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NUBIA (Nubia)
Con tale nome che viene in uso a partire dall'età romana, si designa comunemente l'alta valle del Nilo a S di Assuan (v. cartina alla voce egiziana, arte), tra la prima e la sesta cataratta del Nilo, politicamente divisa oggi tra lo Egitto (fino alla seconda cataratta, Bassa Nubia) e il Sudan (Alta Nubia). Gli Egiziani chiamavano Wawat l'attuale Bassa Nubia e Kush l'Alta Nubia, mentre i Greci designavano tutta la regione col nome di Αἰϑιοπία, Ethiopia.
La storia della N. non può essere separata da quella dell'Egitto cui essa appare legata da vincoli commerciali e politici, e da tradizioni artistiche e culturali che restano evidenti anche quando gli altri legami tendono ad allentarsi. A questo concorsero la sua popolazione, fonte ricercata di milizie mercenarie; il tipo della sua economia, fondata sull'esportazione di prodotti pregiati (gemme, oro, marmi e pietre da costruzione, avorio, ebano, penne di struzzo, pelli di leopardo), e la posizione geografica che ne faceva un punto di passaggio obbligato per i commerci con le parti centrali dell'Africa.
Durante il periodo preistorico una stessa forma di cultura accomuna la N. all'Alto Egitto, ma, mentre questo ultimo, verso la fine di tale periodo, subisce l'influsso delle regioni più progredite del Delta ed acquista i caratteri ben definiti dell'Egitto storico, la N. resta isolata e in uno stadio di cultura più arretrato per un più lungo periodo (v. kubaniyah).
Già i sovrani memfiti appaiono interessati a riallacciare i rapporti; questi riprendono poi, con rinnovato vigore e con i caratteri di una conquista coloniale, durante il Medio Regno (soprattutto sotto Amenemhet I, Sesostris I, Sesostris III), si stabiliscono ancora una serie di fortezze e una stazione commerciale a Kerma, dove si insedia un governatore egiziano. Il secondo periodo intermediario e la conquista Hyksos dell'Egitto interrompono di nuovo le relazioni, tanto che la stele di Kamose, la quale ci dà notizia della cacciata degli Hyksos, può nominare un re di Kush alleato dell'invasore. All'inizio del Nuovo Regno, Tuthmosis I riprende le campagne e conquista la regione fino alla quarta cataratta; i suoi successori mantengono la conquista insediando un viceré che sotto il regno di Tuthmosis IV assume il titolo di "regale figlio di Kush". Per il periodo che intercorre fra l'ultimo viceré intorno al 1100 a. C. e la salita al potere, intorno al 750 a. C., di un certo Kashta che fondò la dinastia etiopica con sede a Napata (v.), non abbiamo notizie sicure.
Col successore di Kashta, Pi῾ankhi, la dinastia etiopica, di cultura e forse di origine egiziana, proclamandosi erede e custode delle più antiche e sacre tradizioni, reagisce contro il tono cosmopolita dell'Egitto del tempo, ne tenta con successo la conquista, vi fonda la XXV dinastia ed estende la sua influenza sul clero di Amon, creando una linea di successione di principesse etiopiche tra le divine adoratrici. Questo periodo di fulgore, continuato dai successori di Pi῾ankhi, Shabaka, Shabataka, Taharqa e Tanutamon, non durò a lungo e, verso la metà del VII sec., le invasioni assire respinsero i sovrani etiopici nelle loro sedi, ove essi si mantennero come dinasti locali per alcuni secoli. Dopo la cacciata di Tanutamon da Tebe c'è un breve periodo di relazioni amichevoli coi sovrani della XXVI dinastia (Psammetico I e Nechao), ma già Psammetico II invia in N. una spedizione militare, accompagnata da mercenari greci e cani, di cui resta il ricordo in una iscrizione su uno dei colossi di Abu Simbel. Non si sa quando la capitale sia stata trasferita da Napata a Meroe; probabilmente ciò avvenne alla metà del IV sec. a. C., anche se alcuni propongono come data la fine del VI sec. a. C. Da questo periodo in poi una frattura si determina tra Bassa ed Alta N., la prima restando ancora sotto l'influsso egiziano, la seconda invece legandosi sempre più all'Africa attraverso la