe rigorosamente uguale a zero. In realtà, nel 1935, Schüler e Schmidt dall'esame della struttura iperfina dell'europio conclusero per la presenza di un momento elettrico di quadrupolo non nullo per entrambi gli isotopi dell'elemento in questione. Successivamente, nel 1939, Rabi e collaboratori esaminando col loro metodo di risonanza dei raggi di vapore contenenti molecole di H2, HD, D2, non soltanto poterono misurare con grande precisione il momento magnetico del deutone, ma riuscirono anche a dimostrare l'esistenza di un momento elettrico di quadrupolo diverso da zero, nel caso del nucleo di deuterio. L'analisi della struttura iperfina degli spettri molecolari per mezzo di microonde e l'esame dei dati dell'ordinaria spettroscopia atomica hanno fino ad oggi permesso di valutare il momento elettrico di quadrupolo di un buon numero di altri nuclei.
Il valore di tale momento si suole caratterizzare nel modo seguente. Si assuma come asse z l'asse individuato dalla direzione dello spin nucleare e come origine il centro del nucleo; per una qualsiasi carica protonica (puntiforme) del nucleo si consideri l'espressione: q = (3z2 − r2) essendo r la distanza della carica considerata dall'origine delle coordinate; il valore di questa espressione, mediato su tutte le cariche nucleari, rappresenta la deviazione della distribuzione di elettricità in questione dalla simmetria sferica e si assume come valore del momento elettrico di quadrupolo del nucleo. Si osservi che tale momento risulta positivo, se la distribuzione di cariche è allungata a forma di sigaro attorno alla direzione dello spin; risulta negativo se tale distribuzione è appiattita a forma di disco.
I valori sperimentali sono tutti dell'ordine di grandezza del quadrato del raggio nucleare (~10-26 cm2). Inoltre, essi sono quasi tutti positivi, indicando in prevalenza una distribuzione della carica nucleare allungata lungo l'asse individuato dallo spin. Sembra inoltre che esista una dipendenza sistematica del momento elettrico di quadrupolo dal nucleo atomico. Nella fig. 2 sono raccolti i dati conosciuti, il nucleo è stato schematizzato come una distribuzione di carica a forma di ellissoide di rotazione attorno all'asse dello spin: in ascisse è riportato il numero di massa A e in ordinate il rapporto a/b tra i semiassi dell'ellissoide.
Reazioni nucleari. - Buona parte del materiale sperimentale oggi disponibile, relativo soprattutto ai difetti di massa dei nuclei instabili e allo schema dei livelli energetici dei nuclei stabili ed instabili, deriva dallo studio di particolari reazioni nucleari, prodotte in nuclei stabili o comunque esistenti in natura, mediante bombardamento con particelle cariche di elevata energia, neutroni e quanti γ.
Il numero delle reazioni nucleari oggi conosciute è talmente elevato che non è possibile dare di esse, in questa sede, un elenco completo. Ci limitiamo pertanto ad elencarne i principali tipi, distinti a seconda della particella incidente. A parte si considererà la scissione degli elementi pesanti e la sintesi dell'elio, date le caratteristiche singolari di questi processi, che non permettono di affiancarli alle reazioni più usuali.
I proiettili necessarî per la realizzazione dei varî processi disintegrativi vengono oggi quasi esclusivamente prodotti con le grandi macchine acceleratrici, ciclotroni, betatroni, sincrotroni, acceleratori lineari, ecc., capaci di fornire particelle cariche di energia che può anche raggiungere i 100 milioni di voltelettroni (v. ciclotrone, in questa App.). Queste stesse particelle (nuclei d'elio, deutoni, protoni, elettroni) possono essere i proiettili che producono la reazione in istudio. Oppure esse vengono impiegate a produrre, mediante altre particolari reazioni nucleari, neutroni o quanti γ di elevata energia, che sono essi gli iniziatori della reazione.