dinastia meroitica. I sovrani tolemaici prima e i Romani poi, nel loro tentativo di espandersi a S della prima cataratta, cozzano contro la forte resistenza dei dinasti meroitici e delle bellicose tribù dell'interno e devono porre il confine meridionale a Hierasykaminos (Maharraqa). I rapporti con Meroe si limitano a scaramucce di frontiera e a scorrerie, quale la spedizione punitiva del prefetto Petronio che nel 23 a. C. - dopo la vittoria sulla regina Candace - giunse fino a Napata, o la spedizione esplorativa che sotto il regno di Nerone si spinse fino alla capitale. Da parte meroitica si registrano ugualmente sporadiche razzie nelle zone di confine. Meroe conserva la sua posizione di preminenza finché non è sopraffatta dai negri Noba e infine, nel 359 d. C., è conquistata da Ezana re di Aksum (v.). La Bassa N., nel frattempo, era stata occupata dai Blemmi, tribù bellicose forse provenienti dal deserto orientale, che nel 250 d. C. si spingono fino a File. Nel 297 d. C. Diocleziano, nel tentativo di porre un freno alle loro scorrerie, ritrae il confine dell'impero alla prima cataratta e stabilisce una popolazione nomade, proveniente dal deserto occidentale, i Nobadi, nella regione tra File e il vecchio confine. Queste tribù continuano a professare una fanatica devozione a Iside di File, anche dopo la chiusura dei templi pagani ordinata nel 379 d. C. da Teodosio. Solo nel VI sec. i Nobadi si convertono al Cristianesimo e il loro re, Silco, riesce a vincere i Blemmî, com'egli stesso afferma in una iscrizione del tempio di Kalābsha (v.). Nel 540 si chiude il tempio di File segnando così la completa cristianizzazione della Nubia.
L'Antico Regno, interessato soprattutto allo sfruttamento delle miniere d'oro e delle cave di diorite, non ha lasciato nella N. testimonianze particolarmente vistose, a parte numerose iscrizioni rupestri, commemoranti queste imprese. La cultura nubiana appare, dai tipi di sepoltura e dalla ceramica, in lieve ritardo rispetto a quella dello Egitto. Durante il primo periodo intermediario, la N., di nuovo indipendente, riesce a sviluppare una cultura autonoma, apportata da una popolazione nota col nome di "Gruppo C" e caratterizzata da una ceramica tipica per la sua ornamentazione a motivi geometrici incisi e successivamente riempiti in bianco o a più colori.
L'espansione coloniale del Medio Regno determina una fervida attività costruttiva, che si esplica soprattutto nell'architettura militare (fortezze), tra cui importanti quelle di Buhen, di Uronarti e le due di Semna (v.) sul confine meridionale, e tutta una serie agli sbocchi degli uadi principali, tra cui notevoli quelle di Anība, di Iqqūr e di Qūbān. Quest'ultima, posta allo sbocco dello uadi Allaqi ove si trovavano ricche miniere d'oro, rimase in uso fino all'età romana.
Queste fortezze sono in genere a pianta più o meno rettangolare, adattata alle condizioni del terreno e alle necessità della difesa. Sono cinte da muri in mattoni crudi assai spessi (6-7 m), rinforzate da torri rotonde e bastioni, circondate da un fossato artificiale delimitato da due muri. All'interno si trovano le abitazioni del personale della guarnigione e i templi. In alcuni casi due o più fortezze appaiono come parte di un organico sistema difensivo costituito attorno a punti strategicamente delicati, come le due di Semna sulle due rive del Nilo e quelle di Iqqūr e di Qūbān, citate a volte come costituenti un tutto unico.
Durante il regno di Sesostris I una stazione commerciale egiziana viene fondata a Kerma, a S della terza cataratta. Ivi furono trovate le tombe a tumulo dei governatori egiziani, tra esse quella di Hapigefa e della moglie Sennuy con statue nel più puro stile egiziano, che fanno supporre l'opera diretta di artisti venuti al seguito del governatore. Il tipo delle sepolture in tombe a tumulo e su letti anziché in sarcofagi è invece chiaramente indigeno, e si può anche supporre che, almeno in alcuni casi, si siano fatti sacrifici umani.
Nelle opere di artigianato, nella ceramica dipinta e negli intarsi di avorio e mica che ornavano i mobili, si nota una commistione di elementi egiziani e di cultura locale. Particolarmente interessante è il confronto che si può stabilire tra alcuni di questi motivi decorativi e quelli contemporanei dell'Egitto (e il confronto è tanto più diretto in quanto Hapigefa si era fatto costruire una tomba anche ad Asyūt, suo luogo di origine), a loro volta chiaramente influenzati da motivi provenienti dall'Egeo, come spirali, rosette, onde, piante stilizzate (v. minoicomicenea, arte).
Dopo la parentesi costituita dal secondo periodo intermediario, l'Egitto torna ancora, nel Nuovo Regno, a spiegare in N. tutta la sua potenza e in tale periodo la regione appare totalmente egittizzata.
Non è facile individuare nei monumenti, particolarmente ricchi e numerosi, un tono che li distingua dalle contemporanee creazioni egiziane. Si ricostruiscono e si ampliano le fortezze del Medio Regno, ma soprattutto si costruiscono templi alle divinità egiziane e particolarmente al dio nazionale Amon. Grandi costruttori furono soprattutto i Tuthmosidi nella XVIII dinastia e Ramesses II nella XIX. Tra i templi principali, partendo da N, si ricordano i tre di Qūbān, e quello di Amada risalente nel nucleo originario, composto di un sacrario un vestibolo e un portico frontale, a Tuthmosis III, decorato da Amenophis II con rilievi dipinti, ampliato da Tuthmosis IV, infine restaurato da Sethos I. Più a S si trovano i templi di Faras di cui è ora visibile, sia pure solo con scarsi resti, soltanto quello costruito da Tutankhamon, e a Buhen, in prossimità della seconda cataratta, entro la cinta della fortezza, due templi, uno in mattoni risalente forse al Medio Regno e restaurato sotto Amenophis II e l'altro costruito da Ḥashepsowe, e restaurato da Tuthmosis III. Questo ultimo presentava all'origine una pianta inconsueta consistente in un sacrario con cinque ambienti circondato da un portico periptero.
A Semna, già citata per le due fortezze che, fin dal Medio Regno, si fronteggiavano sulle due rive del Nilo, si trovavano tre templi. Uno di questi è totalmente distrutto, un altro presenta una curiosa pianta formata da un santuario centrale affiancato da due portici e il terzo è di forma asimmetrica perché addossato alla parete interna della fortezza. Più ampio il tempio di Amara, costruito da Ramesses II, e preceduto da un cortile non coassiale rispetto al tempio stesso il quale, a sua volta, conserva tutti gli elementi del tempio egiziano classico ed è circondato da stanze destinate a magazzino. Pianta di tipo classico presenta anche il tempio di Soleb, consacrato ad Amon da Amenophis III, uno dei più grandi al di fuori dell'Egitto. All'origine era preceduto da un viale di sfingi che poi Picankhi trasportò a Napata. Si citano infine i templi di Sesebi, consacrati alla triade tebana da Amenophis IV prima dello scisma amarniano, la cappella di Kawa costruita da Tutankhamon e i templi di Napata (v.) che saranno poi ampliati o sostituiti durante l'età etiopica.
Una caratteristica particolare della N. sono, sempre in questo periodo, i templi rupestri. Di tale tipo di monumenti si hanno scarsi esempî in Egitto, mentre in N. gli esempi sono numerosi, ed in alcuni casi monumentali. Si tratta in genere di templi in parte scavati nella roccia e in parte costruiti.