Molto numerosi e diversi tra loro sono i metodi che permettono di determinare la natura e le caratteristiche della reazione avvenuta. Se tra i prodotti della reazione vi sono delle particelle cariche, queste possono essere osservate direttamente dalla camera di Wilson, o per mezzo di contatori proporzionali o a relais, oppure rivelate mediante la traccia microscopica da esse lasciata nella gelatina sensibile di una lastra fotografica (v. fotografia, in questa seconda App., I, p. 965). I neutroni possono essere rivelati attraverso i protoni da essi estratti per urto da un sottile strato di paraffina o di altra sostanza idrogenata, oppure auraverso la radioattività indotta in una lastrina di rodio, argento, rame o altro elemento opportunamente scelto in relazione alla loro energia. I quanti γ infine possono agevolmente rivelarsi attraverso gli elettroni che proiettano fuori da una sottile lamina, p. es. di piombo, per effetto Compton o (se la loro energia è sufficiente) per creazione di coppie. Spesso anche, la reazione avvenuta può rivelarsi non attraverso le particelle o i quanti emessi dal nucleo composto, ma più semplicemente attraverso la radioattività β del nucleo residuo.
a) Reazioni prodotte da particelle α. - Se la particella incidente possiede una carica positiva (particella α, deutone, protone) per penetrare nell'interno di un nucleo essa deve vincere la repulsione coulombiana dovuta alla carica pure positiva del nucleo e superare, quindi, una barriera di potenziale tanto maggiore quanto più elevato è il numero atomico dell'elemento bombardato. Per questo motivo è assai più facile osservare reazioni prodotte da particelle cariche in elementi leggeri, anziché in elementi medî o pesanti, soprattutto se l'energia delle particelle incidenti non è molto elevata.
Le reazioni prodotte da particelle α possono suddividersi in due categorie a seconda che dal nucleo composto viene emesso un protone oppure un neutrone. I due tipi di reazione avvengono secondo gli schemi:
dove con ZA si è indicato simbolicamente il nucleo di numero atomico Z e numero di massa A. Nelle reazioni del primo tipo, il nucleo residuo ha sempre una percentuale di neutroni maggiore di quella del nucleo stabile di partenza: si tratta quindi di un nucleo pure stabile o radioattivo β-. Le reazioni del secondo tipo sono importanti dal punto di vista tecnico, come tutte quelle che dànno luogo ad emissione di neutroni. La percentuale di neutroni del nucleo residuo è qui sempre minore di quella del nucleo stabile di partenza: il nucleo residuo è quindi pur esso stabile o radioattivo β+.
b) Reazioni prodotte da protoni. - Le reazioni prodotte da protoni si possono suddividere in quattro categorie, a seconda del tipo di particella emessa dal nucleo composto. Questa può essere una particella α, un deutone, un neutrone o un quanto γ, secondo gli schemi seguenti:
I prodotti dei primi tre tipi di reazione sono stabili o radioattivi β+; all'ultimo tipo appartiene la già citata reazione del Li7, che bombardato con protoni dà luogo ad un Be8 in uno stato eccitato: questo passa allo stato fondamentale emettendo un quanto di 17,2 MeV, ehe è il quanto più energico che si conosca tra quelli di origine nucleare (il Be8 è poi a sua volta instabile e si scinde in due particelle α).
c) Reazioni prodotte da deutoni. - Le reazioni prodotte mediante bombardamento con deutoni sono dei cinque tipi seguenti:
Il primo si verifica esclusivamente negli elementi leggeri. Ciò si comprende osservando che la particella α per uscire dal nucleo deve attraversare la barriera di potenziale coulombiana, che è tanto più elevata quanto maggiore è il numero atomico del nucleo residuo. Gli ultimi due si verificano invece solo negli elementi molto pesanti: la particella emessa immediatamente (un protone o un neutrone) lascia il nucleo residuo fortemente eccitato e quindi in grado di emettere una particella α.
d) Reazioni prodotte da neutroni. - I neutroni sono in generale più efficienti delle particelle cariche nel produrre reazioni nucleari, per due motivi: in primo luogo non esiste per essi la barriera di potenziale coulombiana attorno al nucleo e in secondo luogo essi percorrono nella materia dei tratti assai più lunghi che non le particelle cariche, perdendo energia soltanto in urti nucleari, fino a ridursi all'energia dei moti di agitazione termica. Al contralio di ciò che avviene per particelle cariche, neutroni di così bassa energia sono ancora capaci di produrre reazioni nucleari; essi anzi continuano a vagare nella materia fino a quando non vengono catturati da qualche nucleo.