I più antichi che si trovano rispettivamente a Ellesiya e a Dokha, risalgono a Tuthmosis III e sono due semplici cappelle. Piccolo, a pianta cruciforme è il tempio dedicato ad Amon-Rē῾ e a Thot da Ḥaremhab, scavato sulle pareti del Gebel Adda (noto anche col nome di Abahūda); la decorazione originale delle pareti è quasi completamente cancellata da pitture di soggetto cristiano risalenti al periodo in cui la cappella fu trasformata in chiesa. Gli altri templi risalgono al regno di Ramesses II e tra essi, sempre partendo da N, il tempietto di Beit el-Wālī, presso Kalābsha. All'esterno un cortile, scavato nella roccia, presenta sulle pareti N e S dei rilievi con rappresentazioni di campagne militari, tra i più fini del regno di Ramesses II. Di qualità inferiore è il tempio di Gerf Ḥusein, dedicato a Ptaḥ. La parte ipogeica è formata da una vasta sala a pilastri, un vestibolo e cinque stanze a disposizione cruciforme. Più importante è il tempio di Wādī es-Sebūa, analogo a quello di Gerf Ḥusein per il largo sviluppo preso dalla parte costruita rispetto a quella ipogeica. Un viale di sfingi col capo coperto dalla doppia corona precede il primo pilone, fiancheggiato da due colossi del sovrano e da altre due sfingi. Seguono tre cortili, di cui il terzo è porticato con pilastri osiriaci, e la parte ipogeica formata da una sala quadrata, vestibolo e cappelle con disposizione cruciforme. Il tempio fu trasformato in chiesa in età cristiana e serba ancora tracce di tale adattamento, con affreschi assai ben conservati. Segue poi il tempio di Derr, dedicato a Rē῾-Harakhte, assai profondo e decorato con scene religiose e militari. I più importanti e famosi sono però i due templi di Abū Simbel (v.) consacrati rispettivamente l'uno, il maggiore a Rē῾-Harakhte, Amon, Ptaḥ e al sovrano stesso e l'altro alla dea Hathor e alla regina Nefretere (v.), scavati interamente nella roccia. La parte ipogeica, che si addentra per una profondità di 44 m, consta di una vasta sala con pilastri osiriani, di una seconda sala a pilastri, di un vestibolo e del sacrario sul cui fondo sono scolpite ad altorilievo le statue sedute del sovrano stesso e degli dèi cui il tempio è dedicato. Ai lati stanze minori. La prima sala presenta sulla parete N una rappresentazione della battaglia di Qadesh, ben nota da altre scene a rilievo sui piloni del tempio di Luxor e del Ramesseum. Qui però il pilone non esiste e la scena è riportata nell'interno, come se la consistenza della parete potesse annullarsi e far trasparire la scena all'esterno. Anche la parete S presenta scene di guerra a rilievo dipinto che in alcune particolarità ripetono schemi ben noti ai rilievi di Sethos I a Karnak e per altre invece dispiegano completamente la violenta drammaticità ramesside. Il tempio minore è anch'esso decorato sulla fronte da statue colossali, questa volta stanti, del re stesso e della regina in veste di Ḥatḥōr, uscenti da grandi nicchie ricavate nella roccia. Accanto ai due templi si trovano piccole cappelle e stele incise nella roccia, tra cui alcune hanno una importanza storica notevolissima, come quella che riporta il matrimonio di Ramesses II con una principessa hittita. Tutto il complesso con la sua scenografica disposizione, la ricerca di effetti, le intellettualistiche trasposizioni, il gusto del colossale e dell'inconsueto ci si presenta ora come il punto di arrivo del barocco ramesside. (Esiste attualmente un progetto di sollevamento dell'intero complesso roccioso per evitarne la sommersione quando entrerà in funzione la diga di Assuan).
Il periodo delle dinastie etiopiche segna una vivissima ripresa dell'attività artistica, ma, in un clima nel quale i sovrani si dichiarano custodi delle più sacre tradizioni, in opposizione alla estenuata ricerca di eleganze formali che era stata propria degli ultimi ramessidi, si determina un voluto ritorno a concezioni plastiche che si rifanno all'età memfita e che sono le premesse del neoclassicismo saita. Come parte di questo fenomeno va certo spiegata l'adozione, a partire da Pi῾ankhi, della piramide come luogo di sepoltura dei sovrani, in luogo del tumulo e della mastaba. L'architettura templare, continua la tradizione egiziana classica e si esplica in monumentali edifici nella capitale Napata (v.), ove si costruiscono almeno sette templi, e a Kawa dove restano tre templi. Due di essi sono dell'età di Taharqa e uno di questi (il tempio T) mostra colonne paliniformi, lontano ricordo di quelle del tempio di Sahure della V dinastia e rilievi stilisticamente affini a quelli delle contemporanee tombe tebane di Montuemhat e di Pabasa.
Della scultura di questo periodo restano notevoli esempî nelle statue regali trovate nel tempio di Amon a Napata (tra cui è particolarmente notevole una di Taharqa ora al museo di Khartum) che mostrano nelle caratteristiche teste sferiche e nel rilievo delle muscolature l'attenta ricerca di una più realistica visione plastica e formale. Anche il rilievo presenta queste caratteristiche di vigore e di vitalità. Nel tempio di Amon a Napata le figure dei principi che fanno atto di sottomissione a Pi῾ankhi sono realizzate nel nuovo stile realistico che in alcuni punti appare evidentemente forzato, mentre una coeva scena di trasporto della barca sacra mostra uno stile elegante e raffinato di ispirazione tardo-ramesside. Anche nelle opere minori e in quelle dell'artigianato, prodotti di una eleganza estremamente raffinata e di puro stile egiziano coesistono accanto ad opere che preludono già, nell'amore per l'ornato e nell'horror vacui, allo stile che sarà tipico dell'età meroitica.
Anche dopo il ritorno dei sovrani etiopici alle loro sedi il senso della tradizione egiziana permane vivo al di là delle mutate condizioni politiche, come dimostra un altare di Atianersa trovato a Napata sul quale, una dozzina d'anni dopo la conquista assira dell'Egitto, viene ripetuto il segno che indica l'unione delle due terre, simbolo sacro dell'unità dell'Egitto sotto un solo sovrano.
A partire dalla metà del IV sec. a. C., invece, mentre la Bassa N. si muove ancora nell'orbita dell'Egitto, Meroe, nuova capitale, si chiude sempre più in se stessa accentuando i legami con l'ambiente africano, fino a perdere persino l'uso della scrittura geroglifica. Il frazionamento fra Alta e Bassa N. risulta particolarmente evidente dall'esame della tipologia monumentale.
Molti dei templi della Bassa N. ora conservati appartengono all'età greco-romana ed in genere presentano la tendenza a tipizzare e normalizzare le piante, la parte meno interessante per gli architetti dell'epoca, e ad arricchire la decorazione, sia negli elementi architettonici che si arricchiscono e tendono a spinti effetti pittorici, sia nelle figurazioni a rilievo che ricoprono le pareti dei templi. Lo stile di tali rappresentazioni, può degenerare in un manierato rendimento di superfici strutturalmente incoerenti, quasi "gonfiate". Tra i templi più importanti vanno ricordati il tempietto di Iside a Dabod, di fondazione meroitica ma con ampliamenti e decorazioni di età tolemaica; i due di Qertassi e di Tafa; il grande tempio di Kalābsha (v.), dedicato al dio locale Mandulis in età augustea sul sito d'un preesistente tempio di Amenophis II; il tempietto di Dendur, pure di età augustea, composto di tre ambienti preceduti da un portale monumentale; il tempio di Thoth a Dakka, anch'esso di fondazione meroitica e tradizionalmente orientato a N, e il tempio di Serapide a Maḥarraqa (Hierasykaminos) di età romana. Di età romana sono anche alcune importanti fortezze, tra cui quella di Qertassi, rettangolare e di tipo puramente egiziano, e quella di Dakka, ora entrambe distrutte; quest'ultima, secondo il Monneret de Villard, sarebbe stata la più interessante opera di architettura militare romana in N. ed avrebbe presentato analogie spiccate con i castra del limes arabico di età traianea. Tipologicamente notevole è, poi, la cosiddetta Casa del Governatore romano di Tafa (secondo il Röder si tratterebbe, invece, di un santuario montano) che con le sue tre camere rettangolari isolate è assai più affine alla pianta-tipo della casa nubiana che non ad ipotetici prototipi romani.