Le principali reazioni prodotte da neutroni appartengono ai quattro tipi seguenti, dei quali i primi tre avvengono esclusivamente con neutroni veloci, mentre il quarto ha luogo quasi esclusivamente con neutroni termici.
Il processo di cattura del neutrone con emissione di un quanto γ dà luogo in generale a un nucleo radioattivo β-.
e) Effetto fotoelettrico nucleare. - Sotto questo nome va un gruppo di reazioni nucleari prodotte da quanti γ di elevata energia. Il nucleo che ha assorbito il quanto può talora emettere un neutrone, un protone o una particella α, secondo gli schemi:
Un'importanza del tutto particolare ha, come si è già accennato, la fotodisintegrazione del deutone, dato che la distribuzione angolare dei prodotti della reazione può dare delle informazioni dirette sulla natura delle forze nucleari.
f) Eccitazione di nuclei stabili. - Bombardando i nuclei stabili con particelle cariche, ha talora luogo la semplice eccitazione del nucleo senza cattura della particella incidente. Reazioni di questo tipo sono state osservate con particelle α, protoni, neutroni ed elettroni e consistono sostanzialmente in urti anelastici di queste particelle contro i nuclei, i quali si diseccitano successivamente emettendo un quanto γ. Particolarmente notevoli sono i casi in cui il livello eccitato è metastabile: la reazione si manifesta allora in generale con la emissione di elettroni di conversione, con un periodo di dimezzamento paragonabile a quello delle ordinarie radioattività β. Radioattività di questo genere sono state ottenute anche eccitando il nucleo per mezzo di raggi X di conveniente energia.
g) Scissione degli elementi pesanti. - Si è già accennato al fatto che gli elementi pesanti risultano, in base alla curva dei difetti di massa, instabili rispetto alla scissione in due frammenti approssimativamente uguali. Quando i nuclei sono nello stato fondamentale, il processo in realtà praticamente non avviene a causa delle robuste forze attrattive che si esercitano tra i due frammenti alle minori distanze, ma avviene con probabilità assai elevata se il nucleo viene convenientemente eccitato. A tutto oggi, si è osservata la scissione di quasi tutti gli elementi più pesanti, provocata da neutroni, particelle α, quanti γ di elevata energia; si sono studiati i prodotti della reazione e le loro interazioni con la materia; si è sfruttata l'emissione di neutroni da parte di questi frammenti, per realizzare una reazione a catena, accompagnata dalla liberazione di grandiose quantità di energia. (Si rimanda per una trattazione dettagliata di tutti questi argomenti alla voce bomba atomica, in questa Appendice).
h) Sintesi dell'elio. - A chiusura di questa rapida rassegna dei principali tipi di reazione nucleare si dà un accenno al problema costituito dalle immense quantità di energia continuamente liberate nelle stelle. Si ritiene oggi che l'origine di tale energia vada ricercata in reazioni nucleari esotermiche, che si verificano nelle stelle stesse e che consistono sostanzialmente nella sintesi dell'elio a partire dall'idrogeno di cui sono ricche le stelle giovani. Si è in particolare individuato un gruppo di reazioni, formanti il cosiddetto ciclo di Bethe, note tutte da esperienze di laboratorio e nelle quali interviene, semplicemente come catalizzatore, il carbonio: tale ciclo realizza la sintesi in questione, con la liberazione di 28,2 milioni di voltelettroni per ogni nucleo d'elio sintetizzato.
Bibl.: H. A. Bethe, R. F. Bcher, Nuclear Physics: A - Stationary States of Nuclei, in Rev. Mod. Phys., VIII, 1936, p. 88; H. A. Bethe, id., B. - Nuclear Dynamics, Theoretical, ibid., IX, 1937, p. 69; M. Stanley Livingston, H.A. Bethe, id., C. - Nuclear Dynamics, Experimental, ibid., IX, 1937, p. 245: J. Mattauch, S. Flügge, Nuclear Physics Tables, New York 1947; L. Rosenfeld, Nuclear Forces, Amsterdam 1948.