Il regno meroitico, pur nel suo isolamento, non rimane del tutto insensibile alla tradizione culturale egiziana; ad essa aggiunge le suggestioni provenienti dal mondo tolemaico e romano. Materiale greco-romano, tra cui la nota testa bronzea di Augusto al British Museum (v. augusto, vol. i, fig. 1155) e numeroso vasellame, sia in bronzo sia in argento, è stato rinvenuto anche a Meroe, dov'era probabilmente pervenuto attraverso commerci o razzie. Si conserva ancora l'uso di seppellire i sovrani in piramidi che, però, come quelle di Napata, avendo un angolo di inclinazione di circa 68° sono molto più affilate di quelle dell'età memfita e non ne raggiungono la solidità geometrica. I templi di Meroe, di Napata, di Kawa, di Musauwarat es-Sofra, di Naga, mostrano un'alternanza di stili nei quali si possono riconoscere elementi tradizionali ed elementi ellenistico-romani, uniti ad un gusto che è tipicamente locale, per il decorativo, il fastoso, il sovrabbondante in qualche caso. Esempio tipico il chiosco di stile romano provinciale eretto a Naga accanto ad un tempio che è prettamente egizio nella disposizione planimetrica, anche se non nella decorazione. Nella scultura e soprattutto nel rilievo si crea un linguaggio che risente, nella impostazione plastica generale, dello stile egizio di età tolemaica, ma è chiaramente locale nella sovrabbondanza della sua sintassi decorativa. Questo carattere, vivacemente sentito, rende pieni di ingenua e franca vitalità schemi ormai stanchi e dà nuova freschezza alle antiche iconografie. Tra queste ultime, sono particolarmente frequenti le scene in cui il sovrano (o in qualche caso la sovrana, come sul pilone del tempio di Naga) afferra un gruppo di prigionieri e si appresta a colpirli. Una scena simile (rilevata dalla spedizione a Butana dell'Università di Berlino), si svolge di fronte ad una immagine sincretistica di divinità solare ritratta di prospetto e col capo cinto di raggi, ignota all'Egitto classico al quale il sovrano offre i prigionieri, mentre ne riceve un fascio di durra (probabilmente la più antica raffigurazione di questa pianta). Questa raffigurazione, incisa su roccia a Gebel Qeili, è arricchita da una raffigurazione, del tutto nuova, di nemici in precipite e scomposta caduta dall'alto. Il nome del sovrano è stato identificato in Shērkarēr, che regnò fra il 12 e 17 d. C. (secondo altri studiosi fra il 15 e 20 oppure fra il 41 e 45). Si tratta probabilmente di una vittoria sugli Axumiti.
Anche le arti minori mostrano prodotti assai vicini alla grande tradizione faraonica (quali i gioielli della regina Amanishakhte trovati dal Ferlini nella piramide della regina e ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna) accanto ad altri di gusto prettamente locale. La ceramica, poi, di cui moltissimi esemplari sono stati rinvenuti a Karanog, nell'estremo lembo settentrionale del regno meroitico, dove il Woolley ha scoperto un cimitero di questo periodo, ricco di stele e ceramica dipinta, assume di nuovo una grande importanza, raggiungendo una notevole finezza di fattura e di decorazione. Caratteristiche del periodo le piccole coppe di impasto finissimo e di colore giallo chiaro cui si sovrappone una decorazione policroma con motivi geometrici (zigzag, intrecci, serie di doppi cerchi, di tondi, di "virgole") e floreali. Alcuni di essi sono derivati dalla tradizione egiziana (fiori di loto, segni ankh, nodi isiaci stranamente deformati e stilizzati), altri dalla tradizione ellenistico-romana (tipici i tralci a onda con foglie stilizzate cuoriformi a lungo picciolo e con piccoli fiori).
L'ultima eco dell'arte meroitica si trova nei ricchi corredi delle tombe, probabilmente blemmie, di Ballana e Qustul, nelle quali oltre ad abbondante vasellame proveniente dall'Egitto bizantino, si trovano finimenti di cavalli e pesanti corone in argento ornate di pietre dure, che rivelano la persistenza di una tradizione artigianale meroitica.
Allo stesso ambiente culturale comunemente denominato "Gruppo X", appartengono le tombe recentemente scavate a Qasr Ibrim, sulla riva opposta del Nilo, con ricchi corredi funebri, nei quali oggetti d'importazione greci, romani e bizantini si affiancano alla produzione locale.
